N.02
Marzo/Aprile 2003

La centralità di Cristo in ogni dimensione della pastorale: sorgente e vincolo di unità

 

 

 

(Il testo è ricavato da registrazione e non è stato rivisto dall’Autore)

 

Come ogni anno, sono molto contento di celebrare con voi questa Messa che è parte del vostro Convegno, del Convegno annuale del Centro Nazionale Vocazioni. E porto, come sempre, il saluto affettuoso e riconoscente dei Vescovi italiani, nella consapevolezza che ci accomuna che il tema delle vocazioni è cruciale per il presente e il futuro della Chiesa e per il presente e il futuro della trasmissione della fede e della trasmissione degli stili cristiani di vita. Lo sappiamo tutti. E sappiamo anche che l’opera principale, l’opera decisiva è quella che può compiere solo il Signore. Perciò siamo qui riuniti in preghiera e perciò costantemente nel corso dell’anno cerchiamo di fecondare con la preghiera tutto il nostro impegno.

Il tema che avete scelto quest’anno è molto concreto e prende spunto da quello che è stato scritto negli Orientamenti pastorali per il primo decennio degli anni 2000. Io vorrei dire poche cose, che però mi sembrano sostanziali.

La prima è una questione, per così dire, di metodo, o forse meglio, di atteggiamento spirituale, e quindi anche di atteggiamento pastorale. Io vorrei collegarla a quello che abbiamo ascoltato nel vangelo. È il vangelo del Battista, del Battista che sa di essere soltanto annunciatore di Colui che solo ci può portare veramente la salvezza. In questo senso il “battista” deve vivere sempre nella Chiesa, deve vivere in ciascuno di noi. È molto importante che dentro ogni credente, e in particolare dentro ogni operatore pastorale vi sia questa precisa consapevolezza che suo compito è indicare Cristo; suo compito è aiutare a incontrare Cristo, non sostituirsi, sia pure in maniera inconsapevole, in maniera ingenua, al Signore e porre se stesso al centro della sua vita.

Ebbene, questo credo che, anche dal punto di vista pratico, è sempre un problema grande della nostra pastorale. Se molte volte i progetti di coordinamento, di sinergia, di lavoro comune, sia a livello territoriale, nell’ambito della stessa parrocchia o di parrocchie vicine, sia tra le diverse componenti della comunità ecclesiale, si rivelano difficili è perché, per lo più inconsciamente, siamo spesso attaccati a noi stessi e quindi facciamo fatica a convergere in un’opera comune. Riteniamo importante quell’aspetto che cogliamo perché in quell’aspetto possiamo ritrovare in qualche modo noi stessi. Ci affatichiamo ad allargarci a un respiro più ampio. Credo che, anche per quanto riguarda il rapporto fra la pastorale specificamente vocazionale e la pastorale giovanile e d’altra parte la pastorale familiare, questo possa essere concretamente di grande importanza. È un atteggiamento interiore che va sviluppato, un atteggiamento in virtù del quale ci rallegriamo dei risultati positivi che i nostri fratelli, le nostre sorelle, possono conseguire, come dei risultati positivi che possiamo conseguire noi, in una ottica di fraternità e di autenticità cristiana, nella quale sappiamo che lavoriamo tutti per un’unica missione, pur avendo compiti differenziati. Questo certamente, dovrebbe essere particolarmente facile, e particolarmente vero, per il rapporto con la pastorale vocazionale da una parte e la pastorale giovanile e la pastorale familiare dall’altra. Ma penso, è sempre importante, è sempre una sfida, in qualche modo, che sta davanti a voi perché ognuno di voi ha sempre a che fare con se stesso, con i suoi limiti, con la sua innata tendenza a ripiegarsi su di sé e a non aprirsi alla chiamata, alla missione che il Signore gli rivolge e gli affida.

Poi c’è il secondo aspetto, che riguarda piuttosto i contenuti e che vorrei ricavare dalla lettura che abbiamo ascoltato con la prima lettera di Giovanni. In questa lettura Giovanni, come spesso fa, pone un fortissimo accento anzitutto sulla unità di Cristo: il Verbo di Dio, il Messia è Gesù venuto nella carne. Bisogna credere questo, bisogna vivere di questo. E poi pone accento sulla unità fra il Padre e il Figlio, e finalmente, sulla nostra unità con il Padre e il Figlio, che egli esprime con quel verbo “rimanere”. Rimanere nel Figlio e così rimanere nel Padre. In altri testi dice anche la cosa reciproca, cioè, il Padre e il Figlio rimangono in noi. E poi ancora, parla di vera unzione, che è l’unzione dello Spirito Santo, e anche di questa unzione dice che rimane in noi. E finalmente, Giovanni conclude questa sua riflessione dicendo che così possiamo avere piena fiducia, in quanto rimaniamo profondamente e intimamente uniti a Cristo e, attraverso Cristo, al Padre. Ecco, penso, anche la nostra pastorale, i diversi aspetti, le diverse dimensioni della nostra pastorale trovano la loro piena unità quando c’è questa centralità di Cristo, e non soltanto di Cristo in se stesso, ma di Cristo per noi. Il nostro rimanere in Cristo.

In concreto, se la pastorale giovanile – partiamo da questa – non si accontenta di tenere in qualche modo vicini a noi i ragazzi e le ragazze – compito certo positivo, ma non sufficiente –, non si accontenta di tenerli vicini, ma cerca di trasmettere loro, questo “infondere” in loro e far crescere in loro questo rapporto profondo con Cristo, questa fede nel Figlio di Dio fatto uomo per noi, questa percezione della grandezza del mistero di Cristo, della sua sconvolgente grandezza ed umiltà e di questa sconvolgente vicinanza di Dio – del Dio infinito e grande, onnipotente – a noi in Cristo… se la nostra pastorale giovanile fa questo, allora diventa, in maniera molto naturale e spontanea, pastorale vocazionale, perché chi è aiutato a incontrare veramente Cristo non può non aprirsi alla chiamata di Cristo, quale che essa sia, e non può non porre la sua fiducia in lui, non può non comprendere che deve rispondere alla grandezza del dono ricevuto con la disponibilità del dono di sé.

Un discorso analogo penso possa valere per la pastorale familiare. Certamente, la pastorale familiare ha a che fare con la fondamentale realtà umana, realtà che appartiene al nostro essere, alla nostra natura, la struttura forse più profonda di tutta la vita personale e sociale, che è la famiglia. La pastorale familiare, però, accoglie, valorizza, questa grandissima realtà umana non semplicemente in se stessa, ma, di nuovo, in rapporto a Cristo e alla salvezza che Cristo ha portato e alla missione che Cristo ci ha indicato, nella quale Cristo ci ha coinvolti. Anche i corsi di preparazione al matrimonio, in questo senso, non possono non essere corsi nei quali si cerca di approfondire il rapporto con Cristo; il rapporto con Cristo vissuto nella dimensione specifica della coppia e del matrimonio e quindi della famiglia. Nella misura in cui la famiglia cerca di essere, in questo senso profondo e sacramentale, la vera famiglia cristiana, allora anche lì si pone in maniera molto seria il tema delle vocazioni. Tutti noi conosciamo per esperienza la paura, bisogna dirselo con franchezza, la paura che c’è tante volte nelle nostre famiglie, anche in quelle cristiane praticanti, di fronte all’ipotesi di una chiamata particolare, speciale, che il Signore rivolga a un figlio o a una figlia. Questo timore, comprensibile per tanti aspetti umani, può essere superato veramente e può cambiarsi in gioia e in preghiera per le proprie vocazioni, laddove ci sia questo vivere la famiglia in Cristo.

Così vediamo come è anzitutto dai contenuti che avranno la pastorale giovanile e la pastorale familiare, che potrà nascere un incontro spontaneo di queste fondamentali dimensioni della vita della Chiesa con la pastorale vocazionale. E a sua volta, la pastorale vocazionale può dare un contributo profondo, forte, alla pastorale giovanile anzitutto, ma, penso, anche a quella familiare, nella misura in cui è capace di afferrare e di riproporre sempre anzitutto questo nodo centrale che è la chiamata che viene da Dio in Cristo, e prima ancora il dono che Dio ci fa in Gesù Cristo. Penso che è su questa realtà di fondo non solo della pastorale, ma della vita e dell’esperienza cristiana, che può costruirsi anche quel coordinamento di cui tutti avvertiamo il bisogno.

Poi ci sono certamente i tanti aspetti pratici, concreti, spesso non facili, da affrontare perché il coordinamento si realizzi. Ma vogliamo chiedere al Signore soprattutto l’ottica giusta, quello sguardo che solo lo Spirito Santo ci può dare e che ci apre alla comprensione del mistero di Cristo, ma anche alla comprensione dei cammini che lo Spirito apre davanti a noi. 

Vorrei terminare dicendo a voi tutti una parola di vicinanza e di fiducia. Sappiamo come la “partita” – usiamo questa parola sportiva, un po’ scherzosa – delle vocazioni sia sempre una partita difficile, sia sempre una partita nella quale si gioca, in qualche modo, in salita… Ma noi accettiamo questa condizione e andiamo avanti con grande fiducia, perché sappiamo che la Chiesa appartiene al Signore, e anche che l’umanità intera e la storia appartengono al Signore, che egli tiene tutto nelle sue mani e sappiamo che egli ha stabilito con noi un contatto che è per sempre, quell’alleanza che è per sempre. Perciò egli vuole e vorrà sempre servitori di questa sua alleanza, persone che servano i fratelli, perché l’alleanza fra lui e noi duri in concreto in tutte le pieghe della storia. Per questo confidiamo e per questo preghiamo il Signore.