N.01
Gennaio/Febbraio 2006

Quali testimoni di speranza per i giovani di oggi

Mi è stato chiesto di offrire una testimonianza su come la mia consacrazione nella secolarità, nel mondo, mi ha reso testimone di speranza per qualche giovane incontrato. Mi risulta difficile parlare di me, ma è pur vero che di alcune cose si accorge anche chi rende una testimonianza. Il segno visibile che attraverso di noi qualcosa è passato dell’annuncio di speranza che abbiamo incontrato in Gesù, mi sembra il fatto che la vita delle persone prende strade diverse, nuove, più serene e gioiose, che si aprano prospettive per un futuro che sembrava buio e indistinto. Ho lavorato per molti anni come impiegata in una piccola fabbrica artigianale del mio paese. Lì sono stata per alcuni operai – solo di pochi anni più giovani di me – una presenza “affidabile”. Me ne sono accorta per il fatto che quasi tutti, nelle occasioni che ci offriva il lavoro, mi prendevano come loro confidente e così spesso mi sono trovata in mezzo al fuoco incrociato di conflitti e antipatie, di fatiche e lotte. Ho cercato di seminare come potevo prospettive di riconciliazione e di accettazione della realtà sempre complessa e soprattutto diversa da come uno a 15-20 anni la sogna! 

Con qualcuno ho camminato più in profondità. Non facendo mistero della mia fede e della mia partecipazione ecclesiale ho accolto la richiesta di una ragazza a prepararla alla Cresima in vista del matrimonio. Ascoltando le sue sofferenze di ragazza del sud immigrata al nord, in rotta con la madre e un po’ con tutta la sua famiglia, l’ho accompagnata in un cammino di crescita cristiana e umana verso il matrimonio. Oggi questa amica è una donna felicemente sposata con un figlio ormai ventenne. Non la vedo più spesso, ma quando capita di incontrarsi per strada o al supermercato, sono felice di vederla serena, seppure provata dalla vita che non le ha risparmiato una brutta malattia, contenta della propria famiglia. In quegli stessi anni ricordo di aver presentato al mio principale una ragazza un po’ disadattata che però aveva bisogno di trovare stabilità in un lavoro. Ho dovuto insistere in qualche occasione perchè lui desse fiducia a questa persona, ma anche lì sono contenta di aver potuto mediare in modo da offrire a Luisa un’opportunità per il suo futuro: ora vive sola – i genitori sono morti – ma continua a lavorare in quel posto, e ha dunque la possibilità di una socializzazione normale, e di un sostentamento in autonomia, cosa importantissima per una stabile percezione della propria dignità. 

Più avanti ho lavorato in un ambiente ecclesiale, dove i rapporti sono sempre complicati (come o forse più che altrove), dove la contro-testimonianza di consacrati e presbiteri è spesso all’indice dei laici, magari poco convinti della loro fede, o di fede semplice e tradizionale, che vi lavorano. Anche in questo posto – io laica – mi trovavo spesso in mezzo: da una parte i “padroni”, rappresentati da preti e religiose, dall’altra alcuni laici, donne e uomini che non avevano né la possibilità di fare discussioni teologiche, né di sofisticare sulla fede, ma che sapevano riconoscere al volo un gesto di carità o un atto di derisione del prossimo o di sopraffazione. Io laica, come loro, ma convinta della mia fede, e profondamente appassionata per la mia Chiesa locale, ero una voce un po’ fuori dal coro, che scombinava gli schemi. Che fatica anche per me conquistare un equilibrio, allenarsi a vedere il bene che pure c’era (da una parte e dall’altra), aiutare a riconoscere i propri limiti che oggettivamente potevano condizionare l’andamento del lavoro. 

Tra le altre occasioni di offrire speranza per me è risultato importante il rapporto con Roberta, una ventenne che presentai perché fosse assunta come addetta alle pulizie degli ambienti. Il rapporto con questa ragazza crebbe di giorno in giorno e a poco a poco la fiducia che incominciò ad avere nei miei confronti spalancò un panorama di sofferenze familiari insospettato, anche se i segni del disagio erano ben visibili.

Ben presto capii che ero diventata per lei un po’ come la mamma che non aveva mai avuto, o peggio, che era stata pessima e che lei odiava, anche adesso che era morta.

Riuscii a convincerla a incamminarsi verso un percorso di recupero di fiducia nella vita e di apertura ad un futuro migliore che doveva passare dal lasciare la sua famiglia. Fidandosi, e non senza difficoltà, lo fece. Imparò a fidarsi anche di specialisti a cui la indirizzai per il suo cammino di guarigione e riconciliazione. Quasi dovette scappare di casa. Ma ora, a distanza di anni posso dire che pur continuando a camminare, lei è un’altra persona. Finalmente protesa a costruirsi un futuro anche se il passato continua a far male, e l’assenza di una famiglia
normalmente positiva si fa sentire. Ora ha cambiato ancora lavoro, abita presso una famiglia che la ospita, e sta ultimando una scuola superiore per ottenere un titolo di studio che le permetta di avere un futuro migliore.
La vocazione a vivere la secolarità consacrata per me, è passata da quei luoghi e mi ha permesso di condividere un pezzo di strada con queste persone. Penso che se non avessi condiviso con loro le ore di lavoro, seppure in ruoli diversi, non avrei potuto incontrarle e forse per qualcuno di loro la strada verso la speranza nella vita sarebbe stata ancora più tortuosa. 

Ringrazio il Signore che mentre è per me fonte di speranza ogni giorno, permette anche ad altri, che attraversano la mia vita, di abbeverarsi alla stessa fonte.