N.05
Settembre/Ottobre 2001

La vocazione “ad gentes” matura dentro ad un incontro, ad un desiderio di missione

Ho 48 anni. Da ragazzo sono cresciuto nell’esperienza dell’Azione Cattolica all’oratorio della mia città, in diocesi di Milano. Con il ‘68 e l’arrivo di un nuovo vice-parroco, questa realtà è stata lasciata morire perché considerata obsoleta. E’ stato per me un momento di smarrimento. Era il tempo in cui nascevano e morivano in continuazione nuovi gruppi, proposte, esperienze ecclesiali. C’era però l’entusiasmo, l’impegno, la voglia di portarle avanti, la sensazione di essere pionieri di un mondo nuovo e più bello da costruire. Mi lasciai contagiare. Oggi, penso con simpatia a quelle esperienze, anche se brevi: ricordo bello di cui sono grato a Dio per le molte cose che ho imparato con gli amici. Sentivo però che non mi bastava.

 

Incontro con CL

Questo movimento ha mosso i primi passi nelle scuole. In effetti io l’ho conosciuto alle superiori. Mi colpiva l’unità e l’amicizia che c’era tra alcuni professori e soprattutto il loro atteggiamento aperto e fraterno con gli studenti. Mi incuriosirono e così li avvicinai. Mi invitarono a partecipare alla “scuola di comunione” e ne fui subito conquistato. Imparai a capire meglio il dono della fede e come sia importante cercare di renderlo visibile.

In quegli anni, la presenza cristiana nell’ambiente scolastico, alle Superiori e nelle Università, si era eclissata; ciò che “tirava” era soltanto la cultura e l’appartenenza alla “Sinistra”, con i movimenti studenteschi legati a questa realtà politica. Fu impegnativo ed esaltante poter affermare, controcorrente e in modo visibile, la nostra appartenenza a Cristo e alla Chiesa. È stata un’esperienza intensa, che ha messo profondamente in me, come un seme, il desiderio di vivere in modo sempre più pieno come testimone di Cristo, là dove vivevo, nella scuola, al lavoro, in parrocchia.

 

Il servizio militare

Fu là che ritrovai degli amici che vivevano con profondo impegno la spiritualità di CL, legata a don Giussani. Così, assieme, abbiamo riaffermato la decisione di vivere con coerenza il dono della fede ricevuto, in un ambiente che, se da una parte irrideva la fede e la vita cristiana come poco “maschia”, dall’altra aveva sete di un “incontro”. Con gioia constatammo che molti giovani militari ci manifestavano il loro desiderio di unirsi alla nostra esperienza di vita cristiana e questa cambiò anche la loro vita. Al termine del servizio militare, in nove abbiamo fatto la scelta di diventare sacerdoti. Era l’Anno Santo 1975.

 

La vocazione missionaria

In continuità con quanto avevo vissuto fino allora, quasi uno sbocco naturale a tutto il cammino fatto fino a quel momento, sentii che il Signore mi chiamava a portare il suo Nome “ad gentes” a quanti non avevano ancora avuto la gioia di conoscerlo. Fu così che chiesi ai Missionari Comboniani di poter entrare a far parte della loro famiglia. All’inizio non mi è stato facile trovare l’equilibrio tra il far parte di un istituto religioso e l’appartenenza ad un movimento ecclesiale che non volevo dimenticare come un “capitolo chiuso”, in quanto era il luogo in cui avevo maturato la mia fede e la mia scelta. D’altra parte riconosco che non è facile neanche per un formatore scoprire e far assumere al candidato un modo diverso per esprimere certi valori all’interno di un ambiente religioso, specialmente quando si trova di fronte all’ostacolo di precedenti esperienze negative o di pregiudizi nei confronti dei movimenti. E’ stato un equilibrio difficile da trovare e a volte sofferto. Non ci sono ricette per mediare continuità e novità; ogni persona deve trovare il suo cammino.

 

La missione

Dopo il Noviziato, sono stato mandato a studiare teologia in Uganda. Mi si aprì il cuore quando scoprii che il mio formatore veniva dall’esperienza di CL. In quel momento l’Uganda viveva una situazione politica, sociale e religiosa di sbando generale. Quel mio formatore ha cominciato a proporre alla gente il cammino di don Giussani, “africanizzandolo”, e centrandolo sull’esperienza di “Cristo comunione e vita” (CCL: Christ communion and life).

Ritrovando il movimento, ho ritrovato non solo il filo rosso del mio cammino di fede ma insieme ho riscoperto la bellezza e la portata missionaria del carisma del mio Fondatore. Ho imparato a riconoscere e a custodire negli occhi e nel cuore quell’orizzonte sconfinato che il beato Daniele Comboni aveva, insieme al suo zelo bruciante di raggiungere i più lontani e disperati. In mezzo a questi poveri, animati dal movimento CCL, l’annuncio e la costruzione del Regno, diventava desiderio ed impegno per tanti cristiani, in tempi particolarmente duri e difficili. E il mio cuore si commuoveva di fronte alla testimonianza di fede e di sangue di molti amici che hanno offerto la loro vita per l’Uganda, per l’Africa, per la Chiesa e per il mondo.

 

Il seme buono produce sempre frutti buoni

L’esperienza di CL, segnandomi, continua a portare frutti. In particolare, il dono della comunione. I volti di quanti il Signore ha messo e mette sulla mia strada – persone diverse che vivono il dono della fede come speranza e certezza di felicità già nel presente – mi richiamano al dono della fede ricevuto gratuitamente e che gratuitamente devo offrire. L’esperienza di CL diventa oggi “saggezza” per me, nel cogliere gli aspetti belli e positivi che il movimento mi ha offerto. È per me una spinta ad aiutare i giovani e gli adulti che fanno esperienza di fede, in qualsiasi movimento, a crescere nella fedeltà e nell’appartenenza che permette loro non solo di incontrare Cristo ma anche di proporlo con gioia. Essi diventeranno così “missionari” nel loro ambiente di vita, nella Chiesa e, chissà, per alcuni, fino agli estremi confini della terra.