N.06
Novembre/Dicembre 2002

Dentro una crescente comunione e interazione nel servizio alla pastorale vocazionale

Rivolgo il saluto più cordiale a nome mio personale e dell’USMI Nazionale a S.E. Mons. Benigno Papa, Presidente del CNV, al Direttore Mons. Luca Bonari, ai suoi collaboratori e a tutti i partecipanti che rappresentano le diverse espressioni di vita consacrata in Italia. Il mio saluto oltre che esprimere un grazie per l’opportunità che mi è data di stare con voi, come donna consacrata e come Presidente dell’USMI Nazionale, vuole esprimere soprattutto l’apprezzamento per l’iniziativa di questo Forum.

L’essere qui convenuti per un dibattito e un approfondimento mirato, sulla pastorale vocazionale rende, nello stesso tempo, visibile quel senso ecclesiale e comunionale che ci unisce e ci autoconvoca, perché si tratta delle cose del Regno, delle cose del Padre.

Seguo il cammino del CNV attraverso la rappresentante USMI, suor Antonia Castellucci, e colgo passi concreti verso quella testimonianza ecclesiale che dà colore e sapore ad ogni iniziativa: ossia, quella di una maggior comunione tra noi, di una crescente interazione e sinergia nel servizio pastorale che svolgiamo. Pensando ai contesti locali e conoscendo la vita religiosa femminile italiana, nei suoi slanci e nelle sue lentezze, dobbiamo anche dire che tale comunione e interazione sono segni evangelici per nulla scontati o acquisiti, soprattutto quando mettiamo insieme le diversità personali, la differente formazione, le diverse responsabilità o rappresentatività; si tratta effettivamente di un cammino personale e istituzionale, cioè di un cammino di Chiesa, mai concluso. Un cammino che deve fare i conti con la dimensione storica e sociale della stessa Chiesa, delle nostre istituzioni, e che comunque va mantenuto aperto, come si auspicava a conclusione del primo Forum: La pastorale vocazionale per la vita consacrata oggi in Italia: indicazioni e prospettive.

In quell’occasione si diceva: “la cultura vocazionale”, che è la risposta principale da dare tutti insieme ad una società che progetta un “uomo senza vocazione”, ci trova consenzienti e pronti; permane tuttavia una prassi che ancora continua a presentare chiusure, contrapposizioni, ripiegamenti o rilanci di una pastorale di reclutamento che credevamo ormai estinta.

Il tema di questo secondo Forum: La vita consacrata: una spiritualità di comunione al servizio della pastorale vocazionale invita a percorsi di apertura, di scambio, di maggiore interazione ecclesiale.

L’obiettivo si prefigge di rivitalizzare negli Istituti di vita consacrata la spiritualità di comunione perché sia a fondamento e al servizio della pastorale vocazionale unitaria.

Obiettivo e tematica, come indica il programma, verranno affrontati attraverso una riflessione teologica, un approccio ecclesiale ed operativo, uno scambio concreto tra i partecipanti, nei lavori di gruppo. Mi auguro sia un’ulteriore opportunità per ravvivare ad ogni livello: Chiesa locale, Vita religiosa femminile e maschile, Istituti secolari e nuove espressioni di vita consacrata, l’amore e il gusto di fare Chiesa, ossia di riconoscersi tutti a servizio dell’unico Regno. Da questo amore nasce sinergia, senza questo amore ecclesiale permangono chiusure e resistenze.

La spiritualità di comunione, attraverso le diverse forme di vita e di servizio è il segno più qualificante della vita religiosa femminile, come ci indicava il Papa in Vita Consecrata: “Alle persone consacrate si chiede di essere davvero esperte di comunione e di praticarne la spiritualità, come testimoni e artefici di quel ‘progetto di comunione’ che sta al vertice della storia dell’uomo secondo Dio” (n. 46).

Alla scuola di comunione ci invita con una certa insistenza il Documento della CIVCSVA Ripartire da Cristo: “…far crescere la spiritualità della comunione prima di tutto al proprio interno e poi nella stessa comunità ecclesiale, ed oltre i suoi confini, aprendo o riaprendo costantemente il dialogo della carità soprattutto dove il mondo è lacerato da odio etnico e follie omicide” (n. 28).

Vivere una spiritualità di comunione esige che la vita consacrata rinnovi e purifichi il suo amore per la Chiesa, nel suo mistero di grazia, di salvezza, di ministerialità espressa dai suoi pastori e presbiteri; che continui ad amarla così come essa è. Domanda di impegnarsi a camminare sulle strade del mondo, senza portare due tuniche, senza difendere ad oltranza le proprie strutture o tutelarci contro ogni rischio, entrando con libertà nello spirito dell’esodo, poiché così vivono i discepoli del Signore. Allora la pastorale vocazionale è davvero fatta in nome di un amore e non di un’opera.

Una cosa chiediamo alla nostra Chiesa: di riconoscere nella vita consacrata un dono di Cristo alla sua Chiesa, un dono da apprezzare di più, al di là ed oltre ad alcune forme o modalità esterne non più adeguate; di aiutare la vita religiosa ad essere fedele alla sua identità, senza strumentalizzazione alcuna. A volte, una visione di Chiesa troppo funzionale, porta ad ignorare la presenza della vita religiosa, se questa non prende parte all’attività apostolica o ad una pastorale specifica, e, quasi di conseguenza, spesso i pastori non si sentono in dovere di consultare la vita religiosa, nel progettare la vita della Chiesa nella compagnia degli uomini di oggi (cfr. E. BIANCHI, Non siamo migliori, p. 11). Si rimane a livelli di una generica volontà di buona convivenza e di convergenza, ma siamo ad una diffusa consapevolezza del carisma della vita religiosa, presente nella Chiesa.

Noi consacrati, per primi, avvertiamo l’urgenza di crescere in quella ecclesiologia di comunione che purifica la nostra pastorale da ogni scopo utilitaristico e di sopravvivenza, dove la pastorale vocazionale è a servizio dello Spirito Santo e dei suoi carismi e non prevalentemente delle nostre opere.

Un’ecclesiologia di comunione che ci faccia sentire tutti figli dello stesso Padre chiamati a realizzare la propria vocazione e a promuovere quella di chi ci è prossimo; che favorisca una pastorale “mistagogica”: “O la pastorale vocazionale è mistagogica e dunque parte e riparte dal Mistero di Dio per ricondurre al mistero dell’uomo o non è”; così si esprime il Documento Nuove vocazioni per una nuova Europa al n. 8. La vita religiosa femminile sta cercando questa consapevolezza, che non è ancora coscienza comune, mentre domanda ai suoi pastori quella visione ecclesiale universale che promuova e sostenga sempre la vita consacrata, attraverso un discernimento sapienziale sulla via dei discepoli del Signore.