N.05
Settembre/Ottobre 2005

Dall’impiego all’impegno: per una cultura vocazionale all’interno del mondo accademico

L ’università italiana sta cambiando o, forse, è già cambiata. Basti un semplice dato statistico: intorno agli anni ’70 del secolo scorso, in Italia, erano presenti 30 atenei con una popolazione studentesca attestata a 250.000 unità; oggi registriamo la presenza di 90 atenei, frequentati da ben 1.800.000 giovani. È un dato, questo, che può essere sottoposto a molteplici letture, ma che sicuramente attesta che lo studio universitario è una tappa obbligata quasi per tutti i maturati. 

Ed è una tappa obbligata proprio in relazione alla scelta professionale che ogni giovane realizza. Non a caso, insegnano i sociologi, il profilo dominante tra gli studenti italiani è quello “professionale”: il giovane frequenta l’università con l’obiettivo di guadagnarsi un aggiornato bagaglio culturale che gli possa consentire di trovare al più presto una collocazione sul mercato del lavoro. Costui, quindi, non cerca altro nell’università che una strada privilegiata per un tipo di impiego professionale che corrisponda ai suoi gusti, i quali il più delle volte, poiché scelti prima del tempo dell’universi-tà, si lasciano facilmente ricondurre al sogno di realizzare una vita “senza problemi”. 

Nel nuovo scenario universitario, pertanto, con non piccola difficoltà resiste ancora quello che è invece il profilo dello studente “vocazionale” (quest’ultimo termine è diventato tecnico nell’ambito degli studi di sociologia dedicati alla popolazione universitaria), il quale si pone, durante gli studi, innanzi tutto in stato di ricerca e di scoperta, proprio al fine di individuare quello che potrebbe diventare il suo impegno di domani. 

Sta, quindi, proprio nella dialettica tra la ricerca di un impiego e quella di un impegno che si gioca a nostro avviso la possibilità di diffondere, all’interno del mondo accademico, una cultura vocazionale. Chi scrive non ha ancora maturato un’esperienza approfondita delle dinamiche che spingono e sostengono oggi gli studenti a frequentare gli studi accademici. Ma a nessuno, che per un poco frequenti tale ambiente, può sfuggire la sensazione generale che il motivo principale che dirige e sostiene alcune scelte in questo settore sia proprio quello legato al futuro impiego professionale, il quale possibilmente dovrebbe essere capace di garantire un tenore di vita superiore alla media. 

Del resto, i nuovi corsi di laurea sembrano rispondere proprio a questa esigenza: la loro infinita proliferazione viene giustificata proprio in ragione delle mutate e mutevoli configurazioni del mercato del lavoro. Insomma, per dirla in un modo molto forte: spesso si fa l’università per fare un sacco di soldi. Il dato, però, non riguarda evidentemente solo le “intenzioni” della parte studentesca del mondo università. Si deve registrare una “strutturale” ri-configurazione del mondo accademico che spinge sempre più a “presentare” l’università come puro strumento per trovare un buon impiego. E la situazione complessiva diventa poi addirittura paradossale, quando si faccia caso al rilievo che, da una parte, l’impostazione delle nostre università tende a svuotare il valore vocazionale dello studio in nome della funzionalità al lavoro e dall’altra non riesce ad assicurare la certezza di avere in futuro un lavoro e meno che mai un lavoro che piaccia o meglio che risponda alla propria “vocazione” (cioè che sia vissuto non solo come fonte di guadagno, ma anche col gusto di sentirlo come una possibilità di autorealizzazione e di servizio). 

Sotto questo aspetto la diffusione di una prospettiva vocazione dello studio ha un’alta carica di “contestazione sociale”, perché viene a denunciare un sistema che di per sé limiterebbe solo a coloro che possono farsi mantenere agli studi (e oltre) la possibilità di entrare in università senza l’assillo del posto di lavoro e quindi di adottare il profilo dello studente “vocazionale”. 

Spostando ora la nostra attenzione ad un livello più generale, possiamo senza esitazione affermare che nessun impiego, per quanto ben retribuito, possa dare risposta a ciò che abita dentro il cuore dell’uomo. Questo perché, al centro del cristianesimo brilla come stella polare – ed è il teologo Sequeri ad indicarcela – la profonda convinzione di Gesù che “nessun uomo, anche quando ha fame, desidera semplicemente del pane; che nessun uomo, anche quando ha bisogno di riempire la sua solitudine, desidera semplicemente un corpo caldo sul quale dormire; che nessun uomo, anche quando sperimenta la desolazione della malattia, desidera semplicemente sopravvivere. Gesù è profondamente convinto di questo. L’uomo desidera assai più di ciò di cui ha bisogno”. 

L’uomo, quindi, ha bisogno non solo di un impiego, ma ben oltre di un impegno, di un qualcosa al cui servizio mettere la propria esistenza e, perché no, i propri beni, pochi o molti che siano. Qui si profila uno dei possibili compiti degli studenti universitari cristiani. In modo sintetico e poco poetico, la loro missione può essere condensata nell’offrire ai loro “coinquilini” un aiuto a scoprire dietro ogni possibile impiego un impegno per la vita

Concretamente si tratterà di creare occasioni “di presenza gratuita” dentro la vita universitaria, perché non tutto il bello della vita può essere comprato. Bisogna imparare a ricevere quel di più che è grazia: la grazia dell’altro che mi vuole bene, dell’altro che trova piacere a stare con me, dell’altro che vuole condividere la sua fatica di essere nel mondo. La proposta di associazioni universitarie che si prefissino innanzi tutto lo scopo di stabilire legami di amicizia tra gli aderenti e non finalizzate a influenzare la politica universitaria, mi sembra ancora valida per il nostro tempo. 

Accanto a questo primo elemento, segnalo la necessità che i giovani studenti cristiani testimonino uno stile di studio che non sia puramente funzionale al superamento dell’esame. Esiste uno studio che è una forma di amore della verità, della scoperta del mondo; di un qualcosa che mi precede e che sopravvivrà alla mia presenza sulla terra e che oggi mi si offre per essere contemplato. Molto del bello della vita non dipende da me. Oltre la scienza dei professionisti, esiste la sapienza dei maestri che non insegna cosa fare, ma come vivere. Sarebbe davvero un peccato transitare tra le aule e i corridoi di un’università e non venire mai a capo della differenza insormontabile tra scienza e sapienza. La prima destinata a cambiare continuamente, la seconda a cambiarci dentro. 

Concretamente si potranno offrire momenti di contemplazione artistica: favorire letture di grandi classici, organizzare concerti di musica e mostre d’arte; poi incontri con maestri e testimoni della sapienza di vita. 

Diffondere una cultura vocazionale, all’interno del mondo universitario, significa abilitare i giovani studenti a rompere il circolo diabolico dello “studio solo per l’esame, l’esame mi serve per il lavoro, il buon lavoro mi serve per una migliore qualità della vita”. Questo continuo rinvio ad apprezzare la gioia della vita in un indeterminato futuro è all’origine di tante frustrazioni professionali e umane, che inevitabilmente poi coinvolgono gli affetti più intimi e cari. Lo studio è esperienza di vita: il verbo francese per conoscere – connaître – dice bene questa parentela, nascondendo nel suo seno il legame che intercorre tra la conoscenza e la co-nascita. Studiare, conoscere, equivale a nascere con una nuova coscienza, con un nuovo sguardo sulla vita, sul suo indicibile mistero, sulla sua fragile bellezza, sul suo irripetibile fascino. Ma tutto ciò sottende la capacità di apprezzare il gratuito, il di più. 

Certo un tale impegno da parte dei giovani universitari cristiani non potrà essere adeguatamente portato a buon fine, qualora non venga supportato da un costante interesse per la propria crescita personale. Se la sentinella del mattino non è sveglia, il suo compito di rincuorare coloro che nella città attendono la fine della notte e l’arrivo dell’alba resta ineseguito. Come allora restare desti dentro il mondo dell’università? Dove trovare il nutrimento che impedisce di scivolare verso il profilo professionale dello studente medio? 

Ci sono diverse tradizioni di presenza cristiana nel mondo universitario, in tutte è comunque molto alta l’at-tenzione per la Parola di Dio ed in modo particolare per la lectio divina, che è occasione per meditare il Vangelo alla luce della propria vita e la propria vita alla luce del Vangelo. Importante è poi la scelta di una guida spirituale, con la quale fare un cammino di conoscenza del proprio cuore, che resta, è bene dirlo, l’oggetto più misterioso ed affascinante da scoprire. 

La pratica degli Esercizi Spirituali forse ha ancora qualche cosa da dire nel mondo postmoderno. Attraverso gli ingredienti di questo cammino, i giovani studenti cristiani potranno testimoniare che la singolare bellezza dell’avventura umana difficilmente si lascia cogliere da coloro che sono interessati solo a cercare un posto fisso, una casa al centro ed una villa al mare. Il sovrano fascino dell’esistenza umana, dentro e oltre le cose che si possono o meno realizzare, è colto solo dallo sguardo di colui che conosce che il bello della vita è la vita.