N.02
Marzo/Aprile

«Mi ha giudicato degno di fiducia mettendo al suo servizio me» (1Tm 1,12)

Dal tema del Convegno – So a chi ho dato la mia fiducia (2Tm 1,12) – scaturisce per ciascuno di noi il mandato che Paolo sente affidatogli da Dio: «Mi ha giudicato degno di fiducia mettendo al suo servizio me» (1Tm 1,12).

Ora lo sappiamo! La preghiera condivisa in questi giorni ce lo ha stampato indelebilmente nel cuore. Dio, ancora una volta, come ha fatto con l’Apostolo Paolo, «ci ha giudicati degni di fiducia» (cf 1Tm 1,12): ha giudicato degni di fiducia, chiamandoci e mettendoci al servizio del “Vangelo della vocazione”, noi educatori alla fede, – genitori, presbiteri, diaconi, consacrati/e, seminaristi, “credenti” feria­li… – che siamo i nativi animatori vocazionali, e i giovani, soggetti naturali della chiamata, porzione eletta della Chiesa che è in Italia.

Ciascuno di noi, «ravvivato il dono di Dio» (cf 2Tm 1,6) per la grazia dell’ascolto orante della Parola e per l’ascolto edificante dello Spirito che si è manifestato in ciascuno di noi in questi giorni, torna ora alle proprie case, alle nostre comunità, tra i nostri adolescenti e giovani, con un preciso mandato ecclesiale: come “profeta di fi­ducia”.

Il “profeta di fiducia”, donatore di “fiducia teologale”, quale è la fedeltà di Dio, è un:

1. Intercessore orante

 Come “piccolo Mosè”, con le braccia costantemente protese ver­so il cielo a servizio dei fratelli, si fida di Dio, si consegna nelle sue mani «come un bambino in braccio a sua madre» (Sal 131,2), fidu­cioso nell’azione silenziosa, ma efficace, di Dio, che, unico, trasfor­ma la vita dell’uomo: come silenziosa è la neve che «cade dal cielo e non vi ritorna senza aver prima irrigato la terra» (cf Is 55,10).

 

2. Credente nell’iniziativa fedele di Dio

Come “chiamato da Dio”, crede che «fedele è il Chiamante» (1Ts 5,24): la chiamata, esperienza di abbandono alla fedeltà di Dio, na­sce e matura dall’esperienza feriale del Vangelo, come accadimento della potenza di risurrezione e salvezza nella storia della persona; la chiamata, come esperienza di abbandono alla fedeltà di Dio, unifica la storia e la vita della persona, lega il suo presente, passato e futu­ro, consentendo di mantenere viva la speranza nel suo nome e di superare il turbamento dell’eccomi. La preghiera del chiamato è la risposta al Chiamante, come desiderio che Dio parli ancora e si ma­nifesti nella sua vita; la gioia del chiamato è la risposta alla fedeltà di Dio, consapevole che il filo conduttore della propria vita è e sarà la fedeltà di Dio.ù

 

3. Innamorato della Chiesa

 Come “Pietro”, preso dalla paura di affondare, invoca il Signo­re che sa fedele: vive imbarcato “per amore” e all’insegna del “per sempre”, sulla barca della Chiesa, consapevole che è il Signore che ci tiene nella Chiesa e non le cose che facciamo nel suo nome; sof­fre e partecipa dei cambiamenti in cui è coinvolta la Chiesa oggi, come pure l’umanità intera, che non riguardano solo le strutture economiche e materiali della società, ma il modo stesso di pensare la vita, di guardare al presente e al futuro, di dare forma al vivere insieme delle persone, delle famiglie, dei popoli; vive la “chiamata personale” nella “chiamata ecclesiale” a partecipare e realizzare un “modo ecclesiale” di vivere, fatto di essenzialità e radicalità evan­gelica; per un rinnovamento profondo dello spirito e degli atteg­giamenti dell’evangelizzazione, in un fedele ascolto della Parola di Gesù, di riconoscimento che il “Signore è tutto”, assumendo sul serio il carattere pasquale della vita cristiana, che nella vita di Gesù è espressione della totalità del dono di sé, per una Chiesa disposta a “convertirsi all’umanità”, quella del Signore, cioè alle membra di Cristo.

 

4. Annunciatore dell’Amore di Dio

Come “messaggero di Dio”, annuncia che “Dio è amore” (1Gv. 4,8.16), che ha fiducia nell’uomo, sua creatura, “fatto a sua imma­gine” (Gn 1,27), chiamato sin dalle origini al passaggio da una sicu­rezza presuntuosa ad un abbandono fiducioso e inviato ad “amoriz­zare” il mondo. La chiamata alla totalità dell’amore è esperienza di totalità nella santificazione, risposta personale d’amore che si gioca nelle pieghe della storia e nella relazione quotidiana con i fratelli.

 

5. Consigliere rispettoso

Come “compagno di cammino”, orienta e guida i fratelli nella graduale disponibilità a coniugare nella vita quotidiana la propria li­bertà con la Verità, che è la Parola eterna, dando fiducia a Dio: in un delicato gesto d’amore, porge la sua mano ai giovani, rimuovendo le “scaglie” della fragilità (cf At 9,18) dai loro occhi, impedimento ad accogliere la “luce vera” (Gv 1,9), purificando, nell’incontro con la Parola, le lacrime della sofferenza per il peccato; li sostiene, quando il passo si fa incerto, nel discernere i segni della fedeltà di Dio e nel riconoscere, tra le sconfitte ed i fallimenti, lo spuntare del germe della fiducia da parte di Dio; li aiuta a riconciliarsi con il proprio passato e con la vita quotidiana, facendo intravedere i frutti allo spuntare dell’alba ormai prossima.

 

6. Pedagogo a servizio della Parola

Come “discepolo dell’unico Maestro” (cf Mt 23,8), consapevole che il suo essere si prolunga nel mistero di Dio che si è rivelato in Gesù Cristo, si mette ogni giorno alla scuola del Vangelo per lasciarsi educare da esso; ricercando Dio notte e giorno, ha ricevuto il dono di un’interiorità profonda e, come fratello maggiore, comunica lo Spirito ricevuto. Non impone, ma sempre propone; non giudica, ma è attento alla persona; non punta sulla dimensione quantita­tiva, ma sulla qualità della proposta; si accontenta dei piccoli passi quotidiani, consapevole che attraverso questi passano e maturano le “meraviglie di Dio”.

 

7. Custode vigile dei consigli evangelici

Come i “santi” di tutti i tempi, alla sequela di Cristo povero, casto e obbediente: testimone di “radicalità evangelica” vissuta attraverso una povertà fruttuosa, che libera dalla schiavitù coloro che sono nella miseria spirituale e materiale, promuovendo ad un tempo una cultura del servizio; una castità fertile, vissuta col cuore, che sa amare tutti, senza trattenere per sé alcuno o alcunché; un’obbe­dienza creativa, capace di condividere responsabilmente i doni di mente e di cuore ricevuti da Dio.

 

8. Testimone del Risorto

Come “figlio amato da Dio”, prende e condivide il pane spezzato dal Risorto con la comunità dei suoi discepoli – la Chiesa, Corpo di Cristo – e annuncia con la propria vita che «Dio ha tanto amato il mondo da dare la vita per i suoi amici» (cf Gv 3,16); che Dio non ab­bandona l’uomo alla tentazione; che l’amore di Dio rende fecondo anche il terreno più arido; che le ferite del peccato – per opera dello Spirito Santo, l’Amore di Dio effuso nel cuore dell’uomo – diventa­no di fatto “feritoie” attraverso le quali passa con sovrabbondanza la grazia.