N.01
Gennaio/Febbraio 2005

Senza la domenica le vocazioni non possono vivere

Dopo aver riflettuto nello scorso anno sulla vocazione della Parrocchia – accompagnare ogni battezzato a scoprire e vivere la propria vocazione -, quest’anno dovevamo necessariamente fermarci sulla Domenica.

 

Parrocchia e Giorno del Signore

Parrocchia e Giorno del Signore sono, infatti, le due coordinate (spazio e tempo) che favoriscono un autentico cammino di fede e di risposta vocazionale. Queste due realtà sono tra loro intrecciate così indissolubilmente da risultare impensabile una qualche riflessione sull’una senza che coinvolga anche l’altra. È questa la linea indicata dagli Orientamenti pastorali della CEI per questo decennio: «Ci sembra pertanto fondamentale ribadire che la comunità cristiana potrà essere una comunità di servi del Signore soltanto se custodirà la centralità della domenica, “giorno fatto dal Signore” (Sal 118,24), “Pasqua settimanale”, con al centro la celebrazione dell’Eucaristia, e se custodirà nel contempo la parrocchia quale luogo – anche fisico – a cui la comunità stessa fa costante riferimento»[1] (CVMC, 47).

La scelta di puntare decisamente sul Giorno del Signore e sulla celebrazione eucaristica domenicale motivata non solo dalle autorevoli indicazioni dei Vescovi italiani, ma anche dal desiderio del Papa, di fare di quest’anno l’Anno dell’Eucaristia, e dalla celebrazione a Bari dal 21 al 29 maggio del 2005 del XXIV Congresso Eucaristico Nazionale (CEN). Il CNV inserendosi nel cammino di preparazione verso il CEN, vuol offrire il suo specifico contributo: aiutare a scoprire e vivere la dimensione vocazionale della domenica e della celebrazione eucaristica domenicale.

 

Senza la domenica non possiamo vivere

Il Tema scelto per il CEN, al quale dovevamo necessariamente riferirci anche noi, rievoca la bella testimonianza di fede resa dai 49 Martiri di Abitene, una località nell’attuale Tunisia, a 40 Km da Cartagine. Lì nel 304 i cristiani, nonostante la persecuzione dell’Imperatore Diocleziano, che aveva severamente vietato ai cristiani pena la morte di possedere le Scritture, di riunirsi in assemblea e di celebrare l’Eucaristia, non esitarono ad andare incontro al martirio pur di essere fedeli al Cristo. Sorpresi in casa di Ottavio Felice, mentre celebravano l’Eucaristia domenicale, furono arrestati e condotti a Cartagine per essere processati dal proconsole Anulino. Solo la lettura personale degli Atti del martirio[2] può permettere di cogliere la ricchezza e la bellezza che è racchiusa nell’espressione del martire Emerito, scelta come Tema: Sine dominico non possumus. «In realtà il termine dominicum comprende tutti questi valori: è il giorno del Signore, nel quale si celebra il sacramento del sacrificio del Signore, il suo mistero di morte e risurrezione, la sua pasqua, nella cena del corpo del Signore, convito del Signore con i fratelli»[3]. Per questo i cristiani, fin dall’inizio, hanno visto nella domenica e nell’Eucaristia celebrata in questo giorno un elemento costitutivo della loro stessa identità. È quanto emerge con chiarezza dal commento che il Redattore degli Atti fa alla domanda posta dal proconsole al martire Felice: «O stolta e ridicola richiesta del giudice! Gli ha detto: “Non dire se sei cristiano”, e poi ha aggiunto: “Dimmi invece se hai partecipato all’assemblea”. Come se vi possa essere un cristiano senza il giorno domenicale o si potesse celebrare il giorno domenicale senza il cristiano! Non lo sai, Satana, che è il giorno domenicale a fare il cristiano e che è il cristiano a fare il giorno domenicale, sicché l’uno non può sussistere senza l’altro, e viceversa? Quando senti dire “cristiano”, sappi che vi è un’assemblea che celebra il Signore; e quando senti dire “assemblea”, sappi che lì c’è il cristiano»[4].

Per questo il Papa non esita ad affermare che «la celebrazione della domenica cristiana, per i significati che evoca e le dimensioni che implica, in rapporto ai fondamenti stessi della fede, rimane un elemento qualificante dell’identità cristiana»[5]. E aggiunge: «La riscoperta di questo giorno » grazia da implorare, non solo per vivere in pienezza le esigenze proprie della fede, ma anche per dare concreta risposta ad aneliti intimi e veri che sono in ogni essere umano»[6].

 

La domenica nel Magistero della Chiesa

È stato il Concilio Vaticano II a rilanciare la centralità della domenica e il suo intimo legame con la risurrezione:

«Secondo la tradizione apostolica, che ha origine dallo stesso giorno della risurrezione di Cristo, la Chiesa celebra il mistero pasquale ogni otto giorni, in quello che si chiama giustamente “giorno del Signore” o “domenica”. In questo giorno, infatti, i fedeli devono riunirsi in assemblea per ascoltare la parola di Dio e partecipare all’Eucaristia e così far memoria della passione, della risurrezione e della gloria del Signore Gesù e render grazie a Dio, che li “ha rigenerati nella speranza viva per mezzo della risurrezione di Gesù Cristo dai morti” (1Pt 1,3). Per questo la domenica è la festa primordiale che deve essere proposta e inculcata alla pietà dei fedeli, in modo che risulti anche giorno di gioia e di riposo dal lavoro. Non le venga anteposta alcun’altra solennità che non sia di grandissima importanza, perché la domenica è il fondamento e il nucleo di tutto l’anno liturgico»[7]. Queste indicazioni autorevoli erano quanto mai necessarie, per riportare alla sua centralità nella celebrazione della domenica il Mistero pasquale, liberandolo da tutte quelle incrostazioni – feste dei Santi e pietà popolare -, che si erano aggiunte nei secoli.

Negli anni ottanta la Chiesa italiana focalizzò la sua riflessione attorno al tema della celebrazione eucaristica domenicale e del Giorno del Signore in due corrispondenti documenti:

Eucaristia, Comunione, Comunità (1983) e Il Giorno del Signore (1984). In modo particolare quest’ultimo documento » ancora oggi molto apprezzato, non solo per il suo stile agevole e coinvolgente, ma soprattutto perché riesce, pur nella sua brevità, ad evidenziare i valori della domenica, senza trascurare i problemi emersi dal mutato contesto socio-culturale, ed indicando significative proposte pastorali.

Nel cammino di preparazione al Giubileo del 2000, il Papa ci fece dono della Lettera apostolica Dies Domini (1998). Fin dalle prime pagine, emerge con chiarezza l’obiettivo che si proponeva di raggiungere: «L’imminenza del terzo millennio, sollecitando i credenti a riflettere, alla luce di Cristo, sul cammino della storia, li invita a riscoprire con nuovo vigore il senso della domenica: il suo “mistero”, il valore della sua celebrazione, il suo significato per l’esistenza cristiana ed umana»[8].

Sul tema della domenica è ritornato in seguito il Papa nei suoi documenti. Nella Novo Millennio Ineunte, per ribadire che: «Occorre insistere in questa direzione, dando particolare rilievo all’Eucaristia domenicale e alla stessa domenica, sentita come giorno speciale della fede, giorno del Signore risorto e del dono dello Spirito, vera Pasqua della settimana»[9]. Nell’enciclica Ecclesia de Eucharistia, per sottolineare che la «peculiare efficacia nel promuovere la comunione, che è propria dell’Eucaristia, è uno dei motivi dell’importanza della Messa domenicale»[10]. E, infine, nella Lettera apostolica Mane Nobiscum Domine, per auspicare che in questo Anno dell’Eucaristia «si ponga un impegno speciale nel riscoprire e vivere pienamente la Domenica come giorno del Signore e giorno della Chiesa»[11]. Sempre nella medesima Lettera, non manca di esortare i sacerdoti perché «prestino, durante questo anno di grazia, un’attenzione ancor più grande alla Messa domenicale, come celebrazione in cui la comunità parrocchiale si ritrova in maniera corale, vedendo ordinariamente partecipi anche i vari gruppi, movimenti, associazioni in essa presenti»[12].

Inserendosi nel solco tracciato dal Papa, anche i Vescovi italiani sono ritornati sul tema della domenica, sia in Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, sia nella recente Nota pastorale Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia. In modo particolare, in quest’ultimo documento i Vescovi così sintetizzano la ricchezza della domenica: «giorno del Signore, della sua Pasqua per la salvezza del mondo, di cui l’Eucaristia è memoriale, origine della missione; giorno della Chiesa, esperienza viva di comunione condivisa tra tutti i suoi membri, irradiata su quanti vivono nel territorio parrocchiale; giorno dell’uomo, in cui la dimensione della festa svela il senso del tempo e apre il mondo alla speranza»[13]. Individuano, poi, tre obiettivi da perseguire: «Difendere anzitutto il significato religioso, ma insieme antropologico, culturale e sociale della domenica; curare la qualità delle celebrazioni eucaristiche domenicali e festive; vivere il giorno del Signore come tempo della comunione, della testimonianza e della missione»[14].

Moltissimi Vescovi in questi ultimi anni hanno dedicato la loro Lettera pastorale al tema della domenica e della celebrazione eucaristica domenicale, contribuendo a formare un patrimonio straordinario di riflessione e di proposte pastorali. A questa ricchezza si aggiunge il documento teologico-pastorale preparato dal Comitato Nazionale per il Congresso Eucaristico, insieme con quello diocesano di Bari-Bitonto, in vista della celebrazione del Congresso[15].

 

La mistagogia liturgica

Tutta la ricchezza della domenica e in modo particolare della celebrazione eucaristica ci viene offerta attraverso la Liturgia, che ha un linguaggio suo proprio. Come una scritta cinese o araba resta muta, se non si possiede alcuna conoscenza di queste due lingue, così è del linguaggio liturgico: se non riesce sempre a coinvolgermi, è perché non ne comprendo appieno il significato. Eppure la riforma liturgica voluta dal Concilio aveva indicato nella partecipazione dei fedeli alla liturgia «in modo consapevole, attivo e fruttuoso» (SC, 11; cfr. 14. 17. 19. 21. 27. 30. 41. 48. 50. 55. 79. 100. 113. 114…), uno dei suoi punti cruciali. Si è, però, confusa la partecipazione con l’attivismo nella Liturgia. La Liturgia, ancora per molti resta muta, perché non sono stati aiutati a comprendere la celebrazione attraverso i riti e le preghiere[16]. Così, si sono moltiplicati e aggiunti segni che a volte non avevano nulla a che fare con il Mistero celebrato, si sono annullati gli spazi di silenzio, perché ingiustamente ritenuti “morti”, riempiendoli di canti e preghiere… Tutto questo ha provocato un certo “orizzontalismo”, per cui anziché celebrare il Mistero di Cristo, a volte si corre il pericolo di celebrare se stessi. Significativo a tale proposito è quanto era scritto nell’Instrumentum Laboris del Sinodo europeo: «Sia all’Est che all’Ovest, ci sono esperienze nelle quali la preoccupazione di essere attraenti mette in ombra la dimensione del mistero, dell’adorazione e della lode, ed esalta la ritualità, la condivisione e certo protagonismo del celebrante e/o di membri attivi dell’assemblea: ne segue, tra l’altro, un’immagine indubbiamente viva e vivace di Chiesa, ma più attenta all’esteriorità e all’emotività che alla profondità dell’incontro con il mistero santo di Dio»[17]. Cosa fare perché questo non accada? Sempre lo stesso documento europeo così si esprimeva: «Si avverte, perciò, l’urgenza di una adeguata formazione che abbia il carattere dell’iniziazione all’arte del celebrare. Di qui la necessità di proporre nell’annuncio e nella catechesi una mistagogia liturgica più intensa. Per questo, pare utile: strutturare itinerari di fede in cui catechesi, liturgia e carità siano sempre collegate e rapportate; curare una puntuale educazione liturgica dei futuri presbiteri e dei diversi operatori pastorali, in particolare degli animatori della Liturgia e di quanti in essa svolgono qualche ministero; considerare la celebrazione eucaristica come “culmine e fonte” di tutta l’azione liturgica, senza tuttavia tralasciare di valorizzare la Liturgia delle Ore celebrata comunitariamente e di promuovere una corretta integrazione tra vita liturgica e religiosità popolare; adattare i riti alle diverse e nuove situazioni in cui i fedeli si trovano a vivere. Tutto questo nella convinzione che, quando si celebra in spirito e verità, quando la celebrazione» azione partecipata da un’assemblea, quando testi e gesti sanno coinvolgere, la Liturgia viene vissuta come reale esperienza del mistero, perché partecipazione dell’evento della Pasqua e, perciò, fonte ed espressione di autentica vita spirituale»[18]. Su questa linea si muovono anche i Lineamenta del prossimo Sinodo su “L’Eucaristia: fonte e culmine della vita e della missione della Chiesa” (2-29 ottobre 2005), che dedicano il quinto capitolo alla “Mistagogia eucaristica per la nuova evangelizzazione”. Anche il Papa nella recente Lettera apostolica ha voluto riproporre la “catechesi mistagogica”, dandone anche una breve spiegazione: «I Pastori si impegnino in quella catechesi mistagogica”, tanto cara ai Padri della Chiesa, che aiuta a scoprire le valenze dei gesti e delle parole della Liturgia, aiutando i fedeli a passare dai segni al mistero e a coinvolgere in esso l’intera loro esistenza»[19]. Tutto questo nella profonda convinzione che «una volta che le menti sono illuminate e i cuori riscaldati, i segni “parlano”. L’Eucaristia si svolge tutta nel contesto dinamico di segni che recano in sé un denso e luminoso messaggio. È attraverso i segni che il mistero in qualche modo si apre agli occhi del credente»[20].

Perché non si confonda la mistagogia liturgica con la semplice preparazione alla messa domenicale o con uno dei tanti incontri formativi, va precisato che il primo grande mistagogo è il Cristo stesso[21]. Infatti, per i padri della Chiesa la mistagogia prima di essere spiegazione orale o scritta del mistero nascosto nella Liturgia, è innanzitutto compimento di un’azione sacra. Per essi «la Liturgia inizia al mistero celebrando il mistero. Il mistero quando è celebrato si rivela, si comunica, si dà a conoscere. Questo significa riconoscere alla Liturgia la prerogativa di essere azione teologale, cioè azione di Dio stesso, e per questo di realizzare ciò che significa»[22]. Come con i due discepoli di Emmaus, ancora oggi «è il Risorto, nella potenza dello Spirito santo, che si fa mistagogo e apre le nostre menti all’intelligenza della Liturgia. Affermare, in una prospettiva di fede, che la mistagogia» un’azione eminentemente cristologica, significa dunque avere coscienza che la sola intelligenza del credente non basta per comprendere il mistero nascosto nella Liturgia. La rivelazione del mistero di Dio è sempre un atto di Dio stesso, perché solo il mistero rivela il mistero. Come ogni volta che la Chiesa spezza il pane della Parola è il Cristo stesso l’esegeta del suo mistero contenuto nelle Scritture, così quando la Chiesa mistagoga inizia i cristiani al mistero nascosto nell’azione liturgica, «Cristo stesso che apre le menti all’intelligenza della Liturgia»[23].

Forse, tanti abbandoni o passive partecipazioni alla celebrazione eucaristica domenicale, sono da imputare ad una incapacità di cogliere il Mistero attraverso la Liturgia. Ne deriva per tutti gli educatori un impegno improrogabile: aiutare ogni battezzato a lasciarsi “prendere per mano” dal Cristo per essere da Lui introdotti nel Mistero celebrato nella Liturgia[24]. Vissuta così la celebrazione eucaristica domenicale, difficilmente si ridurrebbe ad un rito insignificante, o, peggio, ad un obbligo da assolvere, sarebbe, invece, un gioioso incontro con il Risorto, che ci introduce nella stessa vita divina e ci chiama alla sua sequela. È possibile parlare di dinamismo vocazionale della celebrazione eucaristica domenicale solo a questa condizione: se è Lui che incontriamo nella Liturgia, se è Lui che ci offre il dono della salvezza, se è Lui che interpella la nostra vita, chiedendoci di viverla, come Lui l’ha vissuta. Alla scuola del divin Maestro ogni animatore vocazionale dovrà necessariamente diventare un “mistagogo”, capace di “condurre i giovani a Cristo”, presente e operante, per mezzo del suo Spirito, nella liturgia.

 

 

Note

[1] CEI, Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, 47.

[2] G. MICUNCO, Sine dominico non possumus. I martiri di Abitene e la Pasqua domenicale, Bari 2004.

[3] Ibidem, p. 9.

[4] Ibidem, p. 57.

[5] GIOVANNI PAOLO II, Dies Domini, 30.

[6] Ibidem, 7.

[7] CONCILIO VATICANO II, Sacrosanctum Concilium,106.

[8] GIOVANNI PAOLO II, Dies Domini, 3.

[9] GIOVANNI PAOLO II, Novo Millennio Ineunte, 35.

[10] GIOVANNI PAOLO II, Ecclesia de Eucharistia, 41.

[11] GIOVANNI PAOLO II, Mane Nobiscum Domine, 23.

[12] Ibidem.

[13] CEI,“Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia”, 8.

[14] Ibidem.

[15] XXIV CONGRESSO EUCARISTICO NAZIONALE, Senza la domenica non possiamo vivere. Linee teologico-pastorali per una catechesi mistagogica sulla domenica. Bologna 2004.

[16] Cfr. CONCILIO VATICANO II, Sacrosanctum Concilium, 48.

[17] SINODO EUROPEO, Instrumentum Laboris, 69.

[18] Ibidem, 70.

[19] GIOVANNI PAOLO II, Mane Nobiscum Domine, 17.

[20] Ibidem, 14.

[21] Cfr. A. LADISA, Per un cammino mistagogico, in F. Cacucci, La domenica pasqua settimanale. Per un cammino mistagogica nell’anno liturgico Ciclo/A. Città del Vaticano 2004, pp. 5-12.

[22] G. BOSELLI, La mistagogia per entrare nel mistero, in E. Bianchi – G. Boselli, La liturgia epifania del mistero, Edizioni Qiqajon, Magnano-Bose 2002, p. 19.

[23] Ibidem, pp. 22-23.

[24] Cfr. F. CACUCCI, La domenica pasqua settimanale. Per un cammino mistagogico nell’anno liturgico Ciclo/A. Città del Vaticano 2004. Cfr. ID. Catechesi Liturgia Vita, Bologna 2000.