N.05
Settembre/Ottobre 2002

La vocazione della scuola cattolica nella pastorale vocazionale della Chiesa italiana

 

 

Cos’è accaduto di nuovo perché possiamo considerare l’argomento problematico?

 

La scuola cattolica in Italia è impegnata a rinnovarsi (anche in conseguenza del riconoscimento paritario) secondo le prospettive della riforma e nello stesso tempo cerca di salvaguardare la specificità del proprio apporto culturale ed educativo sostanzialmente orientato a elaborare il rapporto cultura, fede e vita in un contesto di vita relazionale contrassegnato come vera comunità (espressione, quest’ultima, definita nei documenti ecclesiali – compreso l’ultimo della Congregazione, La scuola cattolica alle soglie del terzo millennio, che al n. 11 precisa che questa dimensione comunitaria è da considerarsi categoria teologica e non solo istituzionale-sociologica ).

Non mi soffermo sui documenti ecclesiali che descrivono il dover essere di questa identità e che offrono anche indicazioni e spunti circa quella dimensione vocazionale che necessariamente dovrebbe attraversare la vita della scuola sia nella sua impostazione culturale (educazione vocazionale e POF, educazione vocazionale e curricolo, educazione vocazionale e discipline), che in quella sociale (educazione vocazionale e lavoro, educazione vocazionale e territorio, educazione vocazionale e solidarietà) e relazionale (educazione vocazionale e duplice ruolo professionale-educativo ed ecclesiale-ministeriale dei soggetti che compongono la comunità).

Non mi soffermo nemmeno a considerare l’aspetto contenutistico e cioè a chiarire che cosa si intende per dimensione vocazionale nella scuola cattolica: certamente qui si devono differenziare (senza separare) alcuni livelli (e conseguenti distinti obiettivi, soggetti e modalità metodologiche), diversi anche se tra loro connessi:

* vocazione e formazione personale: maturazione della consapevolezza del valore umanistico e antropologico dell’educazione e dell’esperienza scolastica; recupero del significato sociale ed ecclesiale delle competenze che si acquisiscono; evocazione nell’io del giovane del senso della vita intesa come dono di sé;

* vocazione nella logica dell’educazione alla fede: educazione all’apprezzamento del valore trascendente della vita e della dimensione religiosa; curaconsapevolezza del rapporto intimo che lega vita naturale e vita di grazia; consapevolezza della vita battesimale;

* promozione di vocazioni: maturazione di atteggiamenti evangelici (attraverso proposte e servizi di accompagnamento e sostegno alle decisioni) e adesione a ministeri/servizi ecclesiali.

Sono d’accordo con quanto scrive la prof.ssa Mariella Malaspina e cioè che:

* lo spazio privilegiato per un intervento educativo e autenticamente vocazionale è la vita quotidiana… nella scuola essa è prima di tutto uno scambio di esperienze vitali. Chi ha provato e vissuto propone ad altri quello che per lui rappresenta una dimensione affascinante della propria esistenza, colta come risposta personale ad una chiamata specifica del Padre, di Cristo, della Chiesa…;

* occorre una esperienza relazionale e comunitaria positiva perché una adesione ai valori diventi appello alla conversione ed eventualmente risposta al progetto-chiamata di Dio: solo così la pre-evangelizzazione diventa evangelizzazione: discernimento del disegno di Dio inscritto nella propria vita personale;

* la dimensione comunitaria della vita della scuola deve essere realizzata in modo tale da non vanificare o condizionare un tratto caratteristico della dimensione vocazionale che è costituito dall’accompagnamento spirituale individuale: conformismo, dinamiche gruppali non equilibrate dall’intervento educativo e gli stessi comportamenti degli educatori nei vari contesti comunitari possono non favorire le condizioni psicologiche e relazionali (resistenza, superamento di rapporti di dipendenza psicologica e di pressione omologante).

Pertanto, senza sminuire l’importanza degli aspetti più propriamente culturali e cognitivi di una cultura vocazionale nella scuola cattolica (presente in progetti, programmi, discussioni e incontri che invero non sono mancati in questi anni e che hanno richiesto l’impiego di risorse e di persone), ritengo di poter rispondere alla domanda segnalando che la tematica ha assunto una sua valenza problematica nella scuola cattolica proprio sul versante specificamente “vocazionale” e cioè

– relazionale e individuale;

– religiosa e trascendente;

– ecclesiale.

 

 

Aspetto relazionale

L’aspetto relazionale può essere stato condizionato non favorevolmente da due fenomeni: la minore stabilità di presenza degli educatori (docenti in prevalenza laici, che passano ad altra istituzione statale) e il minore impiego di forze giovani da parte dei religiosi; ma in sostanza, diventa cruciale l’azione formativa rivolta agli adulti (genitori compresi); la stabilità di un rapporto fiduciario e individuale orientato al discernimento educativo, e quindi anche personale e religioso, richiede condizioni di competenza e di adesione ai valori da parte degli adulti significativi le quali richiedono stabilità.

Per riuscire a disegnare le prospettive della scuola cattolica tra vita, cultura e fede, occorre prima di tutto dimostrare grande attenzione nei confronti dei destinatari. Non è solo questione di scelta etica o psicologica, ma è espressione di reale sensibilità educativa il lasciarsi interpellare e farsi mettere in discussione dall’universo giovanile, dalle famiglie, dal mondo del lavoro, dalle comunità locali e dalla più ampia società civile con i loro tratti specifici, le loro attese, i loro problemi, il loro disagio. Oltre che organizzare risposte e strutturare istituzioni, la scuola cattolica deve cercare di dare la parola ai soggetti, rendere responsabili le persone delle scelte e della gestione e quindi come primo atto educativo innescare all’interno un processo di partecipazione responsabile.

Va sottolineato che la domanda educativa, in particolare quella dei giovani, non evidenzia solo rischi, difficoltà, preoccupazioni, ma mette in risalto anche opportunità e motivi di speranza e in questo senso è possibile liberare risorse che si potranno rivelare preziose.

 

 

Dimensione religiosa e trascendente del processo di orientamento/discernimento vocazionale

Quella che chiamo la dimensione religiosa e trascendente del processo di orientamento/discernimento vocazionale si riferisce alla qualità motivazionale che lo accompagna. I riscontri che si ricavano dalle ricerche recenti del Centro Studi per la scuola cattolica (Malizia, 2000; Malizia-Stenco, 2001; MaliziaStenco-Pieroni-Bogotto, 2001) fanno emergere negli studenti (e anche negli stessi educatori) una disponibilità e un’attenzione all’impegno in forme consapevoli e continuative rivolte soprattutto al contesto sociale (volontariato, adesione a movimenti, partecipazione a gruppi, partecipazione a proposte che nascono dal contesto ecclesiale di tipo sportivo o ricreativo), che arriva a coinvolgere circa un terzo dei giovani (più nei licei che negli istituti tecnici, più nelle scuole che nei centri di formazione professionale). Mettersi in ascolto della domanda educativa è una condizione necessaria, ma non sufficiente; l’analisi puntuale della situazione dovrà essere accompagnata dall’identificazione delle linee di tendenza che la stanno caratterizzando al presente. Se la capacità di ascolto costituisce una delle principali risorse educative della persona, è anche vero che la disamina deve farsi giudizio critico, in grado di mettere in luce sia gli aspetti positivi sia quelli problematici o negativi e di indicare le vie da percorrere. In questa opera di discernimento sarà importante lasciarsi illuminare dalla presenza e dalla parola del Signore. E noi possiamo oggi affermare che c’è il rischio (insito non solo nella domanda, ma anche nell’offerta educativa) prima di una riduzione funzionalistica della scuola al contesto socio-economico e poi di una riduzione ad un umanesimo integrale sì, ma incapace di arrivare a mettere in questione se stesso quando si apre al mistero rivelato e a quello della croce.

 

 

Aspetto ecclesiale

Per quanto riguarda l’aspetto ecclesiale, va ricordato che il primo convegno ecclesiale sulla scuola cattolica (novembre 1991) focalizzava l’elemento fondamentale della sua riconoscibilità nel ricupero pieno del suo soggetto educante naturale e cioè una comunità che fa esperienza di salvezza attraverso la fede nel Signore Risorto[1]. L’impegno è stato quello di ripensare tutta la scuola cattolica a partire dalla presenza di questo soggetto globale che si poneva come simbolo e causa di un cambio radicale nel tipo di educazione, garantire ad esso una proporzionata presenza educativa nelle proprie scuole, consentire alla scuola cattolica di fare una proporzionata esperienza di salvezza, sentendosi ed essendo comunità cristiana. La riconoscibilità culturale della scuola cattolica veniva a collocarsi nel nesso inscindibile ragione-fede, ragione-vita e nella sua usabilità entro la scuola. L’assunzione, poi, nel Convegno di Palermo del progetto culturale per tutta la Chiesa italiana, significava che per la Chiesa era essenziale l’impegno per un crescere in riflessività di una comunità di fede.

Nacque così l’esigenza di una Assemblea che facesse dell’argomento dei soggetti della scuola cattolica il tema centrale. La scuola cattolica veniva quindi delineata quasi come un sistema educativo in cui interagivano: la Fede comune, le differenziate funzioni legate al carisma dei fondatori, i tre voti della vita religiosa consacrata, il “munus educationis” del ministero battesimale del docente laico, il carisma della coniugalità anche sacramentale da parte dei genitori, e la domanda educativa dell’alunno, come elementi di promozione di un’educatività più completa.

Sottolineo due aspetti. Il crescente aumento dei docenti laici e la parallela riduzione del numero dei docenti religiosi, anche se legata a contingenze storiche, poneva un problema di sostanza e cioè la specificità del contributo del docente laico e il ripensamento del compito del docente religioso. Se il sacramento del battesimo porta incorporato un impegno educativo comune a tutti i cristiani, allora è ovvio che la specificità della scuola cattolica andava configurata anche in una mediazione-sintesi tra carismi congregazionali e ministero battesimale. Si trattava quindi nel caso dei laici della riscoperta e dell’approfondimento dell’insegnamento come vocazione e, perciò, di una capacità formativa antecedente a qualsiasi mediazione istituzionale.

Quelli che sono stati delineati sono “sentieri” esemplificativi di tutto un ventaglio di esigenze necessarie per comprendere la specificità anche culturale della scuola cattolica[2], ma per quanto riguarda il nostro tema sono anche condizioni imprescindibili per la stessa possibilità di sviluppare un vero discorso specificamente vocazionale in un contesto ecclesiologico e pedagogico dinamico e propositivo. Le potenzialità per dare effettivo rilievo al significato ecclesiologico della scuola cattolica (e quindi anche ad una corretta impostazione di una cultura vocazionale) ci sono, ma la comunità cristiana nel suo complesso non ne ha ancora ravvisato la possibilità, non solo sul terreno pratico-pastorale, ma anche su quello ecclesiologico nel senso che la vita di fede di una comunità cristiana e le sue fonti cherigmatiche ed educative (liturgia, catechesi, iniziazione cristiana) non hanno ancora incrociato in modo sistematico la dimensione educativa e quella culturale (anche nella forma della scuola) nella prospettiva di una rinnovata evangelizzazione.

 

 

 

Qualche prospettiva

Mi sembra essenziale per lo sviluppo della tematica vocazionale che siano opportunamente conosciute ed evidenziate nell’opinione pubblica ecclesiale e civile le caratteristiche pedagogiche ed ecclesiologiche della scuola cattolica e le tematiche conseguenti.

 

Caratteristiche pedagogiche ed ecclesiologiche della scuola cattolica

La scuola cattolica può ancora disporre di fondamentali valori pedagogici, alcuni attinenti al fatto di essere scuola, altri alla sua specificità cattolica, gli uni e gli altri derivanti dalla sua lunga tradizione educativa. Si parla di valori pedagogici e non unicamente educativi, in quanto ritenuti capaci non solo di determinare una prassi educativa ma di esprimere criteri di giudizio sul reale, e perciò di diventare criteri di cultura critica nella scuola e per la scuola. Più specificamente per la scuola cattolica, tali valori sembrano essere nell’ordine i seguenti.

Valori istituzionali dell’insieme quali:

* la diaconia educativa della scuola cattolica come servizio della promozione integrale di qualsiasi persona;

* l’esperienza globale di salvezza di una comunità di fede;

* i carismi istitutivi dei fondatori, intesi come dono specifico dello Spirito a una determinata epoca storica, e perciò come costitutivi, da allora in poi, della educazione di scuola cattolica in quanto tale;

* la sacramentalità, la vocazione e il ministero legati a determinate scelte delle persone ma inerenti alla esistenza della comunità in quanto tale.

 

Valori educativi specifici collegati alle scelte delle persone e più precisamente:

* i tre voti religiosi con la loro funzione profetica;

* il ministero presbiterale con la sua funzione sacramentale, magisteriale e pastorale;

* il battesimo dei docenti laici, ma anche la coniugalità sacramentale dei genitori con la loro funzione promozionale dei valori umani;

* le scelte di vita delle singole persone (studenti, genitori, insegnanti e dirigenti) e l’esperienzialità dei mondi vitali che si vengono a costituire. Non si può dimenticare ad esempio che esiste la coniugalità in quanto tale e il lavoro manuale delle grandi masse umane, con il loro quoziente di cultura e di fede inespressa.

 

La proposta di scuola cattolica come scuola della società civile avanzata dalla Assemblea Nazionale:

* la recente Assemblea Nazionale ci sollecita a comprendere la scuola cattolica come espressione della società civile per cui i criteri culturali e istituzionali del fare educazione entro la scuola vengono assunti come criteri costitutivi di sviluppo della partecipazione democratica per una migliore qualità della vita per tutti. 

* Se il grido di piazza S. Pietro, Parità = Libertà, non viene limitato a una funzione emotiva, allora esso significa che il mondo della Scuola Cattolica ritiene che la realtà sostanziale, fondante lo specifico educativo della scuola, sia la libertà e la responsabilità educativa di ogni persona come soggetto inalienabile di specifici diritti e doveri in ordine alla creazione, alla elaborazione e alla gestione dell’offerta formativa, a cui le varie realtà istituzionali sono chiamate a prestare un servizio di competenza e di significati secondo il principio di sussidiarietà.

 

Sviluppo delle tematiche attinenti

Delineato il contenuto fondamentale della scuola cattolica, come scuola che si basa sull’apporto specifico di tutti i soggetti che la compongono, ne derivano conseguenze sul versante culturale e su quello ecclesiale ed educativo-relazionale.

Sul versante culturale

Due problemi. Uno di natura epistemologica: come far interagire in un unico progetto culturale, il Piano dell’Offerta Formativa (POF) strettamente coordinato con il PEI anche dal punto di vista curricolare, l’apporto professionale dei docenti e dei dirigenti e quello esperienziale e di significato che proviene dal mondo vitale dei genitori, degli studenti, del contesto ecclesiale e sociale; come far passare il contributo peculiare dei soggetti, in quanto espressione del proprio mondo vitale, da criterio animativo del senso personale della vita a criterio del fare cultura critica nella e per la scuola in generale e per la scuola cattolica in particolare.

L’altro di ordine regolativo-normativo: come strutturare questi valori per rendere i soggetti, in quanto portatori di competenze professionali e di significati vitali, capaci di partecipare alle decisioni educative e di essere presenti negli organismi rappresentativi e di governo del sistema di scuola cattolica.

Sul versante ecclesiale ed educativo-relazionale

Il riconoscimento della scuola cattolica come soggetto ecclesiale nel vissuto dei pastori e delle comunità cristiane richiede innanzitutto che essa, nel rispetto della sua natura di scuola, sia considerata parte integrante della pastorale organica della Chiesa e quindi sia aiutata ad essere testimonianza e segno del dono educativo che la comunità cristiana offre a tutta la società italiana. Occorrerà approfondire e perseguire con concretezza dei percorsi che favoriscano una comune e condivisa progettualità tra scuole cattoliche e Chiese locali in direzione pastorale, di consapevolezza dell’identità ecclesiale delle scuole, di aiuto alle scuole in difficoltà.

La centralità della persona in tutti i processi educativi impone il rilancio di una pastorale organica che ponga in correlazione i vari ambiti di vita e incontri i soggetti dove realmente vivono e operano: scuola, famiglia, lavoro, tempo libero, luoghi di aggregazione, eccetera. In particolare va notato che la maggioranza dei giovani è presente nella scuola e nella scuola incontra altri giovani ed educatori adulti, credenti, che possono aiutarli a mettersi nell’atteggiamento di ricerca sincera della verità e possono offrire la testimonianza di una verità che libera e arricchisce l’esistenza nelle diverse modalità culturali e relazionali proprie della vita scolastica e nel rispetto della coscienza di ciascuno. Gli insegnanti di religione cattolica, ma non loro soltanto, possono trovare qui uno spazio significativo per esprimere la propria particolare professionalità educativa e culturale.

Le persone che lavorano nella scuola non derivano tutta la loro funzione educativa esclusivamente dalla propria scelta professionale, ma il loro servizio viene considerato dalla Chiesa come un “ministero”, radicato in una vocazione e nella comune responsabilità battesimale. È necessario promuovere un’azione formativa adeguata per fare sì che questa consapevolezza maturi innanzi tutto nelle persone che a vario titolo sono impegnate nell’attività assistenziale ed educativa delle scuole cattoliche. Giova infatti ricordare, in sintonia con il Concilio Vaticano II, che la dimensione comunitaria nella scuola cattolica non è una semplice categoria sociologica, ma ha anche un fondamento teologico. La comunità educativa, globalmente presa, è così chiamata a promuovere l’obiettivo di una scuola come luogo di formazione integrale attraverso la relazione interpersonale.

In questo senso, la presenza, accanto ai laici e ai sacerdoti, delle religiose e dei religiosi è da favorire in ogni modo proprio perché in tal modo si può offrire agli alunni un’immagine viva della Chiesa.

 

 

 

Note

[1] CEI, La presenza della scuola cattolica in Italia. Atti del primo Convegno Nazionale, Roma 20-23 novembre 1991, La Scuola, Brescia 1991, pp. 24 e 28.

[2] In altre parole, i tre voti del religioso, la coniugalità dei genitori e il carisma delle istituzioni devono poter diventare criteri produttivi di cultura nella e per la scuola cattolica. Si tratta di fondamentali impegni di natura contenutistica e di forte valenza epistemologica, ma suscettibili di sviluppo anche per quanto riguarda il tema vocazionale.

 

Termina qui la relazione di D. Bruno Stenco. Al suo intervento ha fatto seguito una serie di risonanze e di interrogativi da parte dei membri del Consiglio Nazionale, del Gruppo Redazionale e degli Ospiti invitati per l’occasione. Al termine D. Bruno ha risposto e concluso. Vengono qui di seguito riportati tali interventi, ricavati da registrazione e non rivisti dagli intervenuti

 

 

 

INTERVENTI

 

Un progetto educativo autenticamente cristiano che interpreta la vita come vocazione e responsabilità

Ci sono delle intuizioni importanti. Certamente questi ultimi accenni sono accenni che ci trovano, evidentemente, d’accordo. È proprio il nostro problema quello di studiare una modalità rispettosa ma allo stesso tempo incisiva da parte nostra, perché per noi è impossibile immaginare che esista un progetto educativo autenticamente cristiano, che possa prescindere da quella che è la vocazione alla vita, la vocazione all’amore, la vocazione al servizio, la vocazione al dono; e quindi anche la vita intesa proprio come risposta ad una chiamata, per cui il tema della responsabilità.

Dovremo continuare a lavorare insieme da questo punto di vista, se il Signore ce lo concede, ma intanto noi vogliamo continuare a vedere se da parte nostra, in questi anni, abbiamo realmente guardato questo orizzonte, questo settore con attenzione sufficiente ed adeguata.

Ci sono moltissime persone tra di noi che lavorano nel mondo della scuola, sono insegnanti, ci hanno lavorato, gestiscono, addirittura, scuole, ci sono i Salesiani, …mi piacerebbe tanto che si interagisse per qualche minuto con la presenza di don Bruno, perché forse questo è uno degli aspetti su cui siamo chiamati, in un prossimo futuro, a lavorare molto intensamente.

 

Scuola cattolica: luogo del dialogo fede-cultura, dell’orientamento scolastico e professionale e della presenza di modelli vocazionali

Volevo rilanciare alcune opportunità di valenza vocazionale che possono essere presenti nella scuola cattolica, che sono state tutte e tre accennate, ma mi sembrano importanti. 

La prima: che la scuola cattolica dovrebbe essere il luogo dell’elaborazione del dialogo fede-cultura. E questo, per una cultura vocazionale da promuovere, non è cosa da poco. L’impegno di docenti che attraverso la loro competenza professionale, in dialogo con la fede che li anima, possono fare moltissimo in questo campo, è molto importante.

Poi c’è tutto il discorso dell’orientamento scolastico e professionale, che può diventare una premessa importante anche per il successivo o integrato orientamento vocazionale della vita come vocazione… quindi, scelte anche parziali o a breve respiro possono diventare la premessa anche per elaborare progetti di vita di ampio respiro.

E infine, c’è tutto il discorso dell’esperienza comunitaria della scuola, come presenza di modelli vocazionali che i ragazzi vedono quotidianamente; e direi anche con l’impegno di collegarsi di più con le altre forze e risorse della comunità ecclesiale. Io, per esempio, ricordo un’esperienza interessante che mi aveva colpito quando frequentavo la scuola dei Salesiani. Qualche volta la domenica questi confratelli che mi vedevano in settimana a scuola, venivano a trovarci nell’oratorio dove facevamo animazione nel tempo libero: per scambiare due parole, per conoscere le nostre famiglie. Senza proclamarlo, dicevano di fatto, però, che erano interessati alla nostra vita anche al di là del tempo scolastico. Secondo me dovremmo verificare quali e quante possibilità di sinergia, sia all’interno della comunità ecclesiale e poi sul territorio, possiamo collegare proprio per il vero bene dei ragazzi e dei giovani che si incontrano nella scuola.

 

La peculiare sintesi evangelica delle congregazioni religiose  come patrimonio pedagogico

Una scuola cattolica, quando è legata ad una congregazione religiosa, ha anche una spiritualità peculiare, una sintesi evangelica che dovrebbe mediare attraverso la presenza educativa, le relazioni con gli studenti, con i genitori… Io ho quest’impressione: che adesso si stiano un po’ livellando queste prospettive, c’è poca attenzione a queste peculiari sintesi evangeliche che vengono trasmesse attraverso la missione scolastica. Mi sembra che a volte ci lasciamo un po’ scoraggiare dal fatto che i ragazzi quando escono non ci vogliono vedere… Ricordo che una volta una ex allieva mi ha detto: “Voi dovete permetterci, quando usciamo dalle vostre scuole, di odiarvi, come odiamo i nostri genitori quando siamo adolescenti. Poi ad un certo punto noi torniamo. Perché dopo che siamo stati con voi abbiamo bisogno di starcene un po’ da soli… però questo non significa che non vi vogliamo bene, che non apprezziamo quello che abbiamo ricevuto. È proprio un bisogno, quasi fisico di operare questo distacco”. Allora dobbiamo anche sapere cogliere questo tipo di distacco che loro operano, perché forse è un momento di crescita anche per loro.

Poi forse, come Italia, abbiamo un patrimonio pedagogico elaborato dalle congregazioni religiose, dalle parrocchie, dai centri giovanili, che è un potenziale educativo bellissimo, che potrebbe rischiare di disperdersi per il fatto che si lamentano la mancanza di forze, le scuole che devono chiudere,… secondo me dovremmo approfittare di più di queste potenzialità e di queste risorse; e questo valore “economico” che sono le relazioni, gestirlo anche tra le diverse istituzioni scolastiche, tra le diverse spiritualità educative, in modo che possiamo fare veramente un’esperienza di comunione fra le diverse spiritualità educative che esistono sul territorio, perché l’Italia ha tanto capitale pedagogico, e potrebbe servire come una risorsa. Penso all’Unione Europea: è un problema fortissimo adesso, perché noi siamo col Nord dell’Europa che ha una prospettiva cristiana di tipo non cattolico e che rischia di incidere – perché sono più potenti di noi – sull’esperienza formativa, educativa dei nostri giovani, delle giovani generazioni. Perciò penso che sia uno dei campi che dovremo alimentare di più.

 

Ristabilire un collegamento vitale tra scuola cattolica e Chiesa locale per creare un terreno fertile per l’annuncio e la proposta vocazionale

Percepisco una sorta di difficoltà a pensare un collegamento vitale tra la scuola cattolica e la Chiesa locale, non perché questo non debba esserci, anzi!…, perché veniamo da un’esperienza in cui le scuole cattoliche, quando erano gestite “autonomamente” dai religiosi con una grande possibilità anche di personale, hanno vissuto, forse inconsapevolmente, una sorta di autonomia anche dall’esperienza ecclesiale, per cui questo ha portato, a lungo andare, a non camminare insieme. Percepisco in giro che la sorte della scuola cattolica è faccenda degli istituti, è faccenda dei religiosi, piuttosto che stare a cuore della Chiesa, della Chiesa in genere, della Chiesa in particolare, nonostante tutti i pronunciamenti, tutte le sollecitazioni che ci vengono… Oggi invece c’è una tendenza diversa; oggi le scuole desiderano enormemente questo riferimento, questo aggancio con le comunità, però questo muoversi verso la Chiesa locale, è, secondo me, un poco inficiato da quel desiderio di reperire poi gli alunni per non chiudere, per non avere classi dimezzate, eccetera. Per cui, quando si parla di scuola cattolica all’interno delle nostre diocesi è come se parliamo di “altro”, questa è la prima sensazione, a fior di pelle, che si avverte.

In questo contesto – ecco la domanda, che è al cuore della nostra riflessione – dove l’esperienza scolastica non è poi inserita in un territorio, in un territorio di una Chiesa, in un cammino di Chiesa, come può attecchire, come può trovare nella scuola cattolica un terreno fertile l’annuncio e la proposta vocazionale?

 

L’evangelizzazione: educazione cristiana e visione cristiana dell’educazione, come fisionomia specifica del fare scuola

Mi sembra che permanga sullo sfondo uno scarso chiarimento della distinzione-relazione tra quello che è l’educazione cristiana e quello che è la visione cristiana dell’educazione, che ambedue appartengono al compito della evangelizzazione, che sono connesse, anzi sono talmente inscindibili al punto che la mancata attuazione di spazi educativi in prospettiva cristiana rende vano, vorrei dire risibile, lo scampolo catechistico che pretenderebbe di fare il compito dell’educazione cristiana; e questo è un primo aspetto che mi sembra poco chiarito, e forse poco chiaro anche alle stesse scuole cattoliche che si trovano in una situazione in qualche misura intermedia, anche se di per sé sono esposte sul versante della visione cristiana dell’educazione.

Mi pare che andrebbero sollecitate – e chiedo se qualcosa si fa – … mi domando che cosa si fa per elaborare o rendere eventualmente disponibile, se c’è, il patrimonio di pedagogia della persona che è proprio delle scuole cattoliche, e la visione educativa, e la visione culturale. In tanti anni non si è evidenziata una fisionomia specifica del fare scuola ma piuttosto si è seguito il doppio binario, cioè di aggiungere nei programmi, nelle impostazioni ministeriali, qualche goccia di acqua benedetta… Io credo che questo sia tutto un campo fortemente inevaso, poco riflettuto, che rende abbastanza precaria anche la proposta stessa delle scuole cattoliche ai cattolici più avveduti, che sono quelli che potrebbero raccoglierne anche con qualche sacrificio l’invito, se vi trovassero non solo un ambiente più protetto e garantito, ma effettivamente un ambiente di qualità, e di qualità specifica, dove cioè le persone acquisiscono una precisa competenza e una precisa fisionomia, come personalità e come fisionomia culturale. Io chiedo se si fa qualche cosa in questo campo. – La mia impressione è che non si faccia nulla, detto tra parentesi – . E perché non lo si fa? visto che senza di questo il discorso scuola cattolica è un discorso privo di senso.

 

Amare la scuola, costruirla insieme alla comunità locale e considerarla luogo di proposta seria

Ho insegnato religione in un liceo per quasi 15 anni. Sicuramente amare la scuola, amare i giovani, starci volentieri è fondamentale. Alla fin fine è una grande opportunità per l’educatore, per i docenti, credo anche per l’insegnante di religione è un’ottima opportunità, purché non resti solo, purché anche si riesca a concordare un piano insieme, a livello di diocesi, a livello di parrocchie, perché sicuramente anche la buona volontà, la migliore…se si resta soli, non produce…

Sulla disponibilità dei ragazzi non ho dubbi: di fronte a proposte ampie, veramente di cultura, dove i ragazzi imparano a ragionare con la propria testa, dove si danno degli strumenti, essi ne avvertono il fascino, e questo è un presupposto perché si possa fare davvero anche l’animazione vocazionale. Credo però che in questo nostro tempo potrebbe essere utile mettersi insieme per considerare davvero seriamente la scuola come luogo di proposta seria, di proposta anche vocazionale. Penso che i ragazzi “ci stanno”. Dipende anche da noi.

 

Accessibilità ai meno abbienti e competenza professionale dei docenti neo-assunti

Ho lavorato fino all’anno scorso nella scuola pubblica come insegnante della scuola dell’infanzia. La scuola cattolica, per l’esperienza che ho, minima – lo sottolineo – non raggiunge tutti, raggiunge una certa fascia e molto raramente raggiunge i meno abbienti. Questo è il primo problema che pongo.

L’altro. Molti docenti della scuola cattolica, per l’esperienza che ho, anche se minima, soprattutto della scuola primaria, sono docenti assunti dalla scuola cattolica privata senza ancora molta esperienza, molta competenza professionale. Magari cercano quel lavoro perché hanno bisogno di fare un certo iter di punteggio per arrivare a passare determinati concorsi, per cui le motivazioni con cui si inseriscono nell’ambiente di lavoro non sono le più valide. Vengono organizzati corsi di aggiornamento? Quale attenzione alla formazione di queste persone, che pur con motivazioni le più disparate, si incontrano con i nostri ambienti? Come poter essere anche segno per queste persone di un’attenzione a che recuperino quello che tra virgolette potremmo chiamare “dovere professionale”, senza arrivare a chissà quali valori. Di conseguenza, quando la presenza dei docenti è così – nella maggior parte dei casi – , si può ancora parlare di modelli significativi?, di persone con competenze?… La professoressa Malaspina, quando parla dei sintomi pericolosi su cui intervenire, elenca alcune di queste realtà, che mi sembra importante sottolineare. Non è il caso di fare una forte riflessione anche su questo?, perché la scuola possa essere la scuola di tutti e per aiutare i docenti ad acquisire competenze affinché possano dare al ragazzo quella visione della vita come dono, come vocazione, con cui don Bruno ha esordito nel suo intervento.

 

“Abbiamo aperto le stalle, sono fuggiti i buoi, e ora li stiamo rincorrendo”…alla ricerca di una “occasione profetica”, scongiurando la “ghettizzazione”, formando i formatori

Nei primi anni del mio sacerdozio sono stato in una parrocchia dove c’era una scuola materna molto bella, molto attiva, numerosa… Naturalmente ci sembrava facile poter lavorare perché avevamo del “materiale umano” (scusate l’espressione) abbastanza numeroso e scelto, se vogliamo, e quindi facile per noi questo compito. Un piccolo segnale sul quale ho da dire qualche cosa. Nel frattempo, per circa 18 anni ho insegnato anche religione in un liceo di Altamura. In questo liceo, da una decina d’anni, da quando cioè non insegno più perché sono in Seminario a Molfetta, mi reco per fare gli auguri a Natale e a Pasqua. Quest’anno, con mia sorpresa, sono stato a Pasqua nel giorno in cui solitamente si facevano le celebrazioni pasquali e invece mi hanno detto che i ragazzi erano andati a vedere un film e dopo il cinema sarebbero tornati a casa. Mi hanno detto: “Don Mimmo, è la prima volta che non facciamo una celebrazione pasquale…”. Dico questo perché secondo me è molto sintomatico perché noi abbiamo aperto le stalle, sono fuggiti i buoi, per cui adesso – secondo me – li stiamo un po’ rincorrendo.

Noi abbiamo probabilmente una grande responsabilità; la Chiesa, storicamente, sappiamo, ha avuto un ruolo nel campo culturale, un ruolo di supplenza a quelle istituzioni mancanti dal punto di vista civile, – statale – gli ospedali e le scuole sono state le prime creature di apostolato della Chiesa. Io vedo che oggi noi ci preoccupiamo, ci siamo battuti per la parità scolastica, perché le scuole non statali sono state e continuano, purtroppo, ad essere scuole di élite, scuole per pochi, e certamente non per i più miserabili delle nostre città – bisogna dirlo – e quindi noi pensiamo di riuscire in questo ministero, in questo ufficio, solo perché creiamo delle strutture sempre più efficienti, ci inventiamo ogni corso perché dobbiamo battere la concorrenza statale, mettiamo il corso di musica, di danza, di ballo, di recitazione e quant’altro… magari poi non s’insegna neppure un segno di croce ai nostri ragazzi, ai nostri bambini.

Io, amaramente, constato che, ad esempio, i giovani preti da 0 ai 10 anni di ordinazione saranno l’1% di quelli che insegnano ancora religione nella scuola in genere, e questo è per me un gravissimo danno perché intanto avremo dei giovani preti sempre più pigri, e sempre con i paraocchi, perché vedranno soltanto e sempre quei ragazzi che frequentano il nostro “ufficio parrocchiale” per andare poi in pizzeria la sera… E poi ci manca obiettivamente un’occasione profetica – e monsignor Paglia insisteva su questo ruolo della Chiesa, dicendo che oggi ci sono dei ragazzi sulle piazze perché non c’è nessuno che li ingaggi nella radicalità della vita anche evangelica – .

Io chiedo a lei don Bruno come in sostanza vi ponete voi che state al centro dell’attenzione, anche l’ufficio CEI credo che se lo ponga questo problema. Per la Chiesa un po’ “latitante” da questo “mercato” – chiedo scusa del termine brutto – della cultura, della cultura laica, ma anche della cultura più bella, più serena, più trasparente che possa intendersi… Cosa fa la Chiesa? In secondo luogo, come scongiurare l’esistenza o la sopravvivenza di una scuola cattolica ghettizzata? E infine, come bisogna che si formino i formatori nel campo scolastico, dal momento che anche l’Azione Cattolica, il movimento studenti, la FUCI, il movimento laureati, ecc. mi sembra in gravissimo stallo?

 

La parificazione e l’identità vocazionale

Volevo chiedere una cosa, a partire da una riflessione che ha fatto un medico, serio e molto impegnato cristianamente nella mia Diocesi, una riflessione che lui faceva sulla presenza delle suore negli ospedali. La sua constatazione – ormai lui ha 60 anni, è una persona con una grossa esperienza… – per l’esperienza che lui ha avuto, la rovina della presenza delle religiose negli ospedali è avvenuta quando lo stato ha pagato le religiose, al che sono diventate figure riconosciute a livello civile, come le altre figure, ma hanno perso un segno che le distingueva dalle altre figure, dagli altri operatori. Dopo la riflessione era passata proprio sulle scuole. Una domanda, un dubbio che avevamo, una considerazione era se il seguire la via della ricerca della parificazione, anche per avere un sostegno economico, diventa un aiuto a far parlare la vocazione di chi poi sarà nella scuola, per essere fedele alla propria vocazione. Questo aiuto alla fine non fa perdere un po’ l’identità, un segno vocazionale?

 

 

Interviene e conclude

don Bruno Stenco

 

Dalla parificazione alla parità: la possibilità di elaborare un proprio progetto culturale

La scuola cattolica può essere il luogo di regolazione del dialogo fedecultura. C’è stato un tentativo negli ultimi anni, direi a partire dall’Assemblea del 1999, anche grazie al Centro Studi per la Scuola Cattolica, di proporre delle linee di elaborazione culturale. Siamo facilitati perché parità non significa parificazione, per fortuna, oggi, nel senso che la stessa scuola statale sta andando verso quote sempre maggiori di gestione da parte degli istituti autonomi del proprio progetto culturale… non è che dipendiamo da programmi ministeriali che poi vengono controllati attraverso l’esame di stato… No. Sempre di più abbiamo una quota, che nelle riforme viene prevista, una quota certamente dovrà essere identificata da chi definisce le norme generali dell’istruzione, quindi dello stato, per l’equanimità del lavoro e quindi anche per la garanzia di valutazione complessiva e di confronto tra istituti. E una parte dell’elaborazione culturale sarà affidata in misura sempre maggiore, noi crediamo, alle stesse. Ecco che ora c’è l’opportunità anche per la scuola cattolica, finalmente, di poter elaborare, veramente sia trasversalmente sia verticalmente, delle linee interessanti che possono entusiasmare i ragazzi. Perché non ho mai visto ragazzi che, quando si fanno loro offerte culturali interessanti, dicano che si tirano indietro! Loro sono generosamente protesi… Veramente finora, forse, l’aspetto della scuola cattolica ha avuto un po’ a subire, per cui non è emersa nella sua originalità culturale. Sta di fatto che ha dovuto agire in contesto di parificazione rispetto alle scuole statali, senza possibilità di elaborare un proprio progetto, che in sintesi è Fede – Cultura – Vita. Nell’ambito di un concetto di laicità aperto, e non nell’ambito di un concetto di laicità chiuso. La scuola statale può anche permettersi una laicità chiusa, cioè chiusa in un contesto a-metafisico o non metafisico; probabilmente, una scuola cattolica elabora e tenta di offrire ai ragazzi opportunità di riflessione e di critica, in dimensione trascendente, dove la scienza, sollecitata dal mistero, deve diventare sapienza. Su quel terreno dove effettivamente fede e cultura possono dare luogo ad un’interazione per entrambi interessante, perché e vero che la fede arricchisce la cultura, però la cultura ha sempre stimolato e ha sempre arricchito la stessa fede. Oggi abbiamo una opportunità che non era degli anni scorsi, perché è cambiata la scuola; ormai direi che l’autonomia è proprio il centro di tutta la riforma, ed è stata ormai acquisita, da tutto il sistema della scuola, di istruzione e di formazione, del nostro paese. Le stesse scuole statali sono molto gelose della loro autonomia, sempre di più. Credo che questo significhi parità e non parificazione. Parità significa poter elaborare con pari dignità, ma nella distinzione senza separazione, i propri progetti culturali. Ecco che allora potremo offrire qualche cosa che non è semplicemente, pedissequamente, essere resi omogenei rispetto all’impianto culturale che è definito al di sopra delle nostre teste, al di sopra delle teste dell’istruzione nelle scuole e della stessa comunità ecclesiale che può anche lei allora cominciare ad interagire nelle offerte e nelle proposte interessanti. Questa, quindi è un’opportunità. Naturalmente l’orientamento scolastico professionale ha tutte le possibilità di essere correttamente sviluppato poi nel senso di un discernimento che si colleghi all’io del ragazzo per accompagnarlo verso scelte impegnative del dono di sé.

Sono d’accordo anche sull’esperienza comunitaria della scuola, perché ho sottolineato che ha una valenza teologica, non soltanto sociologica, che i ruoli non sono soltanto i ruoli professionali, sono anche i ruoli ecclesiali o ministeriali, se vogliamo dire così. Più consapevolezza c’è in questo senso, più la comunità interagisce in maniera armonica a questi diversi livelli.

I carismi e le mediazioni degli istituti. Abbiamo questo problema: di congregazioni e istituti religiosi che, avendo avuto un calo, una diminuzione di personale, di vocazioni, non possono più sostituire il personale che invecchia, impegnato nelle scuole, con il nuovo, con nuovi religiosi o religiose. Allora assumono personale laico. Naturalmente è difficile assumere personale che abbia questa sensibilità. Ho detto non casualmente, prima, che uno dei problemi più gravi dal punto di vista relazionale è stato proprio la mancanza di stabilità, cioè quando questo personale entra sottoscrive un patto, un accordo con l’istituto. Occorre del tempo perché venga assimilato anche lo spirito, il carisma, e ci sia un’adesione che non sia soltanto formale o addirittura, qualche volta, c’è anche chi se ne approfitta, perché cerca un lavoro… Qui abbiamo la difficoltà e la preoccupazione maggiore. L’anno scorso abbiamo avuto un’emorragia grave, gravissima. Siamo completamente scoperti. I tentativi di formare quel personale sono stati fatti; dopo 5, 6, 10 anni che hai coltivato questo personale, ti lascia! Allora il problema economico ha una sua valenza, perché non soltanto una famiglia dovrebbe poter scegliere l’educazione, ma anche un docente dovrebbe poter scegliere dove poter insegnare con una certa libertà di poterlo fare. Quindi mi rendo conto che ho parlato di potenzialità: ci sono delle potenzialità che la scuola cattolica può offrire. La realtà indubbiamente presenta dei chiaroscuri che non posso non riconoscere che ci sono.

Anche il fatto che sia non una scuola per tutti, ma soltanto per “alcuni” è dato dall’elemento economico, perché anche dire: “è una scuola di supplenza, non è una scuola del territorio, non è una scuola della comunità”, è chiaro… perché non può sorgere così, non nasce dal territorio perché può essere gestita e offerta soltanto da grandi istituzioni, economicamente forti, che possono ancora reggere il disavanzo che ogni anno si crea. E pensate agli impegni anche di investimenti patrimoniali, per tenere aggiornati gli ambienti… gli impegni per una manutenzione adeguata degli ambienti è enorme.

Chiesa locale e scuola cattolica. Ho tentato di rispondere prima: probabilmente perché a noi sta bene un nostro servizio pastorale evidentemente centrato sui sacramenti e sulla parrocchia, su quello che possa essere il servizio della parrocchia, mentre l’azione istruttiva ed educativa viene fatta dallo stato e viene fatta in un ambiente che tutto sommato abbiamo considerato, stiamo considerando accettabile, non dannoso; perciò, in ragione delle nostre energie, ci limitiamo a fare questa azione, e difficilmente riusciamo ad avere una pastorale centrata sulla parrocchia e una pastorale d’ambiente. Mi chiedo però se catechesi ed iniziazione cristiana non debbano essere raccordate maggiormente con la dimensione educativa che attraversa anche l’annuncio proprio nel suo centro cherigmatico, perché mi devo pur chiedere attraverso quali canali il messaggio possa essere mediato. Probabilmente c’è una riflessione da fare, ma molto in profondità, nei nostri stessi seminari, nella formazione dei sacerdoti. Ho l’impressione poi anche che questo sia un tema riguardo al quale i sacerdoti dicono : “Beh, è dei laici, o di alcuni laici specialisti, di alcune associazioni di professionisti… e quindi è un problema loro”. In realtà, forse questo punto lo stiamo sottovalutando. Devo dire che la CEI, negli Orientamenti Pastorali, Comunicare il vangelo in un mondo che cambia, ha sottolineato un po’ di più sia l’importanza dei laici, sia l’importanza della dimensione educativa e della pastorale dell’ambiente. Sotto c’è uno spessore di riflessione ecclesiale che vede ancora lontano il mondo della pastorale dell’ambiente tra quello della pastorale ordinaria.

Insegnanti di religione: purché non restino soli! Sono perfettamente d’accordo. All’interno delle scuole cattoliche, per quello che ne so, si soffre molto l’assenza del contesto territoriale, per cui la stessa azione di discernimento vocazionale è compromessa da questa mancanza.

 

Formare i formatori senza rimpiangerne la “fuga”

Ho sentito dire che formiamo degli operatori specializzati nell’ambito educativo, poi questi ci lasciano dopo un po’ di anni. Questa è l’esperienza che abbiamo fatto tutti, ma credo che sia importante, almeno personalmente ritengo che sia molto importante che le persone vengano formate, e che vengano poi restituite al territorio. È un discorso di fondi, di possibilità di sussistenza della scuola, però credo che questo discorso di formare persone che poi vengono date anche alla scuola statale, o che se ne vadano in qualsiasi altro ambiente, sia molto importante. Vorrei sottolineare proprio questa cosa, perché soltanto se dentro la scuola ci sono persone, non necessariamente persone consacrate, anche laici – e abbiamo a volte anche esempi molto positivi – che vivono quei valori che i consacrati fino ad oggi hanno portato avanti, anche con una fatica e con un processo formativo non facile, io penso che sia questa la strada, che sia questa la sfida che la scuola di oggi ci pone.

Secondo me il messaggio non solo vocazionale ma anche formativo in generale, passa attraverso i professori, anche delle materie più secondarie, se vogliamo, che possono anche manipolare in positivo o in negativo le coscienze e la formazione. Credo che questo discorso formativo sia estremamente importante. Ma formativo dei formatori! Perché se noi disseminiamo dentro la scuola persone che portano avanti quei valori nei quali noi crediamo e che il cristianesimo ci consegna e ci impegna a disseminare, allora, forse anche questi problemi si risolvono. Non possiamo tornare al passato, alle scuole gestite da religiosi, che avevano un certo tipo e stile e modalità di far passare i valori. Il mondo di oggi ci chiede, probabilmente, una modalità diversa di far entrare questi valori attraverso, secondo me, proprio la strada della formazione, della testimonianza, della valorizzazione di queste risorse che ci sono. Pensavo a esperienze che personalmente ho vissuto. Io faccio parte di un istituto secolare che si occupa di educazione di soggetti con problemi. Abbiamo sempre dato la massima importanza alla formazione degli operatori. Questo ci ha permesso anche di avere attenzione, uno spalancamento sui giovani, e di formarli non solo alla professione, ma soprattutto — è il nostro impegno prioritario — sul piano cristiano e dei valori. Che poi questi restino all’interno delle nostre strutture o se ne escano altrove, non dico che non ci importa… anche noi ci troviamo in questa condizione… però con molta soddisfazione, vediamo come persone formate cristianamente, in un certo modo, portino avanti poi, in strutture anche diversissime e anche pubbliche, uno stile, una modalità di servizio che è auspicabile che possa moltiplicarsi.

Poi mi sembra importante che da questo incontro esca proprio anche un po’ una provocazione in questo senso: che cosa la scuola deve fare, non tanto per gestirsi in proprio, perché siamo in pochi, perché siamo una minoranza; ma per operare un cambiamento e per consentire in un futuro una responsabilizzazione e una mobilitazione anche di quelle risorse positive, che pur ci sono all’intero della scuola. Non è un compito facile, o che si risolva nel giro di poco, però credo che la scuola non possa non guardare in faccia questa realtà e non porsi questo interrogativo.

 

Replica don Bruno

L’offerta formativa ha bisogno di accreditarsi

In effetti, in un territorio, in un contesto comunque ampio, l’offerta formativa di un’istituzione – scuola secondaria superiore, ma anche nella scuola dell’infanzia – ha bisogno di accreditarsi, ha bisogno di anni per garantire una propria qualità, anche una trasparenza dei suoi servizi, e anche un’immagine: anche la Chiesa ha bisogno di garanzie che all’interno delle scuole cattoliche si svolgono effettivamente quelle cose che si dicono, che si facciano e si realizzino bene…

Questo richiede indubbiamente tempo, richiede di avere alle spalle una tradizione. Molte istituzioni non hanno saputo acquisire e maturare una tradizione e quindi non stanno trasmettendo un’immagine; anzi, purtroppo, istituti che avevano un grande spessore, una grande valenza, stanno chiudendo… Certamente sono d’accordo che è anche, alle volte, positivo che persone che fanno esperienze nei nostri ambienti poi vadano a portare questa loro esperienza anche in altri. Mi riferivo più che altro alla capacità di una istituzione educativa di acquisire una tradizione educativa e di essere così nel territorio apprezzata per questo. Ecco che allora diventiamo ancora di più capaci di un servizio pubblico, accreditato, formativo.

Nessuno che ingaggi in un discorso di radicalità. Cosa possiamo fare? Noi siamo indubbiamente in una situazione di ghettizzazione e dobbiamo accettare dall’inizio, da quando avvengono le iscrizioni, a tutto il percorso, determinati compromessi. I ragazzi stessi non sono in un ambiente che fin dall’inizio è effettivamente libero; viene pregiudicata un po’ la purezza dell’offerta formativa.

Credo comunque che ci siano – come ho detto prima – delle possibilità, perché con l’autonomia e la parità, se bene intesa, veramente potremo offrire una proposta formativa che possa dare questo carattere anche di maggiore radicalità, di maggiore possibilità di testimoniare e di dare ai ragazzi prospettive interessanti. Concetti come globalizzazione, educazione alla mondialità, alla interculturalità… noi potremmo connetterli ai discorsi che facevamo prima sulla missionarietà. Nella scuola la missionarietà si chiama educazione alla mondialità. La radicalità della proposta, dell’offerta che possiamo fare, è nella nostra capacità di connettere un discorso culturale che viene fatto a scuola con la possibilità poi di tradurlo anche in scelte di vita, che ci viene dalla comunità ecclesiale e dal suo contesto, che sempre può essere stimolante e critico nei nostri confronti.

Soprattutto, i giovani, poi, sono sempre attratti dalle esperienze più forti, più impegnative. Tanto più queste sono esigenti, alle volte c’è qualcuno che le assume proprio per questo. Il problema economico, secondo me, nel caso nostro non dovrebbe pregiudicare e potrebbe essere invece la possibilità di avere condizioni di esercizio minimali per poterci vivere. Ripeto. Tutto quello che ho detto è una potenzialità. Però siamo in bilico in questo momento. Perché se non si risolve entro breve tempo questo problema, allora i discorsi che ora abbiamo fatto sono quelli di potenzialità svanite.