N.01
Gennaio/Febbraio 2003

Il valore antropologico-culturale del servizio: quale risonanza, nella cultura giovanile odierna, ha, può avere, deve avere?

Il pianeta-giovani è difficilmente interpretabile in modo univoco. Soprattutto in un tempo come il nostro, caratterizzato da mutamenti culturali accelerati e vorticosi. I giovani vivono in una società che si trasforma troppo rapidamente, dentro un ritmo nevrotizzante. Ogni categoria concettuale – anche quella del “disagio giovanile” –, può solo parzialmente aiutare a comprendere questa realtà complessa.

 

Aspetti contraddittori del fenomeno giovanile

Le indagini sociologiche, ma anche le cronache d’ogni giorno, registrano aspetti contraddittori del fenomeno giovanile. Episodi drammatici di comportamenti incomprensibili – si pensi al giovane che uccide la ragazza dopo un suo rifiuto –, creano sgomento e sconcerto in tutti. Da qui la denuncia dell’immaturità emotiva dei giovani, o la sottolineatura del “genocidio dell’intelligenza” di cui sarebbero vittime nella società della sovrainformazione. Quella di oggi è una generazione massacrata dal bombardamento d’informazioni, spesso inutili, senza un criterio di discernimento e di selezione. È allora facile porre l’accento sulla lacunosa maturità mentale e affettiva dei giovani, vulnerabilissimi, mentre mancano adulti che sappiano e vogliano svolgere il ruolo d’educatori. La prima intervista al “Corriere della Sera” (6 Ottobre 2002) del Cardinale Tettamanzi – da arcivescovo di Milano – ha toccato molti temi importanti, ma uno in particolare è stato oggetto di dibattito successivo tra intellettuali, psicologi, giudici: l’appello ai genitori a concedere più tempo ai propri figli per abbattere il maledetto “muro di silenzio” che sempre più separa gli adulti dai giovani.

Il gap generazionale sta diventando abissale, dentro le acute analisi di tipo sociologico e psicologico, incapaci per altro anche solo ad accennare a qualche pista di soluzione. D’altra parte, non sono rari gli episodi o gli eventi nei quali si registra un forte desiderio dei giovani di riscattarsi da certi stereotipi culturali circa il “mondo giovanile incontrollabile e alla deriva”. Nelle indagini statistiche ritorna l’apprezzamento dei cosiddetti “valori” (secondo una precisa gerarchia), nel quale si esprime il bisogno di vivere la vita in un orientamento etico umanizzante: l’amicizia disinteressata, il ruolo della famiglia, l’importanza dello studio e del lavoro, l’urgenza di recuperare l’attenzione alla politica e soprattutto di vivere l’impegno sociale.

Nelle tante forme del volontariato sociale, cattolico e non cattolico, i giovani testimoniano il loro generoso donarsi per gli altri, quale strada praticabile per realizzare se stessi in una fase delicata di crescita e di maturazione. Emerge in particolare la necessità di uscire da rapporti anonimi e massificati per sentirsi comunità o parte di una comunità. È senz’altro questa l’esperienza profondamente educativa delle GMG (Giornate Mondiali della Gioventù), volute da Giovanni Paolo II. In esse, la doverosa ricarica umana si fonde con la cura per la fede, con il sentimento che il cristianesimo non è solo una dottrina da imparare a memoria – materia per la propria erudizione –, ma è piuttosto conversione e orientamento di vita, perché la ricchezza e la qualità dell’umano diventi meta di un cammino consapevolmente affrontato e anche progetto da eseguire. La libertà del giovane viene interpellata dall’invito cristiano a vivere la propria esistenza nel ritmo di un amore che si dona, sempre e comunque, anche fino all’estremo della morte, come in Gesù di Nazareth: la vita come servizio non è opzionale nella proposta educativa cristiana.

 

Esperienza del servizio

Questi aspetti contraddittori – qui soltanto evocati – sono paradossalmente componibili: tra i giovani, gli affetti possono essere profondi, ma spesso non istituiscono legami duraturi. I valori sono apprezzati e vissuti, ma non senza incoerenze e dentro uno scollegamento dei loro nessi che ne indebolisce il loro potere di orientamento morale. Diffusa è l’idea che i giovani di oggi siano fragili, non molto disponibili ad assumersi responsabilità forti e durature. Sono figli del nostro tempo, dove il frammento interessa più che la totalità: mentre aumentano le possibilità di scelta, proporzionalmente diminuisce di molto la capacità di decisione. Il provvisorio alletta più del duraturo, il mutevole più dello stabile. Si preferisce il variabile al costante. La possibilità di impegnarsi nella definitività non è più compresa: il dono di sé “fino alla morte” o “per l’eternità” sembra essere diventato un’esperienza dal sapore archeologico, non più vivibile nella concretezza dell’oggi. Nulla è irreversibile. Sarebbe pazzia.

Senza dimenticare i rischi sociali dell’oggi che costringono i giovani ad una chiusura a riccio: la mancanza di prospettive nel lavoro, la carenza di nuclei familiari solidi, lo sbandamento della politica, stimolano ad un individualismo esagerato che impedisce l’amore alla radice. Spessissimo anche la voglia e la ricerca d’affetto, ritrovabile nel gruppo o in un partner, è più frutto di frustrazione che non desiderio di dono. C’è una profonda crisi d’esperienza giovanile. L’esperienza, infatti, non è semplicemente vivere i fatti della vita, ma è anzitutto lasciarli sedimentare, perché diventino comunicazione, tradizione, e servano alla crescita comune, come modelli e testimonianze per aiutare a vivere, a superare le sofferenze e i dolori dell’esistenza.

In un contesto culturale “debole”, respirato prepotentemente dappertutto, in casa, attraverso la televisione, sui libri di scuola, nei circoli ricreativi, nei dialoghi più impegnati e nelle generiche chiacchierate, l’esperienza del servizio (e l’educazione alla vita come servizio) aiuta a superare il disorientamento della vita conferendo all’esistenza un profondo significato di verità e di giustizia. E questo, semplicemente perché il servizio – manifestando il dono disinteressato di sé agli altri – permette di recuperare la dimensione più profonda dell’uomo in quanto tale, la sua verità d’essere progettato in un’apertura donante, per la quale egli è persona solo se si dona, se si espropria a favore di altri: chi intende compiersi come persona umana si mette a servizio; chi immagina di raggiungere la felicità fa del servizio la strada per la realizzazione dello scopo; chi – soffrendo l’ingiustizia di questo mondo – è animato non astrattamente da sentimenti di pace e di solidarietà, si mette in cammino per servire l’altro nella concretezza di gesti e di attività nelle quali, servendo, aiuta e rende felici gli altri conseguendo così la propria gioia.

Dovrebbero accorgersene tanti giovani impegnati nella contestazione all’attuale processo di globalizzazione. Fuori dagli sterili slogan sulle nuove povertà del mondo e al di là dell’astratta denuncia delle colpe delle ingiustizie perpetrate a svantaggio dei più poveri, esiste una e una sola via di autenticazione dell’impegno: il servizio concreto nelle forme della condivisione solidale.

 

Il progetto-uomo si compie nel servizio

D’altra parte, la gioia, frutto di una vita spesa come servizio, è conseguenza immediata del sentimento di aver corrisposto alla propria verità umana, al desiderio nobile iscritto nei meandri del cuore dell’uomo: non si è fatti per stare da soli e soffrire di solitudine, ma per amare, servendo gli altri. La vita concepita come servizio è vita che si realizza come progetto d’apertura, di relazione, di servizio appunto. Pertanto, la chiusura egoistica dentro il proprio io, l’introversione che isola dal contatto con gli altri, l’apatia e l’indifferenza nei confronti dei problemi della gente e della sofferenza delle persone, alla fin fine sono esperienze che snaturano l’interiore predisposizione dell’uomo a compiersi nel dono di sé, a realizzare il proprio progetto di vita: questo, infatti, richiede partecipazione comunionale con tutti, impegno generoso e apertura d’animo, cura e interesse per chiunque, in modo particolare per quanti vivono “nel rovescio della storia”, vale a dire sono emarginati nella società per qualsiasi motivo. L’avventura dell’amore è esclusivamente l’unica, la sola che possa realizzare l’uomo in quanto progetto e nei suoi diversi progetti.

L’uomo non può vivere senza progetti che l’aiutino a realizzarsi in questo mondo, donando un senso alla propria esistenza. Il motivo è profondo e il cristianesimo lo annuncia chiaramente: l’uomo stesso è un progetto. Creato a “immagine e somiglianza di Dio”, egli è libero, capace cioè di dare alla vita una direzione positiva, interagendo con gli altri e con il proprio ambiente, sulle strade del bene, della pratica della giustizia e della solidarietà. L’uomo è progettato da Dio in modo tale da trovare la sua felicità, la sua gioia e il proprio compimento di vita nell’amore, nel dono, nel servizio quale avventura permanente.

In questa direzione il servizio chiede di uscire dalla cultura del frammento e della provvisorietà e pone il giovane in un atteggiamento serio, di controtendenza culturale: il servizio, quando è impegno della vita, si verifica nella fatica del condividere, nel sacrificio dell’ascolto serio dell’altro, senza pregiudizi, in una dinamica di perdono e in molti altri “valori” – come l’accettazione della diversità –, intuibili e conosciuti, ma non trasmessi oggi dai canali ordinari della comunicazione (famiglia, scuola e mass media). Il servizio sviluppa apertura, trascendenza, autotrascendimento, ed è oggi l’unica vera forza critica nei confronti della dilagante cultura materialistica, dove il giovane è attratto e fagocitato dal consumo, è numero per un mercato infinito che riempie la vita di bisogni indotti e rende tutti sempre più inappagati e più soli.

Il servizio è rottura della condizione infelice della solitudine del giovane. Nell’attuale società, la questione della solitudine del giovane è grande e incide molto sulle sue attese d’amore e sulla propria disponibilità all’amicizia. Lo testimonia la ricerca smaniosa delle discoteche, per chi sa leggere dentro le cose: quanto più si trova “insieme con gli altri”, tanto più il giovane esperimenta solitudine. Segno di un’insoddisfazione che svela l’abisso del suo bisogno d’amore. Esigenza purtroppo inappagata: perciò egli è inquieto, spesso cercando su strade da nulla, su percorsi d’avvilente illusione, una risposta (si noti, solo per inciso, che le statistiche rivelano una fruizione massiccia dei telefoni erotici da parte dei giovani entro i trent’anni).

 

Educazione al servizio e all’amore

Il servizio è allora anche un “progetto e un compito educativo”, per costruire una società solidale e una civiltà all’altezza della dignità dell’uomo. La qualità dell’incontro con l’altro è, infatti, il fondamento di ogni forma di amore (dall’amore della coppia all’amicizia nei gruppi, alla solidarietà sociale). Qui si registra l’acuta crisi individuale e sociale del giovane: l’amore non si può vivere dentro soggetti marcatamente egoistici, dal cuore chiuso alla vera generosità. Il problema vero dell’amore e del servizio è allora quello dell’educazione al servire e ad amare. Qui, dove l’urgenza è più impellente, maggiormente si nota l’assenza. Occorre pertanto creare esperienze, aggregazioni, istituzioni che si propongano di resistere al degrado di uno scadimento del giovane nel superficiale, nella vanità del divertimento a tutti i costi, nella noia e nello spreco di un tempo senza significato. È necessario – sul piano educativo – contrastare il degrado del “giovane ad una dimensione”, quella del suo possibile successo (sport, danza, musica, ecc.), rischiando invece su mete educative che puntino ad “ampliare il cuore”, dilatando gli spazi dell’amore-carità, che è una forma particolare di amore, profondamente umana, quella che spinge l’amore fino al dono della vita per l’altro. Questo amore, che la fede cristiana mostra realizzato in Gesù Cristo, morto per amore, è ultimamente cercato dal giovane, perché ha come condizione l’affidamento reciproco che sa riconfermare la fiducia anche quando l’altro sbaglia. Nell’amore, infatti, ognuno ha il diritto al perdono. Non c’è amore senza “dono per… l’altro”, cioè senza “per-dono”.

A causa della condizione umana, segnata dalle conseguenze del peccato, il cammino della realizzazione di sé è un’impresa difficilissima. L’uomo non è però solo in questa avventura, abbandonato a se stesso e a un destino di fallimento. Per il cristianesimo, lo Spirito Santo è stato mandato agli uomini come aiuto e sostegno, perché oltre ogni ostacolo essi possano raggiungere lo scopo della loro vita: muovendoli dall’interno, nella forza della grazia, infatti, essi imparano ad amare Dio con tutta la mente e con tutte le forze (cfr. Mc 12,30) e ad amarsi vicendevolmente come Cristo ha amato loro (cfr. Gv 13,34; 15,12), diventando capaci di generosità e di sacrificio fino all’eroismo.

La santità – che è “la meta alta” proposta a tutti dall’esperienza religiosa cristiana dalla Lettera apostolica di Giovanni Paolo II, Novo Millennio Ineunte – è un invito a vivere da veri uomini e da vere donne su questa terra, realizzando la propria umanità, alla sequela di Gesù, il quale ha mostrato la verità dell’uomo in pienezza. Giustamente la Gaudium et spes al n. 22 afferma: Cristo “svela pienamente l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione”. Il giovane è chiamato a coltivare la propria umanità. “Essere uomo” non è un dato di fatto acquisito una volta per tutte, ma è sempre un compito, una ricerca incessante. Non è un caso che molte ideologie, diversi sistemi filosofici e differenti forme di vita, sono state presentate agli uomini come umanesimi, cioè possibili strade per diventare uomini. Il cristianesimo insegna che la sequela di Gesù – sulla via del dono totale e definitivo di sé per amore degli altri – è esperienza che umanizza, consente l’attuazione dell’uomo nella sua verità. I santi ne sono un’evidente attestazione, lungo tutta l’arco della storia umana. Testimoni di quanto l’apertura a Dio riempia l’uomo di “vita nuova”, essi non sono stati dei superuomini o degli angeli, ma semplicemente uomini veri, portando a maturazione la loro vocazione, fino al punto da far esplodere l’essenziale della loro umanità attraverso l’offerta della propria vita nel servizio a tutti gli uomini, sentiti fratelli.

L’appello cristiano al servizio è allora una proposta di antropologia compiuta che il giovane non dovrebbe disattendere: vivere spiritualmente in questo mondo, disponendosi a lottare contro ogni forma di discriminazione e di oppressione, per la giustizia e la pace. Vivere spiritualmente, ha il significato di “vivere secondo lo Spirito” e perciò di non adagiarsi sugli aspetti superficiali della realtà, sui momenti comodi del divertimento e del piacere fine a se stesso o sulle logiche dell’accaparramento e del possesso. Il linguaggio dello Spirito utilizza altre parole per intessere il proprio discorso: solidarietà, amicizia, abnegazione, vicinanza nella sofferenza, disponibilità al perdono, ricerca della comunione e della cooperazione a tutti i costi. Si tratta di una vita spirituale profonda ed esigente che richiede uno stile capace di conferire unità al modo di pensare e di agire, di guardare agli altri: coinvolge pertanto tutto l’uomo, non soltanto il suo cuore e i suoi affetti, ma anche la sua intelligenza, la sua creatività e libertà; non solo l’interiorità della vita, ma anche i suoi aspetti sociali, culturali e politici.