N.02
Marzo/Aprile 2003

Pastorale familiare, giovanile, vocazionale: perché e come lavorare insieme

 

 

Sì, ma come, allora?

Intanto interrogandoci non da soli ma in piena comunione e collaborazione con l’Ufficio CEI per la Pastorale della Famiglia e il Servizio Nazionale per la Pastorale Giovanile. Appassionandoci ad un’idea. Immaginando di non poterla realizzare se non insieme. Programmando obiettivi, passi, iniziative per fare insieme ciò che non è possibile fare da soli.

 

Quale idea?

Benedetto sia Dio (cfr. Ef 1,3-14)… Alla sera della vita saremo giudicati sull’amore (ci ricorda san Giovanni della Croce)… Non c’è amore più grande di chi dona la sua vita (cfr. Gv 13)… Un solo Spirito, tanti doni (cfr. 1 Cor 12)… È un’idea che il Papa definirebbe “misura alta” della vita cristiana. Ascoltiamolo al n. 31 della NMI:

Ricordare questa elementare verità, ponendola a fondamento della programmazione pastorale che ci vede impegnati all’inizio del nuovo millennio, potrebbe sembrare, di primo acchito, qualcosa di scarsamente operativo. Si può forse “programmare” la santità? Che cosa può significare questa parola, nella logica di un piano pastorale? In realtà, porre la programmazione pastorale nel segno della santità è una scelta gravida di conseguenze. Significa esprimere la convinzione che, se il Battesimo è un vero ingresso nella santità di Dio attraverso l’inserimento in Cristo e l’inabitazione del suo Spirito, sarebbe un controsenso accontentarsi di una vita mediocre, vissuta all’insegna di un’etica minimalistica e di una religiosità superficiale. Chiedere a un catecumeno: “Vuoi ricevere il Battesimo?” significa al tempo stesso chiedergli: “Vuoi diventare santo?”. Significa porre sulla sua strada il radicalismo del discorso della Montagna: “Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste” (Mt 5,48)… È ora di riproporre a tutti con convinzione questa “misura alta” della vita cristiana ordinaria: tutta la vita della comunità ecclesiale e delle famiglie cristiane deve portare in questa direzione.

 

In questo contesto

– La pastorale vocazionale non può prescindere dalle altre perché altro non è che l’impegno e la capacità di garantire ai figli che il Signore ci affida il necessario nutrimento e sostegno perché possano dare alla loro vita il volto dell’amore secondo il cuore di Dio. Ascoltiamo in proposito la splendida sottolineatura di Nuove vocazioni per una nuova Europa al n. 19:

La Chiesa è madre di vocazioni perché le fa nascere al suo interno, con la potenza dello Spirito, le protegge, le nutre e le sostiene. È madre, in particolare, perché esercita una preziosa funzione mediatrice e pedagogica. (…) La comunità, che prende coscienza di essere chiamata, allo stesso tempo prende coscienza che deve continuamente chiamare. Attraverso e lungo questa chiamata, nelle sue varie forme, scorre anche l’appello che viene da Dio. Questa funzione mediatrice la Chiesa esercita quando aiuta e stimola ogni credente a prendere coscienza del dono ricevuto e della responsabilità che il dono porta con sé. La esercita, ancora, quando si fa interprete autorevole dell’appello esplicito vocazionale e chiama essa stessa, presentando le necessità legate alla sua missione e alle esigenze del popolo di Dio, e invitando a rispondere generosamente. La esercita, ancora, quando chiede al Padre il dono dello Spirito che suscita l’assenso nel cuore dei chiamati, e quando li accoglie e riconosce in loro la chiamata stessa, dando esplicitamente e affidando con fiducia e trepidazione assieme una missione concreta e sempre difficile tra gli uomini. (…) Né può dirsi madre quella comunità di credenti che semplicemente “attende” demandando totalmente all’azione divina la responsabilità della chiamata, quasi timorosa di rivolgere appelli; o che dà per scontato che i ragazzi e i giovani, in particolare, sappiano recepire immediatamente l’appello vocazionale; o che non offre cammini mirati per la proposta e l’accoglienza della proposta. La crisi vocazionale dei chiamati è anche crisi, oggi, dei chiamanti, a volte latitanti e poco coraggiosi. Se non c’è nessuno che chiama, come potrebbe esserci chi risponde?

 

– La pastorale familiare non può, in questo senso, non sentirsi e non essere vocazionale. Espliciti i riferimenti belli e puntuali del Direttorio di pastorale familiare ai nn. 23, 24, 26, 28, 34. Rileggiamo insieme alcuni passaggi più significativi.

23. È nell’ottica della vita come vocazione all’amore che acquista valore e significato la pastorale familiare ed è nell’educazione alla vita e all’amore che inizia ogni itinerario di pastorale familiare. (…) Poiché l’uomo è stato creato a immagine e somiglianza di Dio che è amore (1 Gv 4,8), nell’umanità dell’uomo e della donna è iscritta “la capacità e la responsabilità dell’amore e della comunione. L’amore è, pertanto, la fondamentale e nativa vocazione di ogni essere umano” (cfr. Familiaris consortio, n. 11; Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1604). Ne deriva che l’essere umano ci appare come l’unica realtà creata che si realizza in pienezza nel dono sincero di sé (cfr. Gaudium et spes, n. 24) e che la sua vita ha senso solo nell’amore: “L’uomo non può vivere senza amore. Egli rimane per se stesso un essere incomprensibile, la sua vita è priva di senso, se non gli viene rivelato l’amore, se non s’incontra con l’amore, se non lo sperimenta e non lo fa proprio, se non vi partecipa vivamente” (Redemptor hominis, n. 10; cfr. Mulieris dignitatem, n. 7).

24. Questa nativa e fondamentale vocazione all’amore, propria di ogni uomo e di ogni donna, può realizzarsi pienamente nel matrimonio e nella verginità: “sia l’uno che l’altra, nella forma loro propria, sono una concretizzazione della verità più profonda dell’uomo, del suo essere a immagine di Dio” (Familiaris consortio, n. 11); essi sono “i due modi di esprimere e di vivere l’unico mistero dell’alleanza di Dio con il popolo” (Ibidem, n. 16). Il matrimonio e la verginità non sono in contrapposizione tra loro; sono piuttosto due doni diversi e complementari che convergono nell’esprimere l’identico mistero sponsale dell’unione feconda e salvifica di Cristo con la Chiesa.

26. (…) In questa prospettiva, la risposta alla vocazione all’amore iscritta nel cuore di ogni uomo esige un costante impegno educativo. Tale impegno è finalizzato a promuovere la maturità globale della persona la quale, accettando il valore della sessualità e integrandolo nell’insieme di tutti i valori del suo essere, è condotta a sviluppare sempre più la sua potenzialità oblativa così da aprirsi all’amore per l’altro fino al dono totale di sé (cfr. Orientamenti educativi sull’amore umano, nn. 34-36).

28. Alla luce di quanto abbiamo detto, si deve affermare che per un’autentica pastorale familiare è necessario, innanzitutto, mettere in atto una complessiva, articolata e capillare azione educativa per far crescere ogni persona come tale e, cioè, nella libertà che si apre all’amore e alla donazione di sé. Si tratta, pertanto, di aiutare ciascuno a maturare in quella libertà radicale, che consiste nel decidere di se stesso secondo il progetto che Dio iscrive nell’essere dell’uomo: un progetto che ha come centro e contenuto fondamentale l’amore, sull’esempio e nella misura di Gesù Cristo, alla cui immagine siamo predestinati ad essere conformi (cfr. Rm 8,28-30). In questa prospettiva ogni azione educativa possiede una sua intrinseca dimensione vocazionale: è aiuto offerto ad ognuno perché possa riconoscere e seguire la sua vocazione fondamentale all’amore nel matrimonio o nella verginità, compimento della consacrazione battesimale, e vivere così la sua missione nella Chiesa e nel mondo. Sono queste le prospettive secondo le quali deve realizzarsi la preparazione remota o generale al matrimonio e alla famiglia (cfr. Familiaris consortio, n. 66; Evangelizzazione e sacramento del matrimonio, n. 62): essa “è frutto di una educazione cristiana che si rivolge in modo costante a tutti i credenti, dalla infanzia alla adolescenza, all’età adulta”, nella convinzione che l’educazione all’autentico amore “deve diventare il contenuto permanente e il significato ultimo dell’opera educativa” (Evangelizzazione e sacramento del matrimonio, n. 62).

34. Per i motivi sopra accennati, è assolutamente indispensabile che l’educazione sessuale sia accompagnata e animata dall’educazione alla castità…

 

– La pastorale giovanile ha già molte volte denunciato questa necessità di essere e sentirsi più vocazionale. Mi sembra opportuno sottolineare quanto affermava don Sigalini a conclusione della GMG 2000.

La proposta insistita dal Papa ai giovani perché decidano da che parte stare, perché rispondano positivamente alla voce di Dio che parla sicuramente a tutti nell’intimità della coscienza e negli eventi della vita ripropone a tutti coloro che stanno con i giovani l’urgenza di sostenerli nelle scelte della vita. Vocazione, diciamo noi: vocazione sempre all’amore sia nel matrimonio che nella verginità, sempre a servizio del regno di Dio. (…) Questo significa che la pastorale giovanile deve essere più vocazionale, più orientata a sostenere le decisioni, a far proposte radicali, ad aiutare i giovani ad affrontare la solitudine del credente formandosi una coscienza forte nella verità… 

 

Quale sinergia dunque?

Sinergia non è prima di tutto lavorare insieme; questo viene dopo e a certe condizioni. La sinergia che noi sogniamo è prima di tutto un sentire insieme, un pensare insieme, un convertirsi insieme alle ragioni più profonde della pastorale. In altre parole mentre penso al mio settore pastorale tu sei con me. Tutto il mondo della famiglia e tutte le preoccupazioni della pastorale familiare ci appartengono. Tutte le speranze e le ricchezze, come tutte le preoccupazioni della pastorale giovanile ci appartengono. Essere animatori vocazionali in questo contesto nuovo auspicato dai Vescovi al n. 51 di Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia significa farsi parte viva, intelligente e diligente, specifica ed integrante della sollecitudine ecclesiale per le famiglie e per i giovani.

È il primo passo. Lo abbiamo fatto al Convegno e siamo chiamati a farlo nelle nostre regioni e nelle nostre diocesi. Da qui e soltanto da qui nasceranno passi sicuri che tracciano il futuro: i cammini, se si sa dove vogliamo andare, aprono il cammino.