N.06
Novembre/Dicembre 2005

I consacrati nella pastorale vocazionale: una testimonianza adulta di vocazione all’amore

La parola testimonianza attraversa questa relazione e le altre che verranno; è bene richiamare il significato che le verrà attribuito nel nostro contesto. La testimonianza, alla quale tutti i credenti sono chiamati in forza del battesimo, è esperienza di un Dio che ci ama personalmente, che salva me, la storia, il mondo intero. 

“È fede che si fa corpo e diventa storia nella condivisione e nell’amore…” (Testimoni di Gesù risorto, n. 8). 

Testimoniare con la vita e quindi in modo concreto, quotidiano è la forma più elementare e diretta della fede, nella quale mettiamo in gioco noi stessi, la nostra storia, la nostra appartenenza. 

È vivere nel tempo l’Amore di Dio: “Siete, da consacrati, il punto di incrocio tra l’iniziativa di Dio e l’attesa della creazione” (GIOVANNI PAOLO II – anniversario della Provvida Mater). 

È vivere Cristo, sorgente viva ed inesauribile della speranza. 

 

Testimonianza e contesto culturale 

Siamo chiamati a vivere la testimonianza che si fa vita nelle contraddizioni del nostro tempo, dove “la rottura tra Vangelo e cultura è il dramma della nostra epoca” (già Paolo VI nella Evangelii Nuntiandi). 

Dal documento Testimoni di Gesù risorto

“…La missionarietà deve essere culturalmente attrezzata, se vuole incidere nelle mentalità e negli atteggiamenti. La società in cui viviamo va compresa nei suoi dinamismi e nei suoi meccanismi, così come la cultura va compresa nei suoi modelli di pensiero e di comportamento… Se ciò venisse sottovalutato o ignorato, la testimonianza cristiana correrebbe il rischio di condannarsi ad un’inefficacia pratica” (n.11). 

“Il termine cultura abbraccia non soltanto le idee, ma il vissuto delle persone e delle collettività, le strutture che lo reggono e i valori che gli danno loro forma” (Progetto culturale orientato in senso cristiano, n. 2). 

Possiamo dire che oggi si è smarrito il senso ed il fine di ogni vita, e la mancanza di tensione ideale marca l’esistenza dei più. 

È definita la cultura del vuoto, che pure, convive in molti, con la manifesta e più spesso inconfessata nostalgia dell’oltre, del trascendente, alla ricerca di qualcosa o qualcuno per cui valga la pena di vivere, in una sintesi di ambivalenze che rendono frammentate le esperienze, ma che lasciano aperti spiragli…

Da sempre, si dice, l’uomo ha bisogno di modelli. Dove li cerca? Dove li trova? 

Si vive impastati di soggettivismo, dove tutto è equivalente ed effimero. La verità è ridotta ad opinione, il “secondo me” diventa il criterio di valutazione. Il relativismo annulla l’oggettività dei valori, in nome del “tutto e subito”. 

È definita la cultura del presente. Il futuro non vi trova posto. 

Eppure il senso del mistero continua ad agitare il cuore dell’uomo, verso una nostalgia di risposte, verso la ricerca di Qualcuno che possa essere la speranza e il futuro. 

La comunità dei credenti non è preservata dalla cultura contemporanea. Si vive la fede in maniera rassegnata, ci si procurano punti di riferimento alternativi al Vangelo, o si riduce la fede a qualcosa che sta sullo sfondo. Mons. Ravasi ha definito, sere fa, la fede di oggi “non estinta, ma stinta”. 

Gli interrogativi fondamentali – da dove vengo e soprattutto dove vado – restano. Il bisogno di cose certe, sicure, a cui ancorare la vita, e che nessuna nuova visione antropologica riesce a tacitare del tutto, si chiama SPERANZA. In essa il giudizio sul presente, sempre insufficiente ad appagare le ragioni del cuore e della mente, ci induce a guardare in avanti, per trovare nel futuro la possibilità di una pienezza non posseduta. 

Noi sappiamo che, nel linguaggio teologico, questo futuro si chiama “eschaton”: è la pienezza, che in Cristo è diventata dono. 

“Noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo che, quando si sarà manifestato, noi saremo simili a Lui” (1Gv 3,2). 

Sappiamo anche che ciò che ci aspetta oltre la vita, non elimina la nostra creaturalità, ma ci fa intravedere una realtà che la supera. Cristo, con l’Incarnazione e la sua Resurrezione, ha messo il seme della vita eterna nell’umanità. 

“Lo sguardo verso l’alto non ci impedisce di vedere quello che succede in terra, anzi lo chiarisce, e ci aiuta a trovarne il senso” (omelia di Mons. Betori alla GMG di Colonia). 

Dopo Gesù non è più possibile considerare la dimensione escatologica della fede disancorata dalla vita. Questo è l’invito di Gesù ai suoi discepoli: “Voi avete forza dall’alto, per questo mi sarete testimoni in Gerusalemme, in Samaria, in tutto il mondo” (At. 1,8). 

Si è testimoni perché mandati in comunione con Cristo, da cui traggono forza e coraggio la nostra vita ed il nostro esserci, perché chi ha risposto al Signore non può non condividere il dono ricevuto, “amare come siamo stati amati” e rinnovare ed approfondire la nostra collaborazione all’avvento del Regno.

 

La speranza cristiana si fa vita: testimonianza dei consacrati 

Alle domande ed alle aspettative della cultura contemporanea, Giovanni Paolo II, nella NMI al n. 12, ha risposto che non basta più parlare di Cristo, bisogna farlo vedere con la santità della sequela, vissuta nella gioia. Abbiamo potuto toccare con mano con quale stupore, ammirazione, nostalgia, sono stati accolti e seguiti i Santi che hanno attraversato gli ultimi tempi. 

La proposta della santità passa attraverso il racconto della propria vita, che non è solo azione solidaristica, ma modo di pensare, di porsi, di dialogare. È far vedere come Cristo ti trasforma la vita e come il dono totale di sé restituisce ricchezza, pace interiore, gioia. Ed è singolare come il mondo, che vive d’effimero, di superficialità, chieda ai consacrati radicalità di vita, presenza concreta umile e fattiva, profezia, ci chieda ciò che lui non sa dare. 

Oggi più che mai, i consacrati sono quelli che rispondono all’invito “Adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi” (1Pt 3,15). 

 

Cristo sorgente viva ed inesauribile di speranza 

Quale santità, al servizio della speranza, nella vita consacrata? 

La risposta può essere un modo adulto di vivere la vocazione all’amore. Che significa, anche, non lasciarsi travolgere e condizionare dalle vicende contingenti, per vivere dentro la storia con sguardo sapienziale, e riscoprirla come vicenda salvifica. La fede allora, diventa sguardo nuovo, che legge il presente in maniera più larga e positiva, sgombra da lamentazioni e scoraggiamenti, che rischiano di colorare di ateismo la nostra valutazione degli avvenimenti, quando non riusciamo a vedere Dio all’opera nella storia, come se la storia non avesse già avuto in Lui il suo compimento. 

“La creazione geme e soffre nelle doglie del parto e nutre lei stessa la speranza di essere liberata…” (Rm 8,19). 

La fede adulta ci fa crescere nella consapevolezza di essere tutti protagonisti nella storia della salvezza, con il nostro essere aperti al dialogo, al confronto, al camminare insieme, sapendo che verità ed amore non si ereditano per legge biologica, e che ogni generazione è chiamata a decidersi di nuovo. L’opera va ricominciata sempre da capo. “Perché ciascuno giunga alla consapevolezza che la vita è un dono, è il capolavoro dell’amore creativo di Dio ed è in se stessa una chiamata ad amore. Dono ricevuto che tende per natura sua a diventare bene donato” (Ecclesia in Europa). 

I consacrati sanno che la loro vita è la ricerca di questo bene, per il quale vale la pena di sacrificare ogni altra cosa, è un continuo scegliere tra cose importanti e durature e cose effimere, tra i valori che riempiono l’esistenza, e le cose che la rendono insignificante. 

I consigli evangelici, allora, diventano la strada da proporre per vivere questa ricerca in maniera totale, esclusiva, che ti riempie la vita, perché Cristo resta la sorgente viva ed inesauribile della speranza. 

 

Testimonianza dei consigli evangelici 

La prima testimonianza che possiamo dare è quella di interpretare la vita come vocazione, che sta all’inizio d’ogni percorso di fede e d’evangelizzazione. Dio chiama ogni figlio a realizzare il suo piano, a diventare collaboratore nella costruzione del Regno. 

Il mandato speciale per i consacrati è quello di aiutare ogni persona che ci avvicina a trovare la sua strada, a fare quel percorso che il Signore ha designato, e che costituisce per ciascuno di noi il massimo del nostro bene. Nessuna vocazione ha il privilegio di esaurire totalmente il mandato; tutte le vocazioni in armonia tra loro, rendono presente il Signore nella vita. 

I consacrati, con le loro specificità, sono segno eloquente, nel mondo, delle realtà ultime, e sono un richiamo ad andare al di là del contingente, “perché la scena di questo mondo passa”. 

Chi ha scelto i consigli evangelici, donandosi totalmente al Signore, sa che può comunicare valori preziosi anche oggi, se questi consigli sono vissuti nella loro radicalità in modo profondamente umano. E questa “umanità” si concretizza nella vita di ogni momento. Non siamo uomini e donne a metà, ma sappiamo vivere in pienezza il rapporto con Dio ed anche gli aspetti positivi della vita. 

In questa prospettiva tutti e tre i voti sono espressione di un unico amore, che nasce dall’aver affidato la propria vita a chi ci ha dato Amore per primo, con il coraggio di una sequela generosa e ricca di gioia. Dove, per gioia, non è da intendersi il sorriso stampato sulle labbra; è l’anima che sorride attraverso i nostri occhi che sanno comunicare la pace interiore raggiunta, per essere arrivati all’approdo sicuro. 

Al mondo d’oggi, che ha ridotto l’amore a bene di consumo, vissuto in drammatiche fragilità, il voto di castità dice il desiderio d’amare secondo il cuore di Cristo. È il grande dono che rende capaci di relazioni autentiche, profonde, in cui ci si mette in gioco per accogliere e donare. 

Con la povertà, si accettano i beni terreni come dono di Dio, per esserne amministratori fedeli, al servizio dei fratelli. Il criterio della condivisione e della solidarietà non riguarda solo i beni economici, ma tutte le risorse individuali: il tempo, le capacità, il lavoro. 

Per gli istituti secolari, in particolare, il voto di povertà è vivere con tutti gli altri uomini le precarietà della vita odierna: le insicurezze dell’oggi e del domani, l’instabilità del lavoro, la fatica personale di dover provvedere a se stessi, per vivere in una dignitosa sobrietà. 

L’obbedienza alla volontà ed al progetto che Dio ha per i consacrati, si esercita attraverso la risposta attenta ed intelligente alle circostanze della vita personale, familiare, di comunità e della realtà più ampia della quale siamo parte. 

Qui entra in campo la capacità del discernimento, che ci aiuta a vivere con grande responsabilità personale, attenti ai segni dei nostri tempi, insieme alla capacità di aiutarsi gli uni gli altri, senza delegare, ma vivendo pienamente e consapevolmente quanto ci spetta. Aperti e disponibili a correggere la rotta quando è necessario. 

I consigli evangelici, intesi così, non ci separano dagli altri fratelli, ma rendono i consacrati “realmente presenti e solidali con il genere umano e la sua storia” (GS n. 1) e li rendono altresì “tracce concrete che la Trinità lascia nella storia, perché gli uomini possano avvertire il fascino della bellezza divina” (Vita consecrata, n. 20). 

Se vogliamo che l’annuncio vocazionale “arrivi” è ancora necessario superare linguaggi e comportamenti che rivelano la contrapposizione noi/loro, ed il tenersi ai margini di certi ambienti perché “pericolosi”, il fare gruppo chiuso… 

Per essere “presenti e solidali” bisogna vivere in mezzo agli altri, condividere, farsi carico gli uni degli altri, e ciò vuol dire “rischiare”. La fede adulta sa anche valutare il rischio, e capire se, con l’aiuto di Dio, si è in grado d’affrontarlo. 

Pensiamo a come si è diffusa la fede nei primi tempi: gli Atti degli Apostoli riportano una trasmissione tipo “passaparola”, una testimonianza di fede spontaneamente eroica, un proclamare a tutti “Cristo è risorto”. 

Si è detto che le negatività del nostro tempo lasciano aperti spiragli… le richieste d’autenticità, le aspirazioni, i desideri di molti giovani attendono risposte: è lì che dobbiamo trovarci. La nostra testimonianza di consacrati trasparirà da una vita coerente, che diventa efficace se rivela che la radice dei consigli evangelici è l’Amore, che porta a sintesi povertà, castità, obbedienza e dà loro “anima”, come un vento che spazza via il sapore di “dovere”, di limite, di sacrificio. 

Le prove della vita interessano tutti, ed a maggior ragione, chi si mette alla sequela di Cristo sa che la Croce è un passaggio obbligato che ha però come meta il Risorto. 

Siamo certi che al termine di questo cammino, ma anche nel momento della sofferenza, ci sarà dato di percepire che speranza e gioia sono già presenti in germe. Lo stile ed il modo della testimonianza dei consacrati ci sono stati chiaramente indicati da Gesù “siate perfetti com’è perfetto il Padre vostro…”. 

Il cammino che ci aspetta è infinito, perché Dio è infinito, ma è un cammino sorretto dalla certezza del Suo Amore e dalla speranza di rispondere all’idea che Lui ha di ciascuno di noi, manifestata quando ci ha chiamati.