N.01
Gennaio/Febbraio 2003

Come si propone il valore della vocazione al servizio all’interno della pastorale ordinaria perché apra ad una vocazione consacrata

Quando si parla di vocazioni non si sa mai da dove cominciare. Dalla preghiera, diranno con sicurezza i più fiduciosi e contemplativi. Dall’impegno, diranno i moralisti, difensori del senso del dovere e accaniti nella pastorale. Dall’esperienza diretta, diranno i più pragmatici e realisti. E chissà quali altre soluzioni o suggerimenti verrebbero da esperti di pedagogia, di psicologia, di dinamiche di gruppo, dello sviluppo e di maturazione della persona. Che si fa, intanto? Cercare una via di mezzo? Ma saggezza suggerisce di far attenzione, perché le vie di mezzo, si sa, sfiorano… la mediocrità.

A noi, in questa sezione della Rivista, è richiesta un’esperienza…

 

La vocazione è roba da adulti…

Se “guardarsi intorno” è la prima regola per un parroco, “valutare il livello di fede” della comunità dovrebbe essere la seconda. È da lì che muove il cammino di una comunità; da lì in avanti, verso la piena maturità della fede. Più è matura la coscienza battesimale, più si fa spontanea la risposta vocazionale. Abbiamo presente che Gesù è venuto a liberarci dalla legge, dal peccato, dalla morte e… dall’infantilismo? Sia umano che religioso.

Quanti cristiani vivono ancora con l’abitino della Prima Comunione? Una continua infanzia (non proprio spirituale, in verità) che è poco più di una vernice di religiosità sulle proprie azioni o sui propri comportamenti ordinari. Nessun rimando al Vangelo nelle scelte esistenziali di queste persone? Nelle loro reazioni agli eventi? Semplici luoghi comuni e popolari frasi fatte, che vengono citati con l’autorità di una sentenza biblica e poi biblici non sono affatto. Luoghi comuni e sentenze popolari che, ripetuti mille volte, diventano una verità intoccabile nella coscienza collettiva; così vere, da sembrare perfettamente sostituibili al Vangelo del Signore Gesù. Come può maturare la risposta ad una vocazione, se l’infantilismo religioso domina?

 

Caccia ai luoghi comuni…

Ecco dunque affacciarsi, sull’orizzonte della pastorale ordinaria, una prima opportunità: sfatare alcuni detti come: “Offri il dito, ti prendono il braccio”; “Tra dire e fare c’è di mezzo il mare”; “Meglio l’uovo oggi che la gallina domani”; “Ognuno per sé, Dio per tutti”; e via di questo passo… Chi non ha mai usato proverbi di questo tipo nelle sue scelte pastorali, non ha bisogno di continuare a leggere queste righe: può passare alle altre pagine della Rivista.

 

In diretta dalla Chiesa!

È da un po’ di tempo che in parrocchia il dopo-cresima lo viviamo così: niente libri (eccetto la Bibbia), niente compiti, niente quaderni attivi, niente cartellonistica, ma esperienze dirette; nel convincimento che, dopo tutti gli anni di catechismo, spesso di tipo scolastico, dopo il sacramento della Confermazione, i ragazzi vadano aiutati a conoscere la ricchezza della vita ecclesiale: un po’ più in là dei locali parrocchiali, dell’oratorio, della chiesa parrocchiale. È così che ho visto, con i miei occhi, lo smarrimento di una ventina di adolescenti, cresimati di fresco, accompagnati presso la locale Casa di riposo. Impietriti, lì, di fronte a quegli anziani ospiti. Nessuno li aveva informati che fra le loro case esisteva un luogo così, dove la società ammucchia per il fine-corsa chi non produce più, chi non intende più, chi se la fa addosso o sbava. Sapevano soltanto, e chissà se lo sapevano, che “un padre campa cento figli, ma cento figli non mantengono in vita un padre”, altro detto popolare che la gente usa rassegnata di fronte all’attuale disimpegno delle famiglie verso gli anziani e le relative cronache.

Per superare lo shock, siamo andati a visitare una vicina chiesa parrocchiale in costruzione e ne abbiamo studiato e seguito le fasi progettuali, per far scoprire ai ragazzi le esigenze comunitarie e gli obiettivi e i criteri che guidano un parroco e un architetto, nell’ideazione di un impianto pastorale. Qualche settimana dopo siamo tornati alla carica: li abbiamo accompagnati 15 km più in là, per far visita ad un Istituto che accoglie bambini violati. Altro sconcerto! Sentire le suore che raccontavano i drammi di quei bimbi e adolescenti; scoprire quanta cura richieda chi ha subìto violenza di ogni tipo, anche quelle meno ripetibili, li ha lasciati di nuovo senza parole. Bambini iper-affettivi o introversi confermavano le parole delle responsabili. Con timide domande sul da farsi, sulla possibilità di collaborare, cominciava ad apparire che il cuore di questo gruppo di ragazzi batteva veramente e dava segni di partecipazione al dramma di quelle inconsapevoli vittime. Sì, perché da quelle storie alle cronache quotidiane il passo non sembrava lungo e i nostri ragazzi scoprivano che qualcuno deve pur aiutare queste creature a riprendere fiducia nella vita e negli adulti, negli altri. E chi, se non la comunità cristiana per prima?

Un altro intervallo dopo questa visita, ma nel monastero delle Clarisse. Nel centro storico della città, da sei secoli, danno testimonianza di vita totalmente alternativa. La preghiera con le monache, la lectio divina sul “buon samaritano”, il tempo di deserto per ruminare e assimilare, la condivisione, le preghiere spontanee: Signore, fa’ che sentiamo le nostre responsabilità verso i poveri e gli emarginati; Signore, fa’ che le persone anziane, malate, i bimbi violati, non rimangano senza un gesto di affetto, di vicinanza. I propositi: parlerò agli amici delle cose che ho visto; sarò più attento alla solitudine dei miei nonni; in estate chiederò di passare un po’ di tempo accanto agli assistenti della Casa di riposo,…

Non è tutto. In un altro momento della vita del gruppo siamo andati a conoscere una Caritas Parrocchiale. Non ce ne sono tante in giro, nonostante le esortazioni dei Vescovi e della Caritas Italiana, ma qualcuna c’è e… funziona. Spaesati anche qui, i ragazzi, presso la sede Caritas – uno di quei luoghi dove affiorano i frutti di una società individualistica e narcisista, tanto tecnologica quanto tristemente insensibile – luogo dove i nodi delle nuove povertà arrivano al pettine. Non solo extracomunitari bisognosi, ma anche concittadini con bollette da pagare o ragazze “usate” e ora alle prese con un neonato da accudire e, ancora, zingari, anziani soli in cerca di avanzi di cibo o giovani persi in una qualsiasi delle odierne dipendenze.

Sembravano disturbati dalla puzza di sudicio, sembravano ritirarsi negli angoli più distanti nella sala, sembravano impazienti di uscire di là. Sembrava… ma alla fine dell’incontro con il diacono coordinatore hanno domandato: perché in parrocchia non facciamo anche noi qualcosa del genere? Il campo-scuola estivo è stato il colpo di grazia. Una settimana ad Assisi, lo spirito di Francesco, l’amore di Francesco e Chiara per poveri e lebbrosi, le memorie, i luoghi, le meditazioni: un vero assedio per la mente e il cuore.

Poi, in parrocchia, la verifica: i turni dei servizi, il servizio della carità, l’impegno per alcune adozioni a distanza, i temi della solidarietà, lo scambio con gli altri giovani, il desiderio di fare qualcosa e soprattutto di continuare… Non è poi proprio vero che “Lontano dagli occhi, lontano dal cuore”. Non vi pare? E siete ancora dell’idea che: “Chi nasce tondo, non muore quadro”… Quando si dice: i luoghi comuni!…