N.06
Novembre/Dicembre 2002

Vita consacrata e intima familiarità con l’Eucaristia

Diverse possono essere le motivazioni che hanno suggerito l’inserimento, in questo Forum sulla vocazione, di un momento di preghiera intensa davanti all’Eucaristia. Personalmente la ritengo parte costitutiva del Forum, importante quanto le riflessioni e gli interventi. Non per la sua oggettiva importanza, ma per il significato che ha in relazione alla vocazione di speciale consacrazione.

Anzitutto, trattando di vocazione non si può dimenticare il comando di Gesù: “Pregate dunque” il Padrone della messe. È una esortazione alla preghiera che viene come conclusione (dunque), di una forte compassione, dal fatto che anche Gesù si è sentito stringere il cuore dalla visione di una grande massa di persone senza guida e aiuto. È la stessa preoccupazione del Papa quando grida: “Non possiamo starcene tranquilli” di fronte alla constatazione che dopo duemila anni la stragrande maggioranza dell’umanità non ha ancora incontrato Cristo e il suo Vangelo, o l’ha dimenticato. È la stessa angoscia che prende noi per la grande sproporzione tra le necessità dell’umanità e le nostre possibilità, tra le molte persone che attendono il pane della Parola e dell’Eucaristia, di avere una guida, e l’enorme scarsità di operai. Tanto più se si tiene conto dell’osservazione di S.Gregorio Magno, per il quale molti sarebbero disposti ad accogliere l’annuncio se fosse loro presentato.

A questa preoccupazione la “ricetta” è: pregate. Perché il dono della vocazione viene da Dio. È lui che sceglie e chiama. La preghiera di questa sera obbedisce fiduciosa al comando del Signore, ma vuole anche essere “memoria” di quello che continuamente deve essere fatto da noi e dalle comunità cristiane. Nello stesso tempo richiama la propria responsabilità, pensando ancora alle parole di s. Gregorio: “Il mondo è pieno di sacerdoti, tuttavia si trova di rado chi lavora nella messe del Signore”.

Questa preghiera, poi, in qualunque modo sia fatta, è strettamente collegata con l’Eucaristia, alla sua celebrazione, e anche alla adorazione, nella quale, secondo la Eucharisticum mysterium, coloro che si intrattengono “presso Cristo Signore, godono della sua intima familiarità e dinanzi a lui aprono il loro cuore per loro stessi e per tutti i loro cari e pregano per la pace e la salvezza del mondo. Offrono tutta la loro vita con Cristo al Padre nello Spirito Santo” (EM 50). L’adorazione eucaristica è: “intima familiarità”; apertura del cuore e intercessione per le necessità di tutto il mondo e dell’umanità; offerta di se stessi. Tutti e tre questi aspetti sono all’origine della chiamata al ministero o alla vita consacrata. Ci soffermiamo soltanto sul primo: intima familiarità.

La familiarità indica una relazione parentale, più ancora filiale. Questa è la peculiarità della preghiera di Gesù. Di assoluta confidenza nel Padre, di totale obbedienza che diventa offerta; di perfetta unità, per cui la sua vita scorre nella ricerca in tutto e sempre della volontà del Padre. Per questo il Padre stesso indica in Gesù il suo “figlio prediletto”, che tale si è manifestato nella incarnazione: “Eccomi, io vengo per fare la tua volontà”. E la volontà del Padre è che tutti siano salvi, tutti giungano alla conoscenza della verità. A questo tende tutta la vita di Gesù e specialmente la sua morte: “Per compiere la tua volontà e acquistarti un popolo santo, stese le braccia sulle croce”. Espressione amata dalla tradizione patristica e liturgica, che richiama il vertice in Cristo dell’azione di Dio, che allarga le braccia per accogliere, perdonare, salvare; e dice l’atteggiamento di Gesù che accoglie in pieno la volontà del Padre, a lui si affida. In questo incontro si ha la riconciliazione e la salvezza. Familiarità dice pure amicizia vera e profonda, che diventa condivisione di sentimenti, di impostazione di vita, condivisione di sorte.

A tutti, ma soprattutto ai più stretti collaboratori Gesù dice: “Non vi chiamo più servi, ma amici”. Egli chiama con “affetto di predilezione” (prefazio crismale), per un “dono ineffabile del suo amore”, a collaborare più direttamente alla sua opera di salvezza. Amore di preferenza a cui si risponde con la corrispondenza di amicizia. Soltanto l’amore per Cristo fa diventare apostoli. Un amore appassionato come quello di Paolo, che vive per Cristo, non parla d’altro se non di lui, non ha altro interesse, altra ricchezza, altro vanto se non la croce del Signore Gesù, non ha altro obiettivo se non di “fare tutto per il Vangelo”, e per il medesimo “farsi tutto a tutti”.

Questa scintilla di amore scatta dal contatto assiduo con l’Eucaristia, che “introduce i partecipanti nella pressante carità di Cristo e li infiamma con essa” (SC 10) e diventa “fonte e culmine di tutta l’evangelizzazione” (PO 5). In essa si entra discepoli per uscire apostoli. “Ogni domenica il Cristo risorto ci ridà come un appuntamento nel Cenacolo, dove la sera del “primo giorno dopo il sabato” (Gv 20,19) si presentò ai suoi per “alitare” su di loro il dono vivificante dello Spirito e iniziarli alla grande avventura dell’evangelizzazione” (NMI 58). Da questa carica di amore scaturiscono le vocazioni di speciale consacrazione e al ministero. Gustata la familiarità con Cristo nella Cena, i discepoli di Emmaus corrono a dire a tutti: “Abbiamo visto il Signore”. Così, in riva al lago, dopo aver mangiato con il Signore, sono mandati a dare testimonianza della sua risurrezione (cfr. Lc 24,36-51). Essi stessi diranno: “Noi siamo testimoni, noi che abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti” (cfr. 1 Gv 1,1-4).

L’adorazione eucaristica si pone sulla stessa lunghezza d’onda. Rende “unicamente intenti a Cristo”, e questo atteggiamento si riflette sulla vita tutta “centrata su Cristo”, presa dai suoi interessi, fino a viverla per lui e per il suo regno. Bisogna mettersi in ginocchio davanti all’Eucaristia e mettere in ginocchio i giovani, specialmente quelli ai quali è fatta la proposta vocazionale. Solo così sperimentano la forza attrattiva e coinvolgente dell’amore per Cristo e per l’umanità. Così si coglie il “muto supplicare di tanti fratelli che chiede luce di verità e calore di amore” (Paolo VI), si aprono “gli occhi alle necessità e sofferenze dei fratelli”, si è spinti a impegnarsi “nel servizio dei poveri e dei sofferenti”, “a costruire insieme con Cristo il regno di Dio”, a “faticare per il Vangelo”, con tutte le energie e fino all’ultimo respiro, come tutti i santi missionari, gli apostoli, gli evangelizzatori.

Sostando in intima familiarità con Cristo nell’Eucaristia, si percepisce che il pane spezzato per sanare le fratture dell’umanità, diventa indigesto, se è accompagnato da indifferenza, egoismo, disinteresse. Non sarebbe più “pane spezzato”, chicco di frumento morto tra i solchi della terra per dare vita, segno di amore che giunge alla pienezza, sino alla fine, e si esprime nel farsi servi dei fratelli, lavando loro i piedi. Così, l’Eucaristia come celebrazione, preghiera, adorazione è sorgente di vocazione. In essa trova piena espressione il comando di Gesù: “Pregate il Padrone della messe, perché mandi operai nella sua messe”.