N.01
Gennaio/Febbraio 2006

Cristo speranza del mondo: i percorsi educativi della comunità cristiana

Giovanni Paolo II nel 1997, guardando all’Europa di fine millennio, lanciava un grido dall’allarme definendola “culturalmente complessa e priva di precisi punti di riferimento, simile ad un grande pantheon, in cui il modello antropologico prevalente sembra essere quello dell’uomo senza vocazione”; ed in modo particolare guardando il mondo giovani affermava: “Molti giovani non hanno neppure la «grammatica elementare» dell’esistenza, sono dei nomadi: circolano senza fermarsi a livello geografico, affettivo, culturale, religioso, essi «tentano»! …per questo hanno paura del loro avvenire, hanno ansia davanti a impegni definitivi e si interrogano circa il loro essere. Se da una parte cercano autonomia ed indipendenza ad ogni costo dall’altra, come rifugio, tendono ad essere molto dipendenti dall’ambiente socio culturale e a cercare la gratificazione immediata dei sensi”[1]. Nell’omelia in apertura del conclave il Card. Ratzinger dopo aver ripercorso l’analisi del nostro tempo giungendo alle stesse conclusioni, afferma: “Noi, invece, abbiamo un’altra misura: il Figlio di Dio, il vero uomo. È lui la misura del vero umanesimo. «Adulta» non è una fede che segue le onde della moda e l’ultima novità; adulta e matura è una fede profondamente radicata nell’amicizia con Cristo. È quest’amicizia che ci apre a tutto ciò che è buono e ci dona il criterio per discernere tra vero e falso, tra inganno e verità. Questa fede adulta dobbiamo maturare, a questa fede dobbiamo guidare il gregge di Cristo”[2]

A Colonia papa Benedetto XVI ai giovani annuncia che “non sono le ideologie che salvano il mondo, ma soltanto il volgersi al Dio vivente, che è il nostro creatore, il garante della nostra libertà, il garante di ciò che è veramente buono e vero. La rivoluzione vera consiste unicamente nel volgersi senza riserve a Dio che è la misura di ciò che è giusto e allo stesso tempo è l’amore eterno. E che cosa mai potrebbe salvarci se non l’amore? 

Sono molti coloro che parlano di Dio; nel nome di Dio si predica anche l’odio e si esercita la violenza. Perciò è importante scoprire il vero volto di Dio. I Magi dell’Oriente l’hanno trovato, quando si sono prostrati davanti al bambino di Betlemme. «Chi ha visto me ha visto il Padre», diceva Gesù a Filippo (Gv 14,9). In Gesù Cristo, che per noi ha permesso che si trafiggesse il suo cuore, in Lui è comparso il vero volto di Dio. Lo seguiremo insieme con la grande schiera di coloro che ci hanno preceduto. Allora cammineremo sulla via giusta. Questo significa che non ci costruiamo un Dio privato, un Gesù privato, ma che crediamo e ci prostriamo davanti a quel Gesù che ci viene mostrato dalle Sacre Scritture e che nella grande processione dei fedeli chiamata Chiesa si rivela vivente, sempre con noi e al tempo stesso sempre davanti a noi”[3]

Educare alla speranza i giovani del nostro tempo è condurli all’incontro pasquale con il Cristo Risorto. Al mattino di Pasqua, prima le donne e poi i discepoli ebbero la grazia di vedere il Signore. D’allora in poi essi seppero che ormai il primo giorno della settimana, la domenica, sarebbe stato il giorno di Lui, di Cristo. Il giorno dell’inizio della creazione diventava il giorno del rinnovamento della creazione. Creazione e redenzione vanno insieme e aprono l’uomo alla Speranza. Chi ha scoperto Cristo deve portare altri verso di Lui. Una grande gioia non si può tenere per sé. Bisogna trasmetterla![4].

 

Cristo speranza del mondo 

All’alba del giorno di Pasqua la Maddalena e le donne, dopo aver incontrato Gesù Risorto, non poterono tenere per sé la gioia di quell’incontro e questa esperienza la si celebra nella liturgia pasquale mettendo sulla bocca di ogni cristiano le parole di Maria Maddalena, l’annuncio che cambia la storia e la vita degli uomini: Cristo nostra speranza è risorto![5]

Questo annuncio rianima il cuore degli apostoli, i quali con trepidazione iniziano la corsa verso quel luogo che sembrava aver scritto la parola fine alla loro speranza di veder realizzate le attese del popolo di Israele (Lc 24,21; Gv 20,3-10): “Nella storia della salvezza Dio si fa presente come Dio dell’alleanza e della promessa. Attraverso le meraviglie della creazione, dell’incarnazione redentrice e della santificazione, il Padre mira a unificare e pacificare in Cristo risorto, per la potenza dello Spirito, il mondo intero, per essere «tutto in tutti» (1Cor 15,28)”[6]

Dopo l’esperienza dell’incontro con il Cristo Risorto gli apostoli, come Maria Maddalena, pieni di Spirito Santo iniziano ad annunciare il compimento della Speranza d’Israele: ad Abramo Dio promette una terra ed una discendenza, purché si metta subito in cammino; la promessa è garantita dall’alleanza di cui Dio stesso si fa garante (Gen 12,1-2; 15,5-21); Isacco eredita questa stessa promessa e l’alleanza trasmettendole con la sua benedizione a Giacobbe (Gen 27,28-29); le promesse fatte agli antichi padri Abramo, Isacco e Giacobbe diventano così il patrimonio dell’intero Popolo, fondamento della speranza che anima ogni figlio d’Israele. 

Le promesse fatte da JHWH, creatore e salvatore del mondo [7] , fin dalla creazione e rinnovate ad ogni generazione pongono il pio Israelita in attesa di un futuro materiale e spirituale, temporale ed eterno, collettivo ed individuale ad un tempo. I discepoli di Emmaus diventano l’icona di queste attese. 

L’annuncio “il regno di Dio è vicino” risuona negli orecchi dei discepoli di Giovanni, suona come l’annuncio della realizzazione della speranza d’Israele e diventa la forza dell’invito alla sequela (Mt 4,17; Gv 1,35ss). Come ci racconta l’evangelista Giovanni, i primi discepoli di Gesù si muovono con nel cuore il desiderio di veder realizzata la speranza, di vedere concretizzate le promesse messianiche. 

“Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù si recò nella Galilea predicando il Vangelo di Dio e diceva: «Il tempo è compiuto e il Regno di Dio è vicino: convertitevi e credete al Vangelo» (Mc 1,15s). La venuta del Figlio di Dio sulla terra è un avvenimento di tale portata che Dio ha voluto preparare nel corso dei secoli. 

“La presenza nel mondo del Figlio di Dio fatto uomo, inaugurata con l’incarnazione redentrice, culminerà con la parusia, la venuta gloriosa che porterà a compimento la storia in una pasqua cosmica, in cui i morti risusciteranno e il bene trionferà definitivamente sul male”[8]. La Chiesa delle origini crede che il Signore, morto e risorto, ha aperto una storia di salvezza universale che troverà il suo pieno compimento nella parusia come compimento e manifestazione suprema della presenza che orienta la storia verso il suo pieno compimento. 

Ogni anno la Chiesa nel tempo di Avvento attualizza l’attesa della realizzazione piena della storia; mettendosi in comunione con la lunga preparazione della prima venuta del Messia, ravviva nei fedeli l’ardente desiderio della sua seconda venuta che fonda la speranza della realizzazione piena di “cieli nuovi e terra nuova”[9]

Ogni domenica la Comunità dei credenti celebra e annuncia la passione, morte e risurrezione di Gesù Cristo, invitando tutti ad attendere la venuta del Signore, permettendo al Cielo di discendere sulla terra rafforzando la speranza di vedere il compimento di quell’ottavo giorno che al suo inizio è segnato dalla promessa fatta agli apostoli: “Questo Gesù, che è stato di tra voi assunto fino al cielo, tornerà un giorno allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo”(At. 1,11). In virtù di questa promessa l’espressione più alta della speranza cristiana è la preghiera maranatha: vieni Signore Gesù!, perché in fondo altro non è se non il desiderio ardente di un amore che ha fame della presenza del suo Signore. 

 

I percorsi educativi della comunità cristiana: educare alla speranza 

“Quanto più il cristiano avanza e cresce nella fede, tanto più scopre che è la fede ad aprirlo e sospingerlo oltre le frontiere del tempo verso una realtà invisibile, dove ciò che è imperfetto sparirà e l’ombra ed il riflesso cederanno il posto alla visione di ciò che è perfetto (1Cor 13,12). Non sempre i cristiani hanno saputo portare agli uomini del nostro tempo l’annuncio della fede palpitante nella speranza ed operante nella carità[10]

Una comunità cristiana che voglia educare i suoi figli alla speranza non deve farsi irretire da prospettive che si accontentano di rinviare il superamento del limite umano accontentandosi di sopravvivere, di sperare di cavarsela in questo mondo, rinunciando ad ogni forma di trascendenza, continuando a tenere basso lo sguardo. E allora viene da domandarsi: Ma dove andremo a finire?[11]

Quante volte per le strade, stando tra le persone non più giovanissime, mi sono sentito rivolgere questa domanda e quante volte ho dovuto constatare la retorica di questa riflessione; da sempre l’uomo si pone le domande di senso e già Eraclito diceva “Senza la speranza non si raggiunge l’insperato”. Il cammino di preparazione al Convegno di Verona spinge ogni comunità ecclesiale a riconsiderare nella sua vita e missione l’invito a dare ragione della speranza che è in noi (1Pt 3,15) e a porre al centro dell’attenzione la speranza come virtù[12]

Per educare alla speranza è necessario riproporre l’annuncio kerigmatico dell’esperienza pasquale, che non si limita ad essere notizia, ma è buona notizia, in quanto coinvolge l’esistenza di ogni uomo divenendo appello: l’uomo che fa l’esperienza dell’ascolto accogliente della Parola che salva riconosce Gesù come salvatore e signore della vita. Il Cristiano attraverso l’adesione battesimale al Cristo Risorto è già passato dal potere delle tenebre al regno del Figlio e quindi brama la pienezza della vita nella luce (Col 3,1-4); per questo ogni testimone può annunciare che il crocifisso Risorto è il nome della speranza cristiana[13], anche se nella sua vita questa adesione a Cristo non ancora è perfetta. 

Missione della Chiesa è incontrare e far incontrare il Risorto, la cui signoria riconcilia il cielo e la terra, dando agli uomini la capacità di vivere relazioni nuove nella libertà dei Figli di Dio. Certamente non si tratta di trasmettere una dottrina, o di incarnare una filosofia, ma di far sì che gli uomini si incontrino con Gesù attraverso una relazione spirituale capace di trasformare la vita personale e sociale di ciascuno. 

I gesti, le azioni e le iniziative della catechesi, della liturgia e della vita caritativa hanno come fonte e culmine l’incontro con il Risorto. “La Chiesa è il segno reale del Vangelo accolto, è la comunità generata dalla Pasqua di Gesù nello Spirito, sorgente di speranza e di creatività per la vita del mondo. Testimone è chi sa sperare”[14]. Per una comunità di credenti nel Risorto, quindi, si rende necessario alzare lo sguardo e, con i martiri di ieri e di oggi, contemplare la gloria di Dio e Gesù che sta alla sua destra (At 7,55s). 

Si rende necessario per il nostro tempo che sia vitale in ciascuno la coscienza battesimale, perché ciò avvenga, come ormai sia documenti magisteriali sia riflessioni pastorali propongono, è necessario riscoprire la dimensione iniziatica delle esperienze catechetiche e liturgiche che si propongono ai ragazzi, ai giovani e agli adulti. 

Per essere in grado di proporre concretamente l’iniziazione cristiana la Comunità dei credenti che vive e testimonia in un determinato luogo ed in un determinato tempo, ha bisogno di una prima evangelizzazione, caratterizzata da una forte testimonianza di educatori-catechisti adulti nella fede, i quali annunciano il Vangelo aprendo i cuori alla speranza[15]. “La testimonianza del credente è così collegata al martirio, non solo perché può arrivare all’effusione del sangue, ma anche perché il testimone sa che deve scomparire, affinché si riveli il dono del Risorto, la sua presenza che guarisce e consola, la sua vita spesa per noi”[16]. Questo annuncio chiama a conversione, chiama alla sequela. La catechesi, vissuta come esperienza di “apprendistato”, in cui persone, segni e processi educativi costituiscono un privilegiato sistema comunicativo di autentici valori, i quali costituiscono la proposta di una misura alta della vita cristiana ordinaria, che va verso il compimento della vocazione di ciascun battezzato alla santità[17]

Tutta la Comunità cristiana è coinvolta così nel consegnare ed accogliere la professione di fede nel Cristo Risorto, speranza delle genti. La logica che alterna traditio e redditio caratterizza da sempre la vita della Chiesa: anche oggi c’è bisogno di chi accoglie la Tradizione della Chiesa e la trasmette arricchendola con la sua testimonianza, cosicché ogni generazione narra all’altra la gloria di Dio, i mirabilia Dei. La celebrazione dei sacramenti ed in modo particolarissimo la celebrazione eucaristica dà l’opportunità ad ogni cristiano di divenire “narratore della speranza”[18]; solo chi ha visto compiersi le sue speranze può celebrare le meraviglie che Dio ha compiuto nella sua vita e può attenderne di più grandi. 

Quando viene meno questa capacità di dialogo tra generazioni non si è più capaci di sperare, di cercare cieli nuovi e terre nuove, di fare progetti guardando non solo il presente o il futuro prossimo; non a caso oggi, come dicevamo all’inizio, l’uomo appare senza vocazione, perché è incapace di sognare come i Figli d’Israele e quando si perde questa capacità si semina morte (Gen 37,19). 

In questo nostro tempo la Chiesa deve ritrovare la capacità profetica di leggere i segni dei tempi come germi del Regno di Dio che germinano nei solchi della storia, deve saper cogliere gli eventi in cui si manifesta la provvidenza di Dio. Solo lasciando parlare lo Spirito santo che ci è stato dato in dono possiamo essere veri rivoluzionari e, come ci ha ricordato a Colonia papa Benedetto XVI, accogliendo la vocazione battesimale alla santità ed il personale modo di perseguirla nel realizzare il progetto del Padre in modo che ciascuno in Cristo può dare vita alla Speranza! 

 

 

Note 

[1] NVNE n. 11c.

[2] J. RATZINGER, Omelia Missa pro eligendo Romano Pontifice

[3] BENEDETTO XVI, Omelia veglia, Marienfeld (Colonia). 

[4] Cfr. BENEDETTO XVI, Omelia nella Messa conclusiva, Marienfeld (Colonia). 

[5] Cfr. Liturgia della domenica di pasqua, sequenza.

[6] CdA n. 1168. 

[7] CdA n. 365. 

[8] CdA n. 1177. 

[9] Cfr. LG n. 48. 

[10] Cfr. CEI, Vivere la fede oggi, 4 aprile 1971. 

[11] Cfr CEI, Testimoni di Gesù Risorto, speranza del mondo (TSM), 29 aprile 2005, n. 2

[12] Ibidem, n. 1. 

[13] Ibidem, n. 2. 

[14] Ibidem, n. 5. 

[15] Cfr. CEI, Nota pastorale L’iniziazione cristiana dei fanciulli e dei ragazzi dai 7 ai 14 anni, 23 maggio 1999 (ICF); Rito Iniziazione Cristiana degli Adulti (RICA), cap. 5. 

[16] TSM n. 8

[17] Cfr Novo Millennio Ineunte (NMI), n.31. 

[18] TSM, n. 10.