N.05
Settembre/Ottobre 2006
Studi /

Educare gli affetti secondo la “Deus caritas est”

Papa Benedetto XVI nella sua prima Enciclica c’invita a riflettere e ad interrogarci sulla verità più profonda, preziosa, delicata, presente in ogni persona: l’amore. Senza timore, il Papa ci spalanca l’orizzonte di una realtà forte e fragile nello stesso tempo, una realtà da accogliere, da custodire, da vivere nella libertà di un dono ricevuto e capace di diventare bene donato. Il Papa rimanda all’origine di questo dono e ci ripete il mistero più grande della nostra fede: Dio è amore. «L’amore di Dio per noi è questione fondamentale per la vita e pone domande decisive su chi è Dio e chi siamo noi» (n. 2). Questa questione fondamentale è un appello vocazionale chiaro, presente nel cuore di ogni persona, soprattutto dei giovani, così spesso intrappolati in significati ed esperienze differenti dell’amore. 

La non chiarezza circa la realtà dell’amore porta spesso i giovani a ritrovarsi in quella percezione diffusa a cui lo stesso Papa dà voce: «la Chiesa con i suoi comandamenti e divieti non ci rende forse amara la cosa più bella della vita? Non innalza forse cartelli di divieto proprio là dove la gioia, predisposta per noi dal Creatore, ci offre una felicità che ci fa pregustare qualcosa del Divino?» (n. 3). 

Dai ragionamenti dei giovani sull’amore emerge chiaramente il loro bisogno di autonomia, la loro pretesa sicurezza di una libertà a cui non può essere negato nulla, ma a cui deve essere concesso tutto… Quando però confidano il loro vissuto, spesso ferito da esperienze affettive contraddittorie, si comprende quanta solitudine vivano e quanto bisogno di imparare ad amare essi abbiano! Questi modi differenti di comprendere e vivere l’amore diventano un chiaro appello, molto spesso inespresso, per ogni educatore, che deve saper proporre loro un autentico cammino per crescere nell’amore. 

Benedetto XVI ci offre spunti concreti per un cammino di educazione degli affetti, che può essere di orientamento nell’accompagnamento vocazionale. La stessa Enciclica ricorda come «l’amore comprende la totalità dell’esistenza in ogni sua dimensione, anche in quella del tempo. Non potrebbe essere diversamente, perché la sua promessa mira al definitivo: l’amore mira all’eternità» (n. 6). Amore e vocazione si richiamano a vicenda e si fondono in un’unica realtà perché sono la rivelazione originaria di ciò che la persona è, abbracciano tutte le dimensioni della vita e della storia personale, sono espressione di una gratuità che precede e, una volta riconosciuta e accolta, riempie di gratitudine il presente. Tutto questo apre alla responsabilità della risposta, capace di orientare in modo nuovo il proprio futuro. Ogni vocazione, proprio perché affonda le sue radici nella realtà dell’amore, conosce, sì, la fatica della scelta e della rinuncia, ma porta scritto in sé anche il desiderio di poter dire un “sì per sempre”. 

Amore e vocazione (nella duplice realtà di chiamata-risposta) si manifestano in una vita di relazione che chiede di essere vissuta in un rapporto sempre rinnovato con Dio e con gli altri. Alla scuola dell’amore si viene educati a vivere atteggiamenti nuovi di cura, di dedizione e di attenzione, che diventano concreto servizio all’altro, capace di rendersi visibile, in modo chiaro, in ogni scelta vocazionale. Come l’amore, anche il vero discernimento della personale vocazione, coinvolge la totalità della persona e diventa un cammino di crescita globale, perché è «la persona, che ama come creatura unitaria, di cui fanno parte corpo e anima. Solo quando ambedue si fondono veramente in unità, l’uomo diventa pienamente se stesso» (n. 5), e la risposta alla personale vocazione diventa epifania del proprio modo di amare. 

Educare gli affetti significa, allora, permettere a ciascuno di pronunciare quel sì della propria volontà a quella di Dio che unifica tutta la persona – intelletto, volontà, sentimento – «nell’atto totalizzante dell’amore» (n. 17). Ogni vocazione nasce dall’amore e ritorna all’amore! 

 

L’eros educabile 

Il cammino che il Papa ci fa percorrere dentro i dinamismi dell’amore, soprattutto nella prima parte dell’Enciclica, ci aiuta a comprendere come nell’educazione affettiva è necessario partire da una giusta comprensione dell’amore intesa nella sua imprescindibile unità di eros e agape: «l’amore è un’unica realtà, seppur con diverse dimensioni; di volta in volta, l’una o l’altra dimensione può emergere maggiormente. Dove però le due dimensioni si distaccano completamente l’una dall’altra, si profila una caricatura o in ogni caso una forma riduttiva dell’amore» (n. 8). È a partire da una visione positiva dell’eros che può cominciare, in sintonia con quanto suggerisce il Papa, un serio cammino educativo. L’eros è forza e potenzialità presente in ogni persona, «radicato nella natura stessa dell’uomo» (n. 11) che chiede di essere canalizzato nella direzione del dono, e non imprigionato nel semplice ripiegamento di un piacere fine a se stesso. Sorprende come Papa Benedetto abbia saputo richiamare il giusto valore dell’eros, proprio in una realtà come l’attuale, in cui questo termine rimanda all’irresistibile passione dei sensi, all’esaltazione del corpo, del piacere e dell’eccitamento. L’eros non è tabù da cui difendersi o di cui tacere. Dio stesso sperimenta la forza dell’eros, che è insieme totalmente agape, nel suo appassionarsi per l’uomo (cfr. nn.9-10), e compie Egli stesso un esodo da sé, per far sperimentare all’uomo il suo amore irresistibile per lui. L’eros è riconosciuto come forza vitale necessaria per compiere quella uscita da sé che spinge verso Dio e verso gli altri. Ribadisce il Papa: «l’eros vuole sollevarci “in estasi” verso il Divino, condurci al di là di noi stessi» (n. 5). Questa forza, che permette di“uscire da sé” per andare verso Dio e incontro agli altri, deve essere innanzi tutto riconosciuta come realtà bella, positiva, presente in ognuno. Essa è possibilità, spinta interiore ad amare, appello che chiede una risposta. Senza la forza dell’eros, sembra suggerirci il Papa, non ci sarebbe neppure la capacità di desiderare, di donarsi, di riconoscere l’altro per ciò che è. L’eros è quindi una realtà buona e bella, ma da educare perché, come ogni forza, può fare tanto bene o può essere così travolgente da diventare minaccia e distruzione. 

Nell’educare gli affetti è necessario quindi saper riconoscere cosa si sta sperimentando, comprendere ed accogliere quella forza-attrazione che “spinge a”. Si profila qui la possibilità di un cammino vocazionale capace di entrare in dialogo con il proprio mondo emotivo, di dare un nome a quello che si sta provando, di “colorare” la propria vita attraverso la molteplicità di emozioni e sentimenti che si sperimentano interiormente, fino a riconoscere le sfaccettature in cui amore ed egoismo si manifestano. Imparare a conoscere i propri sentimenti è una possibilità maggiore di dirigerli verso i valori di riferimento. Solo un progressivo cammino di crescita, fatto di slanci e di ritorni, fa emergere ciò che muove il cuore, e rende possibile canalizzare le proprie energie in modo più conforme allo stile di Gesù: cioè rende capaci di manifestare, con grande libertà e verità, il modo con cui si può davvero amare.

 

Parole controcorrente 

Proprio perché è una forza potente all’interno della persona, l’eros in questo “condurci al di là di noi” «richiede un cammino di ascesa, di rinunce, di purificazioni e di guarigioni» (n. 5). C’è bisogno di un cammino di crescita, lungo e paziente, per superare il carattere egoistico di un amore che pone al centro un “io” chiuso, curvo su se stesso, che usa l’altro – e qualche volta Dio stesso – per il soddisfacimento dei propri bisogni o per colmare le proprie solitudini. 

Ricorrono con una certa frequenza nell’Enciclica parole come ascesi, rinuncia, purificazione, guarigione. Sono espressioni forse un po’ abbandonate nel vocabolario educativo nei confronti dei giovani, perché sembra che accentuino la dimensione dello sforzo, o della privazione, in ogni caso della fatica. Eppure in ogni cammino di discernimento esse sono presenti, non solo evidenziando ciò che esigono dalla persona, ma facendo emergere ciò che le offrono in cambio. Esse ci parlano dell’inevitabile lotta per comprendere la volontà di Dio – presente in ogni cammino vocazionale – per affidarsi e fidarsi di Lui, per riconoscere i segni del suo amore e della sua presenza dentro la storia personale e per cercare di offrire la propria risposta. 

Ascesi, rinuncia, purificazione, guarigione sottolineano come ognuno abbia la possibilità di percorrere un cammino di conoscenza di sé capace di fare verità sul proprio passato, di orientare la propria libertà per fare scelte indirizzate verso il dono di sé, svelando così la possibilità di cambiare e non solo adeguarsi ai modi abituali di vivere. Molto spesso negare la possibilità di poter cambiare il proprio modo di amare è lo specchio di un’immagine negativa di sé, poco fiduciosa nelle proprie possibilità e nella grazia della conversione, che il Signore sempre concede. 

L’educazione degli affetti può essere considerata come un vero cammino di guarigione e di riconciliazione nella propria vita. Essa porta progressivamente a riconoscere, integrare ed amare la propria storia, fatta di slanci e di resistenze, di risposte positive e contraddittorie, di bene e di peccato. Questo cammino permette di diventare più umani e perciò più facilitati ad entrare nella dinamica dell’amore. In esso nasce l’incontro sconvolgente con l’amore di Dio che non solo «viene donato del tutto gratuitamente, senza alcun merito precedente, ma anche è amore che perdona. […] Dio ama tanto l’uomo che, facendosi uomo Egli stesso, lo segue fin nella morte e in questo modo riconcilia giustizia e amore» (n. 10). Questi percorsi, inevitabilmente esigenti, permettono al giovane di percorrere l’«esodo permanente dall’io chiuso in se stesso verso la sua liberazione nel dono di sé, e proprio così verso il ritrovamento di sé, anzi verso la scoperta di Dio» (n. 6).

 

L’agape, scuola perenne di educazione degli affetti 

Eros e agape, nell’unico amore che si manifesta nella persona, compiono reciprocamente un servizio educativo nella persona. L’uno non ha ragione d’essere se non completato dall’altro: «Anche se l’eros inizialmente è soprattutto bramoso, ascendente – fascinazione per la grande promessa di felicità – nell’avvicinarsi poi all’altro si porrà sempre meno domande su di sé, cercherà sempre di più la felicità dell’altro, si preoccuperà sempre di più di lui, si donerà e desidererà “esserci per” l’altro. Così il momento dell’agape si inserisce in esso; altrimenti l’eros decade e perde anche la sua stessa natura» (n. 7). Un percorso di educazione degli affetti, inteso vocazionalmente, trova in questa espressione del Papa una sua profonda verità: il cammino di conoscenza di sé, illuminato dalla dimensione vocazionale, non ha come finalità quella di stare semplicemente bene con se stessi, ma quello di potersi meglio possedere, per meglio donarsi. 

Se la prospettiva del dono di sé è un chiaro obiettivo dell’accompagnamento vocazionale, non può essere trascurato un ulteriore aspetto che il Papa mette in luce e che presenta non poche difficoltà di comprensione e accoglienza nella vita di ogni persona, in particolare del giovane in ricerca. Il Papa sottolinea: «l’uomo non può neanche vivere esclusivamente nell’amore oblativo, discendente. Non può sempre soltanto donare, deve anche ricevere. Chi vuol donare amore, deve egli stesso riceverlo in dono» (n. 7). Il “ricevere amore” presenta, nella storia di ciascuno, una propria zona di lotta, di resistenza, alle volte di rifiuto. La pazienza educativa chiede di saper accompagnare con discrezione e grande attenzione anche in questa zona di resistenza. Non è semplice riconoscere il proprio bisogno di essere amato. Concretamente, è necessario aiutare il giovane a rileggere tutti quei passaggi che lo portano a riconoscere nella propria storia il “già ricevuto”, la gratuità dell’amore presente nella propria vita, anche se molte volte espresso nei limiti di chi lo ha donato. 

Ci si incammina così in quella dimensione del “lasciarsi amare”, riconosciuta nella rilettura della storia passata, ma anche accolta nel presente. È proprio ponendo un’attenzione particolare a questo aspetto dell’amore ricevuto e del lasciarsi amare, che si aiuta il giovane a diventare più sensibile, più accogliente e più capace di dire grazie per le tante manifestazioni dell’amore nella propria vita. Prima di qualsiasi scelta, la vita è amore ricevuto gratuitamente. Questa verità custodisce, di per sé, la promessa di un progetto vocazionale da vivere nell’amore. Immergersi nella gratuità dell’amore ricevuto è ritrovarsi in Dio. Continua il Papa: «Certo, l’uomo può – come ci dice il Signore – diventare sorgente dalla quale sgorgano fiumi di acqua viva (cfr. Gv 7, 37-38). Ma per divenire una tale sorgente, egli stesso deve bere, sempre di nuovo, a quella prima, originaria sorgente che è Gesù Cristo, dal cui cuore trafitto scaturisce l’amore di Dio (cf Gv 19, 34)» (n. 7). Educare gli affetti è aiutare il giovane ad abbeverarsi a questa fonte dell’amore di cui, cosciente o meno, ha veramente sete. Tutto questo richiede che l’educare gli affetti avvenga in un cammino umano e spirituale concretamente vissuto. 

Si apre lo spazio di una crescita umana illuminata dall’esperienza di fede. È nella contemplazione dell’amore di Gesù, volgendo lo “sguardo al fianco squarciato di Gesù”, che si può comprendere cosa sia l’amore. «A partire da questo sguardo il cristiano trova la strada del suo vivere e del suo amare» (n. 12). La via contemplativa, che si costruisce nella relazione personale, progressiva e perseverante con il Signore, e che trova il suo alimento nella preghiera e nella vita sacramentale vissuta con fedeltà, per ricevere la grazia di rispondere all’amore, è allora il luogo dove l’educazione degli affetti prende un volto specifico. 

Un’educazione affettiva che prescinda, o che non orienti decisamente, ad una vita di relazione con il Signore, rimane insignificante. Lo spazio che il Papa dedica all’Eucaristia, come manifestazione dell’amore, diventa invito a condurre i giovani a ritrovarsi in questo mistero, in cui «veniamo coinvolti nella dinamica della donazione» (n. 13) di Gesù. 

Lasciarsi ammaestrare da questa “scuola d’amore” per vivere amando, non chiude, ma apre e dispone il cuore verso gli altri. «L’unione con Cristo è allo stesso tempo unione con tutti gli altri ai quali Egli si dona. Io non posso avere Cristo solo per me; posso appartenergli soltanto in unione con tutti quelli che sono diventati o diventeranno suoi. La comunione mi tira fuori di me stesso verso di Lui, e così anche verso l’unità con tutti i cristiani. […] Nella comunione eucaristica è contenuto l’essere amati e l’amare a propria volta gli altri. Un’Eucaristia che non si traduca in amore concretamente praticato è in se stessa frammentata. Reciprocamente il “comandamento” dell’amore diventa possibile solo perché non è soltanto esigenza: l’amore può essere “comandato” perché prima è donato» (n. 14). 

Alla scuola dell’amore di Gesù, l’amore ricevuto trasforma e rende nuova la personale capacità di amare. Il Papa lo esprime con parole di grande profondità e delicatezza: «Allora imparo a guardare quest’altra persona non più soltanto con i miei occhi e con i miei sentimenti, ma secondo la prospettiva di Gesù Cristo. Il suo amico è mio amico. Al di là dell’apparenza esteriore dell’altro scorgo la sua interiore attesa di un gesto di amore, di attenzione, che io non faccio arrivare a lui soltanto attraverso le organizzazioni a ciò deputate, accettandolo magari come necessità politica. Io vedo con gli occhi di Cristo e posso dare all’altro ben più che le cose esternamente necessarie: posso donargli lo sguardo di amore di cui egli ha bisogno» (n. 18). Educare gli affetti è lasciar progressivamente cambiare il proprio sguardo su di sé, su Dio e sugli altri. 

Un cammino affascinante e impegnativo nello stesso tempo, quello proposto dalla Deus caritas est, in cui ci troviamo coinvolti tutti. Percorrere noi, educatori alla fede, questo cammino continuo di educazione degli affetti, aiuterà ad essere nei confronti dei giovani più sensibili, più discreti, più pazienti e attenti a quanto stanno vivendo.

Soprattutto ci convincerà che non è possibile lasciarli soli nel loro seguire o perdersi, nel loro fuggire o ritornare, nel loro rispondere o resistere… a quanto l’amore chiede. «Questo è un processo che rimane continuamente in cammino: l’amore non è mai “concluso” e completato; si trasforma nel corso della vita, matura e proprio per questo rimane fedele a se stesso» (n.17). Questa certezza ci dà grande speranza e ci conferma nella fiducia nei confronti di chi ci è affidato, soprattutto nei confronti di Colui che è Amore!