N.04
Luglio/Agosto 2005

Dentro ad un problema “culturale”

È stato molto interessante seguire i vari interventi sia del pomeriggio del 1° giugno che del mattino del 2 e ciò vale non solo per le relazioni precedentemente predisposte ma anche per i vari contributi espressi “a braccio” da taluno degli intervenuti. 

L’analisi del fenomeno “dell’abbandono” così come evidenziato dai vari relatori, è stata tutta incentrata – per così dire – all’interno del sistema “seminario” – “Struttura della Chiesa” e denominata da un motivo piuttosto pessimistico. 

Dal punto di vista numerico, anche se non vi sono dati certi, si è compreso che i numeri oscillano tra 1 e 3 per mille sul totale dei preti incardinati ed intorno al 10% delle nuove ordinazioni. Sembra inoltre che gli abbandoni ora si verifichino prevalentemente durante i primi anni dopo l’ordinazione (entro i primi 5).

Questi elementi non sono da sottovalutare, come pure il fatto che spesso il problema coinvolga persone intelligenti e preparate, e che per il resto, anche se non si giunge al vero e proprio abbandono, si registrino strati di insoddisfazione in chi rimane, che non sono proprio di piccola entità. 

Non c’è dubbio che fra i vari fattori analizzati vi sia da tener conto del grado di indifferenza e di scarsa considerazione spesso presente nella attuale società italiana per la figura e funzione del sacerdote che talvolta è portato perfino nell’abito a truccare la sua appartenenza per puro rispetto umano. Tuttavia a nostro parere il problema non deve essere collegato troppo al caso dei preti. 

Noi ci troviamo di fronte ad una crisi generalizzata della nostra società postindustriale, confusa, frastornata dal materialismo e l’epicureismo, con scarsa sensibilità ai “valori” e soprattutto non più disponibile alla “fedeltà”, all’impegno “per sempre” che caratterizza non solo il sacerdozio ma anche istituti fondamentali come il matrimonio, senza parlare anche della professione e dello stesso “mestiere”. Non ci deve trarre in inganno nemmeno il fenomeno tanto sbandierato di talune scelte giovani per il volontariato. 

Anche se si tratta di un fenomeno positivo e certamente apprezzabile nelle sue esplosioni di entusiasmo, personalmente ho l’impressione che talvolta sia quasi un alibi per essersi impegnati in qualcosa di utile per gli altri, purché di durata limitata e non certo per sempre. Con queste esperienze si prova a sostituire altre affermazioni di valori che comportano maggiori sacrifici se richiedono la durata, la fedeltà, l’impegno anche quando le condizioni esterne si fanno avverse. 

Su questo tasto le giovani generazioni abituate a ricevere più facilmente l’essenziale per vivere, non sono mediamente disponibili. 

Quindi il problema dell’abbandono sacerdotale anche se preoccupa e richiede la nostra attenzione non va troppo guardato come un problema specifico. Ma è un problema generale culturale che richiede un impegno globale per la riscoperta dei valori, del vero senso della vita. 

Da qui l’esigenza di un’azione che riguarda l’intera Società dei paesi più “ricchi” come il nostro, ormai portati all’egoistica provvisoria soddisfazione di tutti i bisogni più immediati, salvo scoprire il senso del vuoto e la disperazione quando di fronte alla crescente delusione si cerca invano di capire il molto che si è perduto. 

In sostanza, pur con la necessaria prudenza, non sarei così pessimista nell’analizzare la situazione del sacerdozio rispetto ad altri problemi di fedeltà carenti nella nostra società. 

Si deve ricostruire il terreno su cui innestare le buone piante e praticare una generale rivoluzione culturale.