N.02
Marzo/Aprile 2011
Studi /

Una comunità cristiana guarita educa con gioia alle scelte di vita

Sono lieto che mi abbiate invitato a parlare della VOCAZIONE prendendo spunto dai racconti della moltiplicazione dei pani. Tramite le vostre riunioni avete posto in questi racconti una affermazione centrale di Gesù:  “Quanti pani avete? Andate e vedete!” (Marco 6,38).

A parer mio non vi sono racconti più belli di questi. I racconti, ( in tutto sei ), sulla moltiplicazione dei pani, riportati nei quattro vangeli. In essi non diventa solo visibile l’idea forte di Eucarestia ma anche il nucleo della nostra esistenza cristiana ed il significato di vocazione. Per questo motivo vorrei innanzitutto spiegare i due racconti di Marco e quindi  quelli di Giovanni , mettendoli poi a confronto. Come secondo punto vorrei esporre qualcosa sul tema della vocazione nella chiesa e delle scelte di vita facendo riferimento a questi racconti.

  1. Le citazioni dei racconti della moltiplicazione del pane in Marco.

Marco per due volte racconta della meravigliosa moltiplicazione dei pani. Alcuni esegeti reputano che egli abbia raccontato due volte lo stesso avvenimento, tuttavia nella struttura del vangelo di Marco ci viene mostrato quanto siano per lui importanti entrambi i testi.

Marco dà molta importanza alla reazione dei discepoli. Nella seconda moltiplicazione i discepoli si comportano come se avessero dimenticato l’altra moltiplicazione. I discepoli non riconoscono chi è questo Gesù. Essi sono ciechi. Entrambi i racconti della moltiplicazione dei pani sono stati scritti da Marco in mezzo a tre traversate con la barca. Anche durante le traversate Gesù mostra ai discepoli il suo potere soprannaturale. Tuttavia anche questo non suscita in loro alcuna Fede. Durante la terza traversata Gesù riprende i suoi discepoli severamente  „Non capite nè comprendete ancora? Il vostro cuore è ostinato? Non avete occhi per vedere né orecchie per sentire? (8,17f) . Nè durante le ambedue moltiplicazioni dei pani , nè durante le tre traversate del lago, durante le quali essi potevano fare esperienza della potenza di Gesù, i discepoli si sono aperti alla Fede.

Essi rimangono ciechi e sono quindi un persistente ammonimento al lettore, di leggere il Vangelo con occhi e cuore aperto e di fidarsi di Gesù che desidera mostrarci il cammino della vita.

Alcuni esegeti interpretano la moltiplicazione dei pani come se Gesù avesse esortato i discepoli a dividere le proprie scorte di cibo. Tuttavia von Iersel reputa giustamente, che questo “ ridurrebbe il livello del racconto ad un banale episodio della quotidianità di quelle persone che si erano dimenticate di portare con sé le vettovaglie ” . (Iersel 156)

Qui non si tratta di una routine quotidiana ma di qualcosa fuori dal comune, si tratta della misteriosa Epifania della gloria di Dio. Solo quando viene spezzato il pane, innumerevoli persone se ne possono cibare.

Questo ci rimanda alla morte di Gesù e all’Ultima Cena . La morte di Gesù è fonte di vita per gli uomini. Lì, in quel posto le persone ricevono cibo a sufficienza. Essi ricevono pane e pesce, cibo per il loro corpo e per la loro anima.

I numeri citati in entrambi i racconti non sono sicuramente presi a caso. Da 5 pani vengono saziate 5000 persone e 12 ceste vengono riempite con quanto resta. Da 7 pani vengono sfamate 4000 persone e vengono raccolte 7 ceste con quanto rimane. Cinque è il numero che indica l’uomo che è aperto a Dio. Gesù è completamente uomo, ma al tempo stesso è anche Dio. Incontrando Gesù gli uomini trovano la propria essenza e contemporaneamente si aprono a Dio, riconoscendo in Dio la meta della loro vita.

I dodici cesti indicano la comunità della Chiesa e la capacità dell’uomo di vivere insieme.

Gli uomini che scopriranno nell’incontro con Cristo la propria completezza, saranno anche in grado di vivere insieme e di crescere come il nuovo popolo di Dio.

I sette pani indicano la trasformazione che avviene attraverso Cristo.

E le quattromila persone indicano i quattro punti cardinali. Nell’ultimo racconto della moltiplicazione del pane vi è indicato che alcuni venivano da molto lontano. Questo è un modo per indicare i pagani che venivano da molto lontano.

Entrambe le moltiplicazioni dei pani hanno in sé una dinamica interna. La prima è valida per gli ebrei, che attraverso Gesù vengono raccolti e formano il nuovo Israele. Questo diventa anche visibile nel modo in cui vengono fatti sistemare . La gente viene fatta sistemare in gruppi di cento e di cinquanta. Questo corrisponde al vecchio modo israelitico di sistemare gli accampamenti.

La seconda è valida anche per i pagani che giungono da tutti e quattro i punti cardinali.

L’avvenimento accade in terra pagana. Marco mostra che Gesù  dona sempre di più la Salvezza ai pagani. Così avviene con la guarigione dell’indemoniato di Gerasa e nella guarigione della figlia della donna sirofenicia.

Nella prima moltiplicazione dei pani, Gesù ha compassione delle persone. Esse sono come “Pecore che non hanno un pastore” (6,34). Con ciò Marco intende gli ebrei che non hanno un vero pastore. I maestri e le guide di Israele hanno fallito.

Le pecore però, che non hanno un pastore sono anche un’immagine per noi oggi. Senza il pastore le pecore sono perse. Si disperdono. Ognuna va per la propria strada ed è inerme davanti pericoli che incontra. Essa non trova pascolo. Gesù dà un orientamento alle pecore. Nei suoi insegnamenti egli mostra a loro il significato della loro esistenza. Le conduce al pascolo affinchè esse trovino di che nutrirsi. La parola che annuncia loro Gesù è qualcosa che nutre. Gesù si prende cura delle pecore. Egli guarisce le loro malattie ed in quanto pastore egli dona alle pecore stabilità.  Egli fa accampare la gente in gruppi. E placa la loro fame. Egli dà loro quello che veramente nutre e sazia. Tutto questo è espressione della sua compassione nei confronti degli uomini.

E la sua compassione trova massima espressione nella sua morte in croce. Lì egli spezza quel pane che i discepoli avevano sulla barca (8,14) per placare la nostra fame più profonda.

Nella seconda moltiplicazione dei pani Gesù prova nuovamente compassione. Tuttavia il motivo della sua pietà  è un altro: “Se io li rimando a casa affamati, durante il viaggio essi verranno meno,  poiché alcuni di loro sono venuti da molto lontano”. (8,3). Le persone, – e in questo caso sono intesi soprattutto i pagani – senza l’incontro con Gesù durante il loro cammino crolleranno. Durante il viaggio essi moriranno di stenti, crolleranno dalla debolezza. Essi non sono in grado di fare la loro strada da soli. Essi hanno bisogno di sostegno per il loro cammino. Gesù è il figlio di Dio che durante il nostro cammino di vita ci rinforza , donandosi a noi in qualità di pane. Nella sua morte egli spezza per noi il pane. E questo basta per tutti.

Infine entrambi i racconti delle moltiplicazioni del pane e delle tre traversate con la barca rimandano alla morte di Gesù in croce, nella quale Gesù si sacrifica per noi e ci conduce sull’altra sponda, alla sponda della Gloria di Dio.

Nel primo racconto della moltiplicazione dei pani l’iniziativa nasce dai discepoli. Essi esortano Gesù a congedare la gente affinchè essi si possano comprare qualcosa da mangiare. Nella seconda narrazione Gesù è l’unico a prendere l’iniziativa.

Egli ha compassione delle persone e vorrebbe dare loro forza per il loro lungo cammino.

Nel primo racconto Gesù dice ai discepoli due frasi fondamentali: “Date voi loro da mangiare” (Marco 6,37). Questo è il compito principale dei preti e delle persone consacrate, delle guide spirituali. Hanno il compito di dare alle persone qualcosa che le nutra e che dia loro forza.

Essi devono condividere con la gente la compassione di Gesù e devono riflettere su come essi possano veramente dare qualcosa di nutriente per l’anima ed il corpo a coloro che sono come pecore senza pastore.

Il messaggio che noi dobbiamo portare avanti deve essere un annuncio che nutre la gente, non un annuncio che pretende troppo dalle persone e che le opprime, un messaggio che  rincuora e che dona coraggio.

La seconda frase di Gesù è: „Quanti pani avete? Andate e vedete!” (Marco 6,38).

Molti che sentono la chiamata di Dio si difendono dicendo che loro non hanno niente che possano dare alla gente. Ma prima che Gesù ci chiami, abbiamo già ricevuto dei doni.

Abbiamo ricevuto il pane che ci nutre e che potrebbe nutrire altra gente. Per questo dovremmo vedere attentamente quanto Dio ci ha già donato nella nostra vita, quando ci ha risollevato, dove ci ha donato nuove ulteriori capacità  .

Entrambi i racconti in Marco sono racconti eucaristici. Questo diventa evidente attraverso la formula precisa che viene quasi letteralmente ripetuta in entrambi i testi.

„Gesù prese i cinque pani e i due pesci, guardò al cielo e disse la preghiera di benedizione, spezzò i pani e li diede ai suoi discepoli affinchè loro li distribuissero“. (Marco 6,41).

Gli stessi quattro verbi vengono citati da Marco nel testo dell’ultima cena: Gesù prese il pane e disse la preghiera di ringraziamento ; quindi spezzò il pane, lo porse loro e disse: “Prendete questo è il mio corpo”. (Marco 14,22). Durante l’ultima cena Gesù stesso porge il pane agli apostoli e con il pane esso stesso. Con la moltiplicazione dei pani egli dà ai discepoli i pani che essi dovranno distribuire. Il pane che venne spezzato, rimanda a Gesù sulla croce. Il pane, che nutre e dà forza a tutti gli uomini indica lo stesso Gesù che si dona a noi. Egli è il vero cibo lungo il nostro cammino.

E dobbiamo dare Cristo agli altri,  non dare noi stessi.

Attraverso il nostro amore l’amore di Cristo deve diventare per gli uomini tangibile.

  1. La moltiplicazione dei pani in Giovanni.

Giovanni dà alla moltiplicazione dei pani un altro significato. Questo è già evidente nella breve citazione: “la festa di Pascha, la festa dei Giudei si avvicinava (Giovanni 6,4).

Giovanni cita ben tre volte la festa di Pascha, prima della cacciata dei commercianti dal tempio, prima della moltiplicazione dei pani e prima della Passione di Gesù.

Pascha significa Transito, Passaggio, Attraversamento. Passare da questo mondo al mondo di Dio, questo è il sentimento primordiale di nostalgia dell’uomo.

Gesù esaudisce questa nostalgia struggente. Egli ci purifica trasformando la nostra piazza del mercato nel tempio di Dio.

Il nostro frastuono interno ed il nostro essere prigionieri dagli affari terreni passa attraverso l’esperienza dell’essere Tempio di Dio.

Qui nella moltiplicazione dei pani, si tratta di passare da questo mondo puramente terreno con la sua fame e le sue necessità al mondo di Dio, poiché lo spirito di Dio ci pervade. Gesù stesso è il pane del Cielo. E’ il pane che  ci dà sostegno nell’attraversamento dall’Egitto – il mondo della prigionia spirituale –  alla Terra Promessa, il luogo in cui Dio si imprime in noi  e ci libera da noi stessi.

L’ultimo passaggio avviene sulla Croce. Qui Gesù porta noi stessi con lui , su nella sua Gloria.

In Giovanni tutto ciò che vi è di terreno ha anche un significato simbolico. Gesù chiede a Filippo: “Dove possiamo comprare il pane?” (Giovanni 6,5) . La parola “dove” – POTHEN- è la stessa parola che viene usata nelle nozze di Cana. Il vino, con il quale Gesù dona alla nostra vita un nuovo sapore , proviene dal Cielo, proprio così come il pane. Gesù si rivolge a Filippo. Filippo ha un ruolo particolare nel vangelo di Giovanni. Egli rappresenta la nostra sete di conoscenza. Noi vorremmo vedere Gesù, vorremmo capire Gesù.

Qui Gesù accoglie Filippo nella sua scuola, cosìcchè egli non veda solamente l’esteriorità ma anche il mistero di Gesù Cristo stesso.

Un’ulteriore particolarità è che Giovanni in questo caso parla di pani d’orzo. Così facendo egli ricorda il racconto della moltiplicazione dei pani attraverso Elia (2 Re 4,42-44).

Il pane d’orzo è il pane dei poveri. La povertà e la semplicità che abbiamo da offrire permette l’incarnarsi di Dio in Gesù Cristo. La nostra carne viene riempita della Gloria di Dio. Qui nuovamente vediamo il paradosso della carne debole – la sarx – che diventa il luogo nel quale risplende la Gloria di Dio.

Giovanni cita l’agire di Gesù in virtù dell’Eucarestia. Egli non cita la parola “preghiera di lode o benedizione “ (eulogein), ma il „dire grazie“ (eucharistein): „ Gesù prese i pani e dopo aver reso grazie,  li distribuì a quelli che si erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, finchè ne vollero;(Giovanni 6,11)

Solo Giovanni parla dello “star seduti” della gente. Durante l’ultima cena il discepolo preferito stava seduto accanto a Gesù. Giovanni ha inteso quindi la moltiplicazione dei pani in senso eucaristico. Ed al tempo stesso ci mostra come intende lui l’Eucarestia.

In essa Gesù si dona a noi con la sua carne ed il suo sangue, nella sua carne e nel suo sangue in cui trapela la Gloria di Dio, immagine dell’amore di Dio che sulla croce dal suo cuore scorre verso di noi.

Al termine della Cena Gesù dà l’ordine: “Raccogliete i pezzi avanzati, perchè nulla vada perduto.“(Giovanni, 6,12). Solo in Giovanni troviamo questa parola: Raccogliete – Synagein. Il compito degli apostoli è quello di raccogliere i cristiani come fossero pezzi di pane spezzato e di portarli nell’unità della Chiesa. Questo diventa evidente anche con le dodici ceste che rappresentano la nuova comunità della chiesa. Così già la Didache – formatasi subito dopo il vangelo di Giovanni – aveva interpretato in tal modo i versi: “Così come i pezzi di pane erano dispersi per le montagne e raccolti diventavano uno, così anche la tua chiesa in capo al mondo verrà unificata nel tuo Regno. “ E lo scopo di questa raccolta è che nessuno vada perso. Andare perso, crollare sono parole chiave nel vangelo di Giovanni. Nella preghiera sacerdotale Gesù dice: „ Io li ho custoditi e nessuno di loro è andato perduto. (Giovanni 17,12) .

Questa preoccupazione avvicina Gesù ai discepoli. Essi devono raccogliere i cristiani affinchè questi non vadano persi. Questo vale per la comunità dei cristiani. Questo vale però anche per ogni singola persona. Noi perdiamo così tanto in noi. Noi perdiamo i nostri ideali, la nostra forza, i nostri sogni di vita, le nostre capacità. Eucarestia significa che Gesù stesso raccoglie in noi tutto affinchè nulla in noi vada perso, ma piuttosto che tutti i doni che ci ha dato Dio, vengano integrati in quella data persona.

Noi guide spirituali  dobbiamo trattare le persone in modo che esse abbiano il coraggio, di raccogliere tutto quello che è in loro in modo tale che trasmettano la pienezza della vita.

Esse non devono reprimere i loro lati oscuri ma integrarli  nella comunione con Dio.

  1. I presupposti della vocazione.

Prima che Dio chiami una persona, ella ha già appreso qualcosa di Dio. La chiamata giunge alle persone che hanno una storia con Dio. Abbastanza sovente non si tratta solo di una storia di santità ma spesso anche una storia di rottura, di strade sbagliate e deviate.

Nessuno però sente la chiamata di Dio dentro di sè se non ha già sentito parlare di Dio, se non ha sentito un impulso interno che Dio ha messo nel suo cuore.

Vorrei descrivere i presupposti della vocazione con le quattro parole che abbiamo udito nella moltiplicazione dei pani e che riconsideriamo in ogni festa eucaristica, e cioè: „ Gesù prese il pane, lo benedisse, lo spezzò e lo diede ai suoi discepoli.”

Con ciò mi riferisco ai pensieri che Henry Nouwen 20 anni fa espresse durante l’inaugurazione della Recollectiohaus nella nostra abbazia Münsterschwarzach, una casa per preti e persone consacrate in situazioni di crisi.

Nelle quattro parole dell’Eucarestia possiamo vedere una sintesi della nostra vita come cristiani.

„Gesù prese il pane.“ Noi tutti abbiamo già preso. Abbiamo preso l’amore dei nostri genitori. Abbiamo preso l’amore di Dio. E  abbiamo fatto esperienza che Dio ci accetta e che i genitori e gli amici ci accettano. In questo modo siamo diventati capaci di accettare noi stessi, di prenderci per quello che siamo. Forse l’amore che abbiamo preso dai nostri genitori non è sempre stato per noi sufficiente. Ma ognuno di noi lo ha preso. Ognuno di noi ha ricevuto qualcosa.

“Gesù benedisse il pane”. Noi siamo persone benedette. Benedire , dal latino benedicere , significa: Dire bene. Dio ha detto parole buone su di noi. Nel battesimo egli ci ha detto: “ Tu sei il mio amato figlio. Tu sei la mia amata figlia. In te mi sono compiaciuto. “  Durante la nostra vita sin troppo spesso abbiamo sentito dirci altre parole: “ Tu non vali niente . Tu non sei giusto. Nessuno può resistere con te. “ Queste sono parole di maledizione, che ci ostacolano nel vivere.

E’ quindi importante, ricordarsi sempre di nuovo che Dio ha detto parole buone su di noi e che spesso delle persone ci hanno detto parole di benedizione.

Benedire però non significa solo dire parole buone ma anche far sì che la vita diventi fruttuosa. Dio ci ha benedetto affinchè la nostra vita fiorisca e porti frutto. La benedizione di Dio ci regala la fiducia che quanto noi prendiamo in mano, porti benedizione e che noi stessi siamo una benedizione per altri.

„Gesù spezzò il pane“. Noi siamo sempre anche uomini (persone) spezzate. I progetti di vita vengono spezzati. Le ferite spaccano la superficie intatta del nostro cuore. Spesso avvertiamo la nostra stessa fragilità quando veniamo messi a confronto con le nostre debolezze o quando siamo preda di una malattia.  A tale proposito cito Nouwen che disse: Là dove siamo spezzati, vanno in frantumi anche tutte le maschere che ci siamo messi. Là si spezza anche la corazza con la quale abbiamo rifasciato il nostro cuore per non sentire più dolore e per non venir mai più ferito. Chi rimane dietro la propria corazza diventa incapace di amare e di vivere. Là dove veniamo spezzati, veniamo chiamati a scoprire il nostro vero essere.  Veniamo chiamati a scoprire i nostri fratelli e le nostre sorelle, veniamo chiamati a scoprire il vero Dio che è completamente diverso dall’immagine che ci siamo fatti di lui. Lo spezzare il pane, che conosciamo in ogni rito dell’Eucarestia prima della comunione, ci dice ancora qualcos’altro: Esiste solo un’alternativa:  accettare ciò che mi mette in croce,  quello che esteriormente mi opprime come malattia, sciagura, fallimenti, altrimenti le aspettative su di me, sulla mia vita e su Dio andranno in frantumi. Solo allora sarò pronto a trovare il mio vero essere, a scoprire nuove possibilità nella mia vita e a scoprire Dio. Se io però mi aggrappo alle mie aspettative, e le mie aspettative saranno messe in discussione, questo manderà me stesso in frantumi. Prima della Comunione spezziamo il corpo di Gesù Cristo, che per noi fu spezzato sulla croce, affinchè noi non fossimo spezzati da ferite e disgrazie, ma rimanessimo sempre più aperti al mistero del suo amore.  Il prete intinge il pane spezzato nel calice come segno della Risurrezione e come segno che Dio intinge tutto ciò che vi è in noi di fragile e di spezzato nel suo amore divino e lo guarisce. “Gesù diede il pane ai suoi apostoli”. Così come Gesù dà se stesso agli apostoli, così anche noi dobbiamo donarci. Possiamo però darci solo in quanto prima abbiamo preso. Chi prende solamente ne rimarrà soffocato. Chi solamente dà, rimarrà esaurito. Noi dobbiamo dare e prendere. Questo ci mostra la celebrazione eucaristica. Tuttavia siamo in grado di dare solo in quanto siamo stati benedetti e spezzati.Noi possiamo donare a nostra volta la benedizione che abbiamo ricevuto da altri.E solo perché siamo stati spezzati e siamo stati aperti a ricevere , abbiamo ricevuto la capacità di dare.  Chi rimane chiuso in sè stesso sarà incapace di dare.

Il dare corrisponde alla missione che Gesù affida ad ognuno di noi.

Noi non siamo qui sulla terra solo affinchè ci vada bene. Abbiamo un compito. Abbiamo una missione. Chi ruota solo intorno a sé e al suo benessere, la sua vita diventerà sterile. E prima o poi si sentirà isolato. Noi abbiamo una missione nel mondo. Questa missione però ha un presupposto. Noi siamo stati mandati in quanto siamo coloro che hanno ricevuto ed hanno accettato sè stessi, coloro che sono stati benedetti e che sono stati spezzati. Vi sono persone che avvertono dentro di sé l’incarico della missione. Esternamente però noi possiamo ben distinguere se questo incarico viene da Gesù o solo da un complesso di inferiorità. Se viene da Gesù , la vita di questa persona sarà ricca di frutti (fertile). Intorno a questa persona fiorirà qualcosa e la vita stessa scorrerà in lui. Vi sono però anche persone che sentono dentro di sè un mandato ma per sfuggire al proprio vuoto interiore. Essi vogliono convertire gli altri, sebbene essi stessi non siano convertiti. Vogliono dare agli altri per poter ricevere qualcosa da essi. Essi non danno perché hanno ricevuto qualcosa ma perché essi hanno bisogno di ricevere. Essi danno perché necessitano di attenzione, di conferme, e di riconoscimento. Ed hanno bisogno di sentire che sono qualcosa di speciale. Questi sono sempre fattori che ci indicano che non è Gesù il mandante della missione.  Le tre parole che precedono il Dare, mostrano cosa sia la vera vocazione e la vera missione. Chi ha preso l’amore di Dio e delle persone, chi ha accettato sé stesso, chi è benedetto , chi è spezzato , costui è in grado di essere mandato da Gesù. Inoltre nella sua missione egli potrà dare tante cose perché avrà ricevuto tanto. Egli non darà per riempire il proprio vuoto. Egli darà perché attingerà direttamente dalla Pienezza. Nell’Eucarestia prendiamo l’amore di Dio in Gesù Cristo. Benedetti da lei nonostante la nostra fragilità potremo diventare una benedizione per le persone e dare loro quello di cui hanno bisogno.

I momenti della vocazione.

Come Dio chiami una persona e in quale direzione egli la chiami, questo ci viene mostrato in cinque diversi momenti nei racconti della moltiplicazione dei pani. Se noi esamineremo la nostra stessa vocazione, scopriremo anche noi questi cinque momenti nella nostra personale storia vocazionale.  Il primo momento: „Gesù ebbe compassione“. Egli prova compassione poiché la gente è smarrita, priva di orientamento. Chi lavora come adolescente o come giovane adulto in una parrocchia, spesso fa esperienza di persone che hanno perso l’orientamento. Così egli prova compassione per  loro e avverte dentro di sé la chiamata di Dio, di annunciare il messaggio di Gesù, affinchè queste persone possano prendere in mano la loro vita. Gesù inoltre ha compassione per coloro che durante il loro cammino crollano perché esauriscono le forze. Anche questo, spesso è un motivo di vocazione. Io avverto che le persone non riescono ad ammaestrare la propria vita. A volte in questi casi, sento la voce di Dio che mi chiama ad aiutare queste persone, che possono andare per la loro strada con forza e fiducia. Il secondo momento diventa evidente con le parole di Gesù: „Date loro da mangiare!“. La prima reazione alle necessità delle persone è quella di saziare la loro fame, di placare la sete di Dio, la disperazione e l’impotenza, proprio come la vissero quel giorno i discepoli.   Abbiamo dubbi sul fatto che possiamo dare qualcosa a queste persone, sul fatto che le nostre parole possano essere fonte di nutrimento per loro, sul fatto che possiamo effettivamente raggiungere i loro cuori. Ma poi questa voce di Gesù emerge anche dal mio cuore: “Dà loro da mangiare.” Smettila di lamentarti. Non cercare altri che potrebbero aiutare, aiuta tu queste persone. Dai tu loro da mangiare. Domandati cosa nutre veramente la loro anima. Se tu fai esperienza della fede all’interno di una comunità cristiana, se tu vieni continuamente nutrito nella  celebrazione comunitaria eucaristica attraverso il ricevere il corpo ed il sangue di Cristo e attraverso la sua parola, è quindi tuo il compito di nutrire anche le persone che incontri. “ Molti si chiedono: io però non ho nulla da dare, ma io non trovo le parole che le nutrono. Io stesso sono affamato.“ Queste scuse non valgono di fronte alla chiamata di Gesù. In quanto egli mi dice “Dai tu , loro da mangiare”, egli mi dà anche la capacità di dare agli altri da mangiare e di nutrirli nel loro viaggio verso la felicità.  Il terzo momento segue i dubbi circa la mia vocazione. Io mi chiedo se ho sufficientemente fiducia in me stesso per aiutare gli altri, per poter celebrare l’Eucarestia, per poter annunciare agli altri la Buona Novella. Con le parole del profeta Geremia io mi dico: „ O mio Dio e Signore, io non so parlare, io sono ancora così giovane. “ (Geremia 1,6). A questi dubbi e domande Gesù risponde: „ Quanti pani avete? Andate e vedete!”.   Io non ho il dono di Gesù o di quel parroco o di quella consacrata. Ma anche io ho dei pani con me. Sono cinque pani. Cinque sta per le persone, la gente che è aperta a Dio. Se io osservo il mio essere uomo , persona, allora ho abbastanza da poter donare ad altri. In me c’è la stessa sete di Dio che c’è in altre persone. Io ho gli stessi sentimenti e pensieri come gli altri. Se mi guardo bene dentro, scopro che ho abbastanza da dare agli altri. Devo semplicemente condividere con altre persone il mio essere umano con le sue lotte e le sue domande in cerca di risposte. Io devo dividere e distribuire quanto ricevuto dai miei genitori e da Dio. E devo dividere quello che sono, il mio essere in qualità di uomo, di persona. Gesù dice: “ Andata e vedete!“. La parola greca per vedere “idein” indica un vedere all’interno. Dobbiamo guardarci dentro, scoprire quanto vi è in noi. Se mi guardo dentro vedo anche all’interno del cuore delle persone. Poiché chi si riconosce, riconosce anche le persone intorno a lui. Dentro di noi siamo tutti simili. Quello che mi commuove, commuove anche gli altri. Il guardare  dei Greci non è il guardare dei curiosi ma un guardare contemplativo. Nel silenzio io mi guardo dentro, e guardo cosa emerge in me. E guardare ha in ultimo come obiettivo sempre Dio. Nella profondità della mia anima, al di sotto di tutto quello che sono i sentimenti ed i pensieri che emergono in me, io guardo Dio. Dio (theos) è per i Greci Colui che viene guardato (theastai). Io non posso guardare Dio direttamente. Ma guardandomi dentro e guardando le cose nel profondo, io vedo Dio. Il quarto momento consiste nel passare il pane agli altri. Gesù ci dà un compito. Egli dà ai discepoli da lavorare. Essi devono distribuire alla gente i pani che hanno con sé. Facendo ciò faranno l’esperienza che i pani bastano per tutti. Non appena essi distribuiscono essi non diventano più poveri. Al giorno d’oggi molti assistenti spirituali si sentono esausti e come bruciati. Questo accade sempre perché essi non danno quello che hanno ricevuto ma danno per ricevere. Essi danno per ricevere riconoscimento e conferma.

Chi dona con queste motivazioni, sarà presto privo di forze. Chi invece distribuisce semplicemente in base alla chiamata di Gesù, chi non guarda sé stesso e la reazione che ha la gente del suo bel dare, questa persona può dare sempre , senza che il pane finisca. Egli è semplicemente permeabile a Gesù.  Egli lo fa per mandato di Gesù e non per il suo proprio interesse. Per conto di Gesù ha il potere di distribuire senza che le sue scorte vengono a mancare. Egli non controlla le motivazioni per le quali avviene ciò. Egli non vuole vantarsi di ciò. Egli dà , perché semplicemente questa è la sua missione. E per conto di Gesù il pane che egli distribuisce non finisce.  Il quinto momento diventa visibile con l’ordine che Gesù dà ai discepoli. Quello di dire alle genti di sedersi in gruppi da cento e da cinquanta. Vocazione, chiamata significa anche sempre essere chiamati alla comunità. Noi siamo inviati a condurre insieme le persone in un’unica comunità.  Nel nostro anonimo mondo, nel quale le persone si isolano sempre più e si sentono sole, il nostro compito è quello di formare delle comunità. Le due cifre consistenti in cento e in cinquanta ci mostrano quali qualità le nostre comunità devono avere nella chiesa.

Cento sta ad indicare la completezza e cinquanta indica l’apertura a Dio e al suo Spirito. Noi dobbiamo regalare alle persone la possibilità di fare l’esperienza di una comunità sana, nella quale il loro strappo interiore possa essere guarito e far diventare loro di nuovo una persona completa.

Il numero cento sta anche ad indicare la parola di Gesù riferita alle cento pecore. Dobbiamo aiutare le persone a ritrovare ciò che hanno perduto, a ritrovare sé stessi.  La comunità alla quale invitiamo a partecipare la gente, dovrà essere una comunità spirituale, nella quale le persone si apriranno insieme a Dio e in Dio ritroveranno il senso della loro vita sulla quale potranno costruire il loro progetto di vita. In Dio dovranno diventare un unica cosa con sè stessi e con gli  altri

E’ una missione meravigliosa alla quale ci chiama Gesù. Tuttavia chi viene chiamato da Gesù, dovrà anche lui stesso scegliere la strada della chiamata . Ed in questo caso al giorno d’oggi molti giovani trovano difficile accogliere questa chiamata. Infatti quando io mi decido per qualcosa, devo allo stesso tempo decidere contro qualcos’altro: rinunciando a qualche cosa.

Chiudo una porta per aprire la porta della vita alla quale mi ha chiamato Dio. Molti oggi, hanno paura a chiudere una porta. Vogliono tenersi tutte le porte aperte e prima o poi si ritrovano davanti ad un mucchio di porte chiuse. Altri si chiedono quale scelta fare, come possono riconoscere la volontà di Dio. La volontà di Dio si mostra sempre là dove vi è in noi più pace , più libertà, più vitalità e più amore. Là dove sentiamo in noi una angustia interiore e paura , non si tratta della volontà di Dio ma del volere della nostra stessa ambizione o perfezionismo. I racconti della moltiplicazione dei pani che ci riportano gli evangelisti, ci invitano a metterci a disposizione della missione di Gesù proprio come fecero i discepoli. E’ un incarico meraviglioso , proprio ai giorni nostri, in cui ci sono così tante persone che sono come pecore senza pastore e in cui così tante persone hanno smarrito sé stesse. Preghiamo affinchè anche oggi molti giovani si aprano alla chiamata di Gesù per regalare alle persone quello che nutre veramente per poter attingere forza lungo il loro cammino e per dare un senso alla mancanza di orientamento del nostro tempo. Chi segue questa chiamata di Gesù, potrà sempre fare l’esperienza gioiosa dei discepoli:  che ha qualcosa da dare alle persone, che potrà radunare le persone e farle aprire a Dio. Egli tuttavia non dovrà guardare le proprie mani vuote, ma dovrà fidarsi delle parole di Gesù: „Date loro da mangiare!”.  Quanto ti ho donato e ti donerò sempre, basterà per essere donato a sua volta. Nel donare a tua volta, non diventerai più povero e più stanco ma sempre più vivo e realizzato.