N.02
Marzo/Aprile

Educare alla vocazione: un’esperienza di tenerezza.

In una “tavola rotonda” proposta nel Convegno del 2003 sul tema Pastorale familiare, giovanile, vocazionale: perché e come lavorare insieme, si sono confrontati i Direttori CEI della Pastorale Familiare (PF), Pastorale Giovanile (PG) e Pastorale Vocazionale (PV). Gli stessi Direttori hanno animato una “Giornata di studio” al Consiglio Nazionale del CNV, dal 7 al 9 maggio u.s., sul tema La sfida della pastorale unitaria.

Al Convegno di quest’anno, Mons. Sergio Nicolli, Direttore Nazionale dell’Ufficio Famiglie, Don Nicolò Anselmi, Responsabile del Servizio Nazionale di Pastorale Giovanile, e Don Nico Dal Molin, Direttore del CNV ci hanno offerto, in una “tavola rotonda”, una riflessione personale e un confronto tra di loro sul tema Prospettive di pastorale integrata. Con il racconto della loro esperienza di vita, hanno partecipato anche i coniugi Piero e Assunta Del Bene, responsabili dell’Ufficio Diocesano di PF della Diocesi di Capua; Suor Paola Barenco, della Piccola Opera Regina Apostolorum, pedagogista; Don Roberto Bartesaghi, Direttore del Centro Diocesano Vocazioni (CDV) della Diocesi di Como.

Il Cardinale Ruini, nella relazione finale al Convegno di Verona, affermava: «Per parte mia vorrei solo confermare che il nostro Convegno, con la sua articolazione in cinque ambiti di esercizio della testimonianza, ognuno dei quali assai rilevante nell’esperienza umana e tutti insieme confluenti nell’unità della persona e della sua coscienza, ci ha offerto un’impostazione della vita e della pasto­rale della Chiesa particolarmente favorevole al lavoro educativo e formativo. Si tratta di un notevole passo in avanti rispetto all’impo­stazione prevalente ancora al Convegno di Palermo, che a sua volta puntava sull’unità della pastorale, ma era meno in grado di ricon­durla all’unità della persona…» (Relazione finale al IV Convegno ecclesiale di Verona).

Nella “tavola rotonda” si è cercato di concretizzare una conver­genza tra PG, PF e PV sulla realtà dei giovani e sulla loro scelta vo­cazionale tra paure e fiducia. Ne riportiamo una sintesi, dove ogni intervento è preceduto dalla citazione di un documento che aiuta a contestualizzare la tematica trattata.

 

Pastorale giovanile

I nostri Vescovi, nel Documento pastorale Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia dicono: «Ci pare opportuno chiedere per gli anni a venire un’attenzione particolare ai giovani e alla famiglia. Partiamo dai giovani… Le esperienze forti possono tanto più giova­re quanto più si coniugano con i cammini ordinari della vita, che consistono nell’operare scelte di cui poi si è responsabili. In questa direzione, avvertiamo la necessità di favorire un maggiore coordi­namento tra la pastorale giovanile, quella familiare e quella voca­zionale: il tema della vocazione è infatti del tutto centrale per la vita di un giovane. Dobbiamo far sì che ciascuno giunga a discernere la “forma di vita” in cui è chiamato a spendere tutta la propria libertà e creatività» (CVMC 51).

Domanda: Don Nicolò, aiutare un giovane a discernere la sua forma di vita in cui spendere tutta la propria libertà e creatività domanda educa­zione alla interiorità e proposta di cammini che si sviluppano nell’ordinario e nel quotidiano… Quali suggerimenti daresti alle nostre comunità?

Don Nicolò: I giovani oggi possono essere definiti come genera­zione sofferente, pieni di paure, ma anche affamati di vita spiritua­le, di interiorità, di Gesù, di senso, di felicità… Saremo in grado di sfamarli, di educarli alla interiorità, alla fame di cose vere, profon­de? Siamo in grado di dare loro cibo solido?

Prima di tutto, dobbiamo accompagnare le persone verso una profondità di vita interiore e, questa vita interiore, dobbiamo prima di tutto avercela noi. Servono dei maestri capaci di testimoniare una profondità mistica che affascina. Un problema serio è la profondità della nostra vita spirituale: vivere insieme al Signore, ogni istante, per trasmetterlo alle persone che incontriamo. Chi sperimenta la preghiera quanto è capace di insegnarla? Insegniamo ai giovani a pregare? Una preghiera che sia quotidiana, non quella delle occa­sioni… Inoltre, dovremmo avere la capacità di comunicarci le realtà mistiche, che riguardano l’innamoramento verso il Signore, le cose grandi per le quali merita giocarsi la vita.

Una seconda realtà importante è questa: il dono della vita spiri­tuale non è consegnato alle singole persone, ma alla Chiesa. Lo Spi­rito Santo non è sceso sui singoli, ma sulla Chiesa. In questo sforzo di proposta di vita spirituale non dobbiamo andare da soli, e questo per evitare individualità, particolarismi: tra preti, nelle consulte, nei consigli pastorali, nelle nostre comunità, nei seminari, per vivere questa profonda spiritualità.

Vedo che lo Spirito Santo agisce in chi ha il coraggio di lavorare insieme, molto meno in chi va da solo per la sua strada e non riesce a sfamare quella fame di cui si parlava prima. Gesù ha avuto biso­gno dei suoi apostoli e, insieme, hanno sfamato la folla.

 

Pastorale familiare

Ci rifacciamo ancora al documento pastorale Comunicare il Van­gelo in un mondo che cambia: «Per quanto riguarda la famiglia, va ricordato che essa è il luogo privilegiato dell’esperienza dell’amore, nonché dell’esperienza e della trasmissione della fede (…) Sono le famiglie le prime “scuole di preghiera”, gli ambienti in cui insegnare quanto sia importante stare con Gesù ascoltando i Vangeli che ci parlano di lui» (CVMC 52).

Domanda: Don Sergio, in che modo la famiglia può educare i giovani alla scoperta della fedeltà di Dio nel quotidiano?

Don Sergio: Chiediamoci, prima di tutto, che idea abbiamo di famiglia? Quale valutazione diamo della situazione oggi della fami­glia? Ciò è determinante nell’avere più o meno fiducia nella fami­glia come luogo di formazione, dove tutte le chiamate alla radicalità evangelica possano essere accompagnate. Stiamo per iniziare un biennio sul tema Famiglia e Vocazioni e abbiamo chiesto un aiuto alla PG e PV. Sposarsi da cristiani risponde ad una vocazione, sposarsi in chiesa è rispondere ad una vocazione nella Chiesa. Giovanni Paolo II ha definito l’esperienza della famiglia come pedagogica alla cono­scenza di Dio.

L’idea che circola è quella di una famiglia fragile, povera, alta­mente a rischio. Anche nella mentalità ecclesiale è spesso presente questa concezione… Ma, allora, come può la famiglia educare i gio­vani alla fedeltà? Quando parliamo di fedeltà parliamo di una quali­tà dell’amore, dell’amore che è capace di resistere e perseverare. In questo, la famiglia può aiutare innanzi tutto per ciò che è.

Nascendo, la prima esperienza che facciamo è quella di essere amati, quando ancora non siamo capaci di amare. Il bambino, tra le braccia dei genitori, sa che può fidarsi di quell’amore incondiziona­to, che non verrà mai meno. Ciò interessa anche la nostra fede: non si può conoscere la fedeltà di Dio se non si è conosciuta la fedeltà nel contesto dell’amore familiare. La fedeltà, poi, si scontra con la povertà umana e il fallimento: fare questa esperienza significa ac­corgersi che qualcuno ti porta in braccio, ti vuole bene lo stesso e ti accoglie.

La famiglia come aiuta in tutto ciò? Non c’è famiglia che non sperimenti la fatica del conflitto. Le differenze provocano scontri, incomprensioni. I legami forti, in queste situazioni, portano a speri­mentare sofferenza e questo spinge a riformularsi per incontrare di nuovo l’altro: è una sofferenza che permette una comunione anco­ra più grande. Ritrovare strade di comunione, al di là della povertà umana, diventa una vera scuola di fedeltà, che passa attraverso il perdono e l’accoglienza, dopo il conflitto.

La famiglia è scuola di riconciliazione, di comunione e di fedeltà. Dobbiamo tornare a credere alla famiglia, pur con tutte le sue po­vertà, e offrirle il sostegno della comunità per ritrovare se stessa.

 

Pastorale vocazionale

Domanda: Don Nico, partendo dal titolo del nostro Convegno, So a chi ho dato la mia fiducia, come possiamo tradurre la fiducia in uno stile educativo?

Don Nico: Vorrei sottolineare come l’esperienza che stiamo vi­vendo sia un paradigma di riferimento per le nostre comunità. Non stiamo parlando in maniera teorica della pastorale integrata, ma cerchiamo, in maniera trasversale, di approfondire i temi della fi­ducia, delle paure, della “fame” dei nostri giovani, delle fatiche delle famiglie. Ci sono tanti “coni d’ombra” presenti nel cuore dei giova­ni… Questo mi ricorda Elia: il profeta forte, grintoso e coraggioso; ad un certo punto crolla anche lui e dice: «Ora basta, Signore, non ce la faccio più».

Anche nella nostra vita sono avvenuti questi momenti di scorag­giamento, per mille motivi; ciò è assai presente nei nostri giovani, che spesso vivono un senso di saturazione, di noia e di tanta solitu­dine. Sono poche le persone a cui possono consegnarsi, perché sono poche le persone di cui possono fidarsi. Il Signore Gesù ci aiuta a portare meglio queste fatiche.

Vorrei qui richiamare tre icone del Vangelo:

1. la tenerezza di Gesù rivela la tenerezza del Padre: «Non pre­occupatevi, voi valete più di molti passeri». È bello sapere che qual­cuno si prende cura della mia vita e questa esperienza rassicurante la posso trasmettere. È una sfida contro la nostra superficialità. Lo stile educativo è portare nel cuore la certezza che c’è una provvi­denza di Dio che pensa alle nostre fatiche e ci porta nel palmo della sua mano.

2. Il campo di grano con la zizzania: questo campo è il cuore umano con le sue contraddizioni e lacerazioni, ma anche lo sguardo con cui vedo la vita. Mi chiedo: vedo solo zizzania o anche il gra­no? Il nostro impegno è di avere uno sguardo più positivo, anche in rapporto alla situazione vocazionale, che spesso viene vista solo nei suoi aspetti più problematici. Ci sono tante forme e modalità di vita positive, con le quali il Signore si manifesta a noi: pensiamo a quante nuove forme di vocazioni ci sono! Dovremmo far crescere in noi la capacità di leggere in maniera più serena la realtà.

3. Le condizioni che Gesù propone per seguirlo: cioè, trovare il coraggio di seguire ciò che si ama. Significa avere passioni forti, ideali alti, vivere la vita con passione. Essere testimoni, profeti di fiducia vuol dire cercare di scardinare la tiepidezza che c’è dentro e intorno a noi.

 

Testimonianze

«Una strada da percorre con coraggio è quella dell’integrazione pastorale fra i diversi soggetti ecclesiali (…). Una pastorale “integra­ta” mette in campo tutte le energie di cui il popolo di Dio dispone, valorizzandole nella loro specificità e al tempo stesso facendole con­fluire entro progetti comuni, definiti e realizzati insieme (Rigenerati ad una speranza viva, 25).

 

Pastorale familiare

«Pensiamo quanto potrebbe essere importante una pastorale vo­cazionale-familiare che educhi progressivamente i genitori a essere i primi animatori-educatori vocazionali» (NVNE 26g).

Assunta e Piero: La famiglia è il luogo privilegiato dell’espe­rienza dell’amore e della trasmissione della fede. Essa è immagine di Dio, come insegna il libro della Genesi. Dice Giovanni Paolo II che la famiglia è il “sacramento primordiale”, icona perfetta della Trinità. Attraverso vari episodi della nostra vita di coppia e di ge­nitori, abbiamo fatto esperienza di come gli sposi trovano nel Sa­cramento forza nelle fatiche della vita, per donare il loro amore in modo totale e gratuito. Un amore donato ai figli, che lo accolgono prima ancora di essere capaci di amare. Il discernimento nella fami­glia è capire come Dio si comunica e salva: è una realtà relazionale tra Dio e l’uomo; nella famiglia si impara la relazione prima con le persone e poi con Dio.

La famiglia è importante per le vocazioni non solo ad intra (l’edu­cazione dei figli), ma anche verso la comunità ecclesiale e verso la società. Le famiglie non hanno spesso coscienza di questa ricchezza presente in loro. Il problema vocazionale va posto a 360°: ciò aiu­terebbe a ridare fiato alle vocazioni di speciale consacrazione e alla chiamata alla vita di coppia, proponendole entrambe ai giovani.

 

Pastorale giovanile

«La pastorale vocazionale è la prospettiva unificante della pa­storale giovanile (…). Una autentica pastorale giovanile non può eludere la dimensione vocazionale, bensì la deve assumere, perché proporre Gesù Cristo significa proporre un preciso progetto di vita» (NVNE 26g).

Suor Paola Barenco: Vorrei raccontare due iniziative particolari:

– gli Esercizi spirituali dei giovani: una esperienza forte di inte­riorità e incontro con il Signore, iniziata a Genova nel 1996. Una proposta di “tre giorni” nel tempo di Quaresima, per i giovani: è stata una esperienza coinvolgente, che ha portato a proporre di se­guito un appuntamento di ritiro a settembre. Si partiva da proposte impegnative: il silenzio, la Parola, l’ascolto, l’adorazione, la condi­visione, il Sacramento del Perdono. Ciò testimonia le tante risor­se spirituali presenti nei giovani. Tuttavia, queste esperienze non possono essere isolate, ma hanno bisogno di continuità e di essere accompagnate. Da ciò sono nate altre iniziative, come gli esercizi serali per i giovani (tre sere in Avvento o in Quaresima), ed ha si­gnificato aprire le porte delle nostre comunità!

– La preghiera del terzo giovedì del mese: un appuntamento in cui i giovani pregano per i sacerdoti. Esso diviene un momento di preghiera nella vita della propria comunità: è un ritrovarsi per fare adorazione intorno alla Parola del Signore: una preghiera che apre alla disponibilità del cuore. Dovremmo credere nelle risorse delle nostre comunità, ma anche nelle risorse spirituali dei giovani che ci frequentano e che diventano stimolo anche per noi.

 

Pastorale vocazionale

«È urgente oggi passare ad una pastorale concepita sempre più come azione comunitaria, di tutta la comunità nelle sue diverse espressioni: gruppi, movimenti, parrocchie, diocesi, istituti religiosi e secolari» (NVNE 26f).

Don Roberto Bartesaghi: Come Diocesi di Como lavoriamo insieme, PV e PG, da 22 anni. È nato un progetto di PG che ha una meta ben precisa: aiutare il giovane a scoprire il proprio posto, la propria vocazione nella Chiesa, come realtà di comunione e di mis­sione, e il conseguente impegno nel mondo. La PV fa pochissime attività da sola, ma molte insieme alla PG. Ha perso in visibilità, ma ha conquistato, in qualche modo, tutta la PG. E la PG da 22 anni insiste sull’attenzione vocazionale.

Il Vescovo Maggiolini per alcuni anni ci ha donato dei piani pa­storali sulle vocazioni, dove non si parlava di vocazioni. Nel ‘92 parlava di parrocchia e oratorio: una attenzione per le vocazioni che sarebbero cresciute nella comunità. Nel ‘96 c’è stata la visita di Giovanni Paolo II, il quale, parlando ai giovani della Diocesi, ha det­to che quell’incontro poteva essere chiamato l’incontro del sorriso, dell’apertura del cuore, del sorriso della creazione da scoprire, per portare la nostra gioia agli altri.

Ciò ha portato a riscrivere il nostro progetto, mettendo l’accento sullo stile di essere Chiesa. Se siamo una Chiesa triste, a chi verreb­be voglia di seguire il Signore o appartenere a questa realtà? Come CDV abbiamo cercato di essere una comunità che lavora insieme, non perché ci sono delle cose da fare o si ricercano dei risultati, ma perché abbiamo voglia di stare insieme. Il nostro CDV conta più di 60 persone: in esso sono rappresentate tutte le vocazioni. È cre­sciuta una presa di coscienza di camminare come Chiesa e quella di poter fare insieme quello che prima veniva fatto individualmente: un cammino in cui esserci tutti.

Un appuntamento che proponiamo è il “molo dei quattordicen­ni”: quando i ragazzi compiono 14 anni il Vescovo li incontra, in un clima di festa che veicola dei messaggi che entrano nel quotidiano. Al termine dell’incontro consegniamo una piccola regola che li ac­compagni in un cammino spirituale. Vogliamo offrire l’esperienza di una “Chiesa fresca”, ma anche un cammino serio e deciso. Suc­cessivamente proponiamo gli “esercizi a tutti i diciottenni”: quattro giorni. Se al “molo dei quattordicenni” è presente la metà dei cresi­mandi (1200), agli esercizi il 2% (50): è il livello che proponiamo a tutti per dire loro dove dovrebbero arrivare.

Abbiamo proposto anche un cammino di due anni: Strade per scegliere. Una parte è vocazionale, una parte è missionaria e una caritativa. Tre percorsi fatti in parallelo, negli stessi giorni, con lo stesso orario: un unico cammino condiviso insieme.

In ogni cammino è possibile trovare le sottolineature degli altri due. A questa esperienza si è aggiunto anche l’Ufficio Catechisti­co. Un lavoro d’insieme che ha significato grande fatica. Per l’anno prossimo si sono aggiunti gli uffici della Pastorale Familiare, Litur­gica e Universitaria: l’obiettivo finale è quello di proporre un unico cammino, capace di veicolare tutte le dimensioni.

Da ultimo, ci sono anche alcune persone appartenenti ad asso­ciazioni e movimenti, che ci hanno chiesto di poter lavorare insie­me: è la nuova sfida che ci attende!