N.05
Settembre/Ottobre 2008

Il web 2.0 o la rete sociale. Tra fiducia nella persona e saggezza della folla: luci e ombre per gli “user generated content”

Il sorpasso è avvenuto alla fine dello scorso anno: il sito web più frequentato dai navigatori statunitensi è risultato www.myspace.com, la community orientata agli stili di vita acquistata dal gruppo Murdoch nel 2005. Dopo gli anni monopolizzati da Microsoft, forte, tra l’altro, del suo servizio gratuito di posta elettronica Hotmail, e quelli più recenti, segnati dal motore di ricerca universale Google, per la prima volta un servizio di social network, o di web 2.0 – come molti chiamano il fenomeno – è diventato il sito più visitato, anzi, più propriamente, il servizio più usato.

Accanto all’exploit di Myspace, la classifica dei 20 siti più frequentati dagli utenti USA nel 2007 è scandita dalle presenze di Ebay, il sito di aste con i suoi 260 milioni di utenti registrati, Facebook, la community di studenti dei college, o Linked, quella dei professionisti USA, YouTube, l’archivio video acquistato da Google per 1.65 miliardi di dollari e, ancora, la Wikipedia, l’enciclopedia “libera”, redatta dagli utenti, con i suoi 6 milioni di voci e le 229 lingue di pubblicazione.

A differenza del mondo virtuale costruito da Second Life, in cui ciascun utente è chiamato a plasmare in piena libertà un alter ego virtuale, il cosiddetto avatar, le nuove comunità web si propongono come vere e proprie estensioni della vita reale, chiedendo agli utilizzatori assiduità, sincerità e fiducia.

Per questo fenomeno di partecipazione, in cui le persone che accedono alla rete non sono più navigatori, fruitori passivi, ma diventano, a pieno titolo, utenti produttori di contenuti, sono state coniate diverse etichette: si va dalla sintesi, felice ma commerciale, di “web 2.0”, alle definizioni di “internet sociale” o di “rete collaborativa”.

Queste denominazioni rappresentano solo l’angolo visuale dal quale si osserva un fenomeno ormai consolidato, che si concreta, in forme molto diverse, nella passione per i blog, nei contenuti pubblicati e condivisi su YouTube (video) o Flickr (foto), nei gruppi di Yahoo, fino – incredibile per noi latini

– nel servizio di prestito tra privati www.prosper.com, lanciato con successo negli Stati Uniti e avviato anche nel nostro paese con www.zopa.it. Sì, in rete c’è anche un servizio, Prosper appunto, con più di 500 mila utenti attivi, che si prestano denaro – 120 milioni di dollari in poco più di 2 anni – affidandosi esclusivamente all’altrui reputazione “di rete”. Il sistema si limita a mettere in contatto le persone, a farle conoscere e comunicare, negozia automaticamente i tassi d’interesse con un sistema di aste al ribasso e mantiene un profilo storico del comportamento degli utenti e della loro reputazione nella comunità.

La differenza con la virtualità di Second Life, fenomeno ormai in fase calante, è marcata. Gli avatar che si scambiano i linden dollars, la moneta coniata su Second Life, possono costruire la loro personalità, le proprie relazioni, senza alcun obbligo di verità: il loro successo passa esclusivamente attraverso l’immagine e lo stile di vita virtuale. Proprio il contrario delle community web, in cui la popolarità e l’apprezzamento degli utenti sono sempre funzione della completezza del profilo personale, degli interessi manifestati, della continuità di presenza, del contributo offerto agli altri e del feedback, il giudizio che gli altri utenti devono sempre comunicare quando hanno uno scambio con un altro partecipante.

D’altronde, la corrispondenza tra il profilo reale e quello dichiarato è una delle condizioni di esistenza di molte web community. Le aziende che promuovono e sostengono i costi di questi servizi, sempre gratuiti per gli utenti, puntano proprio ad acquisire dati attendibili su stili di vita e preferenze dei partecipanti, per poi utilizzarli a fini commerciali.

Questa fiducia “naturale” verso la persona utente e verso la capacità della comunità di generare intelligenza è base fondante del fenomeno Wikipedia, l’enciclopedia, libera, gratuita e neutrale secondo il punto di vista dei promotori, in cui a ciascun utente è affidata la facoltà, pressoché insindacabile, di inserire, aggiornare e modificare qualsiasi voce. Mentre convince l’idea virtuosa di ricorrere alla cooperazione in rete per condividere conoscenza, è lo status acquisito da Wikipedia – grazie al contributo di visibilità garantitogli dalle politiche di Google, che pongono le sue voci in testa ai risultati delle ricerche – a generare alcuni dubbi di fondo.

Possiamo affidare all’utente, anzi alla folla, la classificazione di repertori e voci, i collegamenti tematici e, soprattutto, le definizioni di valore? Per una prima risposta, andate su Wikipedia a consultare le voci che più v’interessano e valutatene la completezza e l’attendibilità: il desiderio di cliccare su “modifica” potrebbe risultare fortissimo!