N.06
Novembre/Dicembre 2002

Il CDV e la spiritualità di comunione a servizio della pastorale vocazionale.

L'esperienza di un religioso, una laica consacrata, una religiosa, una missionaria

 

 

Il CDV e la spiritualità di comunione a servizio della pastorale vocazionale: l’esperienza di un religioso

di Gianpaolo Boffelli, SM

 

Buongiorno e un grazie per la possibilità offertami di questa testimonianza. Sono p. Gianpaolo, un religioso marianista (Società di Maria). Il mio intervento scaturisce dall’esperienza di religioso che da 4 anni fa parte del CDV di Vicenza.

Vi offrirò in prima istanza alcuni elementi positivi di questa esperienza; poi alla luce di quanto vissuto e delle difficoltà incontrate proporrò delle possibili piste sulle quali camminare; come terzo momento condividerò con voi quali sono state le consapevolezze e le ricchezze che si sono fatte largo nella e per la mia persona; e da ultimo vi comunicherò come mi sono sentito valorizzato all’interno del CDV.

 

Elementi positivi

Ritengo la mia esperienza di partecipazione al CDV positiva e ricca. Per quali motivi?

Prima di tutto perché è stata l’esperienza della ricchezza e della varietà di vocazioni. All’interno del nostro CDV di Vicenza sono rappresentate le diverse componenti ecclesiali: sacerdoti diocesani, religiosi/e, membri di istituti secolari, rappresentanti dei seminaristi e dei giovani, coppie e singoli laici. E questa ricchezza e varietà nell’unità ha avuto ed ha sempre una visibilità nelle iniziative promosse. Credo sia anche questo uno dei “segni dei tempi”: la collaborazione gioiosa e la presenza intercongregazionale! È un fatto “vocazionale” anche questo… se crediamo che i fatti spesso parlano più di tante parole!

Una positività e ricchezza – ed è questo il secondo motivo – date dalla diversità e diversificazione della presenza e della missione dei suoi componenti nella Chiesa vicentina… una diversità e diversificazione che quindi si riversa nel CDV come apporto-stimolo per un’azione e una riflessione “vocazionali” che facciano presa sulla realtà… siano aderenti al contesto vitale odierno: è l’esperienza di pastori (parroci e viceparroci), di cristiani e di religiosi/e impegnati/e nel mondo della scuola, dell’educazione, d’animazione, del lavoro e del sociale, della formazione nel seminario diocesano come nei postulantati e nei noviziati. Componenti tra l’altro operanti e provenienti dalle diverse zone (vicariati) della nostra diocesi: di fatto si è creata una buona rete nel e sul territorio! Proprio per questo la riflessione – sensibilità – azione vocazionali maturate all’interno del CDV si sono riversate e si riversano naturalmente nell’azione e nella riflessione pastorali!

Il nostro CDV, sia in quanto persone che come gruppo – ed è un terzo motivo positivo –, ha investito e investe molto sulla qualità relazionale e spirituale del suo essere e stare insieme (per esempio abbiamo un appuntamento mensile di preghiera che si tiene al Carmelo ogni primo mercoledì del mese, anche la prima parte del nostro incontro contempla un breve momento di preghiera e di riflessione) e su una convinzione tacita fondamentale: lavorare per la promozione e la crescita prima di tutto di una cultura della vocazione e… poi di vocazioni specifiche… e questo per il bene della vigna del Signore… e non per la propria piccola vigna. Lo spessore umano-spirituale-religioso personale dei singoli è stato ed è spesso chiamato in causa quando su tematiche e problemi “vocazionali” e non (penso per esempio alle schede proposte in previsione del Convegno nazionale delle vocazioni) si è trattato e si tratta di offrire e condividere con gli altri il proprio sentire, la propria esperienza. Il CDV diventa così “luogo” di confronto e di crescita.

Un quarto elemento positivo è dato dal modo e dallo stile con il quale abbiamo lavorato ed operato e col il quale continuiamo a svolgere questo servizio. Come abbiamo lavorato e lavoriamo, o se preferite con quali attenzioni?

– Lavoriamo su iniziative concrete (= libretto d’Avvento per tutte le famiglie della diocesi; foglio mensile di preghiera e animazione vocazionale; esercizi spirituali di fine d’anno; gruppo vocazionale Sichem; cammino vocazionale; veglia vocazionale in cattedrale; giornata di preghiera mondiale per le vocazioni; iniziative vocazionali estive, …);

– in modo unitario e articolato, con flessibilità e orientando-canalizzando al meglio le diverse energie (= questo significa concretamente che la nostra attività viene svolta sia in équipe sia in sottocommissioni, quando vi sono obiettivi e iniziative particolari… anche se poi quanto progettato diventa oggetto di discussione unitaria e di arricchimento da parte di tutti noi);

– in stretta collaborazione con la pastorale giovanile e cercando di sfruttare gli spazi offertici dai media diocesani (radio locali e settimanale diocesano);

– nel confronto su tematiche specifiche di pastorale vocazionale-giovanile, ma anche avendo l’attenzione di cogliere e di confrontarci con i cammini e i percorsi istituiti dai vari uffici diocesani (famigliare, scuola, pastorale dei ragazzi,…);

– puntando molto sulla formazione (= bienni di formazione e di accompagnamento spirituale per animatori e guide spirituali) e sul discernimento tanto per gli operatori “vocazionali” quanto per i giovani e partecipanti alle nostre iniziative;

– valorizzando le diverse sensibilità (maschile-femminile = per esempio gli esercizi vocazionali di fine d’anno sono proposti alternativamente da una voce maschile e da una voce femminile; diocesana-religiosa; pedagogico-spirituale; …), le competenze e le capacità dei vari componenti;

– dando visibilità alle iniziative proposte durante l’anno e nell’estate dai gruppi vocazionali, dal seminario diocesano, dalle diverse congregazioni e istituti secolari. Il tutto confluisce rispettivamente in un poster estivo e in un “dossier vocazionale”, una sorta di mappa quest’ultimo di tutte le iniziative e le presenze vocazionali-religiose-diocesane presenti ed operanti nella nostra diocesi;

– con un atteggiamento di dialogo-condivisione-confronto-gratuità, ma soprattutto nella stima e fiducia reciproca;

– con la scelta di un itinerario, di un programma annuale concordato insieme e che viene poi affrontato mensilmente secondo una scaletta inviata anzitempo ad ogni partecipante. Di capitale importanza si rivelano a questo riguardo l’opera di coordinamento e il “ministero di sintesi” del direttore del CDV (= a mio e a nostro parere è questa una delle “chiavi di volta” affinché questo organismo non solo sia efficiente ma anche efficace, cioè sia e venga sperimentato davvero come luogo di comunione e della spiritualità di comunione), e i momenti di verifica del programma e delle iniziative realizzate, … verifica alla luce della quale quanto proposto viene rivisto, rivisitato, rinnovato e ricalibrato.

 

Elementi di difficoltà e possibili piste

Vengo al secondo punto. Ad un livello di considerazione e di situazione più generale, e alla luce della mia e della nostra esperienza… e delle difficoltà ad essa inerenti, credo siano individuabili alcune piste sulle quali camminare… proprio perché il CDV diventi sempre più luogo di comunione e della spiritualità di comunione. Crediamo e credo sia importante:

– pensare al CDV non solo come un organo rappresentativo ma possibilmente come “lo spazio – il luogo” in cui far convergere le “voci della vita religiosa e consacrata”, che altrimenti in molti altri uffici diocesani sono purtroppo assenti;

– che il CDV si apra ad una collaborazione fattiva ed efficace con le segreterie USMI, CISM e GIS. Non è facile ma occorre provarci, per camminare insieme. In questa linea il nostro CDV ha avuto un incontro proprio ieri.

– È importante e difficile (talvolta) elaborare obiettivi comuni ma anche dover rispettare le specifiche esperienze (che sono una ricchezza) dei vari istituti religiosi. In questo senso pensiamo e penso sia molto utile e fondamentale cercare di condividere insieme, nella fase di progettazione e di elaborazione, le iniziative tipiche del CDV: per esempio guardando al nostro CDV penso agli esercizi vocazionali di fine d’anno sia come proposta che come équipe di condivisione e di accompagnamento,… oppure penso alla partecipazione al gruppo Sichem anche qui sia nell’équipe che negli accompagnamenti personalizzati;

– infine è molto importante cercare di esplorare in maniera propositiva quello che il CDV non ha dato e potrebbe dare alla vita religiosa e consacrata come opportunità di presenza e insieme come possibilità di essere conosciuta e valorizzata, sia in diocesi che nei vari gruppi di pastorale giovanile e vocazionale.

 

Effetti positivi della mia partecipazione al CDV: ricchezze e consapevolezze che si sono fatte spazio nella e per la mia persona

Eccoci al terzo punto… o meglio alle ricchezze e consapevolezze che grazie alla partecipazione al CDV sono entrate a far parte del mio cuore o lo abitano in modo più consistente.

Sono entrato in una rete di relazioni e di riferimenti vocazionali e “religiosi”. Credo sia importante conoscere personalmente e direttamente le persone e le proposte. Questo – e mi ripeto – significa concretamente crescita, comunicazione, confronto e coinvolgimento in iniziative “vocazionali” e contemporaneamente significa mettersi in cammino e fare cammino con sorelle e fratelli che lavorano per lo stesso Regno.

La partecipazione al CDV mi ha fatto scoprire e sperimentare su un terreno concreto la bellezza di collaborare-lavorare insieme e per altri fratelli e sorelle che appartengono ad altre congregazioni… soprattutto su un’area di capitale importanza come è quella delle vocazioni. Ritengo che l’intercongregazionalità e il rapporto che si crea tra vita consacrata e vita diocesana sia un bel segno e una bella testimonianza vocazionale che in quanto religiosi e consacrati possiamo e siamo chiamati a dare.

È maturata in me la sensibilità e la cura vocazionale. Sono più attento a questa dimensione,… a problematiche-iniziative-dibattiti vocazionali… ma oserei dire che curo di più la mia vocazione o meglio curo di più la dimensione vocazionale della mia scelta di vita. Così come cerco di curare sempre di più la mia formazione in tal senso. Ho preso anche il “gusto” per la tematica e la realtà del discernimento e mi sembra di essere cresciuto in questo.

Così pure è maturata in me (sia a livello teorico che pratico) la consapevolezza dell’importanza e dell’impegno per l’accompagnamento spirituale e vocazionale. Personalmente ho messo l’accompagnamento vocazionale come una delle priorità del mio essere religioso e del mio agire pastorale… e per questo sono disposto a rinunciare per esempio ad una richiesta di incontro o di conferenza che magari mi viene offerta. Fare accompagnamento vocazionale ai giovani comporta rimettersi in gioco e “rifare” un cammino vocazionale su se stessi: c’è sempre da scoprirsi e da rinnovarsi. Credo che oggi come religiosi siamo chiamati ad offrire questo “servizio”… questo ministero: ce n’è un estremo bisogno e c’è richiesta. Purtroppo sia i giovani che gli adulti non trovano punti di riferimento in tal senso. La partecipazione al CDV e alle sue iniziative mi ha dato concretamente la possibilità di vivere in questi quattro anni la bellezza e la fatica della “libertà di spirito” (in materia vocazionale) accompagnando alla vita consacrata due giovani che sono entrati in famiglie religiose diverse dalla mia: ciò mi ha permesso da una parte di attingere alla loro ricchezza umana e di fede, e dall’altra di entrare in contatto con il “tesoro umano, di fede e religioso” delle famiglie scelte.

La stessa partecipazione al CDV mi ha donato la conoscenza di un percorso (il percorso proposto dalla diocesi e quindi anche la sua storia) o di più percorsi vocazionali a cui poter fare riferimento o confrontarmi… anche nell’elaborare una proposta vocazionale personalizzata al giovane che di fatto e concretamente poi incontro sul mio cammino. Inoltre mi ha permesso praticamente di fare esperienza ed acquisire uno stile e un metodo di lavoro vocazionale. Infine mi ha portato ad accettare la “sfida” di predicare per la prima volta degli esercizi spirituali vocazionali a dei giovani… una sfida che poi è continuata.

Un’ultima annotazione: di tutto questo ho reso parte e partecipe la mia comunità che mi ha dato l’opportunità di vivere questo servizio ed esperienza all’interno della Chiesa vicentina: se da una parte la mia comunità ha “affinato” la sua sensibilità vocazionale e si è sentita stimolata a conoscere e a percorrere iniziative e cammini nuovi in tal senso, dall’altra ha potuto esprimere e far presente la sua “ricchezza e patrimonio vocazionali” proprio attraverso la mia persona e la mia presenza al CDV.

Passiamo ora al quarto punto del mio intervento-testimonianza

 

Quale è stato il mio contributo significativo e carismatico al CDV? Come mi sono sentito valorizzato?

Per il mio essere religioso, prima e più che per il mio “fare” di religioso. Sono stato chiamato a fare parte di questo CDV esplicitamente come religioso e come religioso appartenente alla mia congregazione che da anni proprio nella diocesi di Vicenza (e più precisamente a Scaldaferro) ha la cura di una piccola parrocchiasantuario dedicato a Maria Salute degli infermi. Il mio parlare, il mio agire, le mie preoccupazioni, le mie proposizioni scaturiscono dalla mia identità di religioso e dal mio servizio pastorale ad un santuario, che ritengo un osservatorio privilegiato pastoralmente e vocazionalmente parlando oltre che uno spazio sensibile alla proposta vocazionale;… di un religioso il cui obiettivo primario è quello di educare nella fede,… di formare formatori… con una chiara sottolineatura mariana. E questo mio essere religioso è stato ed è rispettato, accolto, valorizzato. In altre parole la mia presenza non è stata funzionale e strumentale: per usare un’espressione forte non mi sono sentito usato… o uno che serviva a tappare i buchi.

Per la mia competenza antropologica-psicologica: in questa direzione è infatti il mio cammino formativo. Infine per l’attenzione e la sensibilità derivanti dal contatto con alcune “vocazioni particolari e speciali”: la vocazione del “dolore e della sofferenza” e la “vocazione” di Maria. Queste vocazioni mi hanno educato e mi hanno “forgiato”… in quanto mi hanno portato e mi hanno posto sul cammino di tante persone che, proprio nell’incontroscontro con la malattia e il dolore fisico-morale-spirituale, e nell’incontro e nella relazione con Maria, hanno riscoperto la gioia della fede, il gusto e l’impegno di ritornare alla propria scelta vocazionale di fondo, la loro vita come vocazione, e la vocazione ad una vita cristiana e spirituale più intensa e profonda.

 

 

 

Il CDV e la spiritualità di comunione a servizio della pastorale vocazionale: l’esperienza di una laica consacrata

di R. C., Istituto Secolare Missionarie del Vangelo

 

Sono R.C. di Acireale, provincia di Catania. Appartengo all’Istituto secolare delle Missionarie del Vangelo. Faccio parte del CDV della diocesi di Acireale quale rappresentante del GIS (Gruppi Istituti Secolari). È dal 1999, da quando cioè il GIS ha ripreso la sua attività, dopo un periodo di stasi, che mi è stato affidato l’incarico di rappresentare ufficialmente gli Istituti secolari in seno al CDV.

Nel 1999 anche il CDV si trovava in fase di rilancio e di programmazione di nuove linee di cammino, a seguito della lettera pastorale del santo Padre Giovanni Paolo II, Novo Millennio Ineunte, nella quale veniva sottolineata l’urgenza di impostare una vasta e capillare pastorale delle vocazioni che raggiungesse le parrocchie…”. Mi proposi allora, di offrire il mio servizio specifico, con cuore aperto, al dialogo costruttivo e alla condivisione dei doni dello Spirito e con la speranza ferma di cogliere ogni occasione per far conoscere e apprezzare la vita consacrata nella varietà dei suoi carismi.

Il CDV acese è attualmente diretto dal rettore del seminario, rev. mons. Sebastiano Raciti ed è costituito da otto membri, ma è aperto a quanti, responsabili di gruppi e movimenti ecclesiali, volessero offrire la loro collaborazione. Tra i membri CDV regna una certa armonia, tutto si svolge in clima di collaborazione, di stima, di rispetto nella diversità dei carismi. Insieme si riflette sui contenuti dei sussidi proposti dal CNV per la giornata mondiale di preghiera per le vocazioni e per i campi estivi giovanili, e di comune accordo si sceglie ciò che si adatta al nostro caso specifico, all’impostazione da dare a ciascuno dei nostri corsi e al luogo in cui dovranno realizzarsi. Ciascuno offre il proprio servizio, con semplicità e naturalezza, ma con pieno senso di mutua responsabilità, portando avanti i compiti da svolgere. Per i corsi estivi ci si rende disponibili ad animare a turno le giornate e ad essere presenti tutti, se non tutti i giorni almeno in alcuni.

Ci si incontra di solito tre-quattro volte l’anno per la programmazione generale delle attività e per l’attuazione immediata di esse. L’obiettivo che si vorrebbe raggiungere è quello di un collegamento con tutte le parrocchie, individuando, sia pure a livello vicariale, un responsabile per la pastorale vocazionale, sì da coinvolgere le realtà in esse esistenti: catechesi – giovani – famiglie. C’è già qualche parrocchia nella quale il Consiglio pastorale parrocchiale ha nominato un responsabile vocazionale. Manca ancora la convinzione che la pastorale vocazionale non è qualcosa di specifico, ma l’anima del cammino pastorale. Ed è questa convinzione che si cerca di trasmettere onde nutrire della proposta vocazionale la vita pastorale delle nostre comunità.

Purtroppo si constata anche tra i gruppi ecclesiali che quando si parla di CDV ci si intende esclusivamente riferire a vocazioni sacerdotali e religiose. Ciò limita lo sviluppo di un cammino di comunione della pastorale vocazionale in tutti gli ambiti parrocchiali. Tra le iniziative che si sono realizzate, accanto alla veglia di Pentecoste e alla giornata mondiale di preghiera per le vocazioni, ce ne sono alcune che sono diventate appuntamenti annuali quasi improrogabili vedi i convegni, i campi estivi e la scuola di preghiera mensile per i giovani, realizzata in collaborazione con l’ufficio di pastorale giovanile della diocesi.

Si può dire che il dialogo con l’ufficio di pastorale giovanile è aperto e alcuni passi si stanno facendo. Resta ancora l’impressione di una certa frammentarietà che si cerca di superare per lavorare insieme, per dare un’anima vocazionale agli itinerari di fede dei giovani. Per quanto riguarda i convegni si organizzano quelli per cresimandi per gruppi di vicariati (1 e 2 vicariato ad Acireale; 3 e 4 vicariato a Giarre; 5 e 6 vicariato a Randazzo) in collaborazione con l’ufficio catechistico diocesano; quello per ministranti a livello diocesano e uno Vocazionale diocesano che si svolge in due momenti: il primo in mattinata per i sacerdoti; il secondo nel pomeriggio rivolto agli operatori di pastorale, a religiosi/e, e a quanti volessero parteciparvi.

In uno dei convegni diocesani è stato affrontato il tema: “Nuove forme di vita consacrata nella Chiesa” comprendente gli istituti secolari e l’ordo virginum, esperienza della verginità consacrata presente nella Chiesa dei primi secoli e che sta per sorgere ora nella nostra diocesi. L’argomento scelto, con lo scopo di sensibilizzare la comunità diocesana su un problema di così vitale importanza per la vita della Chiesa, ha suscitato interesse e desiderio di approfondimento da parte di alcuni. Circa i corsi vocazionali estivi, l’esperienza di offrire ai giovani un itinerario diverso dai tradizionali campi-scuola ricordati il più delle volte per il loro aspetto ricreativo, è risultata positiva. Da un triennio si fa la proposta ai giovani, che ne fanno richiesta, di vivere momenti di spiritualità e di servizio; di trascorrere pomeriggi impegnati nella riflessione e nella preghiera attorno alla Parola di Dio ascoltata, meditata, confrontata individualmente e comunitariamente e mattinate dedicate al servizio. Del resto, ci siamo detti, ogni vocazione non è avulsa dal servizio animato dalla carità.

Nei corsi svoltisi presso l’istituto delle Suore Pallottine di Riposto, il servizio è stato reso a favore dei minori con difficoltà familiari qui ospitati. I giovani hanno condiviso con i bambini mare e campagna, momenti culturali (visite guidate) e ricreativi, pranzi e cene. Mentre i partecipanti al corso tenutosi per la prima volta quest’anno, presso il Centro psico-pedagogico Giovanni XXIII gestito dai padri Camilliani, si sono affiancati, a piccoli gruppi, agli operatori aiutando i pazienti nello svolgimento delle attività manuali o di recupero. In questo contesto una esperienza forte e ricca dal punto di vista umanitario sono stati gli incontri con i malati di AIDS ospiti in un’altra struttura dei Camilliani e vicina al centro psico-pedagogico, con i quali i nostri giovani hanno condiviso alcuni momenti di preghiera e di agape fraterna.

Quest’anno per la prima volta nei due corsi si è offerta ai partecipanti una panoramica della vocazione nei suoi aspetti attraverso la testimonianza diretta di un novello sacerdote, di una suora e di un religioso missionari, di una consacrata secolare, di una giovane coppia di sposi. Quest’esperienza sarà di certo ripetuta negli anni successivi in quanto abbiamo considerato che questi corsi risultano essere i luoghi privilegiati in cui operare per una consapevolezza vocazionale e comunicare, in forme adeguate, i carismi suscitati dallo Spirito nella Chiesa, a servizio dell’universale vocazione alla santità a cui tutti siamo chiamati e per la cui finalità vita consacrata e Centro Nazionale Vocazioni sono costituzionalmente preposti.

Nella verifica finale dei due corsi i giovani hanno evidenziato di essersi arricchiti umanamente e spiritualmente, di aver riflettuto sul vero senso della vita, sulla necessità di mettere i doni ricevuti a servizio dei fratelli, specie dei più bisognosi, di essersi sforzati di dare ciascuno con generosa gratuità il meglio di sé. Hanno espresso il desiderio di continuare insieme il cammino spirituale iniziato. Pertanto per l’anno 2002/2003, sono stati programmati degli incontri con tutti i partecipanti di entrambi i corsi, di cui il primo è stato realizzato il 5 ottobre u.s.

Concludo sottolineando che tra i membri del CVD vige il desiderio e la speranza:

– di crescere sempre più insieme nella capacità di comunione e condivisione dei doni ricevuti;

– di diventare veramente “dimora di Dio per mezzo dello Spirito” come dice s. Paolo in Efesini 2,22b;

– di essere veri testimoni del suo Amore, per aiutare i fratelli a scoprire l’Amore, a crescere nella fede in Cristo Gesù e a servirLo ovunque e nel modo che Lui vuole.

 

 

 

Il CDV e la spiritualità di comunione a servizio della pastorale vocazionale: l’esperienza di una religiosa

di Evelina De Michele, OSC

 

La testimonianza che vorrei porgervi è relativa all’esperienza iniziata in modo ufficiale ed effettivo cinque anni fa al CDV di RC: la presenza a tempo pieno di una consacrata delle Suore Oblate del S. Cuore di Gesù a servizio della pastorale vocazionale diocesana. Il motivo sottostante la scelta della mia congregazione per questo specifico servizio ecclesiale è stato determinato dal carisma: oblazione – riparazione – preghiera per la santificazione dei sacerdoti e per le vocazioni; e dalla nostra presenza nel territorio: siamo infatti a Reggio dal 1989. Il carisma stesso, inoltre, consentiva di rispondere anche ad un’altra esigenza, auspicata dalla PDV, quella di una presenza femminile nel cammino formativo dei candidati al sacerdozio presso il Seminario Arcivescovile, sempre in Reggio Calabria. Unire i due bisogni nella stessa figura di consacrata, poi, è stato agevolato dal fatto che il direttore del CDV è anche il rettore del suddetto Seminario[1] e che il CDV ha sede nello stesso Seminario.

Va sottolineato anche che l’orientamento educativo-pastorale del Seminario è al servizio delle vocazioni. Quale condizione migliore per una stretta collaborazione col CDV! Fatte queste doverose premesse che inquadrano un po’ la mia esperienza, ritengo necessario porgervene la sintesi: in un CDV una religiosa è segno e strumento di comunione, in forza della sua stessa vocazione e nella misura in cui si dispone a dare la propria vita “perdendosi” e “servendo” il progetto di Dio in se stessa e nelle persone concrete che il Signore le pone sulla strada.

Questa sintesi è maturata grazie a un cammino di crescita personale e di consapevolezza della mia identità di Oblata nella Chiesa di oggi: vita spesa e donata per il Regno. L’unica chiarezza interiore che mi ha accompagnato sin dall’inizio, ossia sin da quando ho fatto mio il progetto di Dio manifestatosi nell’obbedienza, era il bisogno di servire la vita dei fratelli che avrei incontrato… servire la loro vocazione, quel disegno di Dio che è una cosa tanto grande e meravigliosa, e di fronte alla quale ci si può mettere solo in atteggiamento di estrema povertà ed umile servizio. E servire, secondo l’insegnamento del Vangelo, significa mettersi all’ultimo posto; perdere tutto di sé per fare spazio all’altro, immagine di Dio (anche quando, ad es., vorremmo proporre la nostra visione delle cose, o rinnovare tutto secondo i nostri principi); significa considerare gli altri superiori a se stessi; ma soprattutto significa “non cercare il proprio interesse”, ma quello dell’altro. E “l’altro” è Dio presente nel fratello che incontro, ma anche nella sua realtà, situazione, mentalità o cultura (comunque diverse dalla mia).

L’inserimento nel CDV di Reggio ha significato per me tutte queste cose. E ogni qual volta mi scontravo con la diversità, quella diveniva per me occasione privilegiata per accoglierla, vedendone il positivo e cogliendone il valore e la ricchezza, invece di cedere alla tentazione di valutarla negativamente con la superba pretesa di volerla cambiare. Tutto questo ha voluto dire, per me, creare comunione, vivere in essa, mantenerla, anche quando ovvie divergenze di idee potevano disgregarla. In questi casi ho sempre detto a me stessa: “Prima di tutto, salva la comunione”, anche quando questo ideale non mi sembrava condiviso da tutti.

Mi sembra opportuno, a questo punto raccontarvi un piccolo episodio che conferma quel che ho detto. Di solito le difficoltà cominciano a sorgere mentre si realizzano le iniziative, quando cioè più concreta dovrebbe essere la testimonianza di comunione. Qualche volta è capitato che essa non abbia funzionato proprio per mancanza di comunicazione, quando, ad es., non tutti sono al corrente di cose che si dovrebbero sapere per il buon andamento dell’iniziativa stessa. Quando uno dei membri del CDV ha colto la mancanza, me l’ha fatta notare, pur avendone io preso già consapevolezza. Fu allora che risposi: “Non importano i principi, adesso; stiamo lavorando per questi giovani. Essi hanno bisogno di vederci uniti”. Certo, queste sono sempre delle piccole morti interiori; ma cos’era più importante? Senza dubbio la testimonianza di serenità che nasce dalla comunione, che in quel caso significava “coprire tutto”. “Vivere la comunione”, infatti, è spesso un “martirio del cuore”, nel senso di “morte”, ma anche di “testimonianza”.

Questa mia esperienza mi ha convinta – e la tematica di questo Forum me lo conferma – che il fondamento di un’autentica ed efficace pastorale vocazionale sta nella comunione: comunione fra gli “addetti ai lavori”; comunione con i parroci (anche qui un esempio: nelle settimane vocazionali parrocchiali si è scelta la linea dell’accordo col parroco, anche se questo – a volte – significa non realizzare l’iniziativa “come si dovrebbe”!); comunione con le direttive dei vescovi e del magistero; comunione con tutti quelli che direttamente o indirettamente collaborano per il medesimo fine: mi riferisco ad esempio ai vari uffici pastorali diocesani. A proposito potrei portare come esempio l’esperienza di collaborazione CDV – ufficio di pastorale giovanile in occasione delle giornate mondiali di preghiera per le vocazioni, da noi anche giornate diocesane dei giovani, dove “comunione” significa spesso “portare i pesi gli uni degli altri” (anche quando non tutti lo fanno), e farlo con gioia, gratuità, senza aspettarsi riconoscenza alcuna.

Il forte senso di comunione e l’atteggiamento di “servizio” sono stati, dunque, per me gli elementi fondamentali per comprendere la realtà ed entrarvi in modo maturo; per costruire unità con e fra i membri del CDV; per creare adesione alle iniziative, col solo desiderio di essere “segno” della sollecitudine materna della Chiesa verso i propri figli che la cultura odierna sta formando, un po’ dispersi, distratti e disorientati.

L’essere proiettata verso l’altro certamente mi ha portato a “rinunciare” a qualcosa di me, a quelle piccole soddisfazioni di cui si nutre il nostro apostolato: per esempio avere un piccolo orticello da coltivare, dal quale è possibile anche cogliere un frutto benedetto. Cosa buona e giusta! Ma per me non è stato così. 

La dimensione “diocesana” del servizio che rendo alla Chiesa locale, infatti, mi ha permesso di conoscere tanta gente, tanti giovani, a organizzare iniziative per loro; ma mi lascia spesso la sensazione di aver seminato tanto e non aver raccolto nulla. Tuttavia, scopro ogni giorno di più che, proprio in questo apparente “fallimento” sta la forza dell’offerta della mia vita per le vocazioni, e quindi la possibilità di arricchire la Chiesa di una nuova espressione del carisma della mia famiglia religiosa: oblazione totale di me stessa per rispondere all’invito accorato del Cuore di Gesù: “Dammi sacerdoti santi”, e parafrasando: “Dammi vocazioni sante per una Chiesa santa”. La mia gioia e la piena realizzazione della mia presenza in diocesi sono i frutti abbondanti che la Chiesa di Reggio ha potuto raccogliere in questi anni: vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata femminile (non nel mio istituto), vocazioni al laicato maturo e responsabile. Certo, umanamente parlando, ci si aspetterebbe di raccogliere qualche frutto anche nel proprio terreno. Ma la pastorale vocazionale non è così – almeno io non la vedo così. Essa è per eccellenza la forma di pastorale più gratuita, perché chi vi è impegnato è chiamato a darsi totalmente senza aspettarsi alcunché in cambio; è – come dicono i documenti – un seminare largamente, a piene mani, sapendo che c’è chi semina, c’è chi miete, c’è chi raccoglie e arricchisce, ricordando che è Dio che dona il seme e che il suo Spirito lo fa crescere. Perciò la nostra vera gioia dovrebbe nascere dal vedere che Dio è glorificato e che la Chiesa si arricchisce di vocazioni sante.

Noi consacrati – particolarmente noi consacrati – in forza dei voti religiosi, abbiamo il dovere di essere testimoni autentici di questo servizio gratuito e fedele alla persona umana (sapendo di non essere indispensabili); testimoni di questa capacità di aprirci agli altri senza rinchiuderci nei nostri piccoli spazi che spesso non hanno un respiro ecclesiale; testimoni di quella forza, che è la comunione, capace di abbattere ogni barriera (anche quella della diversità dei nostri carismi) per far risplendere l’unico Volto, quello del Corpo di Cristo risorto, nel quale tutti siamo rappresentati e nel quale tutti ci rispecchiamo.

 

 

 

Il CDV e la spiritualità di comunione a servizio della pastorale vocazionale: l’esperienza di una missionaria

di Stefania De Vincenzi, Francescana Missionaria di Maria

 

Dal 1992 al 1997 ho operato al CDV di Torino come animatrice vocazionale negli itinerari di pastorale vocazionale per le giovani dai 18 ai 30 anni (un’esperienza tuttora attiva nella diocesi di Torino). La realtà della pastorale vocazionale diocesana per questa fascia di età (18-30 anni) si rivolge sia alla parte maschile che a quella femminile, programmando uno stesso itinerario ma con équipes diverse, distinte in persone, tempi, luoghi. In altre parole la parte maschile è divisa da quella femminile per dare la possibilità ai giovani e alle giovani di esprimersi più liberamente, senza mascheramenti e condizionamenti, per un cammino più agile verso una maturazione umana e spirituale.

Ciò che si prefigge la pastorale è di offrire al giovane la possibilità di orientarsi nella vita e di comprendere la sua chiamata personale. Per questo si offre alla giovane un vero e proprio cammino di fede della durata di un anno, denominato “diaspora”, proprio per significare il cammino dalla dispersione all’unificazione, con forte e intensa integrazione tra fede e vita.

Si parte e si termina con un campo estivo e residenziale (chiamato “campo progetto”) della durata di circa una settimana, dove, al termine si propone alla giovane un cammino successivo di un anno con incontri mensili, residenziali, di due giorni nell’arco di un fine settimana (sabato e domenica) al mese. Quello che, agli occhi e al cuore della giovane stessa, ha sempre aiutato la credibilità di questo cammino, credo sia stato molto il clima di amicizia, di rispetto e di unità che si cercava di creare, si creava e c’era nella équipe di animazione. L’équipe (della diaspora femminile) è formata normalmente da un sacerdote diocesano diretto responsabile e coordinatore, da una coppia di laici, da tre ragazze e da alcune suore (da tre a sei) di differenti carismi e istituti religiosi. È dunque una collaborazione di Chiesa che vuole offrire alla giovane la possibilità di conoscersi umanamente e in Dio e di crescere in queste dimensioni e potersi orientare nella vita.

In genere il percorso pone l’accento sulla chiamata alla vita in se stessa, alla femminilità da un punto di vista umano, psicologico e spirituale (tutto questo anche con l’aiuto di esperti); vengono poi presentate le varie chiamate, i vari orientamenti vocazionali: al matrimonio, alla vita consacrata, ad una vita cristiana laica impegnata, alla consacrazione secolare, alla vita missionaria. L’équipe ha lavorato unita per l’interesse della giovane, il servizio alla persona; formulando insieme il programma, ricercando insieme esperti da chiamare, preparando insieme attività, incontri formativi e ricreativi, nell’impegno di rinunciare a campanilismi, ad appropriazioni di persone, a controllare e superare eventuali rivalità.

Rilevante l’importanza dell’accompagnamento umano-spirituale, fin dall’inizio presentato e sollecitato dal coordinatore come mezzo fondamentale per una crescita armoniosa della persona nella fede. Le giovani erano libere di scegliere la propria guida fra i membri dell’équipe (sacerdote o suore). Il Vangelo e la preghiera ci univa e ci aiutava. Essenziale è stata la presenza del coordinatore che non accentrava, lasciando molta libertà di organizzazione e creatività all’intera équipe, favorendo e vigilando che ognuno esprimesse il proprio ruolo.

La comunione è stata favorita anche dalla buona, giusta, uguale suddivisione degli impegni e dalla regolarità d’incontro dell’équipe per le programmazioni e le verifiche, (disponendosi all’ascolto reciproco, al rispetto e alla concretezza pratica delle decisioni). La comunione è stata facilitata dal desiderio di ogni membro dell’équipe di crescere nella propria maturità umana e spirituale rimettendo continuamente in discussione se stessi per superare eventuali giochi di competizioni umane e favorire libertà e liberazione da gelosie, invidie, agendo e vivendo insieme il più evangelicamente possibile (pur con tutti i nostri limiti). L’impegno a dare al massimo il proprio contributo, lasciando che anche l’altro potesse esprimersi pienamente (la famosa “attenzione allo spazio”) ha favorito la comunione. Questo richiedeva continua vigilanza umana e spirituale, un impegno di generosità e altruismo per lavorare non per se stessi ma per il Signore, sforzandosi di avere uno spirito evangelico per l’interesse della vita del giovane e anche l’attenzione per la persona con la quale si collaborava.

Personalmente è stata una ginnastica, un esercizio di verità e carità che non finiva nell’attività pastorale ma che diventava un impegno di vita (proprio perché fosse verità) nella mia comunità facendomi crescere come persona e consacrata all’interno della mia famiglia religiosa e in ogni mia realtà quotidiana.

 

 

 

Note

[1] Don Santo Marcianò, rettore del Seminario Maggiore Arcivescovile “Pio XI” in Reggio Calabria.