N.02
Marzo/Aprile 2008

«Rimanete nel mio amore» (Gv 15, 9)

I testi biblici accolti nella nostra preghiera d’inizio Convegno, tematizzato su “L’annuncio e la proposta vocazionale nella Chiesa-missione”, ci danno l’opportunità di richiamare la fondazione teologica della pastorale vocazionale.

Una “teologia minima” della vocazione che, oggi più che mai, è necessaria per motivare e illuminare la prassi pastorale quotidiana che s’incontra con una strisciante concezione dell’“uomo senza vocazione”, mentre la comunità credente è impegnata a creare una vera e propria “cultura della vocazione”.

Questi sono i punti fermi della “teologia della vocazione”, che i testi biblici ascoltati e accolti nel cuore ci hanno richiamato e continueranno ad illuminare in questi giorni[1].

 

Il Padre chiama alla vita (Gv 1,1-5)

L’atto creatore del Padre – “Dio disse…” (Gn 1,3ss) – inaugura ed ha in sé la dinamica dell’appello, proprio a partire dalla chiamata alla vita: una vita subito concepita a somiglianza di quella divina, “a sua immagine”.

L’uomo riflette, sin dal concepimento da parte di Dio Padre, le stesse fattezze divine: la vita dell’uomo concepita a somiglianza di quella divina, fonte perenne dell’esistenza e dell’amore.

In una cultura come la nostra è più facile percepire il senso di una vita donata, quella che porta un beneficio agli altri; “ci vuole invece una coscienza più matura, una vera e propria formazione spirituale, per percepire che la vita di ciascuno, in ogni caso e prima di qualsiasi scelta, è amore ricevuto, e che in tale amore è già nascosto un consequenziale progetto vocazionale”[2].

È necessario l’annuncio e la proposta dell’amore di Dio, come senso pieno della vita; dell’amore secondo Dio, come vocazione di ogni uomo; la chiamata del Battesimo alla vita nello Spirito e la fedeltà al Battesimo stesso, come impegno a “guardare in alto” dei figli di Dio, per riconoscere e discernere la sua volontà sulla nostra vita.

 

Il Figlio chiama alla sequela

Ogni incontro o dialogo di Gesù, documentato dai Vangeli, porta con sé un significato vocazionale: la persona è posta, direttamente o indirettamente, di fronte alla domanda: “Signore, cosa vuoi che io faccia?”.

Il Figlio di Dio è il mandato del Padre per rivelare il suo volto e per chiamare l’uomo alla sua sequela: venendo su questa terra chiama gli uomini a seguirlo per essere e agire come lui.

“Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv 15,13), dirà Gesù ai suoi discepoli, definendo così il tratto unificante della sua identità e della sua missione: una vita donata per le moltitudini.

Chi si fa discepolo del Signore, rispondendo alla sua chiamata e lasciandosi da lui formare, è chiamato a rendere visibile la sua stessa missione: “la struttura di ogni vocazione, anzi la sua maturità, sta nel continuare Gesù nel mondo, per fare, come lui, della vita un dono[3].

Il portare “molto frutto” e “diventare suoi discepoli” è possibile ad una precisa condizione, che Gesù esplicita con sintetica e lapidaria chiarezza: “Rimanente nel mio amore” (Gv 15,9).

L’Eucaristia, in quanto conformazione al Cristo risorto, diventa così sorgente di ogni vocazione cristiana. All’Eucaristia il discepolo attinge la fedeltà alla propria vocazione e l’Eucaristia è icona di ogni risposta vocazionale: “Come in Gesù, in ogni vita e in ogni vocazione, c’è una difficile fedeltà da vivere sino alla missione della Croce”[4].

 

Lo Spirito chiama alla testimonianza

I primi chiamati del Vangelo ricevono da Gesù una promessa e sono così rassicurati: “Non vi lascerò orfani” (Gv 14,18), “Il Padre mio vi donerà il Consolatore… che vi insegnerà ogni cosa e vi guiderà alla verità tutta intera” (cf Gv 14,26).

Lo Spirito Santo è di fatto l’animatore e l’accompagnatore vocazionale, “l’iconografo interiore che plasma con fantasia infinita il volto di ciascuno secondo Gesù… e abilita i chiamati alla testimonianza”5: “Egli mi renderà testimonianza e anche voi mi renderete testimonianza” (Gv 15,26-27), come impegno a custodire nel cuore Gesù, il Verbo di Dio e ad annunciarlo come vita del mondo.

Mentre ci stiamo interrogando su dove e come orientare i cammini della pastorale vocazionale oggi, di fronte al mutato contesto culturale, è necessario confermarci in “un primato della vita nello Spirito, che sta alla base di ogni pastorale vocazionale. Ciò richiede il superamento di un diffuso pragmatismo e di un certo esteriorismo sterile che porta a dimenticare la vita teologale della fede, della speranza e della carità. L’ascolto profondo dello Spirito è il nuovo respiro di ogni azione pastorale della comunità ecclesiale… La santità è la vocazione universale di ogni uomo, è la via maestra in cui convergono i tanti sentieri delle vocazioni particolari. Pertanto il grande appuntamento dello Spirito per questa curva di storia particolare è la santità dei chiamati”[6].

Su questa “icona trinitaria” e fondazione “teologia vocazionale minima” – il Padre chiama alla vita, il Figlio chiama alla sequela, lo Spirito chiama alla missione – auspico che possano trovare respiro i nostri lavori e si possano disegnare nuovi cammini di fede, per una pastorale vocazionale che sia un vero annuncio e una vera proposta vocazionale, in una Chiesa- missione, rivolta agli adolescenti e ai giovani che Dio oggi ci dona.

 

Note

[1] Cf PONTIFICIA OPERA PER LE VOCAZIONI ECCLESIASTICHE, Nuove vocazioni per una nuova Europa, Libreria Editrice Vaticana, 1997, nn.16-20.

[2] Ibidem 16/b.

[3] Ibidem 17/b.

[4] Ivi.

[5] Ibidem 18/b.

[6] Ibidem 18/h.