N.02
Marzo/Aprile 2011

Accettare la sfida. Si può fare… 2

Un’indicazione previa: facendo eco al documento CEI sugli orientamenti pastorali 2010 – 2020: Educare alla vita buona del Vangelo, tentiamo di sviluppare e proporre  alcuni punti in chiave formativa, come suggerimento, per costruire cultura vocazionale e per offrire alcune note sull’accompagnamento personale in vista dell’educazione alla decisione vocazionale.

 

ACCETTARE  LA  SFIDA

  1. Maledetto il paese che non ha bisogno di giovani”

“Maledetto il paese che non ha bisogno di giovani!”: è la drammatica denuncia del filosofo spagnolo Miguel de Unamuno alla fine dell’ ‘800, contro la “catalessi morale” della sua terra, nella quale la classe dirigente era sorda e impotente e la società ridotta a pantano stagnante, dove i giovani promettevano qualcosa fino ai trent’anni e poi si trasformavano in mollaccioni[1]. Denuncia e riflessioni di straordinaria freschezza, anche e soprattutto nell’attualità che stiamo vivendo. Anche per la nostra Italia si potrebbero sottoscrivere le stesse affermazioni: una vita politica fatta di chiacchiere, di insulti e di attacchi velenosi attraverso una sorta di guerra civile mediatica; un’economia su cui pesano duramente recessione e concorrenze internazionali; un assalto sempre più massiccio di flussi migratori, che tengono in scacco i già instabili equilibri sociali; una preoccupante criminalità organizzata, che infila i suoi tentacoli dovunque… Per molti è iniziata ormai una decadenza nazionale e globale irreversibile, che intacca ogni realtà. Certo, non se ne può più dell’inerzia, della pigrizia, della volgarità, della sporcizia e dello squallore dilagante. E il punto più terribile è che i giovani ci sono ma manca la gioventù; manca cioè la vitalità, la disponibilità, la creatività, il credere in qualcosa oltre l’effimero, con la capacità di desiderare e di sognarsi in grande. Questa impressione generale, che, soprattutto i media diffondono ed amplificano, è un’autentica gelata sulle gemme primaverili della mente e del cuore dei giovani, sui loro sogni, sui loro desideri e sul loro futuro. In una situazione così e in un cortocircuito di vita di questa fatta vale ancora la pena impegnarsi per qualcosa di significativo? Non è meglio lasciarsi trasportare dalla corrente disimpegnata, accalappiando e succhiando quanto più è possibile le offerte dell’attimo fuggente?  Per fortuna l’impressione generale così negativa non è tutto. Pantani stagnanti la storia ne ha già collezionati tanti, ma non è cambiata l’essenza della nostra gente, con la sua cultura, le sue tradizioni, la sua creatività, il suo genio. Anche in questa stagione di recessione vi sono zone sveglie, ricche di imprese vive e vitali, che sanno coniugare immaginazione, passione ed impegno un po’ in tutti i campi. Si possono contare segni di vitalità nella cultura e nell’arte, imboccando la strada del nuovo nell’eccellenza e nel gusto raffinato. Segno che non tutto è perduto, anzi. Sono minoranze attive, che indicano lo spirito di una vera rinascita; timidi segnali ma non trascurabili di una primavera che bussa alle porte. Tuttavia il segno determinante della ripresa in tutti i sensi sarà quando i giovani passeranno dalla rassegnazione di essere dei mollaccioni ad accettare la sfida del contrattacco. Volere essere cioè protagonisti nella ripresa in tutti gli ambiti della vita del paese.

 

  1. Accettare la sfida della vita

Cosa significa accettare la sfida dell’esistenza, con tutto quello che comporta nei vari ambiti? Penso che sia essenzialmente questione di convinzione e di voglia. Ma deve partire da una presa di coscienza e poi di decisione personale. La posta in gioco è molto semplice ma, insieme, altamente drammatica: personalmente e come società o si cresce in umanità ed umanizzazione oppure ci si disumanizza e ci si imbarbarisce. La stasi e l’immobilismo non servono a nulla, anzi, sono alleati della disumanizzazione. Non generano vita dentro la persona e attorno ad essa e quindi accumulano solamente erosione e spreco delle energie e possibilità. Anche perché ciascuno è causa dell’uomo o donna che è e del suo divenire. Nessuno può affrontare questa sfida al posto di un altro. Nel percorso strategico della tua esistenza tu rimani essenzialmente solo ad assumere le tue decisioni con tutte le loro conseguenze. Nemmeno Dio si pone al tuo posto, meno che meno tutti gli altri, fossero pure i genitori, i fratelli e sorelle maggiori, gli amici, gli educatori o peggio il tuo avatar-sosia virtuale della second life. Ognuno deve fare la propria parte nel generare vita in se stesso e a favorire la circolazione della vita attorno a sé. Ne va della propria realizzazione e del lasciare o no una qualche traccia positiva nel tessuto della storia della vicenda umana su questo pianeta. Questa è la vocazione fondamentale umana, che deve risultare la sbarra di frontiera tra la vita di una ragazzo e di un giovane e la vita di un adulto. Di qui poi possono e devono maturare gli altri passi vocazionali. Chi non accetta questo, rimane un sottosviluppato: un corpo da adulto con una boria paurosa  e una presunzione da sballo, perché dentro è rimasto un bambino chiuso nel cortocircuito e nella prigione di se stesso senza via di uscita. Avrà magari tutto dalla vita, eccetto l’indispensabile. Occorre che non siamo affatto teneri con questi nostri adolescenti e giovincelli, spifferando loro in tutti i modi e senza pietà: o accetti di generare vita o non passi la frontiera dell’esistenza adulta: scegli! Sono sicuro che non staranno più a discutere tanto ma in breve tempo obietteranno solo questo: come si fa?  E qui potrà cominciare il vero lavoro vocazionale, qualunque sia poi la vocazione specifica di ciascuno. Di qui si può fare strada insieme, portandoli a scoprire la propria interiorità, quel sottosuolo unico e prezioso personale, che, con ogni probabilità, non sanno nemmeno di avere. Di qui può iniziare il laboratorio più importante della loro esistenza, ossia liberare la propria personalizzazione, cominciando a tenere in mano e a mettere insieme i pezzi della loro persona, come artigiani attenti e pazienti, verso un punto almeno sufficiente di unificazione di se stessi. Questo farà loro sperimentare la possibilità affascinante di creare unità anche attorno a sé, nella relazione con gli altri e con l’ambiente dove vivono, perché – lo scopriranno contemporaneamente – un uomo diviso in se stesso sa creare unicamente rapporti di contrasto e di violenza ovunque.

 

  1. La carta vincente: responsabilità

 

  • Responsabilità della vita

Dunque, la sfida della vita è affascinante ma drammatica, perché non lascia alternative. Ma tutto questo ci fa imbattere nella carta vincente dell’accompagnamento personale, in vista dell’educazione alla decisione vocazionale. Si tratta cioè della responsabilità. Essa infatti può diventare la dimensione formativa essenziale, in particolare di questi tempi, perché, nonostante la sindrome diffusa del mollaccione e la percentuale del bullismo oltre i livelli di guardia, la cosa che qualsiasi ragazzo e giovane non vorrebbe mai sentirsi dire è sei un irresponsabile. Certo, è un compito arduo, visto che i nostri ragazzi, più che nel passato, devono fare i conti con problemi diversi e più grandi rispetto alle generazioni passate. Tuttavia, forse e senza forse, mai si è sentita così forte l’esigenza ed il fascino della responsabilità in prima persona, anche se si va a scivolare nel mollaccione. Allora, giochiamoci questo jolly!

  • La responsabilità di noi adulti

A questo punto entra particolarmente in gioco la responsabilità di noi adulti. Noi (genitori, insegnati, preti, educatori…) che modelli siamo di adulto? Se nel passato gli adolescenti avevano davanti ben stagliato un modello di adulto “vero”, oggi, forse per la prima volta, nella millenaria storia dell’umanità, abbiamo spesso degli adulti, che cercano di imitare gli adolescenti, dal modo di parlare, al modo di vestire, negli atteggiamenti,… segno che molti che dovrebbero essere modello, in realtà, sono ancora adolescenti, che non hanno ancora saputo varcare la frontiera dell’esistenza adulta. Ecco, allora, la sfida per noi: essere adulti veri e significativi pur nella normale fragilità creaturale.

  • La responsabilità del coinvolgimento

Essere adulti modello significa accettare con forza gustosa e con grinta la sfida dell’esistenza tutti i giorni, sia in famiglia, che a scuola, che in parrocchia, che nei gruppi all’oratorio. In tutti i luoghi della loro crescita questi nostri splendidi ragazzi hanno bisogno di trovare questo tipo di adulti, che, con la loro semplice presenza e testimonianza, li sappiano stanare dal comodismo di lasciarsi trasportare dalle acque chete della corrente del disimpegno, verso la disumana condizione del mollaccione. Stanare significa far passare dalla responsabilità del provare tutto (è l’unica reclamizzata dalla nostra società dei consumi) alla responsabilità di scegliere di essere un adulto vero e significativo, che dalla vita vuole qualcosa di grande e di unico.  In tal modo sarà assicurato il secondo passo di crescita del nostro cammino verso la decisione vocazionale della vita.

LABORATORIO

Ecco, in breve, qualche briciola di cosa significa accettare la sfida. 

Ti propongo un piccolo test da sottoporre (d’accordo con l’incaricato della Pastorale Giovanile) ad adolescenti e giovanissimi, dopo averli invitati a leggere e discutere queste pagine. Chissà che non succeda un miracolo di conversione alla sfida della vita.

Piccolo test sulla capacità di accettare la sfida della vita

Al casello di frontiera tra il mollaccione e la vita adulta:

da’ un voto agli item riportati (5= molto; 3= abbastanza; 1= quasi nulla)

1.     Il più delle volte vado dietro a ciò che mi attira di più ad appaga immediatamente senza riflettere
2.     Preferisco lo standard del comodo e del non faticare piuttosto che impegnarmi in qualcosa di bello e creativo
3.     Pur nel mio piccolo sono convinto che la mia vita serva ad umanizzare di più la società e gli altri
4.     Non mi preoccupo di generare e donare vita, nonostante che veda lo spreco delle mie energie e possibilità
5.     Sento di avere ormai un corpo adulto, ma dentro mi sembra di essere ancora un bambino
6.     Mi arrabbio se mi danno dell’irresponsabile, ma devo ammettere che tante volte mi comporto proprio così
7.     Preferisco che siano gli altri a sceglier per me; basta che non debba faticare io
8.     Vorrei avere come modello degli adulti significativi ma non riesco a trovarli
9.     I miei amici sono come me; ho difficoltà ad essere amico di chi vuole impegnarsi
10.   La parola responsabilità mi disturba molto, specialmente se devo decidere e delle cose importanti

Risultato: punteggio:  tra 30 – 50 = la frontiera per il momento resta chiusa

Tra 15 – 30 = devi fare ancora allenamento per

potere attraversare

tra    1 – 15 = stai per passare la frontiera

PROSSIMI APPUNTAMENTI   di   RUBRICA

  • PERSEVERARE NELL’IMPRESA

 

  • USCIRE DALL’INDECISIONE

 

  • ACCETTARE DI ESSERE AMATI

 

  • VIVERE LA RELAZIONE NELL’AMORE

[1] Cfr. UNAMUNO(de)M., Cultura e nazione, Milano, Medusa,2011.