N.02
Marzo/Aprile 2004

Per una pastorale vocazionale efficace in parrocchia

Come la parrocchia può essere grembo fecondo di vocazioni.

La “tavola rotonda” prevista a metà circa del Convegno aveva una funzione che è stata ampiamente raggiunta: dare concretezza alle analisi e agli orientamenti pastorali attraverso esperienze di attività vocazionali efficaci già realizzate e raccontate dagli stessi protagonisti. Si trattava di dare speranza a chi opera nella pastorale ordinaria spesso con molte preoccupazioni sia per le situazioni delle parrocchie, sia per i compiti crescenti davanti a loro. Ai quattro testimoni è stato chiesto se davvero una “comunità eucaristica”, che sta sotto la Parola e vuole accompagnare tutte le vocazioni, può farlo oggi e come.

 

Don Antonio Falcioni

Parroco della Parrocchia di Monterotondo Scalo (15.000 abitanti), direttore dell’ufficio di pastorale giovanile della diocesi di Sabina-Poggio Mirteto. Un parroco, dentro i tanti impegni della pastorale ordinaria, può aprirsi alla pastorale vocazionale? Come? Quali obiettivi si deve dare? Chi può coinvolgere? A chi si rivolge? Quali sono le difficoltà e le potenzialità di una parrocchia come la sua nell’ attuare una pastorale vocazionale ordinaria?

 

Suor Michela Posla

Da Morimondo (MI), delle Suore Oblate di Maria Vergine di Fatima, lavora nell’oratorio parrocchiale, nel CDV di Milano, responsabile vocazionale della sua zona. Una religiosa che vive da diversi anni, con la sua comunità, in parrocchia cosa può dire su di essa come “grembo” della sua vocazione religiosa all’inizio e adesso? Sta vivendo il suo servizio di animatrice vocazionale come un mandato della parrocchia stessa? Come crea le condizioni per la pastorale vocazionale? La realizza solo verso i vicini o anche verso i “lontani”? Si inserisce nella diocesi o vuole lavorare autonomamente?

 

Padre Giuseppe Magliani

Provinciale degli Oblati di S. Giuseppe del Marello, in parrocchia per 15 anni a Sesto Fiorentino. Davanti al richiamo dei Vescovi italiani ad una “pastorale integrata”, ci chiediamo: è possibile per un religioso, con la sua comunità, in parrocchia, progettare e attuare la pastorale vocazionale ordinaria? Come? Quali persone coinvolge, quali strumenti pastorali utilizza? Quale stile, derivante anche dal carisma proprio conciliato con la pastorale diocesana e parrocchiale, mantiene in vista dell’efficacia vocazionale?

 

Caterina Brunetto

Consacrata secolare, rappresentante della CIIS presso il CNV, animatrice parrocchiale. Se è vero che la parrocchia deve riscoprire il “territorio”, nella pastorale ordinaria una consacrata secolare, come fa l’animatrice vocazionale? Come si muove dentro la parrocchia e fuori, nel suo impegno sociale e professionale sul territorio, per una pastorale vocazionale che raggiunga tutti?

 

Conclusione

Il “segreto” dunque per far essere feconde le parrocchie anche oggi come ieri, ma in modi diversi perché la realtà è molto mutata, sta nell’attuare itinerari completi con un annuncio integrale del vangelo della vocazione. Dove, cioè, l’intreccio tra la testimonianza personale, l’attenzione alle relazioni personali, la cura della ministerialità, l’attenzione alle celebrazioni liturgiche, alla Parola e all’impegno caritativo e missionario, è sempre preparato e accompagnato da proposte serie ai singoli per favorire salti di qualità. I quattro testimoni hanno precisato che i contenuti delle catechesi o i motivi del coinvolgimento dei laici negli organismi e nei servizi stabili, la preghiera, gli incontri, hanno sempre un taglio tranquillamente vocazionale. Il tema vocazionale è esplicitato, in tutte le sue sfumature a servizio della maturazione di tutti, non solo dei giovani. Possiamo concludere dalle loro parole che una parrocchia che non forma cristiani maturi nella fede e nella carità non può generare vocazioni, ma anche che senza una consapevole scelta vocazionale nessun cristiano giunge alla maturità.

 

 

PRIMO CONTRIBUTO

Come la parrocchia può essere grembo fecondo di vocazioni? L’esperienza di un parroco

di Antonio Falcioni

 

Un’icona evangelica: la Visitatone

– L’incontro rivela identità e chiamata e fa nascere la prima professione di fede.

– Lo stile è il servizio generoso attuato anzitutto con la prossimità, il restare-con.

 

Da questa icona: quale idea di uomo?

– L’uomo scopre, costruisce la sua identità nella relazione;

– la vocazione è l’identità più profonda dell’uomo: siamo perché chiamati e siamo (immagine di Dio) ciò che siamo chiamati ad essere (perfetti come il Padre).

 

Da questa idea di uomo quale parrocchia?

– Luogo di incontro, di relazioni significative con Dio e con i fratelli. Comunità famiglia di famiglie.

– Lo stile: relazioni rinnovale del comandamento dell’amore (amatevi come io vi ho amato) e modellate sul servizio (la lavanda dei piedi).

 

Questi sono i presupposti necessari perché il giovane viva un’autentica esperienza di fede nella comunità che gli permetta di percepire la propria identità e di accogliere la vocazione alla santità che si attua nella scelta vocazionale: essere ciascuno per sua parte membro vivo del corpo di Cristo, pietra viva e scelta per l’edificazione dell’edificio spirituale che è la Chiesa.

 

 

Alcuni rischi da evitare

La parrocchia azienda

– È lo Spirito che da vita non l’efficienza: persone, non numeri;

– né improvvisazione né progetti;

– apertura reale all’altro vuole dire cordiale simpatia per la novità (forma Dei in forma servi, servizio=non attaccamento alla propria forma).

 

Pratiche abortive

– Fretta di coprire buchi per realizzare piani nostri che non necessariamente coincidono con la vocazione dell’altro. A volte sono i giovani stessi che hanno fretta di darsi un volto…

 

Gravidanze extra-uterine

– Nessuno, neanche il prete, può dimenticare che il grembo che può far crescere una vocazione non può essere un individuo staccalo dalla comunità.

 

Nella mia Parrocchia…

La Chiesa è la tua Casa

– Comunità stile famiglia, luogo di relazioni significative.

– Corresponsabilità che aiuti a sperimentare e a vivere la serietà vocazionale e la dignità del servizio svolto.

– Collaborazione che si fonda sulla comunione: lavoriamo insieme perché siamo uno in Cristo.

 

Il Pane e la Parola

La comunità non è il fine, ma è lo strumento. Essa serve a far incontrare Cristo, da qui la centralità dell’ Eucaristia e della Parola di Dio.

– Cura della celebrazione eucaristica, anche feriale;

– formazione alla vita liturgica e alla preghiera;

– cura della formazione spirituale degli operatori pastorali;

– curare la preghiera per la vocazioni (Monastero invisibile, adorazione).

La comunità intera deve accompagnare il giovane ad incontrare Cristo, la vita della parrocchia deve fargli nascere il gusto di seguirlo più da vicino.

 

Scelta della molteplicità

Importanza del piccolo gruppo che faciliti relazioni forti e aiuti il giovane a fare unità e a darsi un volto.

– Necessità di proposte  differenziate modellale sulle persone. Anche nella iniziazione cristiana. Perché non farla nell’Associazione, (A.C., Scout), perché non proporre la catechesi parrocchiale in modo esperienziale e comunitario…? Evitare la tentazione del “monolite”.

– Necessità della Comunione: nel gruppo oltre il gruppo. Il corpo di Cristo, ciò che fa fare esperienza di Gesù è la Comunità non il gruppo. Chi cresce in un gruppo che non vive in comunione con la comunità rischia di avere una vita di fede e una vocazione abortita per gravidanza extra-uterina.

 

Simpatia per l’imperfezione e proposta di radicalità

– Accompagnare i giovani significa anzitutto accoglierli per quello che sono con cordiale simpatia Questo richiede di rimuovere ogni paranoia perfezionista

– Il giovane per dirsi, deve essere certo che può   non   vergognarsi   di   quello che è, che può rivelare le sue zone d’ombra senza timore di non essere accollo o (di essere) giudicato.

– Per esercitare il proprio servizio e maturare la scelta vocazionale il giovane ha bisogno di crescere in quella autonomia   e   libertà   interiore   che vengono dalla fede e non da una auto-stima che si fonda su una propria perfezione umana. Perciò occorre:

* non aver timore di chiedere molto ma simpatia e serenità paziente nel rispettare i tempi di maturazione.

* Proporre esperienze forti di spiritualità che aiutino a fare unità nella propria vita. Familiarità con la Parola.

* Offrire proposte forti di servizio che aiutino a passare dal volontariato alla scelta.

 

Attenzione a tutta la vita del giovane

Un rischio diffuso è che abbiamo attenzione solo per ciò che ci interessa. Cioè seguiamo il giovane solo nella fetta di vita che è la vita di parrocchia o di servizio ecclesiale. Le proposte di crescita che offriamo toccano solo questo… I giovani poi favoriscono questo frazionamento… è tipico oggi il sistema delle vite parallele. Qui la parrocchia deve davvero essere madre e favorire una maturazione integrale della persona offrendo al giovane opportunità per dirsi, confrontarsi, interrogarsi, misurarsi. Non basta il Padre spirituale. È importante il confronto tra pari, con ambienti più ampi, con gli ambiti di vita: scuola, famiglia, tempo libero, vita affettiva. È necessaria la collaborazione tra pastorale giovanile, familiare, vocazionale e iniziazione cristiana. Vitale è pure la collaborazione con la diocesi. Spesso solo la comunità diocesana può offrire occasioni culturali dove i giovani possono avere un confronto e un riferimento che vada oltre il Maurizio Costanzo Show.

Concludendo, voglio tornare sul testamento di Gesù che affidando i suoi al Padre, prega svelando il suo desiderio più ardente: che siano una cosa sola perché il mondo creda. La comunione, le relazioni forti e libere, rimodellate dal comandamento dell’amore, una comunità aperta alla novità e a quanto suggerisce lo Spirito, disponibile ad accompagnare con cordiale simpatia i giovani, sono condizioni necessarie non soltanto perché il mondo creda, ma anche perché i giovani possano essere aiutati a capire la volontà di Dio e sentirsi sostenuti per avere il coraggio di scegliere con generoso entusiasmo.

 

 

 

SECONDO CONTRIBUTO

Come la parrocchia può essere grembo fecondo di vocazioni. L’esperienza di un religioso

di Giuseppe Magliani, O.S.J.

 

Mi stata chiesta una rilettura critica della mia esperienza di viceparroco a Sesto Fiorentino e di evidenziare ciò che ha consentito il fiorire di vocazioni di speciale consacrazione e matrimoniali. Ritengo necessario spiegare brevemente come e quando sono giunto a San Giuseppe Artigiano, parrocchia del Vicariato di Sesto Fiorentino-Calenzano, in diocesi di Firenze. Avevo 35 anni, ero sacerdote da 7. Dopo 4 anni (1 da diacono e 3 da sacerdote) di lavoro nella Parrocchia N. S. delle Grazie a Nuoro (dove sono stato ordinalo), ho vissuto 1 anno ad Asti come responsabile del Seminario degli O.S.J. e 3 anni come Animatore Vocazionale a tempo pieno nelle diocesi di Milano, Como, Novara (residente in una Comunità O.S.J. che aveva in cura una parrocchia di Meda). 

Sono arrivato a Sesto Fiorentino, come Vice Parroco, i primi giorni di ottobre del 1984 per occuparmi, in particolare, dell’Oratorio e della Pastorale Giovanile. Portavo con me la sfida personale di passare dall’animazione di ragazzi e giovani che manifestavano alcuni “segni di vocazione” a lavorare perché ogni ragazzo potesse scoprire di essere un chiamato: la chiamata di Dio non esclude nessuno, ma abilita tutti a vivere in maniera “responsabile” l’esistenza.

 

Le scommesse di partenza

La convinzione di fondo che ci ha guidati (4 parroci e vari sacerdoti si sono succeduti in 15 anni) è stata una pastorale ordinaria, pensata e realizzata in modo “straordinario” in fedeltà al mandato di San Giuseppe Marello “siate straordinari nelle cose ordinarie”. Straordinari, quindi, non per le cose che si fanno ma per il modo in cui si fanno: “con il più grande amore possibile” (Giovanni Paolo II). Partendo dalla consapevolezza che tutti siamo chiamati e che solo la risposta a questa chiamata è piena realizzazione umana abbiamo cercato sempre di animare tutta la Comunità Parrocchiale portandola a riflettere sulla vita come vocazione e sulle specifiche vocazioni cristiane. Si trattava di presentare tutte le vocazioni come specifiche risposte personali alla chiamata di Dio. Da qui è nata l’esigenza e l’urgenza di un cammino vocazionale in parrocchia. Per cercare di calare in ogni ambito della pastorale l’aspetto vocazionale (senza dover creare nuove iniziative ma cercando di animare in tal senso tutto quanto già esisteva) abbiamo coinvolto il Consiglio Pastorale (Commissione Liturgia e Catechesi, Carità, Famiglia, Giovani), gli Animatori dell’Oratorio, i Catechisti e noi tutti sacerdoti, per primi.

È stato così possibile elaborare una proposta pastorale per una “Chiesa di popolo”: garantire a tutti l’essenziale della vita cristiana (evitando i rischi del “turismo religioso”, dei privilegi di parte, di “pedaggi” supplementari). Concretamente, cosa significa questo? L’impegno era di riuscire ad assicurare ad ogni persona della Comunità ciò che è essenziale per la vita cristiana e a cui, quindi, ognuno ha diritto. Non potevamo mandare “altrove” chi domandava di essere educato all’ascolto della Parola di Dio, chi desiderava un’esperienza personale e comunitaria di preghiera, chi chiedeva il pane dell’Eucaristia e del Perdono, chi cercava un’autentica esperienza di Comunità e di Amore fraterno. Questo senza chiuderci tra quattro mura, con la presunzione di essere autosufficienti, ma impegnati ad aiutare ciascuno a vivere l’esperienza essenziale di essere Chiesa nel proprio territorio (Diocesi).

La situazione di partenza non era facile: ambiente di periferia (la parrocchia aveva 10 anni di vita, si trova ai confini tra Sesto e Calenzano, alla periferia di Firenze, popolazione eterogenea come provenienza e scarsamente amalgamata). Forse anche per questi dati la sfida era stimolante: una parrocchia che potesse essere grembo materno di tutte le vocazioni.

 

Un paio di scelte

Vista l’esperienza dell’abbandono in massa dei ragazzi dopo la Cresima, siamo arrivati subito alla scelta di lavorare con i ragazzi in Oratorio e di investire le energie migliori nella catechesi parrocchiale. Un impegno fondamentale è stata la formazione spirituale e metodologica dei Catechisti e degli Animatori. Mi è venuto spontaneo, dal primo anno, un colloquio personale con tutti i ragazzi nei mesi che precedevano la Cresima. Questo mi ha consentito di conoscerli meglio, di individuare i problemi reali e di elaborare proposte adatte. Per diversi anni le proposte più interessanti sono state rivolte al momento adolescenziale che ritenevamo decisivo anche per la scoperta della propria vocazione. Ricordo semplicemente le “proposte forti” che venivano loro fatte: Campi Scuola, Giornate di Ritiro, educazione alla preghiera, esperienze di servizio, incontri con “testimoni” significativi (molti ricordano ancora l’incontro con Don Italo Castellani a Cortona durante un Campo estivo), ecc.

Ci sono luoghi e persone importanti da ricordare: l’Eremo di Lecceto nei pressi di Siena è stato ed è un riferimento costante per tanti. Ricordo anche gli incontri per i giovani a Montesole con Don Giuseppe Dossetti e la sua comunità, il confronto con la Scuola di Barbiana e i “ragazzi” di don Lorenzo Milani, la partecipazione agli Incontri proposti dalla Diocesi di Firenze (il Card. Piovanelli è stato un “maestro” per noi), l’esperienza della “beatificazione” del nostro Fondatore San Giuseppe Marcilo e il conseguente incontro-confronto con la “santità”. Fondamentale, però, è sempre stato l’itinerario ordinario: incontro settimanale di catechesi a partire dall’ascolto della Bibbia-Parola di Dio, Messa domenicale con la propria comunità, presenza ed attività in Oratorio per un’esperienza di “Chiesa a misura di ragazzi”, confessione e direzione spirituale.

La presenza e l’azione di alcuni Animatori, la testimonianza di vita di alcune persone giovani e adulte della Parrocchia sono state tra le cose più significative e decisive nella maturazione di scelte vocazionali. Presto ci siamo resi conto che il lavoro con gli adolescenti e giovani era possibile solo se, prima, c’è stato un tempo formativo da piccoli. È questo il momento in cui è stata privilegiata l’educazione dei bambini a partire dalla vocazione dei genitori. La domanda alla quale abbiamo cercato di trovare una risposta era: “Come parlare di Dio ai bambini”? Un grande aiuto per iniziare ci è stato offerto da Don Luca Bonari: la vicinanza con Siena ha reso possibile la sua presenza per un ciclo di incontri (durato 3 anni) per i genitori che avevano bambini da “zero a tre” anni. Questo ha portato alla riscoperta della vocazione di essere “padre” e “madre” (e non solo genitori) dei propri figli e la disponibilità di nuove energie educative.

 

La comunità religiosa

Mi è stata posta la domanda: come la comunità religiosa ha influito nel crescere e maturare delle vocazioni? Penso immediatamente alle persone che hanno composto questa comunità nel corso degli anni. Il numero è stato variabile (da 3 a 5). Oltre ai sacerdoti, c’è stata la presenza, per un certo periodo, di un fratello laico, uno studente di teologia, un seminarista in “crisi” vocazionale). Il parroco è stato il vero “padre”. Insieme a lui 2 vice parroci (uno giovane e uno anziano), per alcuni anni un confratello di origine estera (India, Polonia). Una comunità assolutamente normale, formata da persone ricche di doni e di limiti personali. A ripensarci bene forse una cosa era importante per tutti: stavamo volentieri insieme e ci siamo voluti sinceramente bene.

Abbiamo cercato sempre di vivere uniti, al di là delle differenze di età e delle idee personali. Ci incontravamo periodicamente per decidere insieme le cose da fare e, nei limiti del possibile, partecipavamo tutti agli avvenimenti più importanti che riguardavano la vita della comunità parrocchiale, al di là delle responsabilità personali di ciascuno. Lo “stare in mezzo alla gente”  più che una scelta era un modo naturale di essere: la stessa disposizione degli ambienti della comunità religiosa ci facevano vivere gomito a gomito con i laici collaboratori nell’apostolato. Un esempio: è successo più di una volta che, al termine di una giornata di lavoro, qualcuno si fermasse per preparare la cena (perché magari la cuoca era malata) e cenasse con noi (diverse volte anche qualcuna di quelle ragazze che oggi sono monache!).

 

Alcuni dati e qualche domanda

Non so quanto la mia esperienza sia significativa o possa offrire indicazioni pastorali concrete. Qualcuno si chiederà (ce lo chiediamo sempre e lo chiedono i vari Superiori) che risultati abbia dato tutto questo. Prima di provare a rispondere, permettetemi una precisazione cui tengo particolarmente: ogni vocazione è sempre e solo “dono di Dio”. Questo aumenta l’impegno degli “operai della Vigna” a lavorare per preparare un terreno fertile dove la Parola, come “la pioggia che scende”, possa “operare ciò che Dio desidera” (Is 55,10-11).

Se guardo alle vocazioni di speciale consacrazione posso affermare che, dopo 10 anni, alcuni frutti si vedono. A distanza di pochi mesi, 2 ragazze sono entrate in 2 ordini religiosi contemplativi: Patrizia nelle Figlie della Chiesa di don Divo Barsotti; Claudia nelle Monache Agostiniane di Lecceto (SI). Più o meno nello stesso periodo, Annalisa da infermiera e ostetrica a Careggi ha scelto di essere missionaria laica in Africa; infine, quest’anno, Eva è entrata anche lei tra le Agostiniane di Lecceto. Tutte ragazze cresciute in Parrocchia e Oratorio, con un itinerario spirituale serio, nel servizio di catechesi, liturgia, animazione giovanile alla comunità. Quattro storie che dimostrano, a chi le conosce da vicino, come Dio sia capace di stupirci.

Se allargo lo sguardo, vedo una serie di giovani che, nella stessa comunità e con gli stessi itinerari formativi, hanno maturato scelte di vita matrimoniale come vera risposta ad una vocazione cristiana. L’esperienza personale mi porta ad affermare un forte legame tra pastorale giovanile e pastorale vocazionale.

Posso, allora, terminare con alcune “provocazioni”? La crisi oggi è probabilmente di pastorale giovanile. Se non ritroviamo le motivazioni, la voglia e il coraggio di “stare in mezzo” ai ragazzi e ai giovani come possiamo educare i giovani alla scoperta del valore e senso della loro vita? Se non portiamo nella quotidianità la testimonianza della gioia del nostro essere consacrati come possiamo suscitare la domanda?

Se una comunità religiosa non riflette sul proprio modo di essere accogliente verso ogni persona come può essere significativa ed interessante? 

Infine: quando troveremo il coraggio di proposte senza confini, senza definire prima i destinatari, ma semplicemente disponibili a seminare a piene mani?

Forse qualche cieco griderà aiuto, qualche sfiduciato alzerà il capo, qualcuna seduta ad un pozzo riaprirà i conti con la vita… E si apriranno nuove strade e nuovi itinerari vocazionali.

 

 

TERZO CONTRIBUTO

Come la parrocchia può essere grembo fecondo di vocazioni. L’esperienza di una religiosa

di Michela Posla, delle Oblate di Maria Vergine di Fatima

 

“Noi dobbiamo ascoltare la Parola di Dio nella nostra vita quotidiana, nella relazione permanente con Dio, nelle nostre relazioni con gli uomini. Dio ci ha fatti alleanza. Siamo un fatto di alleanza divina. Ma, perché questa alleanza sia da noi vissuta, universalmente in spirito e grazia, bisogna che sia praticata concretamente là dove siamo, quotidianamente, fra uomini che conosciamo. Per questa gente noi siamo “fatti” alleanza, come per un dovere di stato personale. Bisogna dunque che la gente esista per noi, sia presente in noi, come noi siamo presenti a noi stessi” (M. Dêlbrel).

“Dio ci ha fatti alleanza”, è un’espressione di una grande mistica del nostro tempo che può ben riassumere la mia vocazione di religiosa, Oblata di Maria Vergine di Fatima, e la mia missione al servizio della piena realizzazione della vocazione di ogni uomo.

Sono infatti convinta che, per vocazione, Dio vuole che la mia presenza sia una mediazione di salvezza, tra Lui e i miei fratelli, perché attraverso i miei gesti, le mie parole, la mia presenza, tutti gli uomini, in particolare i giovani, possano conoscere il Volto Misericordioso di Dio e sentirsi attratti da questa bellezza.

La parrocchia, in quanto comunità di persone esperte in umanità ed adulte nella fede, punto di riferimento anche per chi non la frequenta più stabilmente, è il luogo privilegiato in cui sono stata chiamata ad offrire il mio servizio di mediazione di alleanza, senza alcuna pretesa, ma con estrema fiducia e generosità. La parrocchia è stata il “grembo” della mia vocazione e lo è tuttora.

Infatti, la mia storia vocazionale nasce proprio in parrocchia, in una piccola comunità della periferia di Milano, dove le suore dell’Istituto a cui appartengo svolgevano il loro servizio di animazione con tutte le categorie di persone, specialmente con i “poveri nello spirito”. Ancor oggi è nella parrocchia che si alimenta e si esprime la mia vocazione di religiosa. Sono infatti presente con la mia comunità presso la parrocchia di S. Protaso a Milano. La parrocchia, situata tra la zona Fiera e San Siro, pur non essendo molto estesa, ha un elevato numero di abitanti (più di 16.000) con una presenza rilevante di edilizia popolare dove non mancano miseria, solitudine, sofferenza ed emarginazione.

Questo è stato il primo mandato che ho ricevuto dall’obbedienza al termine del periodo di formazione, dopo alcuni anni di studi universitari. La comunità OMVF è presente in questa parrocchia da ormai 20 anni; al mio arrivo mi è stata subito affidata una classe di catechismo e il servizio di “sacrestia”… Il nostro parroco, uomo di solida e tradizionale esperienza pastorale, fin dall’inizio ha voluto che le suore prestassero il loro servizio in qualità di “custodi” della Chiesa e degli arredi sacri; così questo è stato uno dei primi compiti affidatomi.

Figuriamoci lo stato d’animo con cui ogni mattina scendevo in sacrestia per aprire la Chiesa: io, giovane professa di ventotto anni, alla prima esperienza apostolica, piena di entusiasmo e zelo pastorale… ero quanto meno demoralizzata! Ero desiderosa di donarmi, di comunicare a tutti la gioia della fede, di svolgere il mio servizio tra i giovani, in oratorio nella “terra degli oratori”, e invece…

La formazione che avevo ricevuto dal mio Istituto e dai corsi di pastorale promossi dall’USMI, mi rendeva consapevole del mio ruolo di religiosa in parrocchia: essere una donna consacrata che, attraverso la propria testimonianza dell’Assoluto di Dio, è capace di trascinare nell’esperienza dello Spirito i fratelli e le sorelle che incontra. Mi sentivo chiamata ad essere per tutti i fedeli della Parrocchia sorella e madre spirituale, capace di generare nuovi figli alla Chiesa, di custodire e valorizzare ogni frammento dell’esistenza dei miei fratelli e sorelle… in modo particolare dal carisma del mio Istituto, che mi chiama ad essere come Maria, compagna nel cammino spirituale dell’uomo di oggi, avevo ricevuto un particolare amore per i giovani. Avrei voluto essere la “collaboratrice della loro gioia” e, invece mi ritrovavo chiusa tra quattro mura, sola; mi sentivo soffocare in quella realtà che mi andava stretta.

Che fare?! Potevo semplicemente eseguire il compito che mi era stato affidato oppure vivere “la novità feconda” della mia identità di religiosa dentro “la sterile monotonia” di una certa impostazione pastorale. Consapevole che il primo servizio che potevo offrire nella mia comunità ecclesiale non era tanto quello di “fare” determinate attività, quanto quello di “essere” una presenza significativa, ho deciso di puntare sulla qualità della mia vita e dei rapporti che, mano a mano, andavo tessendo. Da questa scelta è iniziato un vero e proprio rinnovamento, sia in me che attorno a me.

Le mie superiore e la mia comunità sono state un fondamentale punto di riferimento e sostegno nell’intraprendere questo cammino: mi hanno consentito di frequentare diversi corsi di formazione promossi dall’USMI e dalla Diocesi di Milano attraverso i quali la mia vocazione ha acquisito un ampio respiro ecclesiale e una discreta competenza nel settore pastorale. Sono così riuscita ad inserirmi dentro il contesto parrocchiale, talvolta ristretto, con la specificità della mia identità di religiosa Oblata e con una speranza nuova, nonché con l’entusiasmo che mi caratterizza. Ero consapevole che per portare la novità evangelica dentro la comunità ecclesiale dovevo vivere prima di tutto e soprattutto la comunione a tutti i livelli: con il Parroco, il Viceparroco, i laici, i giovani, ecc.: essere costruttrice di comunione, essere “donna di comunione” a tutti i costi, anche se comportava talvolta saper perdere. Così, illuminata da queste certezze ho valorizzato i rapporti personali, sapendo che questa era la strada maestra per sostenere le persone che incontravo nel cammino spirituale e vocazionale.

Sintetizzo in tre passaggi il mio modo di attuare questa consapevolezza. Il primo passaggio è stato quello di “guardare attorno”. In Chiesa ho iniziato a riconoscere i volti che ogni giorno mi si presentavano, interessandomi di loro, fermandomi a fare quattro chiacchiere, chiedendo loro di pregare per i bambini che incontravo al catechismo. In questo modo ho allenato il mio sguardo e, pian piano, ho iniziato a conoscere e riconoscere anche i volti dei giovani e delle giovani che, in modo sistematico o straordinario, passavano in Chiesa.

Il secondo passaggio è stato quello di “guardare da vicino”. Mi sono impegnata ad avvicinare i giovani, a conoscerli, a pregare con loro e per loro, per le loro necessità, invitandoli a tornare perché io ero lì pronta ad accoglierli ogni volta che ne avessero avuto bisogno.

Il terzo passaggio è stato “guardare fuori”. Dalla sacrestia, punto strategico dell’edificio, ho anche iniziato ad osservare gli adolescenti e preadolescenti che si incontravano nel cortile della parrocchia. Dalle finestre ho iniziato a guardarli, ad ascoltare i loro discorsi… tutto in modo nascosto! Questo escamotage, un po’ birichino si è però rivelato preziosissimo nei momenti in cui riuscivo ad incontrarli: loro si sentivano conosciuti. Quello che all’inizio mi era apparso un luogo sterile ora si andava trasformando in un terreno fecondo. I giovani, gli anziani, giorno per giorno hanno capito che in parrocchia c’era una suora sempre pronta ad accoglierli, ad ascoltarli e ad aiutarli a percorrere la strada della quotidianità con gioia.

Nel giro di pochi mesi avevo già conosciuto numerosi adolescenti e giovani e le rispettive famiglie che, incuriosite dal nuovo “luogo di ritrovo” dei figli, venivano a conoscermi. Anche il parroco ha iniziato a guardare con curiosità la sacrestia piena di gente, accettando che ci fosse più movimento del solito. Con lui e con i suoi coadiutori ho consolidato il rapporto di stima e di reciproca collaborazione, già iniziato dalle consorelle che mi avevano preceduto in parrocchia. La mia comunità spesso si ritrovava con il sacerdote responsabile dell’oratorio per pensare e progettare il vero bene degli adolescenti e dei giovani. Con il vice parroco abbiamo iniziato a seguire in modo sistematico le giovani famiglie, proponendo incontri, giornate di condivisione, ritiri. In breve anche le porte dell’oratorio mi sono state “aperte” dai ragazzi stessi che hanno chiesto al Don la mia presenza di animazione all’oratorio estivo.

Il mio coinvolgimento a livello parrocchiale è andato man mano crescendo, le relazioni instaurate mi hanno dato la possibilità di inserirmi nelle diverse iniziative di animazione e di spiritualità, di accompagnare i giovani nella loro ricerca vocazionale, di “esserci” in mezzo alla gente, condividendone fino in fondo gioie e dolori. Il senso ecclesiale che mi portavo dentro, mi faceva sentire che non era sufficiente per i giovani sentire la parrocchia come il “nido” protetto dove trovare ascolto e comprensione: volevo rilanciarli in un’esperienza di fede più ampia e provocatoria. Così, oltre a varie esperienze di servizio, li ho aiutati ad aprirsi alle proposte della Diocesi, del Servizio di Pastorale Giovanile e del Centro Diocesano Vocazioni.

Io stessa mi sono inserita nel Centro Diocesano Vocazioni di Milano per attingere tutta la ricchezza che questo organismo di partecipazione può offrire a me e alla mia parrocchia e per prestare il mio contributo di religiosa. Ho percorso questo cammino che mi ha portato a divenire dentro la mia comunità parrocchiale animatrice vocazionale, grazie al sostegno costante della mia comunità religiosa che, credendo insieme a me alla preziosità di questo servizio, spesso mi ha sostituito in altri compiti per lasciarmi la libertà di dedicare tempo ai giovani e alle iniziative parrocchiali. Accanto ai giovani dell’oratorio non ci sono solo io, ma siamo presenti come comunità religiosa, inserita nella grande comunità che è la parrocchia.

Questi anni di vita in parrocchia, mi hanno offerto l’opportunità di intessere relazioni significative, attraverso le quali anche io sono cresciuta nella fedeltà a Dio e all’uomo. 

Sono grata al Signore per questa esperienza pastorale, perché mettendomi a servizio della vocazione altrui, sempre più realizzo la mia vocazione religiosa in tutta la sua bellezza e fecondità.

 

 

QUARTO CONTRIBUTO

Come la parrocchia può essere grembo fecondo di vocazioni. L’esperienza di una consacrata

di Caterina Brunetto, Rappresentante della CIIS nel CNV

 

Il laico consacrato nella parrocchia…

La mia esperienza come animatrice vocazionale nasce dall’incontro con il servo di Dio don Pino Puglisi, con cui ho avuto la gioia di condividere alcune esperienze di evangelizzazione   e   di   pastorale vocazionale. Direttore del CDV di Palermo, don Pino, fermamente convinto che la pastorale vocazionale deve animare la pastorale ordinaria, inizia la formazione degli animatori vocazionali parrocchiali promuovendo un corso di formazione in diocesi. Mi piace riportare, dai suoi scritti, le linee portanti del suo pensiero sulla pastorale vocazionale, linee che ho condiviso fin dall’inizio.

“L’azione che la Chiesa, e quindi ogni comunità cristiana, deve promuovere per rendere cosciente ciascun battezzato della sua vocazione alla comunione con la Trinità e con la comunità dei fratelli, è aiutarlo a scoprire e accogliere i carismi ricevuti dallo Spirito ed a porsi generosamente e fedelmente a servizio dei fratelli, nel modo che lo Spirito stesso gli suggerisce e la comunità gerarchicamente costituita gli indica”. Si tratta, quindi, di pensare a tutta l’azione pastorale della Chiesa in chiave vocazionale, anzi dice ancora lui che “tutta la pastorale della Chiesa deve essere pastorale vocazionale; deve mettere in atto in modo coordinato e unitario, la ministerialità di ciascun membro della comunità. Nella parrocchia tutta la pastorale dovrebbe essere attraversata dalla linea vocazionale, insieme a quella missionaria: tutti chiamati, tutti mandati”.

Una parrocchia aperta e attenta alla dimensione vocazionale non può fare a meno di favorire l’espressione di concreti e multiformi servizi socio-pastorali, in risposta ai molteplici bisogni che emergono al suo interno e a quelli che accompagnano la vita del popolo ad essa affidato. Ma sia don Puglisi che io eravamo convinti che l’annuncio del vangelo della vocazione deve arrivare a tutti i giovani, a tutti i catechisti, a tutte le famiglie, non solamente nei luoghi classici (seminati, catechesi, associazioni, gruppi giovanili, ecc.) ma anche nei luoghi informali dove i ragazzi e i giovani di solito si incontrano: strada, scuola, associazioni varie…, arrivare soprattutto grazie alla testimonianza gioiosa di laici che vivono con passione e gioia la loro vocazione di totale donazione a Cristo e ai fratelli.

D’altra parte è stata proprio la serenità e la gioia che trasparivano dal volto e dal cuore di una insegnante a suscitare in me degli interrogativi. Mi trovavo nella fase più decisiva del mio discernimento vocazionale ed è stato il suo modo di essere e di vivere, la sua attenzione verso i giovani adulti a cui teneva volontariamente un corso di alfabetizzazione nelle ore libere dal suo lavoro, a dare alle mie ansie e ai miei desideri le risposte che cercavo. Attraverso lei ho sentito, rivolto a me, il vangelo della vocazione che mi voleva consacrata nel mondo come membro di un istituto secolare.

L’essere stata chiamata alla consacrazione secolare ha fatto scaturire in me l’impegno a farmi eco della voce che chiama alla sequela del Signore e alla partecipazione alla missione della Chiesa in qualunque ambiente. Avevo sperimentato cosa significa essere fermento, essere lievito, essere sale nel mondo. Mi sono, pertanto, resa disponibile al servizio di animazione vocazionale sia in parrocchia che al CDV. Sono stata aiutata a capire che il territorio è il luogo in cui dovevo vivere pienamente la mia vocazione e missione e crescere quotidianamente in Cristo e nella Chiesa; luogo che dovevo accogliere come dono; luogo in cui incarnarmi per pregare, annunciare, vivere e testimoniare Cristo e la sua Parola; luogo in cui mi sentivo particolarmente impegnata ad essere presenza di Cristo e della Chiesa nella ferialità della mia esistenza.

Io insegnavo, fino allo scorso anno, nella scuola dell’infanzia e la programmazione didattica che ogni anno preparavo coinvolgeva pienamente le famiglie e gli operatori scolastici. Questo ha fatto sì che i miei rapporti con i genitori, con le colleghe e con il personale della scuola, avessero come obiettivo la crescita armonica dei bimbi per far acquisire loro autonomia, identità e competenze e naturalmente anche la loro crescita come cristiani. Attraverso la mia professione ho potuto avvicinare tante realtà e mi sono resa conto che cresce sempre più nelle persone il bisogno di stare insieme, di fare comunità, di ritrovare delle appartenenze, dei luoghi in cui riconoscere ed essere riconosciuti, degli ambienti in cui si possa essere protagonisti, ma anche in cui si possa interagire e condividere affetti e relazioni. Una risposta a queste esigenze può essere data solamente comunicando loro la gioia dell’appartenenza a Cristo e alla Chiesa, educando al gusto dell’impegno, al senso del servizio gratuito, alla donazione incondizionata di sé.

Non è difficile sentirsi chiedere: “Ma non è che tu fai parte di quelle persone…come si chiamano non lo so, ma sai quelle persone che vivono nel mondo ma fanno i voti…”. Provate ad immaginare lo stupore che mi pervade in queste occasioni; stupore, meraviglia ma anche lode a Dio che, mio malgrado, qualcosa della mia vita, delle mie scelte, passa.

In questo nostro tempo così ricco di suggestioni, di immagini, di sensazioni far passare il messaggio che Dio ci ama e che ha un sogno bellissimo per ciascuno di noi non è facile, soprattutto fra i giovani che, purtroppo, sono frantumati, lacerati, a volte pieni di paura, ma anche così facili all’entusiasmo se si riesce a toccare la corda giusta. Se i giovani che mi stanno accanto non percepiscono che la mia vita è piena anche se non ho una famiglia mia, se non respirano la mia gioia di appartenere a Qualcuno, se la parola di Dio non è il pane quotidiano di cui sfamarmi sempre e comunque non può scattare, a mio avviso, quel contagio di cui si parla nel documento Ripartire da Cristo. Ho sentito rivolto a me l’invito di Gesù a farmi prossimo, a scendere da Gerusalemme a Gerico con lo sguardo attento ai tanti fratelli, soprattutto giovani, lasciati ai margini delle strade, feriti, derubati, in attesa di chi sappia prendersi cura di loro per restituirgli identità, senso di appartenenza, dignità, famiglia.

Sono state tante le esperienze di discernimento e accompagnamento vocazionale in questi ultimi anni: dalla chiamata alla fede in Cristo di famiglie intere con relativi cammini di catecumenato e battesimi per adulti e ragazzi, all’accompagnamento semplice, ma attento ed affettuoso di ogni giovane in ricerca per aiutare ognuno a trovare risposte alle infinite e molteplici domande di senso; sia al matrimonio che alle vocazioni specifiche al sacerdozio e alla vita consacrata nelle sue varie espressioni sia maschili che femminili. Nello stesso tempo, proprio perché il laico consacrato è per la Chiesa l’orecchio del mondo e per il mondo la voce della Chiesa, nella parrocchia in cui sono inserita, insieme al consiglio pastorale si è deciso di intensificare gli incontri dei catechisti e degli operatori pastorali familiari per far sì che la pastorale tutta, nella parrocchia, avesse come obiettivo principale l’annuncio del vangelo della vocazione.

Si sono ripresi i testi di catechesi della CEI e si sono riletti come veri e propri cammini vocazionali; si sono inseriti due incontri in più nei cammini per fidanzati in preparazione al matrimonio con l’annuncio delle varie vocazioni; si è dato ai corsi di cresima, nelle varie fasce di età, il taglio vocazionale; si sono realizzati itinerari biblici vocazionali per giovani, incontri di preghiera come vere e proprie scuole di preghiera, campi scuola, corsi di esercizi spirituali per giovani; si è intensificata la preghiera in parrocchia impegnando anche gli ammalati per chiedere al Padrone della messe che mandi operai. Tutto questo senza fare niente di più di quello che si faceva prima, ma mettendoci dentro un’anima diversa. Ci erano stati affidati dei bimbi, dei giovani, dei fidanzati che dovevano essere aiutati a chiedere al Signore: “Cosa vuoi che io faccia?”.

 

…perché diventi grembo fecondo…

Credo, per l’esperienza fatta, che la parrocchia deve intendersi non solamente come luogo in cui la comunità dei battezzati si riunisce per rendere il culto di lode e di ringraziamento al suo Signore, ma anche come luogo, territorio più ampio in cui si offre, ad ogni battezzato, l’opportunità di una crescita normale, costante e comunitaria; luogo in cui si cresce quotidianamente come credente, dove si diventa sempre più discepolo di Gesù in una comunità concreta, che è ogni giorno più fraterna, più impegnata, più missionaria.

Mi sembra veramente importante riqualificare la presenza attenta dei laici nel “luogo” in cui la Provvidenza li ha posti. Ciò metterà sicuramente nelle condizioni di riscoprire le potenzialità vocazionali dei carismi e dei ministeri presenti nella comunità cristiana per contribuire al diffondersi della cultura vocazionale nel territorio. Attraverso loro la Parrocchia arriva ovunque, in tutti gli ambienti e in tutte le realtà sociali, economiche e politiche presenti nel territorio.

La presenza del laico consacrato nella parrocchia può essere letta come una risposta alla fame di Dio e di preghiera che caratterizza i giovani di oggi proprio perché “come loro” vive e condivide le ansie, le difficoltà, le fatiche, le gioie di ogni giorno, teso a trasformare il mondo dal di dentro come lievito, cosciente che l’unico modo di crescere in Cristo verso la santità e di costruire una comunità cristiana è vivere, con pienezza d’amore, la realtà quotidiana.

Inserito nel mondo, con lo spirito contemplativo proprio del laico consacrato, egli scopre e legge i nuovi segni dei tempi per rispondere ad essi in maniera evangelica, per “ordinare le realtà temporali secondo Dio” e nell’annuncio della buona novella del Regno, con il linguaggio concreto degli uomini di oggi; deve saper presentare ai pastori una visione immediata e concreta della realtà storica in cui la Chiesa vive. Pronto ad accogliere le sfide fatte da mille contraddizioni, da mille povertà, ma anche da tante ricchezze; pronto ad essere presenza significativa, proprio perché vive lì dove la gente soffre, opera e condivide la “prossimità” immettendovi le energie nuove di quel regno dove sembra apparentemente inutile “lanciare” il vangelo. Il secolare consacrato è lì, nei luoghi informali, per la strada, seminato nel mondo perché l’annuncio del vangelo, seme di vita, possa arrivare fin negli angoli più remoti, in ogni struttura, in ogni realtà per renderla feconda, per immettervi il lievito della sapienza divina. Anzi, proprio per la peculiarità della sua vocazione, il laico consacrato fa sì che questi ambienti diventino, anch’essi, luoghi privilegiati per annunciare il vangelo della vocazione perché la Parrocchia diventi veramente grembo di ogni vocazione.