N.04
Luglio/Agosto 2005

Il fenomeno al “femminile”: quali aspetti particolari rispetto al “maschile”? Quali esigenze ed attenzioni?

Quali aspetti particolari rispetto agli abbandoni al maschile? 

Gli interrogativi posti mi hanno indotta a riflettere sulle esperienze di colloqui personali e di corsi di formazione con giovani che si interrogavano sul loro progetto di vita o già avevano intrapreso un percorso di consacrazione e devo ammettere di aver incontrato difficoltà a cogliere degli aspetti particolari legati alla donna; ho piuttosto colto l’unicità di risposta di ogni persona che si differenzia per temperamento, carattere, storia relazionale personale. 

Tuttavia cercherò di delineare alcune linee che possono caratterizzare di più l’universo femminile rispetto a quello maschile senza ritenere ciò esclusivo. Va sottolineato il forte coinvolgimento emotivo nel momento in cui si sperimenta “l’intuizione della chiamata”: c’è il desiderio di leggere la propria vita come “vocata” da Lui, ma spesso viene a mancare il sostegno di contenuti teologici e soprattutto la giovane in alcuni casi non è guidata a vivere una profonda spiritualità. 

L’intuizione viene “usata” per far sentire la persona “importante e protagonista” e il vissuto emotivo diventa la guida prevalente del fare più che dell’agire (l’agire stimola la riflessione: penso prima di fare e cerco di capire perché faccio). È un periodo di forte attivismo. All’inizio c’è bisogno di “essere condivisa”, il giudizio positivo sostiene la decisione ma è instabile perché non sono state poste le fondamenta per reggere le difficoltà, le frustrazioni, gli insuccessi. 

Ho incontrato giovani che hanno percepito la chiamata intorno ai 20 anni senza aver precedentemente fatto un percorso di fede. L’incontro con un sacerdote o una persona significativa ha fatto emergere il desiderio del dono e della radicalità: la risposta e l’impegno erano sostenuti solamente da un forte coinvolgimento emotivo. Dopo alcuni anni di vita religiosa hanno iniziato a porsi le domande “di senso” e a scoprire che forse quella non era la strada giusta. Emerge quindi il bisogno di ripercorrere la storia della propria vita e lo scoglio è spesso legato ad una vita affettiva immatura e non soddisfacente. “Quanto mi manca l’esperienza di maternità e ancora prima della sponsalità!”. “…Reagisco a questa situazione interiore diventando aggressiva, cattiva con le consorelle, ho paura, mi manca l’aria…”. 

Si tratta di persone che non hanno costruito “la casa sulla roccia”, non accompagnate a gestire e guidare la propria affettività e a vivere una profonda spiritualità. Ritengo significativo per chi accompagna le giovani (ma vale anche al maschile) cogliere la capacità di riflessione-cambiamento. 

Cambiare è “scambiare”: l’incontro significativo e importante è sempre “concepitivo”, il cambiamento è recupero positivo di una parte della propria storia. Ritengo essere un momento molto importante: la ragazza è forse più disponibile a vivere l’incontro con il formatore come momento di crescita personale e di rinascita, come momento di riflessione sulla propria storia precedente; in molti casi ho notato meno resistenza a raccontarsi a livello emotivo-affettivo. 

In giovani laureate ho riscontrato la difficoltà a rispondere con il cuore: spesso si usa ciò che si sa, senza aver “calato dentro il cuore” e nella propria storia il teorico appreso, per cui si verifica forte resistenza al cambiamento. “Sono così non posso essere diversa…” Non si percepisce un minimo di disponibilità a cambiare qualcosa di sé che disturba la relazione con l’altro. 

È importante affidare una persona in cammino a formatori-formati, modelli di vita armonica sia a livello umano che spirituale. L’attenzione del formatore deve rivolgersi soprattutto a cogliere l’authòs, cioè la capacità di movimento nel crescere e nel maturare la capacità di mettersi in questione e di gestire i conflitti: spesso l’idem (quando non c’è cambiamento, tutto scivola addosso e non esiste capacità di interiorizzazione in ciò che viene offerto alla giovane) non viene colto nel suo significato profondo; viene meno la capacità di “calare dentro” ciò che si è compreso a livello intellettuale: è un meccanismo di difesa molto usato soprattutto al maschile. 

La resistenza al cambiamento crea angoscia, isolamento, incapacità a raccontarsi. La giovane ha maggior facilità a cogliere la verità-realtà di sé e spesso desidera “narrarsi” per conoscersi più profondamente e venire in contatto con i suoi sentimenti e con le sue emozioni. Per il giovane è più difficile scoprire questi aspetti: ha paura del proprio vissuto e tende a rimuoverlo, a non incontrarlo. 

Un aspetto, che ritengo per lo più al femminile è il desiderio e la volontà di non rimanere nell’ambiguità. In ciò le giovani sono favorite dalla vita comunitaria, luogo di crescita e di comunione. Il prete, che vive per lo più da solo, rischia quasi senza accorgersene di vivere una vita “scissa”; svolge il ruolo-maschera da prete e la realtà della persona resta immatura, preoccupata solo di far emergere il proprio “me-narcisista”. 

Va registrata una difficoltà comune che è quella di comprendere come e dove vivere la propria affettività: l’eros e l’agape. In tutti vi è un forte bisogno di amare, di essere amati e di rendersi amabili: questa è la sessualità (capacità di essere in relazione con l’altro) da viversi nel celibato per il Regno o nel matrimonio. 

La giovane manifesta con semplicità il bisogno-desiderio dell’affettività, dalla relazione duale a quella comunitaria; sa analizzare e manifestare i suoi sentimenti; spesso la difficoltà s’incontra per l’incapacità a gestire la parte istintuale. Il “sentire” diventa la regola dell’agire. La sublimazione della propria istintualità viene percepita come non realizzazione di sé: sovente viene repressa con le note conseguenze. 

Venire in contatto con la propria affettività, con l’energia che mi porta verso l’altro diventa impegnativo e difficile, perché non si è educati a “vivere il sentire” con l’intelligenza che guida il cuore ad indirizzare le energie affettive secondo un progetto di vita. È forte il rischio di lasciarsi condizionare dalla mentalità corrente, dalla falsa concezione della spontaneità, che è “saper agire con la libertà del cuore”, confusa spesso con lo spontaneismo (faccio ciò che mi piace), che approda a confusione, insicurezza, infelicità. 

Una difficoltà comune è di aver paura del “per sempre” (vedi situazione sociologica in cui tutto è “a tempo”). 

 

Quali esigenze ed attenzioni nella PV verso le ragazze? 

Nel rispondere al secondo interrogativo postomi ritengo di dover esprimere alcune considerazioni previe. 

La famiglia ha un compito educativo iniziale e insostituibile: è il luogo privilegiato dove s’impara a pensare, a soffrire, ad amare, a sperare, a gioire. È l’agenzia educativa per eccellenza. Quando si riscontrano disagi o immaturità, il primo ambiente indagato è la famiglia, la relazione con le persone-criterio che diventano il tu con il quale il bambino si confronta nella relazione quotidiana. Entra logicamente in gioco il temperamento e il carattere ma l’ambito relazionale ha una notevole incidenza nella formazione e strutturazione della personalità. 

 

Fatte queste premesse, credo sia fondamentale porre l’attenzione su alcuni punti: 

– Accompagnare a livello personale ogni giovane a costruire una propria identità attraverso una progressiva conoscenza di sé: chi sono? È l’interrogativo che dovrebbe seguire il percorso non solo nella formazione iniziale, ma per tutta la vita. Il rischio di considerare “chiuso” il cammino porta a conseguenze disastrose. La conoscenza di sé avviene nella relazione con l’altro: è l’altro che mi rimanda la realtà di me. Ciò si realizza se la giovane ha il coraggio di iniziare un viaggio nella vita interiore che ha senso solo se esiste realmente lo spazio interiore e il coraggio di guardarsi dentro. 

 

– Identità è “essere”, passaggio fondamentale per il divenire della coscienza; è “riconoscersi” persone di senso e capaci di produrre senso; è “essere riconosciuti” dagli altri. 

 

– La consapevolezza della centralità dell’affettività come energia che mi porta verso l’altro è importante per comprendere il significato della relazione: comprendo l’importanza dei sentimenti, delle emozioni, della tenerezza, della sensualità che non reprimo, ma porto alla luce e indirizzo a seconda del progetto di vita. 

 

– È fuori dubbio che il formatore per aiutare a costruire l’identità del formando deve avere una chiara e armonica identità di sé. 

 

– Educare a comprendere con gradualità che solo l’essere in relazione con…può far nascere in sé il desiderio del dono; scoprire che il mio desiderio di offerta della vita coincide con il desiderio di Dio su di me, tenendo conto della storia personale di ciascuno, è veramente significativo e dà la possibilità di camminare nella fedeltà alla scelta. 

 

– La vita di castità è vita di relazione; un accompagnamento personale e in gruppo permette al formatore di cogliere la capacità di confrontarsi, di vivere con i pari, di gestire le frustrazioni, gli innamoramenti etc. 

 

– Portare progressivamente a consapevolezza che ogni persona è incontro: si nasce da un incontro d’amore tra due persone, si cresce e si progredisce se si è disponibili ad incontrare il tu che si presenta ogni giorno. Chi accoglie la chiamata a vivere il celibato per il Regno deve essere accompagnato ad incontrare la persona di Cristo, che dà senso alla vita. 

 

L’incontro con il Tu speciale avviene a livello affettivo, intellettuale e spirituale. È un incontro d’amore. Il cuore accoglie Cristo e diventa “ospitale” con i fratelli. Impara gradualmente a vivere l’amore nelle sue espressioni d’intimità-passionalità-decisione/impegno. Non è facile accompagnare una persona a vivere l’amore, è un cammino che non si esaurisce mai. Anche nella vita celibataria è possibile vivere l’intimità della relazione intesa come amicizia, rispetto, stima, solidarietà, confidenza etc. e la passionalità intesa come vivo e profondo desiderio di relazione, di incontro, di scambio, di tenerezza, di fedeltà creativa etc. 

 

– Educare a vivere la solitudine come momento fecondo per la vita interiore e per la relazione. Ogni persona è sola con se stessa e incontra difficoltà relazionali a causa dell’essere “unico, originale, irripetibile”. 

 

Anche chi è sposato soffre di solitudine. Forse diventa educativo aiutare la persona a non piangersi addosso, ad uscire da sé, incontrare l’altro e imparare a condividere. Il formatore è colui che vive una serena e positiva solitudine, conduce una vita né super attiva né troppo comoda, è persona realizzata che ama la propria scelta. 

Concludo sottolineando l’importanza di proporre alla persona un cammino di Fede, di Fraternità, di Festa.