N.05
Settembre/Ottobre 2011
Studi /

La parrocchia grembo di ogni vocazione

Partendo dall’interpretazione ecclesiologica e mariana dell’icona di Apocalisse 12, vorrei indicare brevemente le cause della difficoltà che oggi la Chiesa ha nel partorire nuove vocazioni. Il passo successivo sarà individuare le caratteristiche che la Parrocchia deve avere per essere, come Maria, grembo fecondo di ogni vocazione. Anche qui ho fatto ricorso a tre icone mariane ispirandomi a quanto Benedetto XVI ha detto nella lettera allegata al piano pastorale per il prossimo decennio: “In realtà, è essenziale per la persona umana il fatto che diventa se stessa solo dall’altro, “io” diventa se stesso solo dal tu e dal “noi” ”. La nostra identità cristiana è scritta in ciò che siamo chiamati ad essere in un dialogo che chiede l’apertura dell’io al tu di Dio, al tu del fratello, al noi della Comunità. Educare ad una coscienza vocazionale e aiutare le nostre parrocchie ad essere grembi che favoriscano il germogliare e il crescere di nuove vocazioni prevede dunque questi tre passi, individuati nelle immagini dell’Annunciazione (apertura al tu di Dio), della Visitazione (apertura al fratello) e di Maria e gli apostoli riuniti nel Cenacolo (apertura alla comunità). Concludo quindi provando a suggerire alcune indicazioni per tentare passi concreti.

 

  1. «Apparve in cielo un segno grandioso»

 

1.1.      La storia e la profezia

Il segno grandioso di cui parla il testo dell’Apocalisse sopra citato, mi pare rifletta molto bene la situazione della Chiesa di ogni tempo: madre che genera figli nelle doglie del parto, sfidando il potere del male che tende a divorare la prole … L’Apocalisse, lo sappiamo, è profezia che illumina il futuro, ciò che possiamo sperare e, al tempo stesso, parola che ci aiuta a fare discernimento sull’oggi, su cosa qui e ora viene chiesto alla Sposa di Cristo.

 

1.2.      Maria e la Chiesa

Un altro fatto importante di questa icona dell’Apocalisse è il suo stretto collegamento con Maria. Questa donna vestita di sole è figura della Chiesa pellegrina nella storia, ma non si può negare l’importanza di una interpretazione mariana del testo presente, sia nella liturgia che nella tradizione teologica. D’altra parte, Maria è icona della Chiesa, il piccolo resto fedele dell’antico popolo della alleanza, da cui nasce il Cristo, primizia della nuova creazione e Sacerdote del nuovo ed eterno patto. In Maria dunque troviamo il modello perfetto da cui oggi la Chiesa può trarre ispirazione per poter continuare ad essere grembo fecondo di ogni vocazione. Cfr. Vocazioni nella Chiesa Italiana n. 8 (1985), Piano pastorale per le vocazioni.

 

1.3. Le doglie del parto e la potenza del drago

Ormai da circa 40 anni la Chiesa in Italia “è consapevole che la promozione delle vocazioni è compito essenziale della sua azione pastorale” (Vocazioni della Chiesa Italiana 1985 n. 9). Essa sta diventando sempre più urgente in quanto è in atto una “crisi di Fede e una profonda crisi di coscienza vocazionale… evidente tanto sul versante della cultura e dei costumi della nostra società, quanto anche nelle nostre comunità cristiane” (ibidem n. 10). Più recentemente le difficoltà che la Chiesa in Italia vive nel generare nuove vocazioni sono state identificate nel modo di concepire la vita e la libertà: “L’interpretazione cristiana della vita, come risposta alla chiamata di Dio e incontro personale con Lui, si trova esposta oggi ad una cultura che enfatizza (…) il primato delle scelte soggettive e dei progetti individuali (…). La prospettiva d’una chiamata divina diventa estranea all’orizzonte dell’esistenza” (Le vocazioni al ministero ordinato e alla vita consacrata nella comunità Cristiana 1999 n. 2). In questa situazione è necessario evangelizzare “la libertà e con essa la persona che su questa libertà gioca la sua vita (…) per questo la pastorale vocazionale è una scuola di promozione di libertà” (ibidem n. 3).

Al n. 9 di “Educare alla vita buona del Vangelo” (2010) vengono identificati con chiarezza cinque “nodi della cultura contemporanea”: “l’eclissi del senso di Dio, l’offuscarsi della dimensione dell’interiorità, l’incerta formazione dell’identità personale, la difficoltà del dialogo tra generazioni, la separazione tra intelligenza ed affettività”. Questi nodi minano alla radice il senso e il valore stesso dell’educazione e sono un frutto del mito dell’uomo che “si fa da sé”. Ma «al fondo di tutto si può scorgere la negazione della vocazione trascendente dell’uomo e di quella relazione fondante che dà senso a tutte le altre: senza Dio l’uomo non sa dove andare e non riesce nemmeno a comprendere chi egli sia” (C.I.V. n 78)» (EVBV n 9). Ecco il punto cruciale: aiutare le persone, specie le nuove generazioni, a superare una fuorviante idea di autonomia. “In realtà è essenziale per la persona umana il fatto che diventa se stessa solo dall’altro, l’io diventa se stesso solo dal tu e dal noi, è creato per il dialogo” (Benedetto XVI Discorso alla 61º Assemblea Generale della CEI 27/05/2010). Il recupero della dimensione del dialogo, del confronto con l’altro o, come dice il Papa Benedetto XVI, l’apertura al tu, al noi e al tu di Dio, è la sfida cruciale che la comunità cristiana deve raccogliere per recuperare i presupposti fondamentali d’una “cultura vocazionale” che riproponga nell’orizzonte degli uomini e, in particolare, dei ragazzi e dei giovani, l’idea che la propria identità sta nella propria vocazione. Si può scoprire chi siamo accogliendo ciò che siamo chiamati ad essere. Questo avviene recuperando la capacità di apertura e di relazioni profonde e significative aprendoci al tu, al noi e al tu di Dio. Il luogo naturale in cui la Chiesa offre la possibilità di questa apertura è la Parrocchia.

 

  1. La Parrocchia grembo fecondo: quali passi?

 

2.1. L’annunciazione: incontro con il tu di Dio che genera ascolto e risposta.

L’icona dell’Annunciazione ci fa toccare con mano quanto l’apertura al tu di Dio definisca la nostra identità. Maria trova se stessa incontrando Dio che le rivela il suo volto di piena di grazia, benedetta sopra tutte le altre donne e, cosa difficile a comprendere, madre del Messia. Accogliere la propria vocazione richiede impegno, aiuto, e risposte che vincano i dubbi. Anche per Maria fu così. Per questo chiede: “Com’è possibile?”. Dio ci ama: per questo ci chiama ad essere più di quello che a noi sembra umanamente possibile. Perciò, l’accoglienza della vocazione richiede l’obbedienza, ma anche il coraggio d’accogliere qualcosa che può stare alla nostra portata solo se crediamo che davvero “Tutto è possibile a Dio”. Incoraggiata dalle parole dell’angelo, Maria dice il suo fiat. Guardando all’episodio dell’Annunciazione, la Parrocchia dovrebbe cercare di imitare contemporaneamente Maria e l’Angelo. Deve imparare da Maria l’ascolto che, aprendoci al Tu di Dio, rivela la nostra identità.

Ciò che la Parrocchia è chiamata a fare potrà comprenderlo solo dopo aver accolto, in umile ascolto, ciò che è chiamata ad essere. Una comunità può educare all’ascolto solo se ne è essa stessa capace. Come Maria, la Parrocchia deve imparare ed insegnare a porsi senza timore la domanda: “Com’è possibile?” Non si possono avere risposte se non si pongono domande. Quelle nel cuore dei giovani, sono davvero tante: com’è possibile amare la stessa persona per tutta la vita? Come posso essere felice scegliendo in modo definitivo e rinunciando a una libertà assoluta? Com’è possibile accogliere ciò che va aldilà di quello che posso sperimentare in modo diretto ed immediato? La Parrocchia deve, come Maria, far circolare queste domande per poi poter suscitare e dare delle risposte. La comunità è chiamata anche a interpretare il ruolo dell’Angelo, essere lo strumento concreto attraverso il quale oggi Dio interpella, risponde e rivela ai suoi figli il loro volto. Seguire la propria vocazione non è solo possibile: è fonte di gioia! Anche quando ci si può sentire inadeguati o si è nel dolore o nella prova, perché tutto è possibile a Dio! Questa testimonianza dà credibilità all’ascolto ed è la migliore risposta alle insidie del drago, che tenta sempre di far percepire quanto Dio ci chiede come un ostacolo alla nostra libertà, felicità e realizzazione.

 

2.2. La visitazione: l’apertura al tu del fratello

Per l’antropologia cristiana la nostra identità  personale è un fatto essenzialmente relazionale: l’uomo è immagine di Dio. Questo è dono, ma anche chiamata. Essere immagine di Dio concretamente significa modellarci sul volto di Cristo, immagine perfetta del Padre, secondo doni e carismi peculiari per ciascuno, effusi dallo Spirito Santo. Tale identità si realizza nella misura in cui ci apriamo al tu. Al Tu di Dio, come abbiamo visto nella icona della Annunciazione, ma anche al tu dell’altro, dei nostri fratelli, mediazione storica dell’incontro con Cristo. Nell’episodio della Visitazione Maria, dopo aver ricevuto l’annuncio che sarà la madre del Dio fatto uomo, riceve da Elisabetta una conferma importante, la quale è pure una delle prime professioni di fede: “A che debbo che la madre del mio Signore venga a me?”. L’occasione di questa professione di fede è un’azione di carità, un gesto di apertura ai bisogni dell’altro. Si tratta di una provocazione importante per le parrocchie, affinché siano davvero grembo fecondo di ogni vocazione: per scoprire chi siamo chiamati ad essere è necessario verificare l’incontro avuto con il tu di Dio, attraverso l’apertura agli altri e ai loro bisogni. L’apertura e l’attenzione al fratello è il miglior luogo per dare carne all’incontro.

Questo è il miglior apprendistato per allenare le persone a saper dire sì con generosità e a imparare a confrontare i propri desideri e progetti con le emergenze che nascono dalla storia concreta, luogo nel quale Dio parla. Tra i nodi problematici della cultura contemporanea – individuati al numero 9 di EVBV – sono presenti l’offuscarsi della dimensione dell’interiorità e la separazione tra l’intelligenza e affettività. L’indebolimento della dimensione dell’interiorità crea non solo difficoltà a percepire in modo più profondo e articolato la realtà, ma mina alla base la possibilità di relazioni solide e con un significativo spessore affettivo. La separazione tra intelligenza e affettività provoca una tendenziale riduzione della capacità di amare e di scegliere, rendendo difficile per la persona andare oltre l’attimo, oltre l’impulso emotivo del momento.

Il Kantiano imperativo Tu devi oggi si è trasformato nel Fai quel che ti senti. Questa situazione rende davvero difficile educare i ragazzi e i giovani a una visione vocazionale della vita. Educare al servizio può offrire una scuola preziosa per aiutare le persone ad andare oltre se stesse, luogo importante per allenare le nuove generazioni ad amare in modo gratuito, forte e oblativo. Ha poche speranze di successo il tentare di educare alla castità, all’apertura alla vita, a scelte di amore solide e durature, se questo sforzo educativo non è accompagnato da un costante esercizio di ascolto dei bisogni dell’altro. Oggi l’amore viene spesso presentato come qualcosa di effimero, banale, un gioco centrato sulle proprie esigenze di piacere. Ugualmente, la capacità di scegliere viene concepita come possibilità di scegliere sempre altro, oscurando l’ipotesi di fare scelte decisive, perché ciò che conta è ciò che voglio io adesso. L’educazione affettiva è importantissima per aiutare le persone a una coscienza vocazionale, a poter scegliere con cuore libero e con generosità. Ma essa non è un aspetto isolato dell’educazione della persona. Il punto centrale di una sana educazione affettiva, sta proprio nella acquisizione della capacità di mettere l’altro al primo posto, a non considerare l’altro come preda o come un oggetto funzionale al proprio desiderio. Sono queste le premesse che fanno percepire il valore e il senso di un’educazione affettiva equilibrata e integrale.

 

2.3. Maria con gli Apostoli: apertura alla Comunità.

Dopo l’apertura al tu di Dio (Annunciazione), al tu del fratello (Visitazione) siamo al terzo passo: l’apertura al noi della Comunità. Il testo degli Atti ci presenta Maria e gli Apostoli nel cenacolo in attesa del dono dello Spirito Santo. Questa immagine esprime l’identità della Chiesa di sempre: riunita nel cenacolo, luogo dell’Eucarestia, sorretta dalla presenza di Maria, sempre bisognosa del dono dello Spirito che guida alla verità tutta intera e abilita alla missione. La fecondità della parrocchia è legata in modo forte alla sua capacità di vivere ed essere percepita come Comunità unita, orante, aperta all’azione dello Spirito, datore di ogni dono, carisma e ministero. Oggi, per molti, il riferimento alla Comunità parrocchiale è debole e l’appartenenza alla Chiesa spesso è non solo “mediata” da associazioni, movimenti e gruppi, ma, a volte, sembra essere sostituita da essi. Si ha l’impressione che per molte persone sia più forte il senso di appartenenza a un carisma specifico espresso da un gruppo che la consapevolezza di essere parte della chiesa così come si esprime nel territorio: parrocchia e diocesi. Le cause di questo fenomeno, di cui è difficile valutare l’entità e l’evoluzione, sono molteplici e non si possono imputare tutte all’uno o all’altro dei soggetti in questione. Senz’altro in alcuni percorsi un’identità forte rischia di diventare chiusa e di separare di fatto i suoi aderenti dal resto della comunità. Ma la separazione rende infecondi o comunque, se genera figli, essi hanno spesso una crescita difficile e una vita infelice…

Non raramente è forte anche la responsabilità della parrocchia. Se le persone sono tentate di chiudersi in piccoli gruppi e non sentono il desiderio e l’importanza di aprirsi alla comunità, evidentemente la parrocchia non riesce ad essere percepita come un luogo dove si sta bene con il Signore e con i fratelli. A volte la Parrocchia appare più istituzione che comunità, più un luogo dove tutto è prefissato che uno spazio dove il dialogo, il confronto, l’accoglienza, sono di casa. Eppure il riferimento alla Comunità è necessario per una sana educazione a scelte vocazionali mature. Nella comunità si riceve il dono dello Spirito. E’ lei il luogo del discernimento. Nel confronto con la Comunità intera si impara ad allargare la propria capacità di amare e di servire tutti, anche quelli che umanamente non ci vanno a genio. Questo riferimento ampio alla intera comunità parrocchiale è importante per ogni scelta vocazionale, ma lo è in modo ancora più forte per quelle di speciale consacrazione e, segnatamente, per la vocazione al presbiterato diocesano.

Sarebbe davvero problematico un accompagnamento e un discernimento vocazionale legato solo a una persona o a un gruppo senza un riferimento chiaro alla parrocchia e alla Diocesi. Questa problematicità è acuita dalla secolarizzazione che fa percepire il ministero sacro come superfluo o rilevante solo nel suo risvolto sociale. Questa percezione, può portare a una deformazione dell’immagine del prete e dunque a un discernimento falsato. Può provocare o una fuga dal riferimento a tutti (il prete annuncia il regno che è come una rete gettata in mare che raccoglie ogni genere di pesci; la selezione si farà alla fine e non spetta a noi), per rifugiarsi a essere cappellano di coloro di cui si percepisce l’apprezzamento. Oppure si scivola verso un crinale sociologico che fa del prete semplicemente un soggetto impegnato nel sociale e un amico. Certo questo genera molti consensi (e fino a un certo punto) ma l’identità della vocazione presbiterale è davvero persa. Il riferimento alla interezza della Comunità aiuta a non chiudersi di fronte agli altri, al diverso, a chi ha atteggiamenti non amichevoli. Abbiamo bisogno di cristiani forti, solidi, che reggano l’urto nell’incontro con una società dove Dio è spesso dimenticato o ritenuto irrilevante. Il nido caldo del gruppo non basta ad abilitare a questa fortezza. La comunità poi aiuta a non cadere in riduzionismi sociologici che oscurino l’aspetto sovrannaturale del ministero, né la sua valenza sociale. La vita della Parrocchia, vissuta nella sua interezza, presenta infatti (o lo dovrebbe) ambedue le dimensioni. Cosa non sempre presente nei gruppi. La presenza di Maria nel Cenacolo ci ricorda la necessità dell’unità nella diversità, frutto della ricchezza creatrice dello Spirito. E’ questa ricchezza il dono che rende fecondo il grembo materno della Chiesa, per generare nuovi figli anche se nelle doglie del parto.

 

  1. Alcuni suggerimenti pratici.

 

3.1. Educare all’ascolto e alla preghiera.

La Parola di Dio dovrebbe sempre essere al centro della vita di preghiera, della predicazione, dei percorsi di catechesi per l’Iniziazione Cristiana, delle proposte di formazione parrocchiali e di quelle offerte da Associazioni, Movimenti o Gruppi perché l’ascolto della Parola ci abilita ad accogliere il Tu di Dio. La Parola meditata, ma anche la Parola fatta pane, celebrata, ricevuta ed adorata nell’Eucarestia. E’ importante rendere percepibile questo dato di fede, educando alla preghiera personale, curando la celebrazione eucaristica e ponendo davvero Dio al centro di essa, nella scelta dei canti, nella predicazione, in uno stile sobrio e meditativo che aiuti a non fare della Messa un’autocelebrazione della comunità, ma luogo dove si fa esperienza dell’incontro con il Tu di Dio. Sarà utile perciò offrire regolarmente a tutti lectio, momenti di adorazione e, cosa da non sottovalutare, spunti di meditazione sulla Parola anche nelle messe feriali.

Per sottolineare l’importanza della Parola di Dio può essere significativo celebrare in modo comunitario in una Eucarestia domenicale la consegna del Vangelo ai ragazzi del Catechismo e/o ai membri dei gruppi parrocchiali, sottolineando come la traditio e la receptio della Parola vanno favorite dall’impegno e dalla testimonianza di tutta la comunità, e che è la preghiera, comunitaria e personale, ad aprirci all’ascolto. Altro suggerimento riguarda il come è possibile. I nodi problematici  – riassunti al numero 9 di EVBV  – debbono stimolare la comunità a dare risposte formative, per aiutare i propri membri a non conformarsi alla mentalità del secolo e a dare ragione della propria fede. Per questo l’ascolto della Parola deve declinarsi con l’ascolto delle problematiche che rendono difficile il crescere di una cultura vocazionale. Occorrerebbe offrire qualcosa di analogo a ciò che Giovanni Paolo II chiamava Laboratori della fede. Luoghi nei quali, a partire dalle provocazioni della Parola, si tenta di entrare in confronto critico con le sfide poste dal pensiero e dagli stili di vita contemporanei, dando risposte di fede. Credo che questa attenzione possa aiutare i giovani a percepire che nulla è impossibile a Dio ed a vincere paure ed incertezze.

 

3.2. Educare al servizio e all’Amore come Dono

L’icona della visitazione stimola la comunità parrocchiale ad essere, come Maria, sempre attenta ed in cammino, con sollecitudine e gioia, per rispondere all’appello di Dio che si manifesta nelle provocazioni che ci vengono dai bisogni dei fratelli. E’ davvero importante avere la preoccupazione di fornire occasioni di servizio ed esperienze qualificate di volontariato adatte ad ogni età. Anche a partire dal periodo di catechesi dell’Iniziazione Cristiana. Le proposte di servizio non si devono limitare alle esigenze interne della comunità ecclesiale (catechismo, servizio liturgico, canto…) ma devono anche intercettare i bisogni e le esigenze della società civile. Abilitare al servizio “extra-ecclesiale” (termine improprio perché la Chiesa è chiamata a farsi presente ovunque…) aiuterà le persone ad entrare in dialogo profondo con il territorio e ad essere sale, luce, lievito.

Altra cosa importante è che la Parrocchia si faccia carico con materna sollecitudine, non solo di offrire percorsi formativi di educazione all’Amore (non ci si può limitare a fornire percorsi pre-matrimoniali) ma anche di far si che l’attenzione alla vita affettiva sia presente nei percorsi di catechesi a partire almeno dalla pre-adolescenza. Affinché questi sforzi siano più efficaci sarà molto importante un’articolata collaborazione con i soggetti educativi attivi nel territorio e nella comunità ecclesiale. Un’ultima parola sul ruolo della famiglia: essa è senz’altro il primo soggetto educativo, ma occorre ricordare che và sostenuta ed aiutata in questo compito. I suggerimenti, di cui abbiamo parlato sopra, vanno intesi come rivolti non solo ai ragazzi e ai giovani, ma anche, e forse soprattutto, come proposti alle famiglie, affinché si sentano incoraggiate e sostenute nel loro difficile e importante compito educativo.

 

3.3. Educare alla Comunione e alla prossimità.

La sfida di conciliare l’unità con la diversità è davvero un punto cruciale, anche perché la fecondità nasce dall’incontro tra diversi che diventano uno! Una comunità monolite difficilmente sarà feconda, come pure è difficile che lo sia una parrocchia fatta di liberi battitori, ognuno con un proprio percorso senza il desiderio di armonizzarsi in unità. Per vincere questa sfida è davvero importante la cura degli organismi di partecipazione ecclesiale, come pure il creare frequenti occasioni d’incontro, di formazione, di preghiera, per gli operatori pastorali. La comunione, per essere solida, deve essere fatta certo di obiettivi condivisi, ma deve essere pure sorretta da un cammino formativo e spirituale comune e, da non sottovalutare, da una comunione affettiva vissuta e percepibile. E’ l’amore vissuto, ricevuto, donato, percepito, che rende fecondi e dà la forza di fare scelte importanti. E’ necessario, infine, che la comunità curi la formazione umana e spirituale di figure di laici e consacrati che, in comunione con il presbitero, facciano da punti di riferimento significativi per sostenere il cammino di crescita dei ragazzi e dei giovani, affinché siano aiutati a confrontarsi con Dio nelle scelte che daranno l’impostazione alla loro vita. Questo compito d’accompagnamento non può essere delegato in toto al prete, ma deve essere percepito come una responsabilità di tutta la comunità.

Detto ciò, va comunque sottolineato il ruolo essenziale del prete, e in particolare del parroco, sia per il suo servizio sacramentale, sia per il compito importante di santificare, governare, promuovere l’unità, suscitare collaborazioni generose e qualificate. Altro compito importante del parroco è favorire una corretta visione di Chiesa che aiuti a non far crescere la propria parrocchia come un’isola. La collaborazione con le altre parrocchie e con gli uffici diocesani rende possibile l’attuarsi di percorsi e proposte che la parrocchia da sola non sempre riesce ad offrire. Infine spetta al parroco curare la comunione con il presbiterio e con il Vescovo. Questo fatto, oltre ad avere un’importanza teologica e spirituale, aiuta senz’altro la parrocchia a crescere in uno stile di fraterna a proficua collaborazione con le altre comunità parrocchiali e con la Diocesi.

 

  1. Conclusione: la donna è vestita di sole.

Ci siamo soffermati sulle difficoltà e le doglie del parto, sulle insidie del drago, sui passi da fare e sulle possibili scelte da mettere in pratica. Tuttavia, in questo cammino non siamo soli. Anche nel travaglio del parto, la donna è vestita di sole, coronata di dodici stelle con la luna sotto i suoi piedi. E’ sofferente e gloriosa, insidiata dal drago, ma sempre feconda. Questa nostra certezza deve alimentare un atteggiamento gioioso e pieno di fiducia. Cristo risorto, sole senza tramonto, illumina la chiesa sua sposa, la sostiene, la guida e la protegge. Lo Spirito continua a renderla feconda con tutta la sua potenza creatrice. Questa certezza di fede ci aiuta a vincere ogni tentazione di stanchezza e di scoraggiamento. Dio continua a chiamare con abbondanza, donando carismi e ministeri. A noi, con l’aiuto della sua grazia, il compito di riconoscerli, irrigarli, creare per loro un ambiente favorevole. Lui non mancherà di far crescere con abbondanza le vocazioni di cui la sua Chiesa ha bisogno.