N.01
Gennaio/Febbraio 2003

Come educare i giovani al servizio e al dono di sé : aspetti pedagogici e metodologici a partire dal mondo giovanile contemporaneo

 

 

Perché educare i giovani al servizio?

Dare avvio ad una relazione cambiando l’orientamento del titolo, potrebbe sembrare un inizio non ottimale. Sì, perché la parola chiave di queste pagine è posta sul “come” educare i giovani al servizio e al dono di sé. Certi che si tenterà di dare delle risposte, apriamo con una domandaprovocazione: “perché” educare i giovani al servizio e al dono di sé? Non sembri blasfemo a nessun lettore, però è opportuno, anche solo per un accenno, andare alla radice di ciò che si fa e si è chiamati a fare. I mille perché fondamentali dell’educazione sembrano essere ovvi a tutti e a ciascuno, ma non sempre risultano essere presenti e vivi. Capire il perché dell’educare i giovani, fa scaturire anche il come. Senza una motivazione chiara di fondo, qualsiasi metodo proposto e messo in atto troverà insuccesso.

Il mondo giovanile contemporaneo (tenendo ben presenti le veloci mutazioni che esso vive), rispetto alle generazioni passate, trova davanti a sé una molteplicità di proposte sul come arrivare ad una meta, su quali strade più o meno lecite arrivarci; dall’altro lato invece una scarsità di motivazioni sul perché arrivarci. Il successo, la popolarità, il bisogno di protagonismo ne sono un esempio evidente. Dall’educatore al catechista, dal sacerdote all’animatore in oratorio, dal genitore all’allenatore sportivo: tutti hanno raccolto i tanti sogni che i giovani si portano dentro e così pure le delusioni e le incertezze. “Farsi vedere, essere notati anche solo per un minuto è importante”; “se non ti fai vedere, chi ti nota?, chi si accorgi che ci sei?”. Le diverse trasmissioni e programmi televisivi per adolescenti e giovani che tengono banco nel palinsesto televisivo, rispondono a questa loro esigenza. L’azione pastorale della Chiesa tutta, e di ogni singolo cristiano, da parte sua deve saper raccogliere questi interrogativi, come stimolo per una conversione ecclesiale, ossigeno rigenerante per il bene di tutti.

 

Sentieri che conducono al “perché”

A partire da ciò, ecco tre accenni che rispondono all’interrogativo iniziale, perché educare i giovani al servizio e al dono di sé.

– Perché senza servizio si muore a se stessi. Questo concetto risponde ad una dimensione del servire che non necessariamente parte dal Vangelo (pensiamo per un attimo ai tanti giovani impegnati nelle associazioni di volontariato laico, espressamente dichiarato). È un bisogno dell’uomo “fare qualcosa per… essere d’aiuto a…”. Il mondo giovanile conosce molto bene il volontariato, il servizio come impegno costante; e sono molteplici le motivazioni, i perché che spingono i giovani a dare del tempo per gli altri. In una clima sociale dove non si respira in modo automatico l’ossigeno del servizio, il giovane per primo comprende che la sua vita non può finire ai propri bisogni ed interessi: necessariamente si deve aprire a… (sul che cosa lo vedremo più avanti).

– Perché senza lo stile del servizio e del dono di sé, il giovane conoscerà una piccola parte del cristianesimo e per di più in modo sterile; conoscerà un Gesù di Nazareth che ha detto tante cose, ha percorso tanti chilometri, ha fatto del bene, ma non scoprirà che cosa ha da dire, a duemila anni di distanza, alla sua vita, giovane degli SMS e multimediale!

– Perché senza dono di sé testimoniato in prima persona, non ci sarà mai chi deciderà di fare lo stesso con la propria vita. Se nell’esperienza di fede riusciamo a vivere la logica del servizio è perché in Gv 13,1-11 è stato testimoniato in prima persona: il gesto che precede la parola.

Nell’educare al servizio non vi è un dire e poi un fare: è una complicità in divenire. Si va a scuola di servizio senza accorgersene, perché dai gesti più quotidiani alle scelte di fondo, la vita è intrisa di gratuità. Il difficile è che non sempre se ne è consapevoli, per cui si vivono tante esperienze senza coglierne il cuore, il midollo spinale, la linfa vitale. Se prima si è tentato di rispondere al perché educare, è giusto ora dare degli input sul come educare i giovani al servizio e dono di sé.

Prima di procedere oltre, precisiamo che servizio non è sinonimo automatico di “dono di sé”. Il servizio lo si compie in un campo preciso e delimitato, mentre il dono di se stessi si apre alla donazione totale con la consacrazione della propria vita a Dio e ai fratelli.

 

 

Sentieri che conducono al “come”

Aperti al mondo

Il parroco che si rivolge all’équipe educatori di adolescenti e giovani: “Ragazzi, vi devo ringraziare perché date splendore e vita all’intera parrocchia, senza di voi non saprei come fare! Il vostro servizio a favore dei più piccoli della comunità è un gesto bello e che dovete sempre custodire. Lavorate sodo e di tutto quello che avete bisogno, chiedete: i soldi ci sono!”.

Come dovrebbe rispondere l’équipe degli educatori al proprio don? Azzardiamo una possibile e intelligente risposta: “Siamo noi, che dobbiamo ringraziare il Signore che ha messo nel nostro cuore il seme del servizio educativo, non solo per la nostra bella parrocchia, ma per la diocesi e la Chiesa tutta. Non ci sentiamo educatori solamente dei nostri ragazzi, ma di tutti quelli che Dio porrà sul nostro cammino, oggi e sempre. Ok, i soldi servono. Ma è la relazione tra noi che dà valore a tutto”.

Da questo dialogo, tutt’altro che inventato per l’occasione, emerge il primo sentiero sul quale non deve crescere mai l’erba: la missionarietà. Tanta sarà la risposta di giovani al servizio gratuito, quanta sarà la dimensione di apertura missionaria che offriamo loro. Il servizio di fondo non conosce confini, spazi, ambiti. Certo che si dovrà definire il proprio ruolo e compito, ma se nel cuore del giovane non si innesta il gene del servizio a tutto campo, al di là del luogo, sarà come far volare un uccello con la catena alla zampa! Proprio quando la globalizzazione è passata da termine a realtà, la Chiesa è chiamata ad investire sempre più nel campo della mondialità. Vi sono giovani che si sono decisi per il servizio all’altro e per una chiamata di vita consacrata, dopo alcune esperienze in missione. Il loro cuore è stato segnato da un mondo che non conoscevano, una realtà che ha parlato a chiare lettere alla loro vita.

 

Il coraggio di rischiare, sul posto

Come riusciranno i giovani a rischiare la propria vita per Gesù di Nazareth, se non fanno esperienza di scelte coraggiose e in contro-tendenza? Il solito anticonformista e rivoluzionario, si dirà! Non proprio. Cito un esempio di una diocesi. Fu realizzato un corso per animatori ed educatori sul senso del servizio; furono chiamati testimoni doc e alla fine fu rilasciato un attestato di partecipazione. Ognuno ritornò ai propri ambiti, con qualche nozione ed emozione in più. Ottima cosa, ma se quel corso non ha una ricaduta sul vissuto quotidiano costringendo i singoli e la comunità tutta a scelte radicali, a poco sarà servito parteciparvi. Un giovane inizia a fare servizio per mille motivi, ma la molla di fondo è perché ha fatto esperienza e conoscenza di persone e realtà fortemente eloquenti. Servi per vocazione: si fa servizio perché è Dio che chiama, che sprona, che incita al servizio in quella determinata realtà. E la dimensione missionaria sopra riportata, non vuole essere una fuga dal quotidiano, ma un essere presenti nel proprio ambiente con cuore aperto, libero da chiusure, capace di rischiare per amore. Partendo dalla famiglia, nei rapporti con i genitori e con i figli, nel gruppo di amici come luogo di crescita, nella scuola come testimoni di gratuità, nella comunità cristiana, come figli di Dio gioiosi e sereni, nel posto di lavoro, come presenza di valore dove tutto ha un prezzo.

 

Nessun incontro è a caso!

La capacità di rischiare nasce nel cuore dei giovani quando si accorgono che la loro vita non sta dando più nulla, comunica insofferenza, segno evidente di qualcosa di più profondo. Si accorgono che non possono andare avanti così, devono reagire a loro stessi e a ciò che li circonda. Iniziano l’avventura non per amore del rischio, ma perché toccati profondamente al cuore della loro vita; “toccati” come sinonimo di chiamati ad uscire fuori da ciò che li rende piatti. Ed allora il rischio non è per la morte (come purtroppo troppe volte accade), ma per la vita.

Se pensiamo alle tante occasioni in cui un giovane si sente toccato particolarmente, non basterebbe un libro intero. Dalle ordinarie alle straordinarie, da un colloquio in treno con una persona alla partecipazione a grandi eventi, tipo la GMG (Giornata Mondiale della Gioventù). Da una frase ricorrente: “Sai don, dopo le due chiacchiere con quella persona sul treno, qualcosa ha iniziato a frullare nella mia testa!”; oppure: “Pensavo che sarebbe rimasta una esperienza come le altre, un gadget in più da riportare; ed invece, dopo la GMG, non sono più quella di prima, è come se avessi un tarlo che lavora dentro me”.

Educare i giovani al servizio e al dono di sé partendo, primariamente, dal loro vissuto ordinario e straordinario, da ciò che ha toccato in modo particolare la vita. Quel loro dire “qualcosa ha iniziato frullare… è come se avessi un tarlo…”, sono perle preziose da saper riconoscere e portare a galla; sono inizi di un cammino che portano alla vita piena. Ecco perché ogni incontro non è mai a caso, frutto del destino (che nel vocabolario del cristiano non esiste!). Ai giovani che vivono delle esperienze forti ed incisive bisogna saper chiedere tanto, perché molto hanno ricevuto.

 

Si educa al servizio se si accompagna

Nel vivere la vita di tutti i giorni, con esperienze feriali ed eccezionali, gioiose e tristi, i giovani avvertono il desiderio di condividere il vissuto con qualcuno a fianco. E quel qualcuno non può essere mai a caso. Come sacerdoti, educatori, catechisti va proposto ai giovani un cammino serio e maturo che metta al centro la loro vita, aiutandoli a leggerla con gli occhi di Dio. Si educano i giovani al servizio e al dono di sé, se ci si educa a fare strada con loro; già il camminare è servizio, è dono di sé all’altro, gratuito e libero. (A tal proposito, va sottolineato a malincuore che proprio le giovani generazioni di sacerdoti, stentano nel servizio dell’accompagnamento e special modo in una presenza tra i giovani. Un dato che costringe a riflettere e a progettare diversamente e sul quale avremo modo di ritornare).

Accompagnare il giovane nel suo cammino, tra umanità e spiritualità, è rendere un servizio alla sua persona. Il donarsi a lui, facendosi carico insieme di limiti e pregi, è un seminare nel terreno della sua esistenza il DNA della donazione di se stessi, sino alla donazione totale a Dio. Un accompagnamento vissuto nella completa gratuità, comprendendo delusioni e amarezze dell’abbandono, significa far proprio lo stile del Cristo, che ha amato i suoi “sino alla fine”. Il mondo giovanile porta in sé segnali di profezia, molto di più di quanto possiamo immaginare; dare voce a questa presenza, significa fidarsi dei giovani, come Cristo continua a fidarsi degli uomini.

 

Cambiamento della mente, rinnovamento del cuore: dai giovani!

I giovani, per definizione, sono per il cambiamento ed il rinnovamento. Non amano fissarsi sulle regole o su ciò che, a dir loro, considerano vecchio. Eppure, i giovani sono lungimiranti, vedono a volte, oltre i limiti e le carenze della società, Chiesa compresa. La Chiesa, nello scorrere del tempo e degli eventi, sarà continuamente tenuta salda dall’azione dello Spirito Santo. I giovani hanno voglia di costruire la propria vita sulla roccia, che è Cristo, reso visibile dall’agire della Chiesa tutta; e proprio dal mondo giovanile arriva il monito e l’invito a mettersi sempre in discussione, a sapersi convertire al presente di Dio. I giovani chiedono alla Chiesa tutta e a coloro che lavorano in essa, di rinnovare il cuore con i battiti che provengono dalla vita dei giovani stessi. Chiesa e giovani, un binomio che per forza di cose, non sarà mai statico, sarà sempre dinamico. Il Vangelo della vocazione farà breccia nella vita dei giovani, nella misura in cui crescerà come erba fresca nel terreno delle persone, delle comunità, di ogni uomo in ricerca della Verità.

La modalità del come educare i giovani al servizio e al dono di sé, prenderà vita se ci lasceremo sempre più interpellare e provocare dai giovani stessi. Proprio perché la “provocazione di Dio” alla Chiesa di oggi, passa anche attraverso loro.