N.02
Marzo/Aprile 2004

La parrocchia nella recente riflessione dei Vescovi italiani. Aspetti vocazionali

 

Dove e come situare la scelta dei Vescovi italiani

A prima vista potrebbe sembrare che i Vescovi italiani mettendo a tema della loro riflessione la parrocchia abbiano intrapreso un orientamento in controtendenza, che a qualcuno potrebbe suonare un po’ retro. Probabilmente ci si è chiesto: come mai, in un tempo nel quale potrebbe sembrare vincente l’opzione per i movimenti, si sia voluto rimettere al centro dell’attenzione la parrocchia, che, tanti e tante volte, hanno dato per morta e definitivamente sepolta?

 

Non una scelta contro

Anzitutto occorre osservare che la linea dei Vescovi non è una “linea contro” qualcuno o contro qualcosa (quasi che si vogliano mettere in alternativa la parrocchia e altre realtà ecclesiali); è invece la conferma di una strategia pastorale mai venuta meno nel tempo, pur se condizionata da una serie di fattori critici e di crisi. Con fretta e leggerezza, perciò, da parte di taluni si è equivocata la crisi della parrocchia, che in ogni caso c’è stata e in alcune situazioni permane, con il tracollo della stessa.

 

Una scelta connessa con gli orientamenti pastorali Comunicare il vangelo in un mondo che cambia

Una seconda ragione che sta alla base dell’opzione pastorale dell’Episcopato italiano è la scelta di campo fatta negli orientamenti pastorali per questo primo decennio del 2000, Comunicare il vangelo in un mondo che cambia. Nel n. 44 del documento vengono enunciate “alcune decisioni di fondo capaci di qualificare il […] cammino ecclesiale, in particolare: dare a tutta la vita quotidiana della Chiesa, anche attraverso mutamenti nella pastorale, una chiara connotazione missionaria; fondare tale scelta su un forte impegno in ordine alla qualità formativa, in senso spirituale, teologico, culturale, umano; favorire, in definitiva, una più adeguata ed efficace comunicazione agli uomini, in mezzo ai quali viviamo, del mistero del Dio vivente e vero, fonte di gioia e di speranza per l’umanità intera”. A fronte di queste “decisioni di fondo”, capaci certamente di cambiare volto alle Chiese che sono in Italia, i Vescovi ammettono che è necessaria “una conversione pastorale (Con il dono della carità dentro la storia. La Chiesa in Italia dopo il Convegno di Palermo, n. 23), per imprimere un dinamismo missionario” alle comunità locali, su un duplice livello: il primo dei quali è quello chiamato “comunità eucaristica, cioè coloro che si riuniscono con assiduità nell’Eucaristia domenicale, e in particolare quanti collaborano regolarmente alla vita delle nostre parrocchie”; il secondo livello è la realtà dei battezzati che mantengono con la comunità ecclesiale rapporti sporadici, o che rischiano l’indifferentismo religioso (n. 46). Concretizzando e sviluppando la prospettiva della comunità eucaristica l’attenzione viene focalizzata sull’esigenza di individuare “spazi e tempi precisi […] dedicati all’incontro con il Signore”, tra i quali la parrocchia “luogo – anche fisico – a cui la comunità fa costante riferimento” (n. 47). A scanso di equivoci e per rimarcare l’identità e la missionarietà della parrocchia, il documento enuncia una priorità metodologica: “recuperare la centralità della parrocchia”; individua una fondazione non transeunte o contingente della parrocchia: “rileggere la sua funzione storica concreta a partire dall’Eucaristia, fonte e manifestazione del raduno dei figli di Dio e vero antidoto alla loro dispersione nel pellegrinaggio verso il regno” (n. 47); vede nella parrocchia il “luogo veramente significativo dell’educazione missionaria della comunità cristiana”, chiamata non a trovare rifugio sicuro nel tempio ma a “uscire dalle mura della Chiesa con un animo apostolico, aperto alla condivisione e pronto a rendere ragione della speranza che abita i credenti (cfr. 1Pt 3,15)” (n. 48). Il collegamento tra Eucaristia, parrocchia e missionarietà mi pare particolarmente felice ed efficace in quanto innesta la parrocchia nell’impianto teologico-ecclesiale, nel tessuto connettivo della Chiesa, liberandola dal limite della caducità e della precarietà, almeno finché dura questo orizzonte storico-salvifico. Questo non significa beninteso che la parrocchia sia o debba essere considerata eterna, ma che nell’attuale contesto essa mantiene tutto il suo senso e il suo valore.

 

In linea con il magistero di Giovanni Paolo II

Questa scelta di campo, peraltro, non vede le Chiese che sono in Italia in posizione solitaria, quasi di conservazione nostalgica di un passato glorioso e fervido, ma comunque passato. Il Papa, nel suo messaggio all’Assemblea Generale ha voluto esplicitamente dire il suo punto di vista in merito al tema e ai lavori: “La vostra sollecitudine di Pastori si concentrerà in questa occasione su un tema di fondamentale importanza nella vita e nella missione della Chiesa, quello della parrocchia. Molto opportunamente, nel programma della vostra Assemblea, essa è presentata come ‘Chiesa che vive tra le case degli uomini’, facendo eco alle parole con cui descrivevo l’indole della parrocchia nell’Esortazione Apostolica Christifideles laici (cfr. n. 26). Mi preme sottolineare che condivido con voi la convinzione del ruolo centrale e insostituibile che compete alla parrocchia nel rendere possibile, e in un certo senso facile e spontanea per ogni persona e famiglia, la partecipazione alla vita della Chiesa. Come affermava infatti il Concilio Vaticano n nella Costituzione sulla Sacra Liturgia, le parrocchie ‘rappresentano in certo modo la Chiesa visibile stabilita su tutta la terra’ (n. 42)” (n. 2).

Esattamente un mese prima (16 ottobre 2003), nell’esortazione post-sinodale Pastores gregis sul Vescovo servitore del vangelo di Gesù Cristo per la speranza del mondo, il Papa aveva osservato che “è sulla parrocchia […] che i Padri sinodali hanno ritenuto conveniente fermare la loro attenzione, ricordando che di questa comunità, eminente tra tutte quelle presenti in una diocesi il Vescovo è il primo responsabile: ad essa pertanto egli deve riservare soprattutto la sua cura. La parrocchia infatti – come è stato affermato a più voci – rimane ancora il nucleo fondamentale nella vita quotidiana della diocesi” (n. 45).

E qualche mese prima (28 giugno 2003), nell’altra esortazione post-sinodale Ecclesia in Europa su Gesù Cristo, vivente nella sua Chiesa, sorgente di speranza per l’Europa, aveva rilevato: “Ancora oggi in Europa, nei Paesi post-comunisti come in Occidente, la parrocchia, pur bisognosa di costante rinnovamento, continua a conservare e ad esercitare una sua missione indispensabile e di grande attualità in ambito pastorale ed ecclesiale. Essa rimane in grado di offrire ai fedeli lo spazio per un reale esercizio della vita cristiana, come pure di essere luogo di autentica umanizzazione e socializzazione sia in un contesto di dispersione e anonimato proprio delle grandi città moderne, sia in zone rurali con poca popolazione” (n. 15).

E nell’enciclica Ecclesia de Eucharistia (17 aprile 2003) il Papa scriveva: “La parrocchia è una comunità di battezzati che esprimono e affermano la loro identità soprattutto attraverso la celebrazione del sacrificio eucaristico. Ma questo richiede la presenza di un presbitero al quale soltanto compete di offrire l’Eucaristia in persona Christi (n. 32).

 

Le tappe di avvicinamento all’Assemblea Generale di Assisi

La stessa Assemblea dei Vescovi non si è nascosta possibili perplessità ed eventuale scetticismo nei confronti della scelta operata, in particolare circa la formulazione del tema: “La parrocchia: Chiesa presente fra le case degli uomini”, che riprende la suggestiva connotazione della Christifideles laici. Nel Messaggio conclusivo, dopo aver qualificato la parrocchia “una realtà umile e grande”, i Vescovi, infatti, si chiedono se questa espressione non può suscitare a qualcuno un interrogativo come questo: “Queste parole (del tema) esprimono un sogno o una realtà? Possono dirsi veramente il volto delle nostre parrocchie o esprimono, al massimo, un buon desiderio?” (Messaggio finale). Ciò nonostante, però, essi hanno ribadito il loro orientamento, accettando la sfida e confermando le linee degli orientamenti pastorali. In effetti, negli ultimi tre anni (e più precisamente a partire dalla seconda metà del 1999), si è andato elaborando un itinerario per tappe all’interno della Conferenza Episcopale, che a qualcuno può essere sfuggito, ma che ha una sua logica coerente e che soprattutto conferisce organicità graduale e progressiva alla riflessione teologico-pastorale dei Vescovi italiani e alle scelte conseguenti per il decennio. Enuncio brevemente i passaggi più significativi di tale percorso.

– Nel 1999, a conclusione del decennio, presso le diocesi fu effettuata una rilevazione per verificare la ricezione degli orientamenti per gli anni ‘90 (Evangelizzazione e testimonianza della carità) e per valutare l’eventuale riproposta di orientamenti per il nuovo decennio. In quel contesto, sollecitati anche dalla lettera apostolica Novo Millennio Ineunte, i Vescovi italiani individuarono delle priorità di strategia pastorale, che, man mano, diventarono il nucleo dei nuovi orientamenti. In dettaglio : la centralità del mistero di Cristo, espressa nel contenuto e nel titolo della prima parte degli orientamenti: “Lo sguardo fisso su Gesù, l’inviato del Padre”; la considerazione della Chiesa nella luce di questo orizzonte, espressa nel contenuto e nel titolo della secondo parte del documento: “La Chiesa a servizio della missione di Cristo”; la comunicazione del Vangelo (e non semplicemente l’evangelizzazione) “compito fondamentale della Chiesa” (n. 32); il carattere estroverso (per ricordare il titolo, un po’ giornalistico ma efficace, di una pubblicazione di don Severino Dianich: Una Chiesa estroversa) della missione, orientata non a “separare” i cristiani dal mondo, ma al contrario a inviarli in un mondo che cambia, divenuto per così dire il contesto e il destinatario della missione (cfr. titolo del documento). Questo il primo passaggio.

– Il secondo passaggio è costituito dagli appuntamenti di rilievo nazionale del decennio: la Settimana sociale dei cattolici italiani, che si svolgerà a Bologna nell’ottobre 2004 sul tema: “La democrazia: nuovi scenari, nuovi poteri”; il Congresso eucaristico nazionale che si terrà a Bari nel giugno 2005 sul tema: “Senza la Domenica non possiamo vivere”; il Convegno ecclesiale nazionale di metà decennio che avrà luogo a Verona nell’ottobre 2006 sul tema: “Testimoni di Gesù Cristo speranza del mondo”.

– Il terzo passaggio è rappresentato dalla prospettiva di questi eventi e particolarmente dalla loro preparazione remota e/o prossima; da alcuni eventi socio-culturali (ad esempio, l’unificazione europea e il Trattato costituzionale, il problema della procreazione medicalmente assistita, la questione concernente le cellule staminali, il flusso degli immigrati) e dai collaterali movimenti d’opinione. Questi fattori hanno messo in moto una riflessione articolata, portata avanti nelle sedi istituzionali della Conferenza: il Consiglio Episcopale Permanente (quello che i giornalisti chiamano il parlamentino della CEI), che è l’organo rappresentativo dell’Episcopato deputato a dare continuità, organicità ed esecutività alle deliberazioni assembleali e la stessa Assemblea Generale, luogo di riflessione e decisionalità collegiale di tutti i Vescovi italiani. In questa ultima sede i Vescovi hanno riflettuto sul tema cristologico: “L’annuncio di Gesù Cristo, unico Salvatore e Redentore, e la missione dei credenti in un contesto di pluralismo culturale e religioso” (maggio 2002); sulla cosiddetta questione antropologica, così tematizzata: “La ‘questione antropologica’: le neuroscienze e la visione cristiana dell’uomo” (novembre 2002); sull’iniziazione cristiana con il tema: “L’iniziazione cristiana: nodi problematici e prospettive di orientamento” (maggio 2003); sulla parrocchia: “La parrocchia: Chiesa che vive tra le case degli uomini” (novembre 2003).

– Un quarto passaggio chiama in causa la riflessione del Consiglio Episcopale Permanente e l’attività della Segreteria Generale della CEI. In Consiglio Permanente infatti viene assicurata la continuità e la consequenzialità del cammino dell’Episcopato con riferimento alla vita della Chiesa che è in Italia e, in particolare, vengono definiti il tema e il programma delle Assemblee Generali e vengono approvati i temi delle iniziative di interesse nazionale. La Segreteria Generale, a sua volta, attraverso la propria articolazione in Uffici e Servizi, accompagna il cammino delle Chiese particolari, sussidiando – se richiesta – taluni momenti dei loro progetti pastorali. In Consiglio Permanente le prolusioni del Cardinale Presidente evidenziano e collegano i mutamenti che man mano intervengono nel nostro Paese e nel tessuto ecclesiale e avviano una riflessione tra i partecipanti, che provoca un’analisi-verifica della situazione e delinea abbozzi di linee pastorali elaborate successivamente nelle sedi più opportune e nei tempi ritenuti più congrui. Così è stato anche per quanto attiene al tema della parrocchia. L’attività degli Uffici e dei Servizi della Segreteria Generale ha portato il discorso a livello di referenti diocesani e regionali nell’ambito dei vari settori di pastorale. Una lettura comparata di questo segmento, effettuata proprio in vista dell’Assemblea Generale di novembre, ha messo in risalto le linee portanti attorno alle quale tali attività si sono sviluppate: 1. La parrocchia “grembo materno” che genera alla vita cristiana; 2. Il territorio “luogo teologico” della parrocchia; 3. L’evangelizzazione “frontiera” della parrocchia; 4. La parrocchia comunità “aperta e missionaria”.

– Un ultimo passaggio riguarda la vita stessa delle diocesi e il loro confrontarsi sul tema della parrocchia; confronto che ha costituito non tanto un guardare fuori da sé, quanto piuttosto un guardarsi allo specchio. Una lettura del materiale inviato alla Segreteria Generale in preparazione all’Assemblea ha messo in rilievo alcuni dati di grande interesse. Lo sfondo comune, che fa da punto di riferimento e da orizzonte di orientamento, è la riaffermazione della centralità della parrocchia per la Chiesa italiana; non si mette mai in dubbio il ruolo che la parrocchia è chiamata a svolgere e in nessuno caso ci si lascia sfiorare dalla possibilità teorica che il futuro delle nostre Chiese locali possa fare a meno di questa istituzione. Quanto ai tratti qualificanti l’identità della parrocchia uno dei più ricorrenti è quello che assegna alla parrocchia il ruolo di interfaccia tra la Chiesa e la società, sia a livello di constatazione che a livello progettuale. A questo si associa quello che vede la parrocchia come presenza della Chiesa in un luogo, riferimento visibile, rimando più quotidiano e accessibile alla figura e all’esperienza ecclesiale. Segue da ultimo il rilievo dato alla capacità della parrocchia di esprimere l’identità di un determinato luogo, di un determinato popolo, custodendone la memoria religiosa (le sue devozioni, i suoi culti) e non solo (le sue feste, le sue ricorrenze specifiche) e curando, quando occorre, la purificazione della medesima. Non manca la consapevolezza dei problemi ai quali far fronte. Due in particolare: la riorganizzazione territoriale attraverso l’accorpamento di più parrocchie in una nuova entità, magari attraverso la figura delle unità pastorali, segnalata peraltro come una soluzione insoddisfacente perché sarebbero maggiori i problemi creati rispetto a quelli risolti; la questione ministeriale vista soprattutto come esercizio della presidenza della comunità cristiana in connessione con la diminuzione del clero.

Per finire ritengo utile fornire qualche dato che aiuta a completare il quadro, acquisendo anche una consapevolezza quantitativa della questione. I dati, benché riferiti al 1996, sono del tutto attendibili, in quanto le strutture istituzionali, nel breve periodo, non subiscono mutazioni rilevanti sotto il profilo quantitativo. Nel 1995 in Italia c’erano 25.700 parrocchie con una popolazione media di 2.286 abitanti, con una capillarità del reticolo parrocchiale maggiore al Nord rispetto al Sud. Vi era una parrocchia ogni 2.033 abitanti al Nord e una ogni 2.818 al Sud; al Centro una ogni 2.135 abitanti. In particolare, al Sud si trovava il 18,6% delle parrocchie italiane, ma il 36% di quelle oltre i 5.000 abitanti. Al contrario, le piccole parrocchie, quelle con meno di 1000 abitanti, erano al Sud nella quota del 18,6% e al Nord per il 57,6%. Nell’Italia Centrale oltre 1/4 delle parrocchie era affidato al clero religioso, portatore di un grado superiore di autonomia giuridica, organizzativa e culturale. Al Nord solo il 4% delle parrocchie era affidato ai religiosi; al Sud la percentuale era più che doppia. La spiegazione potrebbe risiedere nel fatto che, probabilmente grazie alle mediamente inferiori dimensioni, un più alto numero di parrocchie al Nord poteva essere affidato a sacerdoti diocesani che non fossero parroci residenti: il 15,4% invece che l’11% circa del Centro e il 6,8% del Sud. hi tutto il paese – con l’eccezione della Toscana -, si verificava un fenomeno ormai abbastanza raro nell’Europa Occidentale: circa il 99% delle parrocchie cattoliche era retto da un sacerdote, quasi sempre come parroco residente, o ad altro titolo. Tuttavia, il livello di omogeneità pastorale era virtualmente garantito ancora una volta al Nord meglio che altrove. hi Lombardia aveva un parroco residente appartenente al clero secolare il 91 % delle parrocchie (in Lazio e in Toscana il 70%, in Abruzzo e Molise il 66% e a Roma il 58%). La quota più alta di affidamento al clero religioso di parrocchie nell’Italia Centrale o Meridionale non comportava necessariamente il beneficio di una maggiore diversificazione dell’offerta religiosa. Mentre al Nord tra i sacerdoti religiosi vi era un parroco ogni 13,8 membri degli ordini, il rapporto scendeva a 5,6 al Sud e a 5,2 al Centro (Roma stessa non superava il valore dell’11,8). Peraltro è probabile che nell’area centro-meridionale del Paese i religiosi sacerdoti fossero chiamati più spesso a un compito di mera supplenza del clero secolare. Come ulteriore indicatore di qualità della offerta religiosa cattolica va considerato il rapporto tra parroci appartenenti al clero secolare e sacerdoti secolari in complesso. Dove questo rapporto era maggiore, esso indicava una più alta probabilità di disporre di un clero secolare di staff tanto a livello diocesano quanto a livello parrocchiale. Tale rapporto era di 1,9 al Nord (2,1 in Lombardia, 2 in Triveneto), di 1,6 al Sud, di 1,5 al Centro (3,8 a Roma).

Mi sono dilungato in questa contestualizzazione perché il dare conto del quadro nel dettaglio non costituisce solo una premessa, ma è esso stesso già una trattazione del tema, soprattutto perché mentre si analizza, si verifica e si progetta la vita continua e non si può realisticamente pensare a un kairòs visto come l’inizio di una radicale palingenesi.

 

 

Linee significative della riflessione e consapevolezza sottesa

In questo passaggio della mia esposizione richiamo schematicamente quanto contenuto nella prolusione del Card. Ruini, disponibile integralmente sul sito web, nella relazione di S.E. Mons. Corti, Vescovo di Novara, Vice Presidente della CEI, e nelle sintesi dei lavori di gruppo.

 

Prolusione del Card. Camillo Ruini all’Assemblea Generale

Partendo dagli obiettivi il Cardinale Presidente ha chiaramente e incisivamente detto che “scopo della presente Assemblea non è quello di compiere un’opera rassicuratrice e consolatoria, verso noi Vescovi e verso i sacerdoti impegnati nel ministero parrocchiale, limitandoci a ribadire il pur certo e fondamentale valore della parrocchia, particolarmente in Italia. Dobbiamo piuttosto valutare con realismo pastorale i cambiamenti in corso, nella realtà sociale e culturale come negli assetti concreti della presenza e dell’azione della Chiesa, per cercare di discernere le strade che lo Spirito Santo apre davanti a noi, così che il Signore Gesù, vivente nella sua Chiesa, possa incontrare oggi le persone e le famiglie italiane, nelle loro effettive condizioni di vita, ed essere da loro riconosciuto e seguito, come unico ed autentico Salvatore”. In altre parole, l’Assemblea è stata stimolata a non piangersi addosso, ma a guardare la parrocchia realisticamente e con parresìa nella prospettiva della “conversione missionaria della nostra pastorale”, evitando di concepire la parrocchia “come una comunità piuttosto autoreferenziale, nella quale ci si accontenta di trovarsi bene insieme” e nello stesso tempo non considerando la parrocchia come “una ‘stazione di servizio’ per l’amministrazione dei sacramenti, che continua a dare per scontata in coloro che li richiedono una fede non di rado assente”.

Da queste coordinate di base affiora il richiamo all’attenzione ai mutamenti e all’idea centrale che la parrocchia rappresenta l’asse di intersezione tra vita cristiana e territorio; collocazione che è fonte di interrogativi circa il futuro e la vitalità della parrocchia in quanto “sembra diminuire nell’attuale trasformazione della società – con l’accentuarsi della mobilità, dell’anonimato e dei rapporti prevalentemente ‘funzionali’ – l’importanza del territorio per la vita reale della gente, mentre crescono invece i modi di aggregarsi elettivi ed elastici, anche tra persone localmente distanti”. Se il radicamento territoriale pare allentare il vincolo personale con la parrocchia, nel nostro Paese rimane forte il ritorno alla parrocchia nei “momenti che appartengono alla trama della […] esistenza: i sacramenti dei figli, a volte la scuola materna, o l’oratorio o il gruppo giovanile, il matrimonio, problemi e difficoltà familiari di vario genere, la solitudine di molti anziani, la malattia e la morte”. L’analisi, sobria ed essenziale, approda a uno sbocco assai interessante, così delineato: “La parrocchia e la sua pastorale sono chiamate a entrare in un percorso di collaborazione e integrazione che si muova lungo varie direttrici e che complessivamente potremmo qualificare come ‘pastorale integrata’. Un tale processo richiede che le parrocchie abbandonino le tentazioni di autosufficienza per intensificare in primo luogo la collaborazione e l’integrazione con le parrocchie vicine, al fine di sviluppare insieme e senza dissonanze, in un medesimo ambito territoriale, quelle attenzioni e attività pastorali che superano di fatto le normali possibilità di una singola parrocchia”.

L’orizzonte è dunque quello della comunione ecclesiale all’interno della Chiesa particolare, con espresso riferimento al Vescovo, ai suoi indirizzi pastorali, agli organi di partecipazione, agli uffici pastorali, alle realtà ecclesiali presenti sul territorio (comunità religiose, associazioni e movimenti laicali). “La comunione ecclesiale ha a sua volta un orientamento intrinseco alla missionarietà e alla comunicazione della fede, che devono costituire – sempre, ma a titolo speciale nelle circostanze attuali – il criterio-guida di tutta la pastorale: non possono pertanto essere considerate semplicemente come una tra le varie esigenze della pastorale, ma come la sua questione centrale, in un certo senso unica e decisiva. Questa è, in particolare, la finalità specifica di quella che abbiamo chiamata ‘pastorale integrata’”.

Il Cardinale Presidente ha enucleato successivamente “alcune linee-guida, tra loro fortemente connesse e interdipendenti, che aiutino la parrocchia ad assumere in concreto una configurazione missionaria”. Esse sono così formulate: “Formare i cristiani che frequentano le nostre comunità, e per primi gli stessi sacerdoti e i seminaristi, a una fede che sia consapevolmente missionaria, nelle varie situazioni di vita e non soltanto all’interno dell’ambito parrocchiale o ecclesiale. […] Discernere, valorizzare e sviluppare le molteplici potenzialità missionarie già presenti, anche se spesso in forma latente, nella nostra pastorale ordinaria. È dunque ingiustificato e controproducente concepire la ‘svolta missionaria’ quasi in alternativa, o in aggiunta, alla pastorale ordinaria e sottostimare quest’ultima quasi fosse, di sua natura, soltanto statica gestione dell’esistente. […] Dare uno spazio centrale alla pastorale degli adulti, e quindi in concreto anzitutto delle famiglie ma anche degli ambienti di lavoro e di vita in cui gli adulti si trovano. Ciò richiede iniziative capaci di raggiungere non superficialmente le famiglie nelle loro case e di rendere presente la testimonianza cristiana all’interno degli ambienti di lavoro. Non meno importante è rimodellare per quanto possibile i ritmi di vita delle parrocchie, in modo da renderli realmente accessibili agli adulti che lavorano e alle famiglie: a questo fine, più che l’organizzazione di un gran numero di incontri, può servire uno stile pastorale caratterizzato da rapporti umani approfonditi e coltivati senza quella concitazione che deriva dalla scarsità del tempo disponibile. […] Impegno per le generazioni più giovani, […] i bambini, i ragazzi e i giovani sono esposti al rischio di rimanere sostanzialmente estranei alla proposta cristiana e diventa sempre più evidente la necessità di porre in essere itinerari di vera e propria evangelizzazione e di formazione, capaci di coinvolgere tutte le dimensioni fondamentali della loro esistenza e così di educarli realmente alla fede”.

Venendo ai soggetti, la riflessione del Card. Ruini, dopo aver ricordato che “la parrocchia, per sua vocazione ‘fonde insieme tutte le differenze umane che vi si trovano e le inserisce nell’universalità della Chiesa’ (cfr. Apostolicam actuositatem, 10)”, ha richiamato la vocazione tipica di ciascuna condizione di vita. La partecipazione dei laici deve essere “intesa e orientata a prepararli e abilitarli alla testimonianza e diaconia cristiana nelle ordinarie situazioni di vita”. Un riferimento, che potrebbe apparire inusuale, ha fatto in immediata successione alle religiose, rilevando che “finora non si è prestata sufficiente attenzione al grande significato che può avere un (loro) stabile inserimento […] nella pastorale parrocchiale, con i loro specifici carismi di donne consacrate, non solo ad animazione e sostegno delle varie attività ma ancor più per un rapporto capillare con le persone e le famiglie, nel segno dell’evangelizzazione e della prontezza al servizio”. Quanto al ministero del parroco, definito “figura chiave della parrocchia”, ha rilevato che non deve essere messo in forse o sminuito “questo ruolo di presidenza e la responsabilità che gli è connessa, ma piuttosto (occorre) adoperarsi perché esso sia esercitato nel suo autentico senso evangelico. Ciò richiede anzitutto ai parroci stessi di superare le tentazioni di porsi come protagonisti esclusivi della vita della propria parrocchia – tentazioni favorite talvolta dai limiti e dalle difficoltà in cui essi si trovano ad operare – e di considerarla come una realtà chiusa in se stessa e autosufficiente”.

Riguardo alla questione dei confini territoriali, cruciale soprattutto nelle aree urbane, “essi sono e rimangono chiaramente una necessità pratica, ma oggi, con il crescere della mobilità delle persone – compresi i bambini e i ragazzi in rapporto alle esigenze delle famiglie – e con l’accelerazione dei tempi e degli appuntamenti della vita quotidiana, non possono essere fatti valere in maniera rigida. Lo sviluppo di una pastorale integrata potrà contribuire anche sotto questo profilo a mettere sempre più al primo posto il bene delle persone e delle famiglie”. I vicari parrocchiali sono sempre meno presenti, a motivo della diminuzione del clero giovane, e ciò ha ripercussioni negative soprattutto nell’ambito della pastorale giovanile. Il supporto del ministero ordinato a varie altre specifiche dimensioni di una pastorale integrata e missionaria può essere assicurata anche dal contributo dei diaconi permanenti. La vita in comune dei sacerdoti, infine, può costituire non solo un’opportunità pastorale, ma anche una testimonianza di vita.

 

Relazione di S.E. Mons. Renato Corti

La relazione di Mons. Corti si è sviluppata partendo da una certezza: “il futuro della Chiesa (italiana ma non solo) ha bisogno della parrocchia. La Chiesa ha bisogno di un luogo che generi la fede nel quotidiano della vita della gente” e articolandosi in quattro capitoli: “la figura della Chiesa che la parrocchia è chiamata a esprimere, a partire dai tratti che contraddistinguono la sua vita quotidiana; il suo compito fondamentale, che è il servizio alla fede in favore delle persone che la frequentano; le azioni che la costruiscono, e anzi la generano; la responsabilità di tutti per la vitalità della parrocchia”.

Sulla figura di Chiesa chiamata a esprimere, la parrocchia è vista “come strumento che permette il radicamento della Chiesa in un luogo”, consentendole di “abitare tenitori e spazi sociali diversissimi”; d’altro canto in forza di tale caratteristica “la società con tutte le sue diversità, con tutte le sue ricchezze e le sue tensioni riesce a prendere contatto con la Chiesa”. In una parola, “la parrocchia appare come la Chiesa nella sua traduzione spaziale e quotidiana”; “come la figura più conosciuta di Chiesa per il suo carattere di vicinanza e di accoglienza”; una figura di Chiesa accogliente e a servizio; una Chiesa di popolo. Compito fondamentale della parrocchia è quello di “essere il luogo che favorisce l’incontro tra le fede cristiana e le condizioni della vita di ogni giorno”, attraverso un servizio reso a tutti e a ciascuno, facendo attenzione alla condizione molto differenziata che presentano le persone dal punto di vista della fede. 

Azioni che generano e costruiscono la parrocchia in stato di evangelizzazione: l’Eucaristia è l’atto e l’evento che edifica la parrocchia, soprattutto nel giorno del Signore; l’iniziazione cristiana è il processo attraverso il quale la parrocchia genera figli alla fede e alla vita ecclesiale; il lavoro pastorale comune di tutti i soggetti nella comunione e nella corresponsabilità è l’esperienza che fa crescere la forza missionaria della parrocchia.

In una parrocchia così delineata va collocato il ruolo dei diversi soggetti: in primo luogo la stessa comunità parrocchiale, non più identificata come “semplice porzione di territorio delimitata da un confine”, ma intesa soprattutto come “l’insieme delle persone che si riconoscono nella memoria cristiana vissuta e trasmessa in quel luogo; l’insieme delle persone che con questa memoria si identificano, se ne nutrano e la trasmettono a loro volta”. In questa comunità al Vescovo, “responsabile ultimo della cura pastorale della parrocchia”, e ai sacerdoti, sia considerati singolarmente nel loro ministero, sia considerati come presbiterio, spetta il “compito di annuncio della memoria, di educazione e di formazione”. La vita consacrata, infine, è il segno della risposta che nel cuore di ciascuno suscita lo Spirito Santo all’annuncio del vangelo in un determinato luogo.

La conclusione dell’itinerario espositivo si è articolata in un triplice invito: rivisitare la pastorale ordinaria in chiave missionaria, senza cadere nell’equivoco di vedere la pastorale ordinaria quasi una “gestione statica dell’esistente” (Card. Ruini) e come in contrapposizione a una pastorale missionaria dinamica fatta con slancio e ricca di frutti; dare una rinnovata attenzione alla famiglia e in generale al mondo degli adulti, che soli possono accompagnare le generazioni giovani; aprire la parrocchia a orizzonti più ampi, “come ‘campo base’ che coltiva nei suoi membri il desiderio e la capacità di affrontare lo spazio aperto della società con la testimonianza semplice e coraggiosa”.

 

Le conclusioni dei gruppi di studio

Fin qui le due voci che hanno interpellato l’Assemblea dei Vescovi: voci propositive e complementari che hanno indicato prospettive aperte. I nodi controversi e problematici, tra i quali quello acuto del rapporto parrocchia e movimenti, non sono stati né ignorati né esasperati; essi sono stati affrontati negli interventi in seduta plenaria e nei gruppi di studio. Prima di esporre, ovviamente in modo piuttosto sommario, le conclusioni dei dieci gruppi di studio può essere interessante conoscere la metodologia adottata nelle due sessioni: nella prima ciascun gruppo era chiamato a raccogliere esperienze e a individuare uno o due problemi; nella seconda a ciascun gruppo è stato assegnato uno di questi nodi, scelto nell’incontro dei Vescovi coordinatori dei gruppi con il relatore, il Segretario Generale e il sottoscritto, con possibilità di un riflettere su un secondo, una volta esaurito il tema obbligato. La riflessione era finalizzata anche alla redazione di una o più propositiones, sintesi operativa della stessa. Questa scelta metodologica ha prodotto un ordito molto indicativo della situazione e anche un abbozzo di prospettive pastorali. Ecco le tematiche (nove, perché due gruppi hanno affrontato il medesimo tema), già sufficientemente evocative nel loro enunciato, e qualche indicazione sulle conclusioni di ciascun gruppo.

1) Parrocchia, conversione pastorale e missionarietà. Processi di discernimento pastorale e linguaggi di comunicazione della fede. Il mutamento genera disorientamento, ma appronta energie nuove per governarlo. Il discernimento è uno strumento idoneo, ma ancora inattuato. La parrocchia, “antenna sul territorio” è in grado di ascoltare attese e bisogni, ma è priva di strumenti per elaborare una propria interpretazione cristiana delle linee di tendenza. Precisare modalità e forme di discernimento nei soggetti, nei criteri, nei luoghi.

2) Vocazione cristiana, vocazioni, carisma della vita consacrata in una parrocchia missionaria. Passaggi essenziali: riscoprire il battesimo, vocazione radicale del cristiano; proporre la vocazione al matrimonio, come scelta anch’essa radicale, in controtendenza rispetto alla cultura dominante; la vocazione al sacerdozio e alla vita consacrata viste come servizio alla Chiesa e al mondo. Con riferimento alla vita consacrata è stato sottolineato che le religiose e i religiosi “hanno un valore per quello che sono prima che per quello che fanno” e che il loro “carisma è essenziale per la costruzione della comunità”.

3) Parrocchia e domenica. La domenica è stata vista come “scelta fondamentale e luogo ‘costitutivo’ della parrocchia missionaria”, nella sua triplice dimensione di giorno del Signore, giorno della Chiesa, giorno dell’uomo. Richiamate le difficoltà sociali e culturali per un’esperienza viva della domenica, sono state sottolineate tre linee di progettualità pastorale: salvaguardare non solo la dimensione liturgica della domenica, ma anche il senso antropologico, culturale e sociale; curare la qualità delle celebrazioni, la bellezza del rito, la ricchezza dei segni, l’arte e il ritmo del celebrare; collegare con la domenica la testimonianza della carità e lo slancio della missione.

4) Parrocchia e famiglia. Si è guardato alla famiglia sotto il profilo sacramentale e culturale, evidenziando segnali positivi e negativi, nel contesto profetico della sua identità. La famiglia può dare alla parrocchia la sua soggettività ministeriale, ricca del fecondo servizio alla vita. La parrocchia può dare alla famiglia specifici itinerari di educazione alla fede, capaci di sostenere fin dall’adolescenza il cammino vocazionale di conversione e adesione a Cristo; cammini di accompagnamento ai fidanzati e agli sposi, in un dialogo costante tra sacerdoti e sposi. Si propone un rilancio del Direttorio di pastorale familiare e un’informazione più diffusa sul “Progetto pastorale parrocchia-famiglia”.

5) Parroci, formazione al ministero e fraternità nel presbiterio. Aiutare i parroci ad affinare una mentalità di fraternità, di collaborazione e di condivisione nella vita e nel ministero. Offrire opportunità di formazione permanente ed esperienze forti di spiritualità, imperniate sulla spiritualità propria del presbitero diocesano. Fornire chiarezza su orientamenti e scelte che si riferiscono alla disciplina della Chiesa e all’ordinamento canonico.

6) Adulti laici nella parrocchia, nuove forme di corresponsabilità, partecipazione e ministerialità. Finalità fondamentale della parrocchia è la formazione di cristiani adulti capaci di far sintesi tra fede e vita per assumere, con sana autonomia laicale e insieme con verificata coerenza evangelica, le responsabilità che loro competono nei campi dell’ impegno nella storia. Ciò può agevolare il passaggio da una parrocchia erogatrice di servizi a una comunità parrocchiale scuola di fede e fermento di testimonianza evangelica e di missione, hi quest’ottica i ministeri laicali non vanno considerati come ruoli di supplenza dei ministeri ordinati nell’ambito intraecclesiale, ma devono rappresentare una preziosa competenza a servizio dell’indole secolare propria dei laici. Interessante è stata in questo gruppo la formulazione di alcuni interrogativi propositivi, possibili capitoli di un “direttorio” nazionale per il rinnovamento e il riassetto ministeriale delle parrocchie italiane.

7) Parrocchia, associazioni e movimenti ecclesiali (due gruppi: 6 e 10). Riaffermata la centralità della parrocchia, realtà in dialogo con tutte le energie evangelizzataci presenti nel territorio, è stato osservato che le aggregazioni non possono sentirsi ospiti della parrocchia, né possono essere solo tollerate, ma vanno accolte e coinvolte nel progetto pastorale parrocchiale. Il parroco non può far condizionare il suo ministero dall’appartenenza a un movimento. La parrocchia deve garantire a ogni battezzato la formazione di base e alle aggregazioni cammini formativi e percorsi di spiritualità. L’Azione Cattolica non è un’aggregazione fra le tante, ma fa parte integrante della vita della comunità per la sua dedizione stabile alla Chiesa particolare. Anche questo gruppo ha formulato proposte operative interessanti.

8) Parrocchia e territorio netta varietà dette forme e pastorale d’ambiente. Il rapporto organico tra parrocchia e territorio è oggi messo in crisi dalle modificazioni della società e del territorio; ma la parrocchia rimane una risorsa e deve ritornare a essere “punto di riferimento simbolico-valoriale, oltre che interlocutrice sul territorio a livello di servizi”. La pastorale territoriale impone integrazione e collaborazione tra parrocchie perché i confini e gli ambiti si sono allargati, in particolare per la pastorale scolastica e universitaria, del lavoro, del tempo libero e della salute. La presenza nel territorio è stata affrontata diversificando i diversi soggetti: i laici, i ministri, i diaconi, i sacerdoti, le famiglie. Proposizioni con l’individuazione di punti di attenzione.

9) Parrocchia, unità pastorali, altre forme di collaborazione. La centralità della parrocchia non può far ignorare l’urgenza di nuove strutture pastorali, finalizzate a una collaborazione più intensa ed efficace fra parrocchie vicine. Queste strutture dovrebbero sostenere le parrocchie e favorirne l’apertura missionaria. Spetta ai Vescovi e agli organismi di partecipazione fissare criteri per decidere la soppressione di parrocchie, dopo aver attentamente valutato la storia, il radicamento tra la gente, la forza aggregante sulla popolazione.

 

Fin qui le voci di avvio dell’Assemblea Episcopale e talune posizioni dei protagonisti. Adesso qualche considerazione a margine da parte di chi ha seguito in modo diretto il lavoro di preparazione e lo svolgimento dell’Assemblea.

– Anzitutto mi pare di poter dire che in Assemblea, contrariamente a quanto si poteva pur temere, non si sono ascoltati discorsi vecchi e scontati; anzi si sono potuti apprezzare lo sforzo e la fatica di una lettura e di un discernimento della realtà, liberi dalla preoccupazione preconcetta di pervenire a conclusioni in qualche modo già scritte.

– Altro dato da rilevare è che in questa Assemblea i Vescovi non hanno dato voce al proprio vocabolario e alle proprie convinzioni, ma, secondo le possibilità, si sono fatti interpreti e portavoce delle proprie Chiese e del loro sentire. Il fatto è importante sia per valutare gli elementi raccolti sia nella prospettiva del lavoro futuro.

– L’analisi della situazione è stata sobria ed essenziale e non si è perso troppo tempo sui dettagli. Individuati alcuni parametri di lettura, è stata accettata la sfida di guardare avanti e di azzardare la formulazione di linee propositive. In tal modo è stata evitata la tendenza consolatoria ma alienante di chi, avendo affrontato – per così dire – a tavolino un tema scottante, ritiene di aver concluso con fatica il suo dovere e di poter mettere il cuore in pace.

– I problemi non sono stati elusi, ma non hanno prevaricato e non hanno condizionato più di tanto la riflessione positiva.

– È emersa ed è stata riaffermata la convinzione di fondo dei Vescovi circa la centralità della parrocchia, con tutto il positivo e i limiti della stessa.

– Significativo è risultato il fatto che la riflessione non ha isolato la parrocchia dal contesto del tessuto ecclesiale, né l’ha astratta dalla sua collocazione storica, anzi il ribadito vincolo necessario con il territorio ha dato una configurazione storico-spaziale alla identità e missionarietà della parrocchia medesima.

– L’analisi della situazione è stata accompagnata dal richiamo alla conversione pastorale in quanto la riaffermazione della centralità della parrocchia non ha significato affatto nella considerazione dei Vescovi che si può continuare ad andare avanti così come si è fatto finora; al contrario proprio il punto di partenza postula un’attenta, rigorosa e indilazionabile verifica per non perdere la nuova opportunità offerta.

– Le diverse voci hanno evidenziato non solo punti di vista differenti, ma altresì modelli diversi di parrocchia, determinati da fattori socio-culturali e religiosi; ne è emersa la considerazione che è impensabile guardare alla parrocchia sotto un’ottica limitante: non esiste “la” parrocchia italiana, ma “le” parrocchie sparse nel territorio.

– Proprio quest’ultima annotazione chiama in causa il protagonismo e la responsabilità di ciascuna Chiesa particolare alla quale spetta il compito di dare e/o ridare vigore alla parrocchia, definendone il volto e la missione in relazione al quadro d’insieme della diocesi e alle peculiarità del territorio nel quale ciascuna parrocchia è innestata e vive.

Altre considerazioni potrebbero essere aggiunte a queste appena proposte e che, con ogni probabilità, saranno offerte dalla discussione che seguirà.

 

 

In prospettiva

Per completare l’esposizione manca soltanto il riferimento agli ulteriori sviluppi nell’immediato e in prospettiva.

 

Definizione di linee pastorali

I Vescovi hanno avuto chiaro, fin da quando questo percorso è stato avviato, che la tappa finale dell’itinerario doveva prevedere la definizione di linee pastorali che dessero concretezza e progettualità alla riflessione condotta. Ovviamente, le diverse tappe del cammino non sono state pianificate a priori, ma sono state puntualizzate opportunamente in corso d’opera. Così la prima riflessione sull’iniziazione cristiana ha fatto emergere l’esigenza di riparlarne inserendola nella parrocchia nella quale essa trova il terreno di coltura. Parimenti, il discorso sulla parrocchia ha suggerito di tornare sul tema per tentare di individuare delle linee orientative coniugate sul binomio parrocchia-iniziazione cristiana.

 

Conversione missionaria della pastorale

Già nella prolusione il Cardinale Presidente aveva chiara questa prospettiva, quando rilevava che “la domanda cruciale riguarda l’attitudine della parrocchia ad accogliere e attuare quella grande svolta che va sotto il nome di conversione missionaria della nostra pastorale, evitando di rimanere invece prigioniera di due tendenze, tra loro parzialmente contrastanti ma entrambe poco aperte alla missionarietà: quella di concepirsi come una comunità piuttosto autoreferenziale, nella quale ci si accontenta di trovarsi bene insieme, e quella di una ‘stazione di servizio’ per l’amministrazione dei sacramenti, che continua a dare per scontata in coloro che li richiedono una fede non di rado assente”.

 

Conversione del cuore per Vescovi e sacerdoti

Contestualmente il Card. Ruini evidenziava un’altra conversione, previa e pre-requisita rispetto alla conversione missionaria, e cioè la conversione del cuore nei Vescovi e nei sacerdoti; rilevava infatti: “L’esperienza quotidiana conferma che, per intendere e vivere in questo modo il proprio compito di presidenza (nella logica cioè del servizio), è decisiva, nei sacerdoti come in noi Vescovi, quella conversione del cuore che è dono di Dio e passa attraverso la nostra rinuncia a noi stessi, con quella libertà sia ulteriore sia pratica che spontaneamente ne scaturisce. Tutti i pur importanti e necessari aggiornamenti delle strutture ecclesiali senza una tale conversione spostano i problemi piuttosto che risolverli”.

 

Metodo, strumenti e tempi

Con riferimento al metodo, agli strumenti e ai tempi il Cardinale faceva presente che “l’ottica nella quale ci muoviamo non è comunque racchiusa nello spazio della presente Assemblea: per giungere a conclusioni pastorali per quanto possibile ben maturate e condivise sembra indispensabile infatti continuare il discorso sia nel Consiglio Permanente sia nelle Conferenze Episcopali regionali, per portarlo a compimento nell’Assemblea Generale del maggio prossimo, in stretto legame con quello sull’iniziazione cristiana, affrontato ma inevitabilmente non concluso nell’Assemblea precedente, muovendoci sempre nel quadro della Lettera Apostolica Novo Millennio Ineunte e dei nostri Orientamenti pastorali Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia”. Il cammino dunque lungi dall’essere concluso è ancora aperto e ritorna, per così dire, alle Chiese particolari e da queste nella sede di mediazione ecclesiale costituita dalle Conferenze Episcopali regionali, nella prospettiva – essa pure evidenziata dal Card. Ruini nella sua prolusione all’Assemblea di Assisi – che “la rete delle parrocchie, che innerva oggi il corpo sociale dell’Italia, costituisca una ricchezza assolutamente da non disperdere e proprio per questo da rinnovare costantemente” e che proprio “attraverso questa rete passano, in grande misura, il legame capillare degli italiani con la Chiesa Cattolica, il carattere popolare e il radicamento territoriale che essa ha in Italia”. I contributi che saranno elaborati in quelle sedi verranno valutati dal Consiglio Episcopale Permanente al quale spetterà organizzarli in piattaforma di discussione da presentare all’Assemblea Generale, luogo nel quale addivenire a quelle “conclusioni pastorali per quanto possibile ben maturate e condivise”, auspicate dal Cardinale Presidente.

Non mancherà certamente a quanti tra voi saranno coinvolti in questi ulteriori passaggi, a livello diocesano e/o regionale, dare il proprio apporto, anche alla luce di quanto emergerà da questo Convegno, per concorrere a uno snodo pastorale certamente decisivo per la vita e la missionarietà della Chiesa nel nostro Paese e per quelle Chiese sorelle che guardano con attenta attesa a quanto progetta e realizza la Chiesa che è in Italia, motivo – quest’ultimo – “di una peculiare responsabilità di cui dobbiamo farci carico, con umiltà e serenità” (Card. Ruini, prolusione).

 

 

Taluni aspetti vocazionali

Conclusa la narrazione dei lavori e della riflessione dell’Assemblea Generale sulla parrocchia, a questo punto del mio intervento, al fine di dare risposta all’assunto finale del tema assegnatomi (“aspetti vocazionali”), raccoglierò, organizzandoli, elementi già presentati nel corso dell’esposizione.

 

La parrocchia

Il primo aspetto vocazionale riguarda proprio la parrocchia, alla quale guardare non come a un’istituzione spersonalizzata, o una struttura fredda, bensì come a soggetto ecclesiale, anzi come “Chiesa che vive tra le case degli uomini”, secondo la ricordata caratterizzazione contenuta nel tema dell’Assemblea, desunta peraltro dal magistero pontificio recente e in conformità con gli orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano. Essa pertanto “è chiamata a rendere visibile la Chiesa ‘radicata in un luogo’, non soltanto in senso topografico ma anche (e più) come rapporto con la gente, con le famiglie e il tessuto della società che vive e opera sul territorio. Quando ci si chiede come mai la parrocchia sia la figura più conosciuta della Chiesa, la risposta sta proprio nel suo carattere di vicinanza e di accoglienza” (Messaggio dell’Assemblea Generale). Questo significa che chi, oggi, pensa a un’altra immagine della parrocchia è come uno che canta fuori dal coro. Pertanto i diversi soggetti, nelle diverse istanze devono impegnarsi a mettere in luce questi tratti identificativi della parrocchia e a trarne le dovute conseguenze sul piano pastorale. La luce che illumina questa casa che è la parrocchia è l’Eucaristia: “Sembra molto fecondo recuperare la centralità della parrocchia e rileggere la sua funzione storica concreta a partire dall’Eucaristia, fonte e manifestazione del raduno dei figli di Dio e vero antidoto alla loro dispersione nel pellegrinaggio verso il Regno” (CVMC 47) [come non pensare alla Gerusalemme messianica del libro dell’Apocalisse (21,23): “La città non ha bisogno della luce del sole, né della luce della luna perché la gloria di Dio la illumina e la sua lampada è l’Agnello”?].

 

Il Vescovo

Guardando, poi, agli altri soggetti, in primo luogo va sottolineata la posizione del Vescovo, ovviamente in riferimento alla parrocchia, la cui vocazione e il cui ministero non possono più essere configurati in termini di episodicità (ad esempio, limitatamente alla celebrazione del sacramento della cresima), o in contesti di straordinarietà (con riferimento, ad esempio, alla visita pastorale), bensì come cura pastorale quotidiana di questa comunità. Egli infatti è “il primo responsabile” della parrocchia, alla quale “deve riservare soprattutto la sua cura” (Messaggio dell’Assemblea Generale). Pare di capire da queste espressioni che i Vescovi sono consapevoli che il loro ministero non può essere considerato sovrapposto o alternativo a quello dei parroci; inoltre sembra ancora che essi non intendano questi ultimi come delegati ad omnia che li liberano dalle preoccupazioni pastorali del territorio e delle singole persone. Il ministero dei Vescovi è invece visto come vera cura pastorale (attenzione costante alle situazioni, soprattutto a quelle problematiche, e decisioni conseguenti e adeguate), pur non avendo ovviamente i caratteri della immediatezza.

 

I parroci e i sacerdoti collaboratori

La parrocchia chiama in causa il ministero presbiterale dei parroci e dei sacerdoti collaboratori nella prospettiva del servizio e della reciproca collaborazione e integrazione. Con le dovute analogie a me pare che dovrebbe poter valere in questo contesto la consapevolezza di Paolo: “Noi non intendiamo far da padroni sulla vostra fede; siamo invece i collaboratori della vostra gioia, perché nella fede voi siete già saldi” (2Cor 1,24). Questo significa che il ministero presbiterale, e in particolare il ministero del parroco, pur rimanendo “figura chiave della parrocchia, anche in ordine al suo indispensabile rinnovamento” (Card. Ruini, prolusione), non può essere interpretato come ruolo al di sopra della comunità, solitario, gerarchico, autosufficiente; al contrario esso va letto in chiave di circolarità comunionale, di corresponsabilità, di riconoscimento della dignità e di valorizzazione dei carismi di tutti. Ricorrendo a un’immagine, inadeguata – come tutte le immagini – ma a suo modo evocativa, il parroco è in qualche modo come un direttore d’orchestra: le musiche non sono sue, ma egli ne è l’interprete e non può stravolgerle a suo piacimento; studia lo spartito ma lo fa eseguire ai musicisti; conosce la parte di ognuno ma non si sostituisce agli esecutori che anzi sostiene perché suonino nel modo più adeguato in perfetta consonanza con l’insieme; da solo non conclude nulla, ma anche gli altri da soli non vanno da nessuna parte.

 

I laici

“Carattere strategico” è riconosciuto all’iniziazione cristiana “per il futuro volto della Chiesa italiana” (Mons. Corti), a partire da una fondamentale acquisizione contenuta negli orientamenti pastorali per il decennio: “Al centro di tale rinnovamento va collocata la scelta di configurare la pastorale secondo il modello della iniziazione cristiana, che – intessendo tra loro testimonianza e annuncio, itinerario catecumenale, sostegno permanente della fede mediante la catechesi, vita sacramentale, mistagogia e testimonianza della carità – permette di dare unità alla vita della comunità e di aprirsi alle diverse situazioni spirituali dei non credenti, degli indifferenti, di quanti si accostano o si riaccostano al vangelo, di coloro che cercano alimento per il loro impegno cristiano” (CVMC 59). In forza dell’iniziazione cristiana i laici sono chiamati non tanto a essere esecutori passivi di decisioni assunte da altri e in altra sede, quanto piuttosto ad assumere un ruolo attivo e corresponsabile, caratterizzato in senso missionario, in modo che “la loro partecipazione alla vita e alle iniziative della parrocchia non sia, per così dire, fine a se stessa, ma venga piuttosto intesa e orientata a prepararli e abilitarli alla testimonianza e diaconia cristiana nelle loro ordinarie situazioni di vita” (Card. Ruini, prolusione).

 

I religiosi e le religiose

“I religiosi e le religiose hanno un valore per quello che sono, prima che per quello che fanno” (gruppo 1). Ciò implica il superamento di una visione strumentale e utilitaristica, che porta a guardare ai religiosi piuttosto con riferimento ai servizi loro richiesti, non di rado nell’ottica della supplenza. Così si auspica la ricerca con loro di un dialogo fraterno e il coinvolgimento dei diversi istituti nell’elaborazione dei piani pastorali diocesani e parrocchiali. Interessante la precisazione del carattere peculiare che l’essere donna conferisce alle religiose, il cui inserimento stabile nella pastorale parrocchiale può apportare un contributo singolare non solo nella “animazione e sostegno delle varie attività, ma ancor più per un rapporto capillare con le persone e le famiglie, nel segno dell’evangelizzazione della prontezza al servizio” (Card. Ruini, prolusione).

 

I diaconi

In Assemblea non è emerso granché, eccettuato un accenno fugace e di passaggio contenuto nella prolusione del Card. Presidente; accenno peraltro che rinvia alla pastorale integrata e missionaria alla quale i diaconi permanenti possono dare un contributo “assai significativo”. Questa circostanza rivela in qualche modo la fatica e le difficoltà che ancora oggi incontrano le Chiese particolari nell’individuare una specifica collocazione per il diaconato e nell’inserire tale ministero nei progetti pastorali diocesani. In ogni caso il riferimento lascia intravedere spazi di intervento e di impegno all’interno dei settori di pastorale, soprattutto nella pastorale d’ambiente, e in particolare nelle nuove strutture pastorali.

 

La famiglia

Il riconoscimento della famiglia come soggetto pastorale rappresenta certamente una rilevante acquisizione e nello stesso tempo una sfida, particolarmente in un momento e in un contesto in cui si attenta in vari modi alla sua identità, configurazione, originalità, stabilità, centralità e fecondità, con particolare attenzione ai risvolti propriamente sacramentali e “profetici” della famiglia. Nei lavori di gruppi è stato osservato che la famiglia può dare alla parrocchia la propria “soggettività ministeriale, ricca della fecondità del servizio alla vita e della missione evangelica”; mentre la parrocchia deve impegnarsi a offrire itinerari di catechesi specifici per le diverse età e condizioni, in particolare nei confronti dei fidanzati e degli sposi in modo da alimentare il cammino di fede e vocazionale di ciascuno.

 

Associazioni e movimenti ecclesiali

L’argomento è stato affrontato con circospezione, evitando sia di avallare qualche posizione radicaleggiante di contestazione globale dei movimenti, sia di assumere atteggiamenti di favore incondizionato. Peraltro la presenza di esponenti di primo piano delle più diffuse aggregazioni nazionali (Azione Cattolica Italiana, Agesci, Rinnovamento nello Spirito Santo, Cammino Neocatecumenale, Comunità di Sant’Egidio, Movimento dei Focolari) e internazionali ha consentito a questi di far sentire talune esigenze di fondo dell’Episcopato e di offrire loro nello stesso tempo l’opportunità di poter intervenire nei momenti assembleari e nei lavori di gruppo e di incontrare singoli Vescovi.

Con riferimento ai lavori di gruppo è stato osservato che il rapporto tra parrocchia, associazioni e movimenti deve essere declinato all’interno dell’orizzonte teologico-pastorale della diocesi, “figura piena di Chiesa, nel cui ambito le diverse articolazioni debbono e possono trovare mutue relazioni” (gruppo 10). Il contesto pastorale in cui situare tale rapporto è quello della risposta al processo di scristianizzazione e dell’urgenza di comunicare il vangelo al mondo che cambia all’interno del progetto pastorale diocesano. Ovviamente, preliminare a qualsiasi rapporto è l’accoglienza, la stima e la valorizzazione di tutte le aggregazioni, dei movimenti in specie, delle quali incentivare e favorire l’inserimento negli organismi diocesani. I movimenti, a loro volta, devono sentire attaccamento e radicamento verso la Chiesa particolare e partecipare attivamente alla loro vita (elaborazione di piani pastorali, attività formative, azione missionaria, momenti di riflessione e di preghiera,…), accettando l’inevitabile dialettica che da sempre ha caratterizzato la presenza dei movimenti nella comunità.

 

 

Conclusione

È stato rilevato che la scelta di rimettere a tema la parrocchia, per certi versi, ha colto di sorpresa alcuni che non si aspettavano tanta attenzione verso la parrocchia, inclini a pensare che prima o poi tale realtà sarebbe svanita nel nulla senza creare il problema di porre in essere atti formali di soppressione. Per altro verso tale scelta ha suscitato entusiasmi e consensi, ugualmente inattesi, da valutare con atteggiamento distaccato e critico per non cadere in uno stato euforico dagli esiti imprevedibili.

La posizione più corretta da assumere pertanto è quella equidistante e un po’ distaccata che non lascia prendere la mano e che considera ogni cosa con realismo e obiettività: né affossare, né sublimare. La parrocchia non è sicuramente un dogma di fede; ma nello stesso tempo non è un relitto del passato che ha fatto il suo tempo e che deve lasciare il campo libero a realtà che scalpitano per prendere il posto.

In quest’ottica sembra da condividere la linea dell’Episcopato italiano che, senza fretta e senza isterismi, intende inserire il tema in un contesto (gli orientamenti pastorali decennali); intende privilegiare un progetto strategico (la conversione missionaria della pastorale); non vuole lasciare nessuno fuori dalla porta, neanche chi nel passato più o meno recente è sembrato porsi in contestazione o in alternativa rispetto alla parrocchia; vuole riposizionare il discorso sulla parrocchia nell’ottica dell’iniziazione cristiana, con particolare riferimento all’Eucaristia; nulla rinnega per principio del proprio passato, nulla rifiuta del nuovo, come lo scriba discepolo del regno che dal suo tesoro sa estrarre, per comporle in sintesi nuova e originale, cose nuove e cose antiche (cfr. Mt 13,52).