N.01
Gennaio/Febbraio 2004

La teologia della Parrocchia nella Chiesa locale

Mentre scrivo si sta preparando l’Assemblea Generale della CEI che avrà all’ordine del giorno una riflessione approfondita sulla realtà della parrocchia; mentre si aspettano le indicazioni dei nostri Vescovi in molti, più autorevoli di me, hanno scritto e riflettuto sul tema affrontandolo dalle prospettive più diverse. Affrontando questo studio ho cercato di non lasciarmi prendere la mano dalla mia formazione canonistica, ma a partire dalla mia esperienza di parroco, vorrei cercare di cogliere la teologia della parrocchia nella vita concreta della Chiesa Particolare.

Guardando il nostro tempo ci si accorge che l’uomo ha perso il senso del sacro cadendo in un relativismo dei valori[1]; vive una separazione tra fede e vissuto quotidiano[2] dove il vangelo rimane una utopia, dove l’esperienza cristiana è confusa con la religiosità naturale[3], dove la fede, espressa nei suoi segni religiosi (altare, chiesa, tabernacolo, sacramenti, ministri… ecc.), è in crisi: non è più capace, cioè, di parlare all’uomo, che ormai vive in una “apostasia silenziosa” della fede[4].

Fa un’immensa tristezza incontrare giovani, pur intelligenti e dotati, in cui sembra spenta la voglia di vivere, di credere in qualcosa, di tendere verso obiettivi grandi, di sperare in un mondo che può diventare migliore anche grazie a loro. Sono uomini e donne, ragazzi e ragazze senza futuro, o con un futuro che, tutt’al più, è la fotocopia sbiadita del presente[5].

Compito primario della Chiesa è testimoniare la gioia e la speranza originate dalla fede in Gesù Cristo morto e risorto[6]; è scorgere l’oggi di Dio e le sue attese su di noi; è la nostra missione preparare la via al Signore che si vuole incontrare con l’uomo nell’oggi della sua vita. Comunicare il Vangelo è, e resta, il compito primario della Chiesa e i vescovi italiani ci chiedono di operare una “conversione pastorale”, perché la comunità cristiana possa tornare ad essere sorgente di quella Speranza senza la quale l’uomo non può vivere.

Il Card. Ruini introducendo i lavori del Consiglio Permanente della CEI pone questa domanda: “È in grado la parrocchia di accogliere e attuare quella grande svolta che va sotto il nome di conversione missionaria della nostra pastorale, o è invece destinata a rimanerne, purtroppo, sostanzialmente al di fuori, restando prigioniera di due tendenze, tra loro parzialmente contrastanti, ma entrambe poco aperte alla missionarietà: quella di concepirsi come una comunità piuttosto autoreferenziale, nella quale ci si accontenta di trovarsi bene insieme, e quella di una ‘stazione di servizio’ per l’amministrazione dei sacramenti, che continua a dare per scontata, in coloro che li richiedono, una fede spesso assente?”[7].

Nel IV-V secolo in relazione all’esigenza di evangelizzare in modo particolare le aree extraurbane si da origine a quella realtà che è la parrocchia, che ha saputo lungo i secoli adattarsi ai cambiamenti epocali mantenendo viva la sua capacità di comunicare ed alimentare la fede.

Ieri come oggi, dinanzi all’esigenza dell’evangelizzazione, si guarda alla comunità cristiana che nel territorio può dare i segni della fede: la comunione ecclesiale e la carità. Il futuro della parrocchia passa attraverso le sue trasformazioni: troppo spesso si ritiene che la parrocchia possa rinnovarsi mantenendo praticamente inalterato l’impianto strutturale (mentalità, impostazione, modelli) della sua azione pastorale. L’immagine della parrocchia come centro simbolico del vissuto della comunità appartiene al passato anche nei piccoli centri[8]. Il modello di parrocchia, che noi conosciamo, nasce con il Concilio di Trento dove assume una sua connotazione sul piano giuridico-formale, come struttura quotidiana del sacro e centro di aggregazione comunitaria. Il parroco è chiamato a prendersi cura delle anime, conoscendo e controllando il “gregge” dei fedeli di cui conosce l’esistenza e le attività. La vita del Fedele va seguita dalla nascita alla morte annotando regolarmente nei libri parrocchiali i principali adempimenti religiosi (battesimo, comunione, cresima, precetto pasquale…).

Oggi la vita dell’uomo nei suoi momenti esistenziali, un tempo gestiti dai parroci, è vissuta in una nuova dimensione socio-culturale: non si nasce e non si muore più in “casa”, ma nell’anonimato dell’ospedale; nella frenesia e nella caoticità della società contemporanea non c’è più il tempo per vivere e condividere le gioie ed i dolori; nella visione assistenzialista della vita tutto è demandato ed atteso dalle strutture sociali, le quali troppo spesso spersonalizzano l’assistenza, privando l’uomo del conforto amorevole dei familiari.

Da qui la sfida, colta dall’Episcopato Italiano, all’inizio del nuovo millennio, a riscoprire i fili invisibili della vita, per cui nulla si perde nella storia e ogni cosa può essere riscattata e acquistare un senso. A chiamare la parrocchia a rinnovare se stessa è principalmente il Concilio Vaticano II, il quale presenta la parrocchia, come cellula della Chiesa Particolare, formata e affidata alla cura pastorale di un Parroco sotto l’autorità del Vescovo, che si ritrova intorno alla mensa della Parola e dell’Eucaristia e rende presente in mezzo alle case degli uomini la Chiesa di Cristo[9].

La Chiesa è una ed universale, in quanto è chiamata ad essere immagine della Trinità (Gv 17,21) e segno efficace di riconciliazione di tutte le cose in Cristo (Gal 3,28). Il mistero, uno ed universale, della Chiesa è presente e si manifesta in ogni Chiesa Particolare e nella comunione visibile di tutte le Chiese intorno a quella di Roma. Chiesa Particolare in senso pieno è la Diocesi, immagine completa della Chiesa Universale con tutti gli elementi visibili costitutivi. L’espressione più immediata e visibile di questa realtà ecclesiale nell’hic et nunc della storia umana è la parrocchia[10].

Il legame della parrocchia ed il suo parroco con la diocesi ed il suo vescovo è così stretto ed intrinseco da costituirne l’elemento essenziale senza il quale, potremmo dire, la parrocchia non può esistere[11]. Tale legame tra la Chiesa locale e la parrocchia così configurato fa sì che essa rimanga una determinazione storica della Chiesa, una scelta pastorale, anche se resta il modo privilegiato del localizzarsi della Chiesa, quale segno reale della salvezza che Dio opera a favore di tutti[12].

In secondo luogo la parrocchia è chiamata alla “conversione pastorale” dal territorio in cui è inserita: essa, infatti, è chiamata ad assumere profeticamente il vissuto del territorio per vivere la sua missione di essere luce del mondo, sale della terra e lievito che fermenta la massa (Mt 5,13-14;13,33). In concreto, il significato della parrocchia ruota intorno al rapporto tra vita cristiana e territorio, che tuttavia sempre più appare nella sua funzionalità più che nel suo essere riferimento simbolico di appartenenza ad una identità storico-sociale della propria esistenza.

Un esempio facilmente costatabile è la crisi che vive la parrocchia nei centri storici ormai non più luoghi di identità, e la parrocchia nei quartieri-dormitorio che deve misurarsi con l’anonimato di chi si sente più homo faber piuttosto che homo socialis. Se la Chiesa vuole essere vicina agli uomini in tutti i settori di questa società differenziata e complessa deve saper accogliere la sfida del territorio globalizzato elaborando una “pastorale integrata” che sia espressione di unità e comunione. Le parrocchie, le piccole e le grandi, sono chiamate ad abbandonare le tentazioni di autosufficienza al fine di sviluppare, in un medesimo ambito territoriale, quelle attenzioni e attività pastorali che superano di fatto le normali possibilità di una singola parrocchia[13].

Ciò implica il passaggio dal paradigma dell’appartenenza e della cura d’anime, basata sulla sacramentalizzazione e sulla conservazione, a quello dell’evangelizzazione e della missione fondato sulla logica della conversione nell’economia salvifica dell’incarnazione, cioè da una Chiesa di servizi a una Chiesa a servizio. In questo modo la parrocchia risponde alla sua vocazione fondamentale: essere l’espressione più immediata e visibile di comunione ecclesiale.

Per realizzare in concreto una tale configurazione sembrano determinanti anzitutto alcune linee-guida, tra loro fortemente connesse e interdipendenti. Una di esse è chiaramente quella di formare i cristiani che frequentano le nostre comunità, e per primi gli stessi sacerdoti e i seminaristi, a una fede che sia consapevolmente missionaria, nelle varie situazioni di vita e non soltanto all’interno dell’ambito parrocchiale o ecclesiale. Ciò richiede una particolare cura per quella che CVMC chiama: la comunità eucaristica, composta da coloro che assiduamente vivono l’Eucaristia domenicale ed in particolare collaborano regolarmente alla vita parrocchiale testimoniando nella carità l’amore di Dio. A partire dall’esperienza si può affermare che è necessario dare a tutti qualcosa, ma ad alcuni è necessario dare tutto, perché ci siano Cristiani con una fede adulta, costantemente impegnati nella conversione, infiammati dalla chiamata alla santità, capaci di testimoniare con assoluta dedizione, con piena adesione e con grande umiltà e mitezza il Vangelo[14].

Considerando che l’itinerario dall’ascolto alla condivisione per amore è la via che Cristo ci ha indicato, per arrivare ad una fede adulta, pensata, capace di tenere insieme i vari aspetti della vita facendo unità di tutto in Cristo, un’altra strada da percorrere è quella di discernere, valorizzare e sviluppare le molteplici potenzialità missionarie già presenti, anche se spesso in forma latente, nella nostra “pastorale ordinaria”, nello svolgimento della quale ci è dato di accostare molte persone che appartengono alla Chiesa in maniera debole e precaria, o anche che non sono credenti. Un terzo orientamento di fondo, condiviso da tutti, è quello di dare uno spazio centrale alla pastorale degli adulti, e quindi in concreto anzitutto delle famiglie ma anche degli ambienti di lavoro e di vita in cui gli adulti si trovano.

Solo se si avrà il coraggio di non accontentarsi di un semplice lifting estetico della realtà parrocchia, essa sarà realmente il soggetto privilegiato della nuova evangelizzazione e tornerà ad essere l’utero materno in cui la Chiesa inizia alla vita cristiana quelli che il Signore Chiama alla Santità nel battesimo e li conduce, attraverso l’ascolto accogliente della Parola, a realizzale il progetto che Dio ha su ciascuno dei suoi figli.

È urgente rimodellare, per quanto possibile, i ritmi di vita della parrocchia, in modo da renderli realmente accessibili agli adulti che lavorano e alle famiglie: a questo fine, più che l’organizzazione di un gran numero di incontri, può servire uno stile pastorale caratterizzato da rapporti umani approfonditi e coltivati, da una liturgia vissuta senza quella concitazione che deriva dalla brevità del tempo disponibile, e da un costante rapporto con la Parola che salva. Formare per quanto possibile adulti e famiglie per i quali la fede sia nutrimento della vita è condizione indispensabile, perché l’evangelizzazione delle nuove generazioni trovi riscontro e sostegno nelle realtà familiari in cui esse crescono e si formano.

Possiamo concludere che la parrocchia di cui oggi la Chiesa ha bisogno e che il mondo si aspetta è quella porzione di Popolo di Dio (chierici, laici e religiosi) che vive nel tempo e nello spazio l’esperienza viva del Vangelo e in modo “opportuno ed inopportuno” lo sappia comunicare all’uomo del nostro tempo in piena comunione spirituale e pastorale con il proprio vescovo. Realizzando questa sua vocazione la parrocchia può provocare e sostenere il cammino vocazionale di ogni suo membro, illuminando, salando e fermentando la vita di chi incontra nelle vie del Mondo (Mc 16,15).

 

 

Note

[1]Valori diversi e contrastanti sono compresenti e coesistenti, senza una gerarchizzazione precisa” (NVNE, 11a).

[2] Le scelte si manifestano senza alcuna apertura al mistero e al trascendente.

[3] CCC, 28-29.

[4] EE, 9.

[5] Cfr. NVNE, 11c.

[6] CVMC, 1.

[7] C. Ruini,  Prolusione al Consiglio permanente della CEI, settembre 2003.

[8] Cfr. S. Lanza, La parrocchia in un mondo che cambia, ed. OCD, Città di Castello (PG) 2003, p. 14.

[9] Cfr. SC 41s; LG 28; CD 30; can. 515 §1.

[10] Cfr. LG, 1; 13; CL, 26; CCC, 830-835; 2179; CdA, 450-459.

[11] Cfr. SC 42.

[12] Cfr. F.G. Brambilla, La parrocchia oggi e domani, Cittadella Editrice, Città di Castello (PG) 2003, pp. 27-42.

[13] C. Ruini, op.cit. 

[14] Cfr. CVMC  n. 45.