N.02
Marzo/Aprile 2008

Stare con il Signore per imparare la missione

I lavori del Convegno hanno offerto non poche suggestioni e indicazioni di “pastorale vocazionale pratica” a partire dall’interrogativo che ci ha convocati: “L’annuncio e la proposta vocazionale nella Chiesa-missione: come?”.

 

La risposta del Convegno, a partire soprattutto dagli apporti biblici, è stata sintetica e lapidaria: “Stare col Signore per imparare la missione”. Stare col Signore ascoltando la sua Parola e alla mensa del Pane; stare con il Signore che sta nei poveri, accogliendo chi è in ricerca, è la strada maestra che ci si spiana davanti in una Chiesa missionaria a cui sta a cuore l’annuncio e la proposta vocazionale ai ragazzi e ai giovani. Abbiamo anche preso atto, a partire dagli apporti pedagogico-pastorali, che va modificandosi rapidamente la struttura antropologica delle giovani generazioni – orfane di padri e madri tuttora viventi, di adulti a loro volta orfani di Dio – che pur sommessamente chiedono alla comunità cristiana punti solidi di confronto e persone che si affianchino loro nella ricerca difficile di fronte alle domande di senso, di felicità, di futuro, di decisione per la vita; orizzonti più ampi che li liberino da una “compagnia al ribasso”, a cui sono pur molto legati; reti di relazioni di vita per uno scambio di conoscenze e di esperienze il più ampio possibile, pur nella necessità di spazi per vivere la compagnia tra amici; ragioni di vita culturali poggiate su motivazioni vere, oltre e al di là di quelle imposte dai mass media; impiego delle loro energie – che hanno a non finire – per qualcosa che vale davvero; percorsi di decisione e di formazione ove le esperienze di vita cristiana esprimano al massimo la gratuità. La missione è poi già scritta nella loro vita: ha bisogno di avere un nome, di approfondire la sua sorgente, di configurare in profondità la vita cristiana.

 

La prospettiva suddetta ed il quadro generazionale richiamato provocano la pastorale vocazionale ad un salto di qualità: ai tre protagonisti di sempre dell’annuncio-proposta vocazionale (famiglia, parrocchia, società) si chiede di assumere i tratti di un “volto missionario”, sul versante di ciò che è specifico della comunità cristiana: la preghiera, la testimonianza, l’evangelizzazione, la chiamata esplicita.

Sono questi i percorsi ecclesiali di sempre e ancor oggi fecondi, tenuti presenti i rapidi cambiamenti culturali che segnano la vita delle giovani generazioni, alle quali arriva e passa misteriosamente, impercettibile ad occhio ed orecchio umano, la chiamata del Signore anche ai nostri giorni.

È necessario, da parte della comunità cristiana (genitori, presbiteri e consacrati, animatori della pastorale giovanile e vocazionale…), un rinnovato atto di fede in “Cristo nostra speranza” (cf Col 1,27), perché “nella speranza siamo stati salvati” (Rm 8,24), nonché “un atto di amore” verso le giovani generazioni. Non dimentichiamo, a questo proposito, il segreto educativo vocazionale di San Giovanni Bosco: “I giovani sono di chi li ama!”. E non dimentichiamo anche “l’inno alla carità” che ci viene dalla testimonianza di San Paolo, da tradurre in pedagogia vocazionale spicciola nel nostro “stare”, quindi “dare la vita” per i ragazzi e i giovani delle nostre comunità – così come sono – che Dio continua a mettere sul nostro cammino: “la carità è paziente, è benigna la carità; …tutto copre, tutto crede, tutto spera…, tutto sopporta” (1Cor 13, 4).  Ed ecco, così delineati, possibili percorsi pedagogici dalla vocazione alla missione, già sperimentati nella vita delle nostre Chiese locali.

 

La preghiera come annuncio-proposta vocazionale

Anzitutto la preghiera dell’educatore alla fede: visibilmente della comunità cristiana convocata dal Risorto dell’Eucaristia domenicale; dei genitori cristiani, che nel segreto del cuore e nella vera intimità di coppia, sin dal concepimento accompagnano la crescita dei propri figli in una perenne preghiera di lode, partecipando alla vita della comunità ecclesiale; degli altri educatori alla fede, dagli insegnanti ai catechisti e animatori della pastorale giovanile vocazionale, che custodiscono in una preghiera personale ogni ragazzo o giovane che Dio gli ha affidato.

Una preghiera annuncio-proposta vocazionale, sia per gli educatori alla fede che per i giovani, che mette al centro la Parola di Dio e si nutre di essa: è la Parola che, come all’inizio della creazione chiama alla vita l’uomo, con la stessa forza dello Spirito continua a “ricreare” la vita del giovane, ad aprire il suo cuore alla scoperta della verità più profonda di sé e, soprattutto, lo sollecita a conformare la propria vita al Vangelo, in un preciso progetto di vita. Una preghiera annuncio-proposta vocazionale mette al centro l’Eucaristia: si nutre dello Spirito Santo, che è Amore. L’Eucaristia è l’incontro più reale, ma più difficile, dell’uomo con Dio, in particolare per un giovane che si sta aprendo al Mistero, oggi più che mai risucchiato da una cultura senza riferimento al trascendente e immerso com’è in una vita quotidiana ove il “cielo appare chiuso” e la terra è sempre più abitata da giovani “precari” su tutti i fronti dell’esistenza.

 

 “La perdita del mistero è una delle maggiori cause della crisi vocazionale… La pastorale vocazionale deve essere mistagogica, e dunque partire e ripartire dal Mistero di Dio per ricondurre al mistero dell’uomo… È possibile, e per certi versi naturale, che il giovane si senta nascere dentro come un “bisogno di rivelazione”, il desiderio, cioè, che l’Autore stesso della vita gliene sveli il senso e il posto che in essa ha da occupare… la strada che ha da seguire: ciò che conta è che scopra e decida in ogni cosa di collocare fuori di sé un Dio Padre, la ricerca del fondamento della sua esistenza”[1].

Una preghiera annuncio-proposta vocazionale che mette al centro la Carità, l’amore per il prossimo: la maturazione nel giovane della coscienza del servizio “ai più piccoli” (cf Mt 10,42; 25,40), già tutti chiamati per nome da Gesù nel suo Vangelo, si esprime di fatto in gesti di prossimità.

Un itinerario di servizio – la cui anima è la Carità, l’amore di Dio per l’uomo – è oggi più che mai necessario per favorire questo iter di maturazione vocazionale, in una cultura ammalata di soggettivismo e sempre più individualistica, che tenta i giovani di “bastare a se stessi”: dalla carità al servizio, dal servizio alla “vocazione-dono”, fondamento della vocazione all’amore.

In questi anni la “fantasia dello Spirito” ha fatto sorgere nelle nostre comunità ecclesiali diversi luoghi pedagogico-vocazionali, ove vivere nell’ordinarietà un itinerario di servizio, in risposta alle domande ed ai bisogni sempre nuovi dei fratelli: dalle persone sole, anziani e ammalati della porta accanto, ai centri di ascolto e alle mense per i poveri, dai dormitori per i nuovi arrivati da paesi extracomunitari alle comunità di accoglienza… sino al grido che si eleva dai continenti dimenticati del Terzo mondo.

Sarebbe un bel segno che ogni parrocchia o unità pastorale – come già molte diocesi – maturasse e offrisse, come naturale complemento di un cammino di fede di pastorale giovanile vocazionale, un’esperienza di servizio in terra di missione. Tali proposte o itinerari di servizio sollecitano un giovane, inevitabilmente, ad una vita cristiana più coerente e a prendere posizione di fronte ad una scelta di vita come vocazione.

 

La testimonianza come annuncio-proposta vocazionale

Il fascino dei testimoni e l’incontro personale di un giovane con un testimone è da sempre l’humus spontaneo e misterioso ad un tempo per far sorgere domande vocazionali e per la fecondità vocazionale: una comunità di “testimoni di vocazioni” – e tale è chiamata ad essere la comunità cristiana – è l’habitat vocazionale naturale.

Una comunità cristiana rivela e manifesta il suo volto missionario proprio nella testimonianza del “per amore” e del “per sempre”, proprio della vocazione coniugale fondata sul matrimonio cristiano e, specificamente, della vocazione al ministero ordinato e di speciale consacrazione. Tali  testimoni di vocazioni sono un dono e un segno per le giovani generazioni: “Dio, in via normale, ci raggiunge e ci interpella attraverso i suoi messaggeri”, ovvero si fa annuncio e proposta vocazionale attraverso questi messaggeri di Dio che di fatto sono “i genitori, i sacerdoti, tante altre figure di cristiani autentici che, essendo testimoni del Signore, aiutano coloro che incontrano a diventare a loro volta discepoli del Signore… In modo particolare i giovani sono affascinati dai martiri della fede e della carità, che hanno segnato anche la storia del nostro tempo… Ci sono poi degli spazi vitali nelle nostre comunità che si propongono come luoghi segno di vocazione per tutta la comunità cristiana: …il primo di essi è il presbiterio; …le comunità di vita consacrata, chiamate ad essere schola amoris; …la comunità del seminario diocesano; la famiglia…”[2].

Questi “testimoni feriali” – in particolare i presbiteri, i consacrati e le consacrate, i seminaristi – hanno un’abitazione, vivono una casa tra le altre case degli uomini, nei quartieri delle nostre città e sul territorio: che l’incontro con la loro testimonianza vissuta nel quotidiano, quindi fuori da ogni eccezionalità, possa suscitare nei giovani la domanda posta a Gesù – “dove abiti?” (Gv 1,37) – e possano trovare una casa semplice, soprattutto persone accoglienti, una proposta di vita cristiana vissuta, che li faccia sentire a proprio agio, come a casa propria…

 

L’evangelizzazione, la chiamata esplicita, come annuncio-proposta vocazionale

L’urgenza di evangelizzazione e di una “nuova evangelizzazione” sta segnando il nostro tempo: l’annuncio della buona notizia del “Vangelo della vocazione”[3], qualifica la comunità cristiana come missionaria proprio in questo andare al cuore della persona, in particolare dei giovani – soggetti naturali di vocazione – annunciando loro nel “qui ed ora” del nostro tempo e della loro esistenza, il “vieni e seguimi” di Gesù (Mt 19,21).  E la scelta rinnovata, senza “se” e senza “ma”, dell’annuncio di Gesù Cristo, figlio di Dio, “unico Salvatore del mondo ieri, oggi e sempre” (cf Eb 13,8), “nostra speranza” (cf 1Tm 1,1) nel quale “siamo stati salvati” (cf Rm 8,24). La cosiddetta crisi vocazionale può dunque essere individuata nel diffuso svuotamento nei confronti della fede in Gesù Cristo e, prima ancora, nei confronti della ricerca di una vita interiore. Una frase di Bernanos, nella quale mi sono imbattuto recentemente, è significativa in merito: “non capiremo niente della civiltà moderna se prima non ammettiamo che si tratta di una cospirazione universale contro ogni forma di vita interiore”.

La perentorietà di questa riflessione, che la sensibilità profetica dello scrittore intravede in alcuni segni di cambiamento culturale già presenti nel secolo scorso – che, con Benedetto XVI, potremmo individuare nella “pretesa della ragione, delle ideologie e della scienza di salvare l’uomo”[4] – ha il merito di condurci a considerare che la vera causa della crisi vocazionale dell’uomo contemporaneo nasce da un ottundimento della vita nello Spirito dentro il nostro modo di vivere.

L’impegno prioritario di una Chiesa-missione è oggi quello di portare il “vangelo della vocazione” al cuore della vita ordinaria del suo servizio di annuncio del Vangelo, nella e attraverso la pastorale ordinaria: “Sì, la dimensione vocazionale è connaturale ed essenziale alla pastorale della Chiesa”[5]. La parrocchia resta “luogo privilegiato dell’annuncio e della proposta vocazionale” negli itinerari della fede (itinerario catechistico, liturgico sacramentale, carità) che le sono propri e nelle modalità rinnovate che lo Spirito continua a suggerire per una nuova “evangelizzazione della vocazione”, in particolare con la scelta pastorale da approfondire in tutti suoi aspetti, da non rinviare, della Cresima come “sacramento vocazionale”; i gruppi, i movimenti, le associazioni, guidati e sostenuti da un profondo senso di Chiesa, sono chiamati ad essere “luoghi pedagogici della vita di fede” e della vocazione[6].

La chiamata esplicita qualifica una comunità missionaria a cui sta a cuore il senso ultimo della vita dell’uomo proprio suscitando il suo eccomipersonale: gli itinerari vocazionali comunitari ed il servizio della direzione spirituale, da anni patrimonio della pastorale vocazionale della Chiesa italiana, non vanno abbandonati o ritenuti superati, ma anzi offerti nei modi rispondenti alle nuove esigenze antropologiche e culturali delle giovani generazioni, perché la gratuità dello Spirito, la grazia dell’amore di Dio, non resti senza sequela e la vocazione senza missione.

Concludendo: l’annuncio e la proposta vocazionale oggi in una chiesa “missionaria” – un aggettivo qualificante e qualificativo, che abbiamo appena cominciato a scrivere nella vita delle nostre comunità – è condizione sine qua non per una nuova primavera vocazionale nella Chiesa italiana. Una Chiesa per sua natura missionaria interpella e mette in gioco, con rinnovato slancio, tutti gli educatori alla fede della comunità cristiana, in particolare i presbiteri ed i consacrati di ogni età, come testimoni di gioia accoglienti, disposti a donare la vita a servizio della solitudine e della disperazione dell’uomo contemporaneo, pronti e solleciti a portare la buona notizia del vangelo della vocazione, facendosi carico della salvezza altrui ed in particolare di quella delle giovani generazioni.

 

Note

[1] PONTIFICIA OPERA PER LE VOCAZIONI ECCLESIASTICHE, Nuove Vocazioni per una nuova Europa, “In verbo tuo…”, Libreria Editrice Vaticana, 1997, n. 35/b.

[2] CEI, Le vocazioni al ministero ordinato e alla vita consacrata, 2000, nn. 12-16.

[3] GIOVANNI PAOLO II, Pastores dabo vobis, 1992, n. 34.

[4] BENEDETTO XVI, Spe salvi, 2007.

[5] Cf GIOVANNI PAOLO II, op. cit., n. 34.

[6] CEI, op. cit. nn. 17-20.