N.01
Gennaio/Febbraio 2004

Parrocchia: voglia di comunità…

II titolo proposto per questa riflessione già si presta ad una sottile ambivalenza: quando si attribuisce alle nostre comunità parrocchiali la voglia o il desiderio di essere veramente delle comunità vere, vitali, significative per quanti ad esse fanno riferimento, è questo una possibilità reale e consolidata dai fatti e dalle aspirazioni (voglia di comunità!!!), o non è piuttosto, almeno in alcune situazioni e circostanze, una opportunità remota e negata dall’evidenza delle modalità in cui le nostre comunità parrocchiali si esprimono o… si trascinano (voglia di comunità???).

In parole semplici: le nostre parrocchie esprimono il senso dell’essere comunità o lo smentiscono non tanto a parole, ma nei fatti del loro modo di porsi? Cercano di essere o di divenire comunità, o più spesso ne sono una contro-testimonianza, ahimè, anche piuttosto esplicita? Hanno come fine la costruzione di un tessuto comunitario, fatto di compartecipazione e solidarietà pellegrinante e fraterna con tutte le dimensioni del “Popolo di Dio”, o piuttosto si manifestano come una realtà puramente burocratica e funzionale, spesso avulsa dal contesto della vita e dai problemi della gente? Personalmente non sono un sociologo per dare risposte scientificamente appurate a queste domande, ma dal mio osservatorio di formatore in Seminario e di accompagnatore di cammini vocazionali credo che alcune riflessioni si possano fare sul senso e il modo di qualificarsi delle nostre comunità parrocchiali, come anche sul fatto che dalla qualità della loro vita comunitaria dipende molto anche l’intensità, la vitalità e la convinzione per testimoniare la scelta vocazionale, a qualsiasi livello o dimensione essa possa essere vissuta.

 

Un aiuto esplicito dal Magistero…

Nei recenti documenti della Chiesa è stato piuttosto martellante il riferimento alla comunità ecclesiale (e di riflesso anche a quella parrocchiale!), come “soggetto attivo di Pastorale Vocazionale”.

Mi riferisco a due documenti tra i più significativi e qualificati:

“È necessario portare la pastorale vocazionale nel vivo delle comunità cristiane parrocchiali, là dove la gente vive e dove i giovani, in particolare, sono coinvolti più o meno significativamente in una esperienza di fede. Si tratta di far uscire la pastorale vocazionale dalla cerchia degli addetti ai lavori, per raggiungere i solchi periferici della chiesa particolare(Nuove Vocazioni per una nuova Europa, 29).

“La pastorale vocazionale ha come soggetto attivo, come protagonista la comunità ecclesiale come tale, nelle sue diverse espressioni: dalla Chiesa universale alla Chiesa particolare e, analogamente, da questa alla parrocchia e a tutte le componenti del popolo di Dio” (Pastores dabo vobis, 41).

È sempre lo stesso numero 41 della “Pastores dabo vobis” ad insistere in maniera ulteriormente chiarificatrice su questo concetto, facendolo divenire, nel contempo, anche una chiara proposta pastorale. Si afferma: “Le varie componenti e i diversi membri della Chiesa impegnati nella pastorale vocazionale, renderanno tanto più efficace la loro opera, quanto più stimoleranno la comunità ecclesiale come tale, a cominciare dalla parrocchia, a sentire che il problema delle vocazioni sacerdotali non può minimamente essere delegato ad alcuni ‘incaricati’ (i sacerdoti in genere, i sacerdoti del Seminario in particolare), perché essendo un problema vitale che si colloca nel cuore stesso della Chiesa, deve stare al centro dell’amore di ogni cristiano verso la Chiesa”.

Quanto si dice per le vocazioni al presbiterato, credo possa tranquillamente trovare il massimo consenso anche per ogni altra vocazione di speciale e totale consacrazione.

 

In un contesto di frammentarietà…

Il clima culturale post-moderno che tutti noi respiriamo e nel quale anche inconsciamente prendono forma le nostre scelte di vita, fa emergere con sempre maggiore chiarezza che una delle matrici fondamentali a cui si ispira il modo di vivere delle persone (consacrati o laici, non fa differenza!), è un clima di grande frammentazione. Basta guardare in un attimo di disincantata riflessione, una nostra norma-lissima giornata di vita, per vedere quante cose siamo chiamati a fare in spazi di tempo molto brevi, a quante urgenze siamo interpellati a rispondere, quanti ruoli diversificati spesso ciascuno è chiamato a ricoprire all’interno di una fondamentale scelta di vita (di famiglia o di consacrazione; di professione, di studio piuttosto che di semplice impegno nell’ambito familiare o comunitario…). Per molti aspetti è una ricchezza, perché questa molteplicità di possibilità e di opportunità in cui ci troviamo immersi, ci da anche una serie di input che sono stimolanti per la nostra creatività, per l’espressione delle nostre risorse interiori e anche per un certo arricchimento del bagaglio umano, professionale, relazionale o spirituale.

D’altra parte, il non avere un centro di gravita unico, ma lo sperimentare quotidianamente molteplici forme di appartenenza, assai spesso poco amalgamate fra di loro, ci porta anche ad un senso di “spaesamento” interiore, a non saper più dire al nostro cuore dove esso si colloca (è quel bisogno che già negli anni ‘60 il grande psicoanalista francese Mare Oraison aveva definito come necessità di una personale “localizzazione”)[1]. “Là dove è il tuo tesoro ci sarà anche il tuo cuore”, ci ha lasciato come preziosa indicazione di vita Gesù stesso (Mt 6,21).

Ma dove è veramente il nostro tesoro? O meglio, se i nostri presunti tesori sono sparpagliati di qua e di là, anche il nostro cuore si trova a vivere in una frenetica e continua rincorsa di quella unità interiore, di una dimensione olistica (la parola greca “òlos” = tutto!), che continuamente ci sfuggono e che ci fanno sentire sempre più frammentati, divisi, sfilacciati in tutto il nostro essere. Questa è una situazione di “frammentazione della identità” che già lo psicologo Erik Erikson aveva ipotizzato e che la nostra epoca sta oramai vivendo sempre più con drammatica attualità[2]. In questo senso vedo un primo grande aiuto che potrebbe venire a tutti noi da una comunità parrocchiale che voglia veramente porsi come una “lucerna da riferimento, che non cerca di nascondersi sotto il moggio…” (cfr. Mt 5,15).

Se la nostra epoca culturale ci sposta sempre più verso lidi di frammentazione, la comunità cristiana parrocchiale di cui siamo parte, dovrebbe poterci aiutare ad avere in essa un essenziale centro di riferimento, dove posso trovarmi a mio agio, sentirmi accolto e curare le ferite di questo cammino di individuazione che ogni giorno prende le sue batoste, che può aiutarmi a maturare, attraverso adeguati cammini di iniziazione cristiana per i più giovani[3] o di reiniziazione per i più adulti, una identità più profonda e consapevole nel sentirmi battezzato, discepolo del Signore e facente parte a pieno titolo di una comunità che mi aiuta a non perdere il baricentro interiore. Lo sviluppo di itinerari di Iniziazione è una scelta imprescindibile, almeno secondo il mio modesto parere, per vivere o rivivere il grande tema della Accoglienza, che sta alla base della vita cristiana stessa e di ogni comunità cristiana parrocchiale; oggi, più che mai, è una delle carte fondamentali da giocare per essere propositivi, significativi e realmente (e non solo virtualmente…) attenti alla gente di questo nostro tempo!

Nella vita di tutti i giorni posso fare mille cose diverse, ma è importante che io sappia ritornare in me stesso e trovare dei momenti che la comunità mi offre, anche nell’ordinario cammino settimanale, per vivere la via della “teshuvàh”, così cara al mondo ebraico, cioè la strada del “rientrare un po’ in se stessi” per recuperare (passatemi l’espressione legata al mondo musicale…), il mio centro di gravita permanente!

 

Tra razionalità e spontaneismo

Un altro aspetto piuttosto tipico della nostra epoca culturale è quello di vivere sospesi, in una sorta di esasperato equilibrismo, tra due estremi: da una parte il mondo computerizzato ci porta ad assolutizzare la razionalità del nostro essere, in una sorta di costante ricerca di perfezionismo e di chiarezza tipica di un mondo automatizzato e robotizzato, che però può facilmente andare in crisi. Mentre scrivo queste righe, siamo ancora tutti piuttosto shockati dal black-out elettrico che ha messo in ginocchio, in un attimo, tutta la nostra penisola! Basta un niente a mandare in tilt la realtà robotica ed automatizzata a cui il nostro modo di vivere si è totalmente consegnato.

D’altra parte è sempre il nostro mondo culturale a farci sentire tutta la forza di uno stile di vita, soprattutto legato al mondo emotivo, che faccia perno su uno spontaneismo spesso totale e dirompente. È importante, è fondamentale dire quello che si sente; vivere emozioni forti, anche se spesso effimere e poco durevoli; mettere in piazza quello che un certo pudore dei sentimenti ci chiederebbe di gestire con un senso di maggiore privatezza e delicatezza interiore. Del resto, basta vedere alcuni talk-show televisivi di larga utenza, che oramai non sanno più cosa inventare (anche a livello di gossip di bassa lega!), pur di fare colpo su chi li guarda e di innalzare i livelli dell’audience (Maurizio Costanze, Maria De Filippi, Alda D’Eusanio e tanti altri… docenti). È facile giocare con i sentimenti altrui e farli diventare spettacolo, o come oggi si usa dire… “reality show”![4]

La parrocchia, proprio perché potrebbe qualificarsi come una esperienza comunitaria seria, reale e rispettosa delle persone stesse, può effettivamente diventare un luogo ove imparare a conoscere e a gestire i propri sentimenti. Non sto pensando ad una funzione psicologistica della parrocchia, ma ad una realtà di persone che insieme imparano a decodificare questo misterioso ma affascinante mondo interiore, proprio alla luce della ricchezza dei sentimenti di cui è ricca la Parola di Dio. Una lettura non superficiale, ma attenta e interpretata con calma, dei Salmi, è una via privilegiata per dare tante chiavi di lettura proprio del mondo interiore, di cui il Salterio diviene la massima espressione. Qualche biblista, non a caso, definisce i Salmi, “l’espressione di tutte le stagioni del cuore dell’uomo”, e credo che questo sia particolarmente corretto e mirato.

Ma anche lo stesso Vangelo, in una lettura guidata del modo con cui Gesù incontra le persone, può darci tante chiavi interpretative del mondo emotivo ed interiore e di come educarci a vivere i sentimenti con intensità, senza paure che li reprimano, ma anche con grande attenzione al contesto e alle persone con cui essi possono essere espressi[5]. È solo una piccola indicazione, che potrebbe affiancarsi ad un’altra pista altrettanto possibile da percorrere: rendere le nostre celebrazioni domenicali capaci di raccogliere e interpretare i diversi stati d’animo che in quella settimana possono avere attraversato la vita di una comunità: gioie o sofferenze, tensioni, paure o soluzioni di situazioni problematiche e conflittuali[6]. Una celebrazione liturgica nel Giorno del Signore non può esimersi dall’essere profondamente interconnessa con gli stati d’animo di quella comunità che la vive e la celebra, e qui, ovviamente, il contributo del presbitero celebrante è determinante!

 

Travolti dal… tutto e subito!

È innegabile, e anche questo lo sperimentiamo in ogni momento della nostra vita, che l’attuale realtà culturale tende alla dinamica del “tutto e subito!” Questa è una dimensione che è tipica dei bambini, i quali non hanno la capacità di aspettare, anche perché basta che solo bisbiglino un minimo desiderio per trovarsi subito accontentati. L’epoca del benessere porta a non saper più selezionare quello che può essere utile e veramente indispensabile (e che comunque non sempre deve essere subito accontentato!), da quanto invece è del tutto effimero ed inutile…

Eppure, da questa dinamica non sono esenti neppure gli adulti, tant’è vero che in tutti c’è una sorta di fremito per cercare di arrivare prima possibile a realizzale qualsiasi tipo di aspirazione o desiderio. E così si perde un’arte fondamentale della vita, uno degli elementi che costituisce la vera “sapienza del cuore”: la fatica dello sforzo per la ricerca, per la conquista di qualcosa di importante e insieme anche il senso della pazienza che impara ad aspettare, a cogliere i momenti opportuni e propizi, che non porta a vivere il tempo come se tutto dovesse compiersi in quel preciso istante di vita, senza possibilità di dilatare le proprie scelte in uno spazio più calmo, più riposante e quindi anche più vero. In questo senso l’arte di costruire comunità, così importante in una parrocchia, deve fare i conti con i ritmi delle persone, con quello che realmente è possibile fare, senza fughe utopistiche in avanti, e senza troppe soste legate a statiche nostalgie. Una comunità parrocchiale deve necessariamente tenere conto delle velocità diverse legate anche alle fasce di età, alle caratteristiche socio-culturali delle persone, alla qualità della loro dimensione di fede. In questo senso le proposte debbono tenere conto di chi realmente si vuole intercettare, ma soprattutto credo ci voglia una grande attenzione al tema della comunicazione e del linguaggio, perché tutti possano essere veramente coinvolti e tutti possano capire l’annuncio del Vangelo di Gesù. Ciò domanda la capacità di rallentare chi ha il passo veloce e di aspettare chi ha il passo più lento e il fiato corto… E questa è l’arte vera della pazienza pastorale![7]

 

La ricerca del… perché!

Un ultimo aspetto che vorrei sottolineare, nei possibili percorsi che si aprono per una parrocchia che abbia voglia, oggi, di divenire veramente una comunità viva, è il grande sforzo che si compie in questo nostro momento culturale per riuscire a dare una risposta a tutto. Certamente, se qualsiasi fra noi da una rapida occhiata a come è mutata la qualità della nostra vita in questi ultimi decenni, o anche solo nell’ultimo ventennio, si nota in maniera evidente che in tanti ambiti della ricerca sono state date delle risposte a dei “perché”, che prima sembravano una muraglia insuperabile. Questo ha fatto fare dei balzi in avanti giganteschi al mondo della scienza, della medicina, della psicologia, della antropologia e di tutto ciò che ha qualcosa da suggerire alla vita dell’uomo contemporaneo.

È vero che la risposta ai tanti “perché della vita” è uno degli aneliti insopprimibili del cuore umano e che, in questo senso, esso si porterà dentro una inquietudine che difficilmente può essere sedata. Ma proprio a questa inquietudine interiore, che spinge il nostro essere a cercare e, dopo avere trovato, a cercare ancora, non si vuole dare cittadinanza e accoglienza nell’attuale contesto culturale, partendo dal presupposto, forse un po’ presuntuoso, che su tutto è possibile fare chiarezza ed avere risposte certe...

Questa è una grande menzogna e una ipocrisia, che oltretutto ci fa anche vivere male! La comunità cristiana, sotto questo profilo, ha un suo percorso peculiare da proporre, ricco e insieme capace di intercettare questo anelito del cuore umano: una vera “comunità cristiana” ci allena a cercare insieme, ad essere dei pellegrini che non si mettono solo sulla strada di Santiago, ma vivono realmente anche la propria vita come un cammino da percorrere, un pellegrinaggio da compiere, nella consapevolezza che c’è una meta, ma che molti aspetti nella mappa di questo cammino, rimangono a noi nascosti. È la riscoperta della dimensione del Mistero!

Non voglio dire che la vita va vissuta ad occhi chiusi o con la testa in un sacco.. .per non vedere, non capire, non valutare (anche se ad alcune persone , effettivamente, andrebbe meglio impostare la propria esistenza così!). Il Mistero non è una realtà totalmente sconosciuta, che spinge l’uomo a brancolare nel buio per tutti i giorni della sua vita, quasi fosse immerso in un eterno black-out! Il Mistero ci propone la dimensione cara alla teologia conciliare del “già e del non ancora”, di una verità che è in parte posseduta e in parte (forse ancora più grande), tutta da scoprire. Ghandi affermava, che la verità è come un bellissimo diamante: una realtà unica, ma con tante facce dalla luminescenza e dai riflessi colorati totalmente diversi. Occorre imparare a guardare il diamante da tanti punti di vista…

Mi piace paragonare la dimensione del Mistero, che avvolge anche la nostra chiamata vocazionale nella vita, ad un orizzonte: lo guardi, te ne innamori, lo vuoi raggiungere, ma quando sei arrivato al punto focalizzato, l’orizzonte si è ulteriormente spostato in avanti e c’è ancora tanta strada da fare. L’orizzonte non si raggiunge mai in maniera definitiva ed ultimativa: richiede sempre un cuore in divenire… La comunità cristiana delle origini aveva ben chiaro questo aspetto, e veniva continuamente stimolata dagli Apostoli a non adagiarsi sul dato acquisito: S. Paolo, che scrive parole forti alla comunità di Tessalonica, in questo senso è assolutamente straordinario!8

 

Parrocchia-Comunità e Pastorale Vocazionale: quali sfide?

Vorrei concludere questa riflessione proponendo solo qualche suggestione circa la Pastorale Vocazionale che, per chi legge questa Rivista, può essere il fulcro della sua attenzione e sensibilità pastorale.

I vari documenti della Chiesa, soprattutto a partire dagli anni ‘80, hanno sempre molto insistito sul fatto che la “dimensione vocazionale” dovrebbe attraversare trasversalmente l’esperienza vera e profonda di una comunità cristiana: la liturgia, il lavoro, il tempo libero, il servizio, la solidarietà, la catechesi, la famiglia, la scuola…). Eppure questa, a tutt’oggi, sembra una affermazione ancora utopica e ben lontana dal trovare una consueta applicazione. Del resto basterebbe osservare (e lo dico senza vena polemica alcuna…), lo spazio che può avere un CDV all’interno della Pastorale diocesana… Esso viene, purtroppo, fagocitato e spesso inghiottito dalla “forza” (anche un po’ debordante) di altri Uffici pastorali. Ripeto: lo dico con delicatezza, ma anche con un senso di profonda consapevolezza!

La Comunità della Chiesa locale deve rendersi conto (e prima o poi questo succederà!), che la ricerca del “senso della propria vita”, della “propria Beatitudine evangelica da incarnare e vivere”, non è uno sfizio, ma una pista essenziale per ogni essere umano, e non solo per ogni cristiano. E non è neppure una questione di età… La ricerca di Senso vale per tutta la vita! Dice Thomas Eliot, il grande poeta inglese, nei suoi “Quartets”: “Là dove finisci… di lì ricomincia!”.

Ciò significa, concretamente, riscoprire la grande verità che nella comunità ci sono dei carismi da mettere a servizio degli altri e che essi possono e debbono trovare lo spazio per vivere un particolare “ministero”. Il rischio, poi, che mi pare molto presente nella pastorale di una Parrocchia oggi, è quello di vivere “la pastorale dell’attimo fuggente”… Dedichiamo un anno alla famiglia, un anno alla carità, un anno ai giovani, un anno alla catechesi, un anno alla vocazione e via dicendo. Questo comporta una assoluta frammentarietà, già denunciata sopra, ma anche l’impossibilità di interiorizzare dei cammini e di arrivare a delle scelte pensate e individuate come delle reali “priorità”!

La Pastorale Vocazionale, oggi, dovrebbe essere più che mai impegnata a confrontarsi con i cammini di fede presenti nella vita di una Parrocchia: la catechesi, con le varie modalità e strategie che essa sta proponendo; i gruppi ecclesiali; i momenti formativi di vita spirituale e di crescita della propria consapevolezza di “discepoli del Signore”; e imparare a confrontarsi soprattutto con la vitalità e la provocazione che viene dai tanti Movimenti di Spiritualità presenti nella Chiesa oggi. Sia il cammino della Pastorale Vocazionale sia l’itinerario di una Parrocchia, che voglia veramente crescere come comunità, possono divenire sempre più efficaci e stimolanti nella misura in cui si innestano nel tessuto socio-culturale in cui esse debbono vivere e operare, creando sinergie vitali di riflessione e di operatività, senza rinunciare alla propria peculiare specificità, che può essere fonte di una ricchezza ulteriore e mirata.

Più che mai, oggi, è importante capire ed essere convinti che… o lavoriamo insieme o buttiamo il seme al vento; e così, dove uno ha seminato, l’altro può passare e calpestare il seme. E questo, in una reale crescita della dimensione “comunitaria” di una Parrocchia, non può davvero accadere.

 

Una piccola parabola per concludere…

Non potevo credere ai miei occhi quando lessi l’insegna del negozio: il NEGOZIO DELLA VERITÀ. Lì vendevano la verità. La commessa fu molto cortese: che tipo di verità desideravo acquistare, la verità parziale o la verità totale? La verità totale, ovviamente. Niente falsità per me, nessuna difesa, nessuna razionalizzazione. Volevo la mia verità pura e semplice e tutta quanta. Mi indicò l’altro lato del negozio, dove si vendeva la verità totale.

Il commesso che era là mi guardò con commiserazione e indicò il cartellino del prezzo. “Il prezzo è molto alto, signore” – disse.

“Quant’è?” – chiesi io, deciso ad ottenere la verità totale a tutti i costi.

“Se lei prende questa” – disse – “dovrà pagarla perdendo il riposo per il resto della sua vita”.

Uscii tristemente dal negozio. Avevo creduto di poter avere tutta la verità per un prezzo modesto[9].

Ciò che Anthony De Mello dice sulla ricerca della Verità, credo possa valere altrettanto per la ricerca e la voglia di costruire una Parrocchia “Comunità”, in grado di vivere legami saldi e profondi, di fornire un senso di appartenenza e di individuazione e di proporre cammini di fede credibili e capaci di dare senso alla vita di ognuno. Il prezzo da pagare per questo non è un prezzo modesto!

Significa non avere più bisogno si ingannarci con le nostre piccole o grandi difese e razionalizzazioni; significa andare oltre alle nostre convinzioni indiscusse ma rigide; significa non lasciarsi trascinare e avviluppare da una tranquilla ma statica rassegnazione. In una parola… significa spalancare mente e cuore alla “ruah” dello Spirito Santo. Saremo pronti a farlo?

 

 

Note

[1] Cfr. N. Dal Molin, Verso il Blu, Messaggero, Padova 2001; pp. 102-108.

[2] E. Erikson, Infanzia e società, Armando Editore, Roma 1963; pp. 244-246.

[3] Per riflettere ulteriormente sul tema delle difficoltà incontrate dalla Iniziazione Cristiana oggi, ma anche delle sue possibili risorse, rimando a T. Lasconi, L’iniziazione che… non inizia, in Vita Pastorale n.7/2000; pp. 124-126.

[4] Potrebbe essere interessante, come autoformazione o come opportunità di dibattito nei nostri gruppi giovanili, vedere prima e riflettere poi sull’ultimo film di G. muccino: “Ricordati di me”. Un interessante spaccato di cultura contemporanea, per leggere un mondo emotivo spesso “urlato” e ciò nonostante quanto mai “isolato nella propria disperata solitudine”…

[5] In questo senso segnalo l’opera di un autore contemporaneo, particolarmente attento a questi percorsi interiori. A. Grun, Scoprire la ricchezza della vita, Queriniana, Brescia 2000 (in particolare le pp. 68-98).

[6] Una interessante riflessione sul “Giorno del Signore” da vivere nel senso di cui si è detto sopra, la si trova anche in D. Sigalini, La Domenica identità del cristiano, Settimana, 6 luglio 2003/n. 26; pp. 8-9.

[7] Una rilettura di questa tematica, alla luce dei profondi cambiamenti tipici del mondo giovanile, viene proposta da F. garelli, I pendolari dall’identità flessibile, in Vita Pastorale n. Il 2000; pp. 116-119.

[8] Per una attualizzazione, soprattutto nell’ambito giovanile, di questa dinamica della “ricerca del Mistero” si può confrontare A. Dini, Ci vuole una pastorale da primo secolo, in Vita Pastorale, n. 7/2000; pp. 126-128.

[9] A. De Mello, Il canto degli uccelli, Paoline, Milano 1986.