N.05
Settembre/Ottobre 2010
/News

Orientamenti per l’utilizzo delle competenze psicologiche nell’ammissione e nella formazione dei candidati al sacerdozio

 

Scopo del documento

Il 29 giugno 2009 la Congregazione per l’Educazione Cattolica ha pubblicato un documento che dà orientamenti circa il ricorso alla psicologia nell’ammissione e nella formazione dei candidati al sacerdozio. Esso, a lungo preparato e atteso, parte da due consta­tazioni molto realistiche:

a) spesso i vari istituti religiosi e i seminari diocesani ricorrono già alle competenze psicologiche sia nel momento del discernimen­to per l’ingresso in seminario, sia per le varie difficoltà o crisi che emergono durante il cammino formativo;

b) alcune problematiche psicologiche, nelle quali i candidati al presbiterato potrebbero dibattersi, possono sfuggire alle competen­ze dei formatori, nel senso che essi non hanno gli strumenti ne­cessari per percepirle nella loro reale portata e/o per intervenire con un accompagnamento adeguato, essendo il loro compito non quello di psicologi, ma di formatori.

Era, quindi, necessario un quadro normativo più chiaro onde, da una parte, evitare abusi nei confronti dei candidati, dall’altra, offrire lo spazio per un contributo veramente efficace nella formazione.

Il documento, perciò, prende in considerazione un aspetto “mar­ginale”, ma molto concreto della formazione, collocandosi nell’al­veo della dottrina elaborata dalla Pastores dabo vobis: «Senza un’op­portuna formazione umana l’intera formazione sacerdotale sarebbe priva del suo necessario fondamento»[1].

La prospettiva assunta dal documento nei confronti delle scienze psicologiche è positiva, ma non intende togliere nulla ai tradizionali mezzi formativi cui è sempre ricorsa la pedagogia vocazionale della Chiesa: la direzione spirituale in primo luogo. Ovvio che il discer­nimento vocazionale è, e deve restare, nelle mani dei Superiori e del padre spirituale secondo la tradizionale distinzione delle loro competenze e responsabilità ecclesiali.

 

  1. Al centro il bene della persona e della Chiesa

Il primo attore di ogni formazione è il candidato stesso, ma mai da solo. Egli, affidandosi con fiducia ai formatori che la Chiesa met­te a sua disposizione sia per l’iniziale discernimento vocazionale sia per il successivo cammino formativo, non può che dare ad essi «la sua personale convinta e cordiale collaborazione»[2], così da render­si sempre più disponibile alla sequela quotidiana di Cristo Capo e Pastore.

La Chiesa si è sempre preoccupata di fornire formatori preparati a comprendere in profondità la personalità umana, formatori capaci di tenere conto anche delle situazioni storiche e culturali da cui il candidato proviene[3]. In ciò essa è mossa da una duplice preoccupa­zione:

a) in primo luogo, dal bene della persona del candidato che chie­de alla Chiesa di essere formato al ministero in modo da poterlo vivere nella donazione di sé e nel celibato che esso comporta;

b) in secondo luogo, dal bene della Chiesa stessa e dei fedeli che chiedono ministri maturi e ben preparati all’esercizio del ministero. È un diritto dei fedeli avere ministri in grado di guidarli con la pa­rola e con l’esempio della vita alla sequela di Cristo.

Non si può dimenticare che persone inadatte provocano ri­cadute negative sulla Chiesa e sui fedeli, diventando, invece che ponte, ostacolo[4] all’incontro con Gesù, ma soprattutto non si può dimenticare che esse vivono poi il ministero come un peso tale «da compromettere l’equilibrio affettivo e relazionale» proprio (Orien­tamenti, 10b).

 

  1. Le principali indicazioni

Come ha affermato Paolo VI nella Sacerdotalis Coelibatus, non «si deve pretendere che la grazia supplisca in ciò la natura». In questa prospettiva, il servizio che la psicologia può offrire consiste nell’in­dividuare attitudini, possibili ostacoli o ferite legate al passato, resi­stenze di tipo inconscio che renderebbero più problematica sia una risposta libera alla vocazione, sia lo sviluppo delle virtù morali, sia lo svolgimento del ministero all’insegna della carità e del dono di sé.

2.1 Due diversi momenti e due modalità di intervento

Il documento distingue due momenti di possibile intervento del­le competenze psicologiche:

– prima dell’ingresso in seminario o nelle case di formazione. Un buon discernimento, infatti, parte prima dell’entrata in formazione;

– durante il periodo formativo a causa del sorgere di crisi inaspet­tate o di ostacoli/resistenze non previsti che bloccano o rendono difficoltoso il cammino formativo.

Il documento prevede anche due modalità diverse di intervento delle competenze psicologiche:

a. a livello propriamente diagnostico e clinico, qualora ci fosse il dubbio di presenza di patologie più o meno gravi, la cui esatta valutazione fosse fondamentale per l’entrata o per il prosieguo del cammino formativo. «Se si constatasse la necessità di una terapia, dovrebbe essere attuata prima dell’ammissione al seminario o alla casa di formazione» (8e).

b. a livello di un accompagnamento personalizzato, là ove se ne manifestasse l’opportunità o la necessità. «Il ricorso ad esperti nel­le scienze psicologiche, oltre a rispondere alle necessità generate da eventuali crisi, può essere utile a sostenere il candidato nel suo cammino verso un più sicuro possesso delle virtù umane e morali; può fornire al candidato una più profonda conoscenza della propria personalità e può contribuire a superare, o a rendere meno rigide, le resistenze psichiche alle proposte formative» (9a).

Il riconoscimento della valenza pedagogica delle conoscenze psi­cologiche mi pare l’aspetto più innovativo del documento.

 

  1. Perché la psicologia e quali psicologi

Il razionale del ricorso alle competenze psicologiche viene pre­sentato nel n. 5: andrebbe letto con accuratezza, per il realismo con il quale prende atto della situazione attuale, personale e storico-culturale dei candidati alla vita religiosa.

«La formazione al sacerdozio deve fare i conti sia con le mol­teplici manifestazioni di quello squilibrio che è radicato nel cuore dell’uomo – e che ha una sua particolare manifestazione nelle con­traddizioni tra l’ideale di oblatività, cui coscientemente il candidato aspira, e la sua vita concreta –, sia con le difficoltà proprie di un progressivo sviluppo delle virtù umane e relazionali… In alcuni casi, tuttavia, lo sviluppo di queste qualità umane e relazionali può essere ostacolato da particolari ferite del passato non ancora risolte (…).

È evidente che tutto ciò può condizionare la capacità di progre­dire nel cammino formativo verso il sacerdozio» (n. 5 b-e).

Occorre, tuttavia, che l’esperto che viene consultato sia in grado di comprendere a fondo la dinamica vocazionale e gli scopi precisi per cui il candidato viene formato. Non significa, questo, dare giudizi di merito sui vari orientamenti psicologici, bensì tenere realistica­mente presente che la base antropologica di alcuni di essi è incom­patibile con l’antropologia cristiana. Per cui è necessario che «il loro intervento tenga conto del mistero dell’uomo nel suo personale dia­logo con Dio, secondo la visione della Chiesa» (n. 6b) e deve esser in grado di «integrarsi nel quadro della globale formazione del can­didato» (n. 6d). La formazione dei candidati non può che avere un quadro unitario di riferimento, nel quale anche lo specialista deve inserirsi. Infatti essa, «se sviluppata nel contesto di un’antropologia che accoglie l’intera verità dell’uomo, si apre e si completa nella for­mazione spirituale»[5].

Il documento non pensa qui ad una “psicologia cattolica”, ma, come non ogni sacerdote è in grado di essere buon formatore dei candidati al sacerdozio, così non ogni psicologo (anche cattolico) è in grado di accompagnare dal punto di vista psicologico i candidati al sacerdozio.

 

  1. Questioni attuative più particolari

Affermata la possibile utilità del ricorso alle competenze psicolo­giche, vengono dati alcuni orientamenti pratici, tra cui:

a. la necessità di tutelare l’intimità personale e la buona fama del candidato a norma del can. 220 del CIC: «Significa che si potrà pro­cedere alla consulenza psicologica solo con il previo, esplicito, infor­mato e libero consenso del candidato» (n. 12a). Al candidato deve essere garantita, tra l’altro, la possibilità di scegliere liberamente tra vari esperti psicologi che abbiano i requisiti indicati. Spetta, tutta­via, al candidato il dovere di permettere alla Chiesa di giudicare la sua idoneità al ministero secondo quanto prescritto dai cann. 1051 § 1° l; 1052 § 1° e § 3.

b. La possibilità che l’intervento di aiuto delle competenze psi­cologiche venga richiesto sia dal foro interno che dal foro esterno. È prevista, infatti, la possibilità che anche il Padre spirituale chieda al candidato una consulenza psicologica, onde procedere con mag­gior sicurezza nel discernimento e nell’accompagnamento spiritua­le (nn. 13-14).

c. La possibilità dei Superiori di foro esterno di accedere agli esiti della consultazione psicologica solo dietro libero consenso scritto del candidato e solo con l’unico obiettivo di un miglior discerni­mento e successiva formazione. Viene esplicitato un preciso e vin­colante divieto di farne un qualsiasi uso diverso (n. 13).

 

Conclusione

Cosa ci si aspetta dall’intervento delle competenze psicologiche?

Non una idealistica, irraggiungibile e utopica maturità “non-umana”, una specie di perfezione al di là di ogni lotta spirituale. Il docu­mento è ben consapevole di una possibile idealizzazione dell’essere umano, che diventerebbe ostacolo, invece che aiuto, nel cammino formativo.

«La maturità cristiana e vocazionale raggiungibile, grazie anche all’aiuto delle competenze psicologiche, benché illuminate e inte­grate dai dati dell’antropologia della vocazione cristiana, e quindi della grazia, non sarà mai esente da difficoltà e tensioni che richie­dono disciplina interiore, spirito di sacrificio, accettazione della fa­tica e della croce, e affidamento all’aiuto insostituibile della grazia» (n. 9c).

A nulla serviranno le competenze psicologiche se mancherà da parte del candidato «fiducia e collaborazione alla propria formazio­ne» (n. 13), desiderio di conoscersi e di farsi conoscere. La grazia di Dio richiede, infatti, docilità e collaborazione da parte del candidato.

 

Note

[1] Pastores dabo vobis, n. 43: EV 13/1369.

[2] Ivi, 69: EV 13/1487.

[3] Su questo argomento, la Congregazione era già intervenuta con uno specifico documento (Direttive sulla preparazione degli educatori nei Seminari, 4 novembre 1993).

[4] PdV 43: EV 13/1370.

[5] PdV 45: EV 13/1380.