N.01
Gennaio/Febbraio 2001

Dio si serve degli uomini

Il Vangelo che abbiamo ascoltato[1] descrive la chiamata di Filippo e di Natanaele.

 

 

 

Filippo e Natanaele

In questa scena significativamente Filippo svolge il ruolo di un promotore nella chiamata di Natanaele, appare cioè come colui che assiste Natanaele nello scoprire, nel sentire e nell’accettare la chiamata del Signore. Per questo Convegno, quindi, ci interessa il rapporto tra di loro. Natanaele sembra un uomo dotto per il quale i motivi razionali svolgono un ruolo decisivo. A ciò fanno riferimento già le parole di Filippo che gli comunica con gioia e con un certo invito: “Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè nella Legge e i Profeti, Gesù, figlio di Giuseppe di Nazaret”. Natanaele quindi conosce la Legge e i Profeti, se Filippo richiama espressamente la loro autorità. 

Inoltre, Natanaele si trovava sotto il fico, come nota lo stesso Gesù, e secondo la tradizione rabbinica proprio all’ombra del fico i maestri riflettevano e discutevano sulla Legge. Natanaele quindi è un personaggio rilevante. Proviene da Cana di Galilea (cfr. Gv 21,2) non lontano da Nazaret, ciò nonostante si esprime con un certo disprezzo verso gli abitanti di questa città, esclamando: “Da Nazaret può mai venire qualcosa di buono?”. Per Natanaele, Nazaret è insignificante e quindi incompatibile con la grandezza delle funzioni messianiche. Inoltre all’epoca di Gesù si pensava che nessuno potesse sapere da dove sarebbe sorto il Messia. Al massimo si poteva conoscere il nome di Betlemme, invece Filippo indica un nome concreto diverso da questo.

Così, Filippo crede di portare una bella notizia, invece accumula contraddizioni inquietanti. Dal punto di vista razionale, per Natanaele tutto è contro l’entusiasmo di Filippo, tutto è contro la natura messianica di Gesù. Il tentativo di Filippo sembra, quindi, fallito, ma egli non disarma, non cede. Prende un’altra strada, dicendo: non sputare sentenze (non fare il saccente), non filosofare, ma “vieni e vedi”. Crede ovviamente che nel contatto personale Natanaele possa scoprire la ricchezza di Gesù. Ciò è avvenuto. Natanaele nel suo contatto con Gesù ha scoperto in Lui il Messia, il Re: “Rabbì, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il Re d’Israele!” Ecco il cammino che ha percorso Natanaele, stimolato da Filippo, per arrivare a gettarsi ai piedi di Gesù e a diventare il suo discepolo. 

 

Due riflessioni

Da questa scena vorrei ricavare due riflessioni:

1. Dio si serve degli uomini. Anche se in ogni vocazione l’elemento decisivo è sempre l’iniziativa di Dio, Dio normalmente si serve degli uomini nello scoprire e nel seguire la vocazione: si è servito di Filippo nel caso di Natanaele; di Giovanni Battista nel suscitare nei due suoi discepoli la curiosità per Gesù e nell’indurli a seguire Gesù (Gv 1,36-37); di Andrea per condurre Pietro a Gesù (Gv 1,41-42); di Anania per rivelare a Saulo il suo cammino (At 9,10-18). Anch’io penso che non sarei entrato in Seminario se il mio parroco di allora non me lo avesse proposto. Ma quando me lo ha proposto ero contento e, con la sua assistenza, con gioia ho intrapreso questa strada.

La promozione vocazionale al sacerdozio, è vero, deve essere considerata un compito prioritario di tutta la Chiesa – dei vescovi, dei sacerdoti, delle persone consacrate, dei laici – perché senza il sacerdozio ministeriale la Chiesa non potrebbe compiere la sua missione e non si potrebbero realizzare pienamente le altre vocazioni. Ma Voi, partecipanti a questo convegno, siete chiamati ad essere strumenti particolarmente impegnati nella mano di Dio in questa importante attività, aiutando a scoprire, sentire, accettare e seguire fedelmente la chiamata divina.

Comunque, siete strumenti liberi. Dipende quindi molto da Voi: potete essere utili, efficaci, convincenti; ma potete essere anche inefficaci e perfino di ostacolo all’opera di Dio. L’esperienza della vita della Chiesa ci dà abbondante illustrazione di tale realtà. Tutto il vostro sforzo deve essere orientato a diventare, ad essere strumenti docili ed efficaci nella mano di Dio svolgendo la pastorale vocazionale.

A tale scopo è servito anche il presente convegno che oggi sta per concludersi. Penso che, per essere efficaci nella pastorale vocazionale, si debbano porre tre ordini di domande. In primo luogo sulle verità teologiche fondamentali in materia, ossia principalmente sulla natura della Chiesa e sulla natura e sul ruolo del sacerdozio ministeriale in essa, nonché sulla relazione del sacerdozio ministeriale con le altre vocazioni nella comunità ecclesiale. In secondo luogo dobbiamo domandarci come dobbiamo essere per affrontare questa pastorale. Soltanto in terzo luogo è da chiederci che cosa ci sia da fare. Infatti, questo terzo ordine di domande, senza i due precedenti, può facilmente condurre ad un attivismo inutile, ad un chiasso inefficace.

 

2. Condurre a Cristo. Evidentemente non possiamo in una sola omelia affrontare le problematiche delineate. Il Vangelo odierno, però, ci costringe a soffermarci su una riflessione particolare, appartenente di per sé al terzo ordine di domande (che cosa fare), ma come vedremo, essa è strettamente connessa anche con i due altri ordini.

 

3. L’azione di Filippo nei confronti di Natanaele ci convince che la promozione delle vocazioni è primariamente un condurre a Cristo (non filosofare, ma “vieni e vedi”), è primariamente il provocare ad un incontro esistenziale con Lui, a fare l’esperienza di lui. Ciò è indispensabile e sta a fondamento del problema vocazionale.

 

4. L’efficacia di questa azione operativa (condurre a Cristo) dipende però fortemente dal contesto teologico, ossia dal tipo di immagine di Gesù che viene proposta ai giovani. Purtroppo, spesso viene ai giovani proposto un Gesù addolcito, o laicizzato e secolarizzato, o proletarizzato, o politicizzato: in ogni caso sfigurato oppure soltanto parziale. Soltanto l’immagine reale di Cristo, Figlio di Dio – con tutta la ricchezza della rivelazione, dell’amore, del perdono, della saggezza della croce, dell’invito all’impegno serio – è capace di affascinare e rendere pronta la decisione a seguirlo.

 

5. La capacità di condurre gli altri al contatto esistenziale con Cristo implica anche il nostro modo di essere: dipende cioè non soltanto dalle parole, ma ancor di più dalla testimonianza del nostro rapporto con Gesù, ossia semplicemente dal nostro reale rapporto con Cristo, vissuto giorno per giorno con impegno. Di conseguenza il più naturale ed efficace promotore delle vocazioni è chi vive la propria vocazione intensamente, con gioia ed entusiasmo.

 

Conclusione

La presenza reale di Gesù nell’Eucaristia è il più grande tesoro della Chiesa. Nell’Eucaristia Gesù è presente specificatamente come Sacerdote della Nuova Alleanza.

Occorre quindi vivere l’Eucaristia intensamente per essere promotori delle vocazioni. Occorre dall’Eucaristia trarre la luce, la saggezza e l’entusiasmo nel promuovere le vocazioni. Sia questa ed ogni celebrazione dell’Eucaristia un momento forte del vostro impegno.

 

 

 

Note

[1] cfr. Gv 1,43-51: Il giorno dopo Gesù aveva stabilito di partire per la Galilea; incontrò Filippo e gli disse: “Seguimi”. Filippo era di Betsàida, la città di Andrea e di Pietro. Filippo incontrò Natanaèle e gli disse: “Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè nella Legge e i Profeti, Gesù, figlio di Giuseppe di Nazaret”. Natanaèle esclamò: “Da Nazaret può mai venire qualcosa di buono?”. Filippo gli rispose: “Vieni e vedi”. Gesù intanto, visto Natanaèle che gli veniva incontro, disse di lui: “Ecco davvero un Israelita in cui non c’è falsità”. Natanaèle gli domandò: “Come mi conosci?”. Gli rispose Gesù: “Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto quando eri sotto il fico”. Gli replicò Natanaèle: “Rabbì, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d’Israele!”. Gli rispose Gesù: “Perché ti ho detto che ti avevo visto sotto il fico, credi? Vedrai cose maggiori di queste!”. Poi gli disse: “In verità, in verità vi dico: vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sul Figlio dell’uomo”.