N.01
Gennaio/Febbraio 2003

Orientamenti operativi che emergono dal Messaggio del S. Padre per la 40a GMPV

È ormai da molti anni che il Messaggio del S. Padre per la GMPV non contiene solo un invito “vocazionale” nel senso esplicito (e riduttivo) del termine, ma propone anzitutto una certa immagine d’uomo, che dice quel che egli è e lascia poi intravedere quel che è chiamato a essere. Vocazione, infatti, è appello rivolto a tutti a vivere la propria umanità, perché esprima quella traccia di divinità che reca in sé; solo all’interno di quest’appello universale risuonano convincenti altri appelli più specifici. Per questo è un peccato che di solito tali messaggi abbiano una circolazione molto ristretta e non diventino nutrimento della fede di tutti i credenti. Far giungere questo messaggio alle nostre comunità di fedeli, che ne sono poi il destinatario naturale, potrebbe esser la prima indicazione operativa. Se poi il tema del messaggio è tema classico e centrale nell’identità cristiana come quello del servizio, allora ancor più urgente sarà un certo coinvolgimento della comunità credente.

 

Catechesi e spiritualità del servizio

Non solo nella cultura attuale, come dice il testo papale, ma anche dentro di noi permane ancora un’accezione negativa del “servo”, come colui che è inferiore e non conta niente, o un’interpretazione eroica, come se fare il servo fosse cosa straordinaria e supermeritoria, o una concezione innaturale quasi che esser servo fosse umiliante violenza alla propria natura. No, servo è colui che sa d’aver ricevuto tutto quel che ha ed è, e ne gode come il Figlio che benedice il Padre; è chi riconosce di non esser padrone della vita e di quanto è stato messo tra le sue mani, e trova dunque del tutto naturale servire ed esser a disposizione degli altri, come Maria, la serva del Signore che corre ad aiutare Elisabetta. L’essere umano, insomma, è servo per natura, non può accontentarsi di fare il servo, poiché è servo. Ed è servo perché figlio.

È fondamentale, dunque, una catechesi del servizio come espressione semplice e discreta, inevitabile e umile dell’identità umana e credente. Catechesi che culmina con la spiritualità del servizio: con la scoperta ed esperienza che il gesto che serve l’altro raggiunge misteriosamente l’Eterno, è gesto che egli ritiene fatto a sé (cfr. Mt 25), o è atto che imita il Figlio-Servo, colui che venne non per esser servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto di molti, a gloria del Padre. Per questo un’autentica spiritualità del servizio diventa anche cammino propedeutico alla fede e all’opzione vocazionale, poiché fa scoprire il senso autentico della vita, come dono ricevuto che tende, per natura sua, a divenire bene donato. Vocazione è il nesso o il passaggio dal dono ricevuto al bene donato. In quel passaggio il padrone della propria vita diventa servo.

 

Prassi evangelica del servizio

Nella Chiesa di Dio si parla moltissimo di servizio e probabilmente vi sono tante persone disposte e desiderose di fare servizi vari, oggi, ma meno disposti a entrare concretamente nella logica del “servo inutile”. Per questo vi sono molti servi, ma pochi servi inutili; molti sono gli operatori e funzionari della carità, tanto solerti quanto sottilmente attratti dalla mania di protagonismo e pateticamente convinti d’esser “servi utili”, pochi invece i servi-doc, contenti di occupare quel posto – l’ultimo – come il loro posto, lavando i piedi agli altri. Non basta, allora, chiedere gesti di servizio in parrocchia, se poi sono esibiti come un vanto o addirittura intesi quali aree di potere e competizione, ma occorre formare a un’autentica prassi del servizio evangelico. Nella quale lavare i piedi al povero è un privilegio, perché dà accesso al mistero dell’altro (chi si lascia lavare i piedi è nudo e disarmato) e pure al mistero dell’io, poiché fa scoprire fino a che punto si è capaci d’amare. E tutto sempre a immagine del Figlio, così radicalmente servo da esser costituito Signore dal Padre suo (cfr. Fil 2,6-11). Il vero servo è un… signore, è colui che scopre la nobiltà d’esser servo, che non si sente umiliato a piegarsi di fronte all’altro, né vive come un furto la sottrazione del suo tempo per chi ha bisogno, poiché gode ancor prima d’esser figlio e dunque sente come cosa la più naturale il suo servizio. È un lusso per lui servire, è la sua gloria, il nome nuovo ricevuto dal Padre.

Per questo occorre proporre il servizio non come la via di pochi generosi, ma come il modo normale e unico d’esser credenti, figli e servi.

 

La diakonia, itinerario vocazionale

Il servizio, così inteso, è mezzo e anche fine, è vocazione che tutti siamo chiamati a vivere e al tempo stesso infallibile cammino vocazionale. Colui che serve non potrà non scoprire il piano di Dio su di lui, e troverà che in tale divino piano egli è senz’altro chiamato a servire; mentre – al contrario – una vocazione nata al di fuori d’una esperienza o della logica del servizio è di dubbia natura, sia per la sua origine che per il suo obiettivo. Per questo è importante, come specifica il Documento del Congresso vocazionale europeo, che il servizio sia proposto e condotto in stretta sintonia con gli altri classici itinerari vocazionali: la liturgia e l’orazione, personale e comunitaria, la comunione ecclesiale, la testimonianza-annuncio del Vangelo (cfr. NVNE 27). Sarebbe pericolosamente riduttivo e alla fine improduttivo proporre un servizio caritativo senza questi indispensabili collegamenti; ne verrebbero fuori solo grottesche caricature d’una identità chiamata a modellarsi sull’immagine drammatica del Figlio-Servo-Signore.

 

La diakonia, itinerario pasquale

Nel testo papale, infatti, si stabilisce un suggestivo collegamento tra Servo e Agnello, tra servizio e redenzione. Se la salvezza è il ministero per eccellenza, l’Agnello è la perfetta immagine del servo, come colui che si carica sulle spalle un peccato non suo, si lascia per esso colpire senza reagire, fino a offrire la sua stessa vita. Ogni chiamata, in quanto vocazione al servizio, è sempre, misteriosamente, vocazione a prender parte in modo molto personale, inevitabilmente costoso e sofferto, al ministero della salvezza. Ciò deve essere molto chiaro a ogni tappa del cammino di crescita cristiano. Perché ciò che conta non è la funzionalità del servizio in risposta a una necessità immediata, ma la crescita di tutti, e la comunità cresce come comunità di salvati nella misura in cui si provoca ciascuno a farsi carico della salvezza, “ministro” d’essa nei vari ministeri di carità, lungo un via che conduce alla pasqua e all’identificazione con il Figlio-Servo-Agnello che porta su di sé il peccato altrui e lo toglie… Catechesi e spiritualità del servizio mirano a questo; o il servizio è pasquale o non è diakonia cristiana, e solo se pasquale, diviene anche vocazionale. E servizio pasquale vuol dire non semplice filantropismo di maniera, vaga e scontata benevolenza che rassicura la coscienza ed è gestita accuratamente secondo i propri gusti e indirizzata secondo le proprie preferenze, né dono di sé parziale e ad tempus, come un darsi in prestito o in piccole quote (di sé o del portafoglio) o come certe forme di volontariato missionario così simili ad avventure esotiche… Intendiamoci, tutto può andar bene come primo passo, purché a un certo punto la dimensione puramente umana soggettiva venga scavalcata in direzione trascendente, e servire divenga sempre più farsi carico dell’altro e del suo limite, esser disposti a pagare un certo prezzo e a continuare anche quando non v’è alcuna gratificazione o c’è persino ingratitudine, identificarsi fin nel profondo dell’io con l’identità del servo che si dona tutto… Allora nel piccolo e nascosto gesto di servizio si celebra la pasqua di salvezza!

 

Il servizio dell’animazione vocazionale

Infine le parole del Papa hanno un inevitabile significato per quella forma particolare di servizio nella Chiesa che è l’animazione vocazionale. L’orientamento operativo potrebbe essere proprio questo: riscoprire l’animazione vocazionale esattamente come servizio ecclesiale, servizio reso alla persona, al credente, alla Chiesa, e non a piccoli interessi mercantili. È forse il caso di chiederci, ora che l’animazione vocazionale è entrata in Italia nella fase adulta e dopo anni di riflessione ed esperienze, se davvero possiamo dire d’aver recepito il dato essenzialmente caratterizzante la stessa animazione vocazionale, così espresso dal Documento del Congresso europeo: se un tempo si faceva AV solo di alcune persone, in vista di alcune vocazioni e da parte di alcuni volonterosi e in funzione dell’istituzione, “ora deve essere sempre più chiaro che lo scopo è il servizio da dare alla persona, perché sappia discernere il progetto di Dio sulla sua vita per l’edificazione della Chiesa” (NVNE 13c), servizio aperto a tutte le vocazioni e reso, idealmente, da ogni credente. Anche se, specifichiamo ora, solo chi è servo ed è convinto e contento d’esser tale può chiamare al servizio nella Chiesa. Anzi, questo è il servo buono e fedele, quello che frutta il talento della sua vocazione, non lo nasconde sotterra, perché ne nascano altre.

Forse oggi questo è particolarmente servizio umile e “inutile”, costoso e spesso all’apparenza improduttivo, ma noi sappiamo e crediamo che in esso e attraverso esso la Chiesa, piccolo gregge, continua a vivere e si compie il ministero della salvezza!