N.04
Luglio/Agosto 2015

La conversione, l’incontro abbagliante di tutta una vita

Occhi. L’occhio è l’organo di senso principale dell’apparato visivo del corpo umano e serve per la ricezione degli stimoli luminosi che vengono trasmessi ai centri nervosi dando origine alle sensazioni visive. Gli occhi servono per vedere, ma anche per guardare, per osservare, nel momento in cui la nostra attenzione si ferma qualche istante in più su quello che appare, così da coglierne le sfumature, i particolari, per scrutare più a fondo. Non basta avere gli occhi per vedere, nella nostra vita abbiamo incontrato ciechi dallo sguardo più approfondito del nostro, uomini privi della funzione elementare della vista capaci di guardare le cose con maggiore verità, altre volte noi stessi non abbiamo saputo riconoscere ciò che era palese o siamo stati in grado di vedere oltre, più chiaramente di altri.
Gli occhi caratterizzano la fisionomia e l’espressione umana, rispecchiano differenti stati d’animo e descrivono particolari aspetti della personalità: possiamo avere gli occhi tristi o uno sguardo penetrante, gli occhi che brillano davanti a una piacevole sorpresa o che si spengono in un momento di tristezza o disperazione; possiamo agire a occhi chiusi per la fiducia che riponiamo in qualcuno o andare molto cauti, con gli occhi ben aperti in un territorio per noi insidioso.
Per Madeleine Delbrêl, brillante ragazza francese degli inizi del Novecento, gli occhi sono un simbolo della sua ricerca di Dio e del suo incontro con lui: l’abbaglio – termine che userà per descrivere la sua conversione e che fa da titolo a questo approfondimento – ha a che fare proprio con questi organi di senso e con lo sguardo, il suo, che sarà profondamente trasformato.

1. La notte
La notte è immagine delle tenebre e – lo sappiamo bene – nella vita dello Spirito le tenebre possono assumere forme molto differenti tra loro: non si tratta soltanto dell’assenza di Dio, dell’esperienza del dolore e della distanza da lui, della sofferenza, del peccato, della lotta nella prova… La notte può assumere anche i contorni luminosi di una vita vissuta bene, in maniera buona, anche gioiosa, libera, fresca, ma – tuttavia – senza aver incontrato Dio, senza aver ricevuto il suo sguardo, senza poter godere della sua luce, senza davvero poter vedere.
Siamo agli inizi del secolo scorso quando a Mussidan – piccolo paese nel sud-ovest della Francia, nell’attuale dipartimento della Dordogna – Lucille, moglie di monsieur Delbrêl dà alla luce la loro unica figlia, Madeleine. È il 24 ottobre 1904. «L’idillio tra i due – suggerisce Christine de Boismarmin1 – era cominciato a Mussidan dove il padre di Lucille possedeva una fabbrica di ceri e candele»2 e dove la ragazza, educata secondo i metodi classici della borghesia di provincia, si innamora del giovane Jules, figlio di un ramaio impiegato nelle officine ferroviarie di Paris-Orléans e di un’ostetrica.
La vita di questa giovane coppia fu caratterizzata da continui cambi di residenza a causa del lavoro di Jules che – seguendo le orme paterne – si impiegò e fece carriera fino a diventare «capo delle stazioni parigine della linea di Sceaux, a Denfert-Rochereau in zona Montparnasse»3. Tutti questi spostamenti costrinsero Madeleine ad un’educazione un po’ originale, anarchica e fuori dagli schemi da parte di differenti maestri ai quali non negherà la sua grande stima4. Anche la passione per la letteratura e le arti – coltivata da Jules – viene trasmessa a Madeleine, che risponde con entusiasmo al desiderio dei genitori di vederla artista, studierà pianoforte e si mostrerà molto dotata nel disegno, nello scrivere poesie e nell’animazione teatrale: «Quando era molto piccola, a Bordeaux, gli amici di suo padre la soprannominarono amabilmente “Guignolette” [marionetta, n.d.r.] cosa che dimostra il suo lato birichino»5.
Per quanto riguarda la sua educazione religiosa non ne sappiamo granché. I genitori erano entrambi credenti, ma ciascuno a modo suo e se la fede di Lucille andò ad approfondirsi nel corso della vita – anche grazie a Madeleine e p. Jacques Lorenzo, di cui diremo dopo – quella di Jules sembra essere rimasta a un livello più superficiale. Fatto sta, diedero alla figlia un’educazione religiosa pienamente soddisfacente, è lei stessa ad ammetterlo: «Avevo trovato delle persone; persone eccezionali che mi diedero, dai sette ai dodici anni, l’insegnamento della fede» (Diario di Jean Durand, 27 aprile 1958).
A Bordeaux, nel 1909, entra a far parte della famiglia Delbrêl la domestica Clémentine Laforêt, Mentine – figura che accompagnerà la crescita di Madeleine, ma di cui qui non potremo approfondire – e sempre nello stesso periodo Jules Delbrêl conosce il dott. Armaingaud, medico appartenente ad una famiglia dell’alta borghesia di quella città, interessato alla letteratura e alla filosofia tanto quanto alla medicina. Quando nel 1912 creò la Associazione degli Amici di Montaigne, Jules fu tra i primi ad iscriversi e quando nel 1916 la famiglia Delbrêl si trasferì a Parigi poté più facilmente partecipare alle sedute che si tenevano in un appartamento della capitale, di proprietà dello stesso Armaingaud.
A Parigi Madeleine, abituata a viaggiare, trova stabilità. Ciò le permetterà di tessere una serie di relazioni che segneranno il suo passaggio – non ancora ventenne – dall’ateismo alla fede, il 29 marzo 1924. Gli otto anni che separano il suo arrivo a Parigi dalla conversione sono segnati dalla malattia del padre e dall’incrinarsi progressivo delle relazioni tra Jules e Lucille, cosa che li porterà – alcuni anni dopo – alla separazione. L’avvento della guerra, le difficoltà famigliari6 e la perdita del lavoro da parte del padre preoccupano Madeleine che somatizza la sua angoscia e verso la fine del 1918 è colpita da una paralisi alle gambe dalla quale si libererà soltanto l’estate successiva. È questo lo stesso periodo in cui Madeleine, ragazzina di dodici o tredici anni, viene condotta dal padre nei salotti del dott. Armaingaud: «Il suo ateismo, il suo positivismo fondato sulla Scienza e sulla Ragione» la sedurranno – ci testimonia lei stessa – «più del ricordo delle spente lezioni di catechismo del parroco di Montluçon»7 e spazzeranno via ben presto la formazione cristiana ricevuta. Eppure è forse proprio a partire da questa esperienza che crescerà in lei la sua profezia: proprio per essere stata condotta nel deserto (Mc 1,12) saprà abitare i vuoti dell’umanità per essere segno della presenza consolante di Dio.
«Si è detto “Dio è morto”. Poiché è vero bisogna avere l’onestà di non vivere più come se lui vivesse. Abbiamo regolato la questione con lui: resta di regolarla con noi. Ora siamo avvertiti. Se noi non conosciamo la misura esatta della nostra vita, sappiamo che sarà piccola, che sarà una vita piccolissima. Per qualcuno l’infelicità terrà tutto il posto. Per qualcun altro la felicità ne terrà più o meno. Non sarà mai una grande tristezza o una grande felicità perché occuperà la nostra piccola vita. L’infelicità grande, indiscutibile, ragionevole è la morte. È davanti ad essa che bisogna diventare realisti, positivi, pratici. Dico “diventare”. Io sono stupita dalla generale mancanza di buon senso. Ma è vero che non ho che diciassette anni e che mi resta ancora molta gente da incontrare. I rivoluzionari m’interessano, hanno però capito male il problema: essi possono ordinare il mondo al meglio… ma occorrerà sgomberarne! Gli scienziati sono un po’ bambini: credono sempre di uccidere la morte: invece uccidono soltanto i modi di morire, la rabbia, il vaiolo. La morte, lei, sta benissimo. Ho molta simpatia per i pacifisti, ma sono deboli in calcolo. Se nel 1914 fossero riusciti a mettere la museruola alla guerra, tutti coloro che la guerra non avrebbe ucciso sarebbero stati definitivamente sistemati nei loro cimiteri personali alla data 1998.
La gente per bene mi sbalordisce per la sua sicurezza: manca di modestia. Sono sicuri di lavorare per la felicità degli altri. È almeno discutibile: più la vita è buona, più è duro morire. La prova: la gente si ammazza da sé quando viene ammazzata la loro ragione di vivere. Gli innamorati sono radicalmente illogici e restii a ragionare: “Ti amerò per sempre…”. Non vogliono prendere coscienza del fatto che saranno infedeli per forza; e che questa infedeltà si avvicina ogni giorno di un giorno…, senza contare la vecchiaia, questa morte a rate. Io, quanto a me, non vorrei restare accanto all’uomo che dovessi amare: egli vedrebbe cadere i miei denti, raggrinzirsi la mia pelle, il mio corpo mutarsi in un otre o in un fico secco… Se amerò sarà come un’istantanea, come in un attimo di tregua, in fretta e furia. Le madri, poverette, durano fatica a non dire, a non fare follie: “Il mio bimbo, vorrei tanto che fosse felice…”. Sarebbero capaci di inventare la felicità pur di poterla dare al loro ragazzino. Ci sono quelle che non vogliono fare carne da cannone – ma andate a raccontare loro che faranno sempre carne da morte… Io non voglio avere bambini. È già abbastanza che segua tutti i giorni in anticipo i funerali dei miei genitori. I più logici sono forse i muratori, i falegnami, gli artisti, i poeti. Fanno delle cose che durano e fanno durare qualcosa della gente. I re sono morti, restano le loro poltrone nei musei. È un modo di esistere l’avere la propria fotografia in qualche luogo. I monumenti tengono bene. La Gioconda non avrebbe più la sua testa da parecchio tempo se non gliene avessero fatto il ritratto.
Quando in classe si recita una favola di La Fontaine, quel che pensava La Fontaine continua a vivere un poco. Poi ci sono coloro che si divertono, che ammazzano il tempo aspettando che il tempo ammazzi loro… Io sono una di questi. Le persone serie ci disprezzano in nome delle loro occupazioni serie. Ah! Ma intanto non è stata liquidata la questione di Dio. Si sono lasciate dappertutto ipotesi di eternità, di potenza, di anima… E chi è stato l’erede? La morte… Si dura: ma non c’è più che lei a durare; si prova di tutto: ma alla fine di tutto viene lei. Si è spirito – non ne so troppo di quel che sia – ma lei, lei è dappertutto, invisibile, efficace; dà un piccolo colpo e, toc, l’amore cessa di amare, il pensiero di pensare, il bimbo di ridere… e non c’è più nulla […] Siamo tutti assai vicini alla sola autentica sventura: abbiamo o no il coraggio di dircelo? Dirlo? Ma con che cosa? Anche le parole Dio ha schiantato! Si può dire ad un morente senza mancare di tatto “Buongiorno” o “Buonasera?”… Allora gli si dice “Addio” o “Arrivederci” finché non avremo imparato a dire: “A nessuna parte”, “Al niente assoluto”»8.
La conversione di Madeleine passa dagli occhi e ci racconta di una cecità che non è miopia ma ricerca, affondo, attenzione, voglia di conoscere, di sapere. È una ragazza allegra, piena di voglia di vivere, non è frivola, non abita la superficie delle cose, va in profondità, pensa, studia, desidera sapere, si interroga. Il testo che abbiamo appena ascoltato è la prova – non l’unica – della sua sensibilità e del suo sguardo attento sul mondo, su quello che accade attorno a sé, sulla sua propria esistenza personale. Madeleine guarda la realtà eppure non riesce a svelarla, non è capace di togliere il velo che nasconde la Verità perché ancora non gli è stata rivelata (1Pt 2,9).
«Ricordàtelo […]: ero stata e resto abbagliata da Dio»9. La conversione di Madeleine passa dagli occhi attraverso un abbaglio che permette di vedere, come se accecata dalla luce di Dio – dico io – si aprissero per lei i cieli e finalmente riuscisse a vedere in pienezza attraverso la realtà, dentro la realtà che è Cristo (Col 2,17) e nella quale Dio è nascosto e si rivela. Accade per Madeleine quanto ci viene insegnato da Papa Francesco e Benedetto XVI nella prima enciclica di questo pontificato, scritta dalle loro quattro mani: «Consapevoli dell’orizzonte grande che la fede apriva loro, i cristiani chiamarono Cristo il vero sole, “i cui raggi donano vita”. […] Chi crede, vede; vede con una luce che illumina tutto il percorso della strada, perché viene a noi da Cristo risorto, stella mattutina che non tramonta» (Francesco, Lumen Fidei, n. 1). Viene in mente Saulo di Tarso, anch’egli toccato nella vista; vengono in mente tante esperienze di incontro con Dio, di risveglio della fede10, di rinascita alla vita nuova; viene in mente il nostro lavoro di accompagnamento che proprio a questa stessa Luce deve condurre giovani e adulti, uomini e donne: portare a Dio sarà una delle convinzioni più profonde della vita di Madeleine, uno dei suoi sforzi più grandi.

2. Il crepuscolo
Nel linguaggio comune il crepuscolo richiama alla fine, al tempo che segue il tramonto e prepara la notte. Forse soltanto perché ne siamo più abituati, forse perché in questo tempo siamo più portati a fissare lo sguardo su quello che finisce piuttosto che su quello che comincia. Eppure nella lingua italiana si chiama crepuscolo anche il tempo che precede l’aurora, prepara il giorno nuovo quando le tenebre si diradano per fare spazio alla luce (Gv 4,35).
Il crepuscolo della fede è lo spazio che Dio si crea nella vita di qualcuno. E questa sua opera può essere osservata nei fatti della storia personale, a partire da quel quotidiano mai banale di cui Dio si serve e che diventa luogo dell’incontro che cambia la vita: una notte di pesca (Lc 5,1-11), un po’ di curiosità (Es 3,14), una pianta sulla quale salire per vederlo (Lc 19,1-10), il desiderio di essere guarita (Lc 8,43-48)… Abbiamo già detto che c’è un tempo nel quale il quotidiano di Madeleine si intesse di relazioni e due in particolare spianano inconsapevolmente il terreno al seme fecondo di Dio: un gruppo di amici e Jean Maydieu. Madeleine inizia ad intravedere.
Il dottor Armaingaud aveva accompagnato la nascita dei figli di una tal signora Maydieu, morta subito dopo il parto e aveva accettato di diventare padrino del piccolo. Crescendo, Jean divenne il giovane brillante, dinamico e riflessivo che Madeleine conobbe presso i salotti del padrino… E non passò molto tempo perché i due potessero essere riconosciuti come innamorati11. L’incontro con Jean Maydieu diventa paradossalmente significativo per Madeleine nel momento in cui egli la abbandona per seguire la strada della vocazione domenicana. I due ragazzi non si incontreranno mai più12 e questo taglio, forte e netto, getta Madeleine nella sofferenza13.
Siamo nel 1924, lo stesso anno in cui suo padre Jules, nel giro di pochi mesi, perde completamente la vista cadendo in uno stato di disperazione che lo porta a rifiutare tutto ciò che gli sta intorno, compresa la moglie Lucille e l’amata figlia.
Gli amici erano giovani credenti: parlavano di Dio «che sembrava  essere per loro indispensabile come l’aria. Erano a proprio agio con tutti ma, con una impertinenza che arrivava fino a scusarsene, mischiavano in tutte le discussioni, nei progetti, nei ricordi, alcune parole, alcune chiarificazioni di Gesù Cristo. Il Cristo, avrebbero potuto lasciar libera una sedia per lui, non sarebbe sembrato più vivo»14.
L’influenza di Jean e dei suoi amici offre a Madeleine uno sguardo differente, una «differente prospettiva sulla realtà» e su Dio; si insinua una domanda, la nebbia si dirada, inizia ad albeggiare, il suo «cammino di esigente ricerca intellettuale» potrà ripartire: «Non ci sarà un dubbio su questa morte [di Dio]?»15.
«Se dovevo essere sincera, poiché Dio non era più rigorosamente impossibile, non doveva essere trattato come inesistente. Scelsi la cosa che mi sembrava potesse esprimere meglio il mio cambiamento di prospettiva: decisi di pregare. L’insegnamento pratico di quei pochi mesi mi aveva del resto dato questa idea un giorno in cui, durante una discussione qualsiasi, si era accennato a Teresa d’Avila, che diceva di pensare silenziosamente a Dio cinque minuti ogni giorno. Fin dalla prima volta ho pregato in ginocchio per timore, ancora, dell’idealismo. L’ho fatto quel giorno e molti altri giorni, senza contare il tempo. Dopo, leggendo e riflettendo, ho trovato Dio; ma pregando ho creduto che Dio mi trovava e che è la verità vivente, e che lo si può amare come si ama una persona»16.

3. Luce
Madeleine riceve la fede e quasi contemporaneamente viene avvolta dalle tenebre di una profonda solitudine (a causa dell’abbandono di Jean e dell’acuirsi delle difficoltà famigliari) fino all’autunno del 192517 quando, dopo essersi costretta ad un tempo di riposo forzato, riprende le energie. È in questo periodo che entra in contatto con p. Jacques Lorenzo18, sacerdote della parrocchia di Saint Dominique a pochi passi dalla casa dei Delbrêl, che diventerà suo accompagnatore spirituale. Uomo innamorato del Vangelo le comunicherà quella passione per l’ascolto della Parola che diventerà uno dei capisaldi della sua spiritualità. «Ogni martedì, spesso a casa di Madeleine»19 un gruppo di una ventina di ragazze che desiderano ascoltare il Vangelo si riuniscono insieme al loro cappellano e durante un ritiro germoglia un progetto: perché non far diventare un orientamento di vita l’ascolto e la pratica del Vangelo? Così, dopo attento discernimento20, l’intuizione iniziale prende forma e la sera della festa di Santa Teresa d’Avila (nel suo discernimento Madeleine pensò anche di entrare nel Carmelo) con una statuetta della Vergine sotto braccio, Madeleine, Suzanne ed Hélène salgono sul tram in place d’Italie: è la prima équipe de la Charité che vuole «donare a Dio e alla Chiesa anime decise a vivere integralmente il Vangelo in mezzo al mondo»21. È il 15 ottobre 1933.
In quegli anni Ivry faceva parte di quella che veniva definita la «cintura rossa ossia l’insieme dei Comuni guidati da una giunta che esponeva la bandiera rossa sul balcone del municipio»22 e nella quale vivevano ammassati in condizioni fatiscenti numerosi operai malpagati e privi di una qualsiasi assistenza sanitaria o sociale. Madeleine vede la povertà ed entra in contatto con un mondo che ancora non conosce, ma che è decisa a scoprire. Per questo si iscrive alla Scuola Pratica di Servizio Sociale ottenendo il diploma con il voto trés bien il 24 novembre 193623. «Quello che cercavamo era la possibilità di vivere, gomito a gomito, con gli uomini e le donne di tutta la terra, con i miei vicini di tempo»24.
È interessante notare come la vocazione di Madeleine si delinei a stretto contatto con la storia, in relazione a quanto accade attorno a lei; all’inizio più che un progetto definito c’è una semplice intuizione.
La sottolineatura è interessante anche per il nostro lavoro di accompagnamento vocazionale. Molto si è insistito sull’idea di vocazione come di progetto già preparato da Dio fin dall’inizio e semplicemente da scoprire, tanto da discernere prima di iniziare. Molto meno sul fatto che la vocazione si costruisce insieme a lui passo dopo passo25, soltanto nella relazione con Cristo e con la sua Chiesa, alla scuola di un Maestro che sa condurre i propri discepoli al compimento della propria vita e che sa valorizzare – penso sia il tassello più debole, oggi – quella creatività che è propria dello Spirito di Dio e di coloro nel cuore dei quali abita (Rm 5,5).
La vocazione di Madeleine si chiarisce e si forma a contatto con la storia, a partire da quella caratteristica tipica del femminile che è la capacità dell’altro: «La donna conserva l’intuizione profonda che il meglio della sua vita è fatto di attività orientate al risveglio dell’altro, alla sua crescita, alla sua protezione»26. Mentre gli uomini della Scrittura ricevono la loro missione sotto forma di un comando, le donne invece riconoscono da sole le esigenze della storia, si accorgono di quello che devono fare e decidono in cuor loro di mettersi in azione27. È così per Maria, a Cana di Galilea (Gv 2,3), è così per Giuditta «decisa a compiere un’impresa» (Gdt 8,32) è così per Ester (Est 5,1) e per Sifra e Pua, le levatrici degli egiziani che decidono di non rispettare l’ordine del Faraone scegliendo la vita (Es 1,5). È così anche per Madeleine che ha avuto occhi capaci di vedere e riconoscere attorno a sé le terre aride e assetate dei cuori sofferenti e bisognosi degli uomini, suoi fratelli e ha deciso di fare qualcosa per essere tramite, strumento, segno della presenza di Dio che abita in mezzo agli uomini, gomito a gomito con tutti28. Non da sola. La dimensione comunitaria e fraterna è una caratteristica tipica dell’apostolato di Madeleine:
«La testimonianza di uno solo, che lo voglia o no, porta la firma di quello soltanto. La testimonianza di una comunità fedele, quando lo è, porta la firma del Cristo»29.
Così l’11 di via Raspail diventa il primo30 di quegli «alberghi aperti a tutti, senza registri e senza prezzi, costruiti agli incroci del mondo nei quali è possibile vedere l’estraneo diventare fratello e il Verbo farsi carne ed abitare in mezzo ai suoi»31.
Raccogliamo rapidamente una sintesi degli eventi principali che segnarono la vita di Madeleine fino al 13 ottobre 196432. Negli anni ’40 parteciperà attivamente al Secondo Conflitto «non certo nei combattimenti della lotta armata ma in quelli che può ingaggiare un’assistente sociale in seno ad una popolazione smarrita e crudelmente sprovvista di tutti i beni essenziali»33. È incaricata di gestire i servizi sociali34 del Dipartimento della Senna dal sindaco di Ivry, Georges Marrane, destituito però – come tutti i comunisti – dalle funzioni ufficiali in seguito alla firma del patto germano-sovietico.
Riportiamo una sua espressione a riguardo della sempre maggior presa di potere da parte del Nazionalsocialismo: «Sono affranta dal dramma cecoslovacco – scrive ad un’amica nel ’39 – Hitler sta facendo una gaffe monumentale poiché non è nemmeno fedele alla sua ideologia. Una guerra contro di lui avrebbe i tratti di una crociata, varrebbe la pena morirci»35. Nel settembre del ’40 Mons. Emmanuel Suhard, cardinale di Parigi, affida al Carmelo di Lisieux il progetto del seminario della Mission de France36 con l’obiettivo di preparare preti «adatti specialmente alla evangelizzazione delle regioni scristianizzate». La condivisione di fondo degli ideali non impedirà a Madeleine di richiamare i preti della Missione alle radici del loro apostolato, in particolare a quella fedeltà alla Chiesa (comunione, popolo, fraternità, gerarchia) che emerge luminosamente dai suoi scritti37. La nota del Sant’Uffizio che dichiarerà incompatibile il lavoro in fabbrica con lo stato di vita sacerdotale38 non sarà accolta di buon grado da Madeleine e sarà motivo di un suo “viaggio lampo a Roma”, episodio curioso e particolarmente eloquente della sua fiducia nella Chiesa. La passione per il Corpo vivo del Cristo e il suo rapporto con la gerarchia rivelano spunti interessanti per approfondire la spiritualità di Madeleine Delbrêl. I suoi contributi per il Concilio Vaticano II mostrano il desidero di vedere la Chiesa «come una giovane sposa che avanza verso la perfezione della sua giovinezza»39 e si concretizzano nella partecipazione alla stesura di due note preparatorie affidategli nel 1961 e nel 1962: una testimonianza sulla vita della sua comunità40, un questionario sull’ateismo in ambiente popolare41.
E proprio da quest’ultimo punto ricaviamo un’ulteriore chiave di lettura della profezia di Madeleine. «Ambiente ateo, circostanza favorevole per la nostra conversione personale» è il titolo di una lezione tenuta ad un gruppo di giovani di Ivry un mese prima della sua morte. Madeleine osserva che gli ambienti atei sono stati indicati da molti come pericolosi per la fede.
Queste motivate messe in guardia potevano sollevare un paradosso sconvolgente: la fede, fatta per essere annunciata, sembrerebbe difficilmente vitale là dove non è stata annunciata. Questa apparenza di una fede troppo debole per sopportare il contatto con un ateismo deve essere tolta di mezzo: la fede è fatta per vincere il mondo: là dove è vinta non si tratta di lei, ma della nostra vita di fede, di una vita di fede o amputata o alterata. Vale la pena che il problema sia chiarito, perché pesa sull’evangelizzazione del mondo attuale. Ci occorre sapere: se gli ateismi d’oggi costituiscono per i cristiani tentazioni davanti alle quali essi soccombono o possono appena sopravvivere o se, al contrario, questi ambienti atei non costituiscono per noi luoghi ai quali Dio ci destìna, circostanze favorevoli dove la fede può crescere vigorosamente in noi ed essere annunciata agli altri. Questa seconda ipotesi, io l’ho sperimentata come vera; altri cristiani l’hanno sperimentata con me. Tuttavia la riconosco come troppo soggettiva per servire da materiale ad una teoria o ad un sistema. Ma essa ha per me valore di certezza: valore di fatto»42.
Recentemente Papa Francesco ci ha ricordato che «se la Chiesa è nata cattolica, vuol dire che è nata in “uscita”, che è nata missionaria»43 rinnovando una profezia che ha attraversato – talvolta suo malgrado – la Chiesa del ‘900 come occasione di radicale conversione. In particolare per molti preti44, l’esperienza delle due guerre mondiali che li costrinse al fronte, fu una dolorosa e violenta presa di contatto con un’umanità mai vista45 e che rovesciò radicalmente la loro prospettiva aprendo loro lo sguardo sul mondo: «Quello che noi abbiamo visto e goduto è forse un po’ diverso dal mondo che immaginate. La guerra non è una parata. Laggiù si moriva a centinaia, a migliaia. Ed erano giovani che, con calma disperata, chiedevano un motivo per chiudere gli occhi in pace. Ho visto il mondo, non il mondo dei nostri manuali, ma quello per cui il Signore si lasciava crocifiggere in ogni caduto […]. Dovevate vederci dopo una settimana di Carso o di Piave: colori di terra, sporchi, pidocchiosi e gli occhi pieni di morte»46. Riecheggia in queste parole l’insegnamento del Concilio nell’apertura della sua grande costituzione sulla Chiesa nel mondo contemporaneo: «Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore» (GS 1).
L’eredità che Madeleine ci ha lasciato consiste proprio in questo contatto. L’incontro abbagliante che dura tutta la vita non è esperienza di un solo momento, ma esercizio costante di incontro con la vita degli uomini, con la loro carne, con la loro storia, le nostre.
Abitare le terre aride per essere segno della presenza di Dio, abitare i deserti per imparare la fede. Ancorati a Dio e ancorati agli uomini, appassionati di Dio e appassionati dell’umanità: non soltanto una provocazione che spinge alla verifica di tanti nostri itinerari di annuncio della fede, di accompagnamento e di formazione al presbiterato e alla vita consacrata, ma una prospettiva vera di fecondità. 

NOTE
1 C. de Boismarmin, Madeleine Delbrêl (1904-1964). Strade di città, sentieri di Dio, Città Nuova, Roma 1988, 19982; orig. francese, Madeleine Delbrêl. Rues des villes, chemins de Dieu, Nouvell Cité, Paris 1985. Christine è una delle compagne di vita di Madeleine e la sua è la prima biografia scritta su di lei. In seguito ne sono state scritte altre due: C.F. Mann, Madeleine Delbrêl Una vita senza frontiere, Gribaudi, Milano 2004; orig. inglese, A Life Beyond Boundaries, Ne World Press, San Francisco 1996 e la recentissima e molto preziosa G. François – B. Pitaud Madeleine Delbrêl. Biografia di una mistica tra poesia e impegno sociale, EDB, Bologna 2014; orig. francese, Madeleine Delbrêl. Poète, assistante sociale et mystique, Nouvelle Cité, Paris 2014.
2 C. de Boismarmin, op. cit., p. 14.
3 Per quanto riguarda la relazione tra Jules e Lucille e il loro rapporto con Madeleine rimandiamo al contributo (in lingua francese) di G. François, Jules et Lucile Delbrêl, Madeleine et se parents, in G. François – B. Pitaud – A. Spycket, Madeleine Delbrêl. Connue et inconnue, Nouvell Cité, Montrouge 2004, pp. 129-167 ed anche (in italiano) G. François – B. Pitaud, Madeleine Delbrêl, cit., pp. 27-39.
4 C. de Boismarmin, op. cit., p. 15.
5 Cf G. François – B. Pitaud, Madeleine Delbrêl, cit., pp. 35-39.
6 Ivi, pp. 41-45.
7 C. de Boismarmin, Madeleine Delbrêl (1904-1964), cit., p. 17.
8 M. Delbrêl, Noi delle strade, Gribaudi, Milano 1969; orig. francese, Nous autres gens des rues, Seuil, Paris 1966, pp. 57-59.
9 Ivi, p. 311.
10 Cf A. Frossard, Dio esiste, io l’ho incontrato, SEI, Torino 1969; orig. francese, Dieux existe, je l’ai rencontré, Libraire Artème Fayard, Paris 1969.
11 C. de Boismarmin, Madeleine Delbrêl (1904-1964). Strade di città, sentieri di Dio, Città Nuova, Roma 1988, 19982 pp. 20-22.
12 J. Loew, Madeleine Delbrêl. Dall’ateismo alla mistica, EDB, Bologna 1996; orig. francese, Vivre l’évangile avec Madeleine Delbrêl, Le Centurion, Paris 1994, p. 29.
13 «È sbagliato dire, poiché a volte non si è fatto a meno di suggerirlo, che la conversione di Madeleine era legata alla sua pena d’amore. Non era donna da cercare sentimentalmente rifugio nella religione. Il suo itinerario verso la fede era ampiamente iniziato nel momento in cui Jean Maydieu l’aveva lasciata. Al contrario, avrebbe potuto, sotto il peso della delusione, interrompere la sua ricerca, dal momento che colui che più aveva influito sulla sua scoperta della fede la lasciava per Dio» (G. François – B. Pitaud, Madeleine Delbrêl, cit., p. 55).
14 M. Delbrêl, Ville Marxiste, terre de mission, Cerf, Paris 1954, p. 224.
15 M. Delbrêl, La gioia di credere, Gribaudi, Milano 1994, 19973; orig. francese, La joie de croire, Seuil, Paris 1968, p. 177.
16 M. Delbrêl, Ville Marxiste, terre de mission, cit., p. 225.
17 Cf G. François – B. Pitaud, Madeleine Delbrêl, cit., pp. 50-61.
18 Sulla relazione tra Madeleine e p. Lorenzo vedi lo studio (in lingua francese) di G. François – B Pitaud, Madeleine Delbrêl. Genèse d’une spiritualité, Nouvelle Cité, Montrouge 2008, pp. 131-224; oppure G. François – B. Pitaud, Madeleine Delbrêl, cit., pp. 62-72.
19 J. Loew, Madeleine Delbrêl. Dall’ateismo alla mistica, cit., p. 36.
20 C. de Boismarmin, Madeleine Delbrêl (1904-1964), cit., pp. 33-38. Madeleine si allontanerà dalla carriera letteraria nella quale si era impegnata con decisione nel 1926 nell’entusiasmo seguito alla vincita di un premio letterario raggiunto grazie ad una raccolta di poesie pubblicate sotto il titolo de La Route.
21 Testo inedito. Si tratta di un quaderno degli anni ‘33-’34 trascritto da una delle componenti del gruppo.
22 «Madeleine e le sue amiche, del tutto estranee a tale realtà, scoprirono ben presto l’antagonismo che opponeva la parrocchia locale – i cattolici infatti, temendo ogni contatto, si erano abituati a vivere in disparte – agli operai comunisti, i quali, dopo averle bollate con l’appellativo di “preti”, quando passavano per strada iniziarono a tirare loro i sassi come accadeva con i preti veri». P. Vanzan, Madeleine Delbrêl: la strada come incontro tra Dio e gli uomini, in «La Civiltà Cattolica» CLII (2011) 3853, p. 32.
23 G. François – B. Pitaud – A. Spycket, Madeleine Delbrêl. Connue et inconnue, cit., p. 20.
24 C. de Boismarmin, Madeleine Delbrêl (1904-1964), cit., p. 77.
25 «“Andate!…”, dici a ogni svolta del Vangelo. / Per essere con Te sulla Tua strada occorre andare / anche quando la nostra pigrizia ci scongiura si sostare. / Tu ci hai scelto per essere in un equilibrio strano. / Un equilibrio che non può stabilirsi né tenersi / se non in movimento, / se non in uno slancio. / Un po’ come una bicicletta che non sta su senza girare, / una bicicletta che resta abbandonata contro un muro /finché qualcuno non la inforca / per farla correre veloce sulla strada. / La condizione che ci è data è un’insicurezza vertiginosa, / universale. / Non appena cominciamo a guardarla, / la nostra vita oscilla e ci sfugge. / Noi non possiamo star dritti se non per marciare / e tuffarci / in uno slancio di carità. / Tutti i santi che ci son dati per modello, / o almeno molti, / sono vissuti come degli assicurati, / una specie di assicurazione spirituale / che li garantiva / contro rischi e malattie, / che prendeva a suo carico anche i loro parti spirituali. / Essi avevano tempi ufficiali per pregare, /e metodi per fare penitenza, / tutto un codice di consigli e di divieti. / Ma per noi / è in un liberalismo un poco pazzo / che gioca l’avventura della tua grazia. / Tu ti rifiuti di fornirci una carta topografica. / Il nostro cammino si fa di notte. / Ciascun atto da fare, a suo turno si illumina / come uno scatto di segnali. / Sovente la sola garanzia è questa fatica regolare / dello stesso lavoro ogni giorno da fare, / della stessa vita da ricominciare, / degli stessi difetti da correggere, / delle stesse sciocchezze da non commettere. / Ma al di là di questa garanzia / tutto il resto è lasciato alla Tua fantasia / che ci lega al suo libero gioco». M. DELBRÊL, La gioia di credere, cit., pp. 84-85.
26 CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica, 2004, p. 13.
27 F. SIENI, Nelle sue mani, in «Azimuth» XXXVII (2014) 2, p. 6.
28 P.A. SEQUERI, Forza del Vangelo e missione in Madeleine Delbrêl a cento anni dalla sua nascita, in «Rivista di Teologia dell’Evangelizzazione» VIII (2004) 116, p. 442.
29 M. DELBRÊL, Comunità secondo il Vangelo, Morcelliana, Brescia 1976, Gribaudi, Milano 19964; orig. francese, Communautés selon l’Évangile, Seuil, Paris 1973, p. 34.
30 Il gruppo è fecondo e da esso nasceranno altre comunità – a Cerisiers (Yonne) e a Vernon (Eure) – ad opera di membri che si staccano di comune accordo a servizio di altre realtà. A queste si aggiungeranno l’esperienza di Herseange (Meurthe-et-Moselle) nel 1949, di Parigi (rue Claude-Decaen, Paris XIIe) nel 1955, e di Abidjan (Côte d’Ivoire), 1961.
31 «L’albergo era chiuso per la mamma del Dio bambino, / del Dio piccolino, / del Dio poveretto. / L’albergo era chiuso / e da quel giorno / gli uomini hanno capito / che dietro le porte chiuse / il Signore attende di essere accolto. / E chi vuole lasciare / la sua porta aperta / potrà riceverlo / sotto l’umile sacramento / dei volti degli uomini, / volti lavati dalle lacrime / volti sporchi / sotto l’umile sacramento / di chi è senza grazia. / Chi sa costruire / agli incroci del mondo / l’albergo senza registri e senza prezzi / vede l’estraneo diventare fratello / e il Verbo farsi carne / per abitare in mezzo ai suoi» M. Delbrêl, Humour dans l’amour. Méditations et fantasies, OEuvres complètes III, Nouvelle Cité, Montrouge 2005, pp. 123-124.
32 Per una cronologia completa della vita di Madeleine rimandiamo a: L. Luppi, Cronologia della vita di Madeleine Delbrêl, in F. François – B. Pitaud, Madeleine Delbrêl, cit., pp. 17-21.
33 C. De Boismarmin, Madeleine Delbrêl (1904-1964). Strade di città, sentieri di Dio, cit., pp. 63-64.
34 Cf M. Delbrêl, Professione assistente sociale, Gribaudi, Milano 2009.
35 M. Delbrêl, Abbagliata da Dio. Corrispondenza 1910-1941. Opera Omnia, vol. I, Milano 2007; orig. francese, Éblouie par Dieu. OEuvres complètes I, Nouvelle Cité, Montrouge 2004, p. 209.
36 M. Delbrêl, Nous autres, gens des rues. Textes missionnaires, Seuil, Paris 1966, p. 60.
37 Cf M. Delbrêl, Tendere all’alleanza, tendere alla salvezza, in M. Delbrêl, Noi delle strade, Gribaudi, Milano 1969, pp. 137-140. Per uno studio approfondito: G. François – B. Pitaud – A. Spycket, Madeleine Delbrêl. Connue et inconnue, cit., pp. 173-222.
38 La questione è complessa e si dipana in almeno un quinquennio di relazioni tra la Santa Sede e l’episcopato francese. Cf M. Guasco, La soppressione dei preti-operai (1953-1954). Documenti, in «Humanitas» XXIV (1969), pp. 496-515.
39 Cf C. De Boismarmin, Madeleine Delbrêl (1904-1964), cit., p. 180.
40 Cf M. Delbrêl, Comunità secondo il Vangelo, Gribaudi, Milano 1996.
41 Cf C. De Boismarmin, Madeleine Delbrêl (1904-1964), cit., pp. 181-182.
42 M. Delbrêl, Noi delle strade, cit., p. 307.
43 Papa Francesco, Udienza generale, 17 settembre 2014.
44 C. Gnocchi, Cristo con gli alpini, Mursia, Milano 2008; B. Bignami, Preti in trincea. I cappellani militari nella prima guerra mondiale: condivisione, crisi e conversione, in «Rivista del Clero Italiano» XCV (2014) 12, pp. 841-860.
45 Si può vedere il recente film di G. Cecconi, Il seminarista, Cecchi Gori, Italia 2014. Cf anche il commento di L. Rossi, Uomini di Dio. Considerazioni di un film a margine del Sinodo, in «La Cittadella» 69 (2014), p. 41.
46 P. Mazzolari, La pieve sull’argine, EDB, Bologna 2008, p. 110.