N.03
Maggio/Giugno 2008

«Della tua grazia è piena la terra»

La salvezza è universale e Dio vuole che ogni uomo ed ogni popolo possano accoglierla nella fede. È questo il messaggio pasquale, che nasce dalla morte e risurrezione di Gesù, l’unico Salvatore del mondo. 

I testi della Parola di Dio, nella settimana dell’ottava di Pasqua, ci parlano di questo, a partire dall’esperienza dei primi testimoni dopo la risurrezione e la Pentecoste. 

Nel primo discorso di Pietro, il giorno stesso di Pentecoste, egli annuncia il kerigma, che apre il cuore di molti alla fede, e poi indica loro la via per salvarsi: pentirsi dei propri peccati, convertirsi, farsi battezzare, ricevere il dono dello Spirito Santo. E aggiunge un’espressione significativa, che indica la missione universale della salvezza che la Chiesa annuncia ed offre ad ogni uomo in Cristo Signore: “Per voi infatti è la promessa e per i vostri figli e per tutti quelli che sono lontani, quanti ne chiamerà il Signore Dio nostro” (At 2, 39). Vediamo qui l’allargamento progressivo della chiamata alla fede e della conseguente opera missionaria a cui tende l’opera di evangelizzazione della Chiesa: voi, i vostri figli, i lontani, quanti ne chiamerà Dio. Sì, perché è sempre Dio il protagonista, è lui che chiama quelli che vuole e chiama secondo un suo misterioso disegno, che si realizza nella storia con modi e tempi da lui decisi. È questo l’elemento fondamentale, che va sempre tenuto presente quando si parla di vocazione e di missione: l’azione misteriosa di Dio e del suo Spirito, secondo un disegno che noi non possiamo conoscere o decidere, ma solo accogliere nell’umiltà e nell’obbedienza. 

Un elemento però è certo ed appare evidente in tutte le chiamate bibliche: il forte nesso tra la chiamata e la missione, il dono di esser scelti e l’incarico che si riceve per conto del Signore: vieni e va’; io ti chiamo e ti invio; non temere, io sono con te. Così avviene nell’episodio che abbiamo ascoltato nel vangelo di Giovanni: Maria di Magdala è chiamata per nome: “Maria!”. Ed ella risponde con gioia: “Rabbunì! (Maestro)” (20, 16). Subito Gesù la manda ai suoi fratelli affinché annunci che lui sale al cielo, dal Padre suo e loro. E Maria va subito ad annunziare ai discepoli: “Ho visto il Signore” e anche ciò che le aveva detto (20, 18). 

È interessante notare che qui la chiamata per nome avviene dopo che Maria di Magdala ha vissuto un’esperienza di dolore e di angoscia: “Hanno portato via il mio Signore e non so dove lo hanno posto” (20, 13). Un buio di fede; il silenzio di Dio; la difficoltà, di fronte al sepolcro vuoto, di vedere e di credere che Gesù è risorto. Ricordiamo che nel vangelo della Pasqua, al contrario, è proprio la vista del sepolcro vuoto che induce gli apostoli Giovanni e Pietro a credere nella risurrezione: videro e credettero (20, 8). 

Che Maria abbia perso la fede ne è prova anche il fatto che Gesù sta lì davanti a lei, ma non sa chi sia quella persona e la scambia per il custode del giardino. È solo la chiamata per nome che risveglia la fede e l’amore in Maria. Quella voce del Maestro, che pronuncia il suo nome, le apre gli occhi ed il cuore per riconoscerlo: sono la luce ed il calore della fede che ritornano in lei. Dunque, si tratta di una chiamata alla fede, come è in fondo ogni chiamata. 

Anche quelle al sacerdozio o alla vita consacrata, come ogni altra chiamata, sono sempre rivolte a fondare la fede in Cristo mediante l’ascolto della sua Parola e l’incontro con lui. Nel Battesimo, in particolare, la più importante chiamata, nella quale il nostro nome è risuonato per la prima volta, abbiamo ricevuto il dono della fede e su di essa si è innestata la vita cristiana ed ogni altra successiva chiamata del Signore. È sempre in gioco la fede: questo significa che spesso la non risposta alla vocazione non deriva tanto da ragioni contingenti e che ciascuno giustifica a partire da ragioni umane e plausibili, ma da una debolezza nella fede, che impedisce di vedere e di riconoscere la voce del Signore; una debolezza a cui si accompagna un mediocre amore fatto di tiepidezza, che genera incertezza, indecisione, scarso coraggio nel fidarsi di Dio. Se non si consolida la fede, è inutile tentare altre vie di appoggio e di accompagnamento psicologico o spirituale, che sono valide, ma solo se precedute e sostenute da una costante opera che aiuti il soggetto a crescere nella fede amorosa per il Signore e per la sua Chiesa. 

 

Va’ dai miei fratelli e di’ loro (Gv20,17) 

La missione ne consegue come un atto dovuto e che, in un certo senso, diventa come la riprova della sincerità della risposta alla chiamata, il suo sbocco naturale e necessario per attuarne il significato salvifico per sé e per gli altri. 

Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date” (Mt 10, 8) e “La fede si rafforza donandola!” (Redemptoris missio): queste parole esprimono bene il senso di ogni chiamata, da quella alla fede a quella ad ogni stato di vita nella consacrazione al Signore o nel servizio agli altri. La presa di coscienza e la riconoscenza per i doni gratuiti ricevuti da Dio e dagli altri conducono a restituirli con l’impegno di metterli a servizio per il bene di tutti e per l’utilità comune. Ma questo non è mai facile ed indolore, perché esige fortezza interiore e coerenza di vita. 

Al centro della missione, poi, c’è sempre l’annuncio di Gesù Cristo e quanto lui ha operato per noi. Dice Maria: “Ho visto il Signore” (Gv 20, 18). Non va mai dimenticata questa centralità di Cristo nella missione: come è lui che chiama per nome, è lui che invia, è lui il contenuto stesso della missione, lui il fine. Ci potranno essere modalità diverse per svolgere la missione – il servizio agli altri mediante la carità, la lotta per la giustizia e la solidarietà, il farsi tutto a tutti con generosità – ma non potremo mai esaurire la missione in questo, se non emerge con chiarezza l’annuncio di Cristo morto e risorto. 

Lo raccomandava già Paolo VI nella “Evangelii nuntiandi”, ricordando che la testimonianza della fede cristiana è basilare per la missione, ma essa non si riduce ad una buona opera sociale o di sola promozione umana; deve anche contenere esplicitamente e con forza l’annuncio del Signore. Il suo nome, Gesù Cristo, deve risuonare sulle labbra e nel cuore del missionario, perché di questo nome hanno bisogno tutti gli uomini, prima di ogni altro servizio, pure necessario, di ordine fisico, materiale o sociale. 

Sarete miei testimoni” (cf At 1,8), ha comandato Gesù ai discepoli dopo la sua risurrezione. Testimoni di lui, perché ogni uomo lo incontri, lo riconosca vivente e possa accoglierne con fede la persona di Figlio di Dio e Salvatore. 

 

Ho visto il Signore (Gv 20, 18) 

Non è solo una constatazione fredda e asettica, questa parola di Maria di Magdala. Ella sente fremere il cuore quando la pronuncia, perché è frutto di un amore appassionato. Così la missione diventa contagiosa, se ogni chiamato saprà parlare della sua esperienza di Gesù con entusiasmo, facendo emergere la sorpresa della chiamata e la bellezza dell’incontro con lui nell’intimità del cuore e della vita. 

Su questa via, che unisce nell’esperienza dell’amore la vocazione e la missione, sarà possibile consolidare l’una e l’altra in un unico cammino di fede e di carità, che riempie di vera gioia, perché non c’è gioia più grande che sentirsi amati e amare, accogliere il dono della fede e donarlo agli altri. “Ciò che abbiamo visto e udito, contemplato e toccato con le nostre mani, il Verbo della vita, noi lo annunciamo anche a voi perché la nostra gioia sia la vostra” dirà l’apostolo Giovanni nella sua prima lettera e questa gioia è frutto dello Spirito, il vero protagonista della vocazione e della missione nella Chiesa. 

Vi auguro che in questi giorni, riflettendo su questo argomento così pregnante e decisivo, possiate non solo pensare agli altri, ma sperimentare in voi stessi questa gioia, riscoprendo il dono della vostra chiamata e dell’impegno missionario che ne è scaturito. Allora anche il dialogo ed il confronto tra voi saranno fecondi di grazia e di comunione e produrranno frutto per il vostro prezioso servizio di testimoni, accompagnatori spirituali ed educatori dei giovani sulla via del discernimento vocazionale, al quale il Signore li chiama.