N.05
Settembre/Ottobre 2016

Magnificat, la grammatica della misericordia

Il «canto della Figlia di Sion»1 è una perla preziosa incastonata nella Scrittura, che raccoglie luce dall’Antico e Nuovo Testamento.
Posto all’inizio del Vangelo lucano, il Magnificat è ritenuto un testo basilare dell’annuncio cristiano, che fa da cerniera tra i due Testamenti. In esso si manifesta la preghiera vocazionale della Vergine, dopo aver detto il suo «sì» al progetto di Dio (Lc 1,38). Nelle sue Parole si associano Israele e la Chiesa, che s’incontrano nel “piccolo resto” santo del popolo della promessa, nei «poveri di Yhwh» (‘anâwim Yhwh), di cui la figura di Maria è esempio2.
Rispetto agli altri cantici biblici, il Magnificat ha ricevuto più attenzione e importanza per diverse ragioni. In primo luogo il cantico propone l’interpretazione dell’amore misericordioso di Dio (hesed  Yhwh) che agisce nella storia degli uomini a favore dei poveri e dei piccoli. Si aggiungono ulteriori motivi: la descrizione “lirica” del “rovesciamento delle sorti” nello stile dell’agire divino verso gli ultimi, la celebrazione del ruolo della donna, la preghiera dell’uomo di fronte al mistero del Creatore e Signore onnipotente, il destino del popolo e la sua attesa di salvezza3.
Dopo aver segnalato alcuni aspetti letterari, fermiamo la nostra attenzione sul testo e sul suo messaggio teologico-spirituale.

1. Contesto, genere e disposizione del cantico
Il Magnificat si presenta come un canto di ringraziamento personale, che si comprende alla luce dell’episodio dell’annunciazione e s’inquadra nei “racconti delle origini di Gesù” (Lc 1-2). Al genere innico del ringraziamento, diversi commentatori associano il motivo “escatologico”, che riprende e rielabora forme e temi di salmi e cantici anticotestamentari4. La pericope (vv. 46-55) è inglobata nella scena della visitazione (Lc 1,39-56) ed è suddivisa in tre unità: la prima unità (prima strofa), più narrativa, è costituita dai vv. 46-50; la seconda unità (seconda strofa), più descrittiva, consta dei vv. 51-53 e culmina nella terza unità che fa da conclusione (vv. 5455).
Nei vv. 46b e 50 è narrato ciò che Dio ha compiuto in Maria.
Nella seconda parte, parallela alla prima, troviamo descritta l’azione liberatrice di Dio nella storia, i cui effetti sono presenti nell’oggi del lettore e si aprono alla storia futura. In questo modo s’instaura nel cantico un movimento per cui l’azione di Dio “oggi” s’inserisce e corrisponde all’azione abituale di Dio, sia nel passato, che nel futuro. La conclusione (vv. 54-55) culmina con la proclamazione della fedeltà di Dio verso Israele suo servo e la conferma della sua misericordia infinita, rivelata ad Abramo e alla sua discendenza.
Lo schema promessa-compimento del Magnificat riprende un motivo attestato in tutta la Bibbia e si ritrova nel Benedictus (Lc 1,6779) e nel Nunc dimittis (Lc 2,29-32): è questo elemento teologico che unisce i tre principali “inni liturgici” di Lc 1-2. In tal modo il cantico di Maria rivela una disposizione tipicamente dossologica: è narrazione della gloria di Dio, esaltazione della sua potenza e attestazione della sua fedeltà e misericordia.

2. L’anima mia magnifica (vv. 46-50)
Alla proclamazione profetica di Elisabetta che vede in Maria la «benedetta tra le donne, la madre del suo Signore, beata perché ha creduto» (Lc 1,42-45), corrisponde l’inizio solenne del cantico: «L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, perché ha guardato l’umiltà della sua serva. D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata» (1,46-48).

Il mio Salvatore (sotr)
La Vergine vuole “magnificare”, ossia “fare grande” Dio con tutta l’anima e per questo «esulta» con tutto lo spirito, nel glorificare Dio che è suo «Salvatore». Da rilevare tre particolari: a) il pronome «mio» caratterizza il contenuto del versetto in senso personale, evidenziando anzitutto l’azione misericordiosa di Dio nei riguardi di Maria; b) la forma verbale «esulta» evidenzia la dimensione storica (tempo aoristo) dell’opera divina; c) la parola «Salvatore» corrisponde al nome ebraico «Gesù», come disse l’angelo a Giuseppe: «Si chiamerà Gesù, egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati» (Mt1,21; cf Lc 2,11). 

La piccolezza (tapeínosis)
La motivazione dell’esultanza è collegata alla beatitudine della piccolezza (tapeínosis) di Maria. Spicca nel v. 48 la contrapposizione tra umiltà e pochezza da una parte, beatitudine (makarioùsis) e glorificazione dall’altra. La “piccolezza” è il riconoscimento della propria condizione creaturale radicalmente dipendente dal Creatore nel quale tutti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo (cf At 17,28). La Vergine descrive la condizione della creatura umana, intesa come finitezza umana, indigenza radicale, bassezza di una «schiava» di fronte al suo Signore5. Dallo sguardo di Dio nasce la beatitudine della fede attribuita a Maria, che sarà evidenziata nel corso della missione di Gesù (cf Lc 11,27) e celebrata lungo i secoli. L’umiltà piccolezza e la beatitudine si richiamano a vicenda per contrasto, con rapporto diretto proporzionale: quanto maggiore è la tapeínosis, tanto maggiore la makarioùsis. Nel v. 49 la Vergine riconosce le «grandi cose» che Dio nella sua santità ha compiuto in lei. Nel suo progetto salvifico, nulla è impossibile all’Onnipotente (Lc 1,37). 

La misericordia (éleos)
Con il v. 50 il cantico estende il suo sguardo sulla situazione dell’umanità, nell’ottica della “misericordia” (éleos) divina. Tale misericordia si rivolge «di generazione in generazione» a quanti accolgono la volontà del Padre, ossia è per gli uomini che lo temono, obbedendogli e servendolo nel fedele compimento del suo disegno di amore. Maria esprime la “profezia” che si riverserà lungo tutti i tempi e su ogni creatura: con l’incarnazione del Figlio nel suo seno si realizza la pienezza della misericordia e un fiume perenne di grazia si riversa sugli uomini che temono Dio, a cominciare dall’umile serva del Signore. In questo senso la Vergine Maria diventa «madre di misericordia», perché porta in sé Colui che compie la salvezza.

3. L’opera di Dio (vv. 51-53)
La seconda unità (strofa) del Magnificat contiene il racconto delle meraviglie compiute da Dio a favore dei suoi poveri (‘anâwim Yhwh). Si avverte il brusco cambiamento dalla prima alla terza persona, già attestato nel “cantico di Anna” (cf 1Sam 2, 1.3). La presenza di sei verbi all’aoristo attribuiti all’azione di Dio ha suscitato tra gli studiosi notevole interesse6. Con l’impiego temporale dell’aoristo (= passato remoto), l’intenzione dell’evangelista sembrerebbe quella di attribuire l’azione liberante di Dio alla situazione concreta dei “poveri” nella comunità cristiana. Per loro Dio compie prodigi e si prende cura della loro situazione. In questo senso il cantico sintetizza l’opera di Dio non solo nella prospettiva cristologica, ma anche in quella soteriologica post-pasquale. In funzione antitetica, i sei verbi hanno Dio come soggetto (ha spiegato/ha disperso; ha rovesciato / ha innalzato; ha ricolmato / ha rimandato) e delineano il dinamismo misericordioso dell’Onnipotente, che interviene nella storia per esaltare la piccolezza e annullare ogni prevaricazione e arroganza. Così il “canto di Maria” diventa una “grammatica della misericordia”, che introduce il credente nel linguaggio della salvezza. 

Ha spiegato… ha disperso
L’immagine antropomorfica di Dio che «spiega la potenza del suo braccio» richiama il processo di liberazione del popolo, sia dalla schiavitù d’Egitto (cf Dt 4,24; 26,8), che da Babilonia (Is 51,9). Alla memoria di questi “due esodi” si associa il “terzo esodo” evocato nel Magnificat, che consiste nel «disperdere i superbi nei pensieri del loro cuore» (v. 51; cf 2Sam 22,28; Sal 89,11). Si allude a quanti coltivano pensieri orgogliosi, aspirazioni presuntuose, progetti di autosufficienza opponendosi a Dio. Costoro saranno dispersi. Da parte sua, Maria è l’esempio dell’umile adesione al Signore e dell’accoglienza fiduciosa della sua Parola. 

Ha rovesciato… ha innalzato
La seconda antitesi del v. 52 riguarda il «rovesciamento dei potenti dai troni e l’innalzamento degli umili». Nella storia biblica vi sono diversi esempi che confermano come Dio ha «rovesciato dal trono» uomini che si credevano potenti (cf il faraone d’Egitto; il re Saul) e al loro posto ha esaltato persone umili (cf Giuseppe, Mosè, Davide). Proprio in Maria Dio realizza l’intervento più sconvolgente e definitivo, innalzando un oscuro e umile discendente di Davide al trono paterno, per reggere un regno che non avrà fine. Si comprende come le parole del Magnificat cantano la liberazione messianica, esaltando l’intervento prodigioso di Dio, così come avvenne per la schiavitù degli Ebrei in Egitto (cf il canto di Miriam: Es 15,1-18). 

Ha ricolmato… ha rimandato
La terza antitesi presenta il capovolgimento delle condizioni storiche tra ricchi e poveri: alla corte divina, il povero, l’affamato, chi è a mani vuote, viene saziato e colmato di beni. Il ricco invece, chi ha le mani piene, è rimandato senza ricevere nessuno dei beni di Dio. Si tratta di beni messianici che attengono al dinamismo salvifico del regno di Dio, quali la grazia e la libertà, la giustizia, la pace interiore e la gioia dello spirito, la santità e la vita eterna. Nella linea delle beatitudini (Mt 5,6; Lc 6,21) l’intervento di Dio non va interpretato solo in chiave sociale ed economica, ma in senso teologico e spirituale (cf Lc16,19-31). All’autosufficienza di chi fonda la propria vita nelle ricchezze, corrisponde la sazietà dei beni terreni, ma la privazione (le «mani vuote») dei beni spirituali ed eterni. Agli affamati che confidano nella provvidenza divina, pur privati dei beni terreni, toccheranno in sorte la sazietà e la ricchezza («ricolmati») dei beni spirituali ed eterni.

4. Ricordandosi della sua misericordia (vv. 54-55)
La conclusione del Cantico (vv. 54-55) ruota intorno a due importanti temi: l’intervento salvifico («il soccorso») di Dio nei riguardi di Israele «suo servo» e il “ricordo” della misericordia, che non è mai venuta meno lungo la storia, fin dall’alleanza con Abramo e con la sua discendenza. Tutti gli interventi salvifici che Yhwh ha realizzato nei riguardi del popolo eletto culminano con la venuta di Gesù Cristo nel mondo. Ora sono i poveri, i piccoli, gli umili, che attendono nella speranza l’avvento del Messia, a essere i primi destinatari della sua azione soccorritrice (cf Mc 2,17; Lc 14,16-24). L’affermazione assume un valore di compimento messianico e rimanda alla relazione di alleanza di Dio con Israele, designato suo «servo», ossia popolo di sua proprietà, che avrebbe servito Yhwh nel rispetto della Legge e del vero culto.
L’impiego antropomorfico del concetto di «ricordo» (mnesthnai) applicato a Dio pone l’accento sulla sua costante fedeltà nell’estendere la sua misericordia sull’intero popolo. Si ripete il richiamo al tema della “misericordia” (éleos, cf 50), che evoca la benevolenza paterna esercitata da Yhwh verso tutti i credenti. Come un padre e una madre nei riguardi dei propri figli, Dio conferma la sua misericordia su quanti lo temono e non abbandona i suoi figli. Nel Magnificat Maria testimonia in prima persona un tale compimento, che si trasforma in preghiera di esultanza e canto di liberazione.
Nel v. 55 si delinea la memoria storica e profetica del progetto salvifico di Dio. Esso è stato annunciato ad Abramo (Gen 12; 15) e, attraverso di lui, alla sua discendenza che si estenderà fino alla fine dei tempi (cf Gen 22,18). Il termine «discendenza» indica la generazione nella fede che segue la via di Abramo e culmina nel Cristo. A tale proposito l’Apostolo commenta in Gal 3,16: «Ora è appunto ad Abramo e alla sua discendenza che furono fatte le promesse. Non dice la Scrittura: «E ai discendenti», come se si trattasse di molti, ma: «E alla tua discendenza», come a uno solo, cioè Cristo. In Lui si fonda l’esistenza della Chiesa: soltanto Cristo «è l’alfa e l’omega» (Ap 1,8) e tutto è stato fatto in vista di lui e soltanto in lui tutte le cose sussistono (cf Col 1,15-16). Il Magnificat si era aperto con la singolarità della lode mariana e si chiude con l’universalità salvifica.

5. Prospettive teologiche
Alla luce delle indicazioni emerse, è possibile sintetizzare in tre parole-chiave il messaggio vocazionale del Magnificat: a) la fede; b) il servizio; c) la misericordia. 

La fede
Maria esprime la sua confidenza profonda a Dio, che ha fatto in lei grandi cose. È una confessione di fede e di riconoscimento della sua piccolezza. Più degli altri evangelisti, Luca rileva l’efficacia e la necessità della preghiera fiduciale. È la fede di Maria di Nazaret che si traduce in lode e ringraziamento. Si può dire che il Vangelo inizia con il Magnificat di Maria e culmina con la preghiera di abbandono al Padre, che Gesù innalza dalla solitudine del Getsemani. Dall’inno di lode al grido di supplica, ciascun credente è chiamato a vivere in prima persona l’esperienza di una fede orante, che illumina la propria vocazione e apre alla missione. Il messaggio fondamentale del Magnificat sta nel credere alla fedeltà di Dio, la cui Parola si realizza e porta frutto. Dall’” io” di Maria si passa all’” io” della Chiesa e di ogni orante. Nel “sì” della Vergine la comunità cristiana è chiamata a collaborare all’opera di Dio. 

Il servizio
Una seconda parola riguarda la dimensione dell’essere “servo”, connotata dalla “piccolezza”. Colpisce nel cantico un’interessante inclusione: «Dio ha guardato l’umiltà della sua serva» (v. 48) e «ha soccorso Israele suo servo» (v. 54). Nel continuo alternarsi delle prospettive personale e collettiva s’inserisce il parallelo fra l’Israele servo, il Servo del Signore, e Maria, la serva del Signore. Dio ha guardato alla piccolezza della sua serva, ma ecco che ora sta guardando all’umiliazione di Israele suo servo. Lo stile del servizio declamato nel canto di Maria sarà il comune denominatore della sua esistenza terrena. Nel v. 55 si stabilisce un parallelo fra Abramo e Maria. Le promesse divine rivolte ad Abramo si compiono nel “sì” della serva del Signore. Dalla Vergine nascerà il salvatore, preannunciato nel «servo sofferente di Yhwh» (Is 52-53), che insegnerà a servire e a donare la sua vita (cf Mc 10,45). 

La misericordia
Il Magnificat è il canto della potenza e della misericordia. Dal cuore umile della Vergine si leva la descrizione dell’intervento potente di Yhwh nella storia umana. Esso è descritto nei termini del rovesciamento della situazione di oppressione e di misericordia a favore di coloro che sono fedeli a Dio e al suo progetto di amore. È la stessa logica che caratterizza la “fecondità” delle donne sterili, il “coraggio” dei timorosi, la “forza” dei deboli. Il richiamo all’evento fondatore dell’esodo di Israele definisce lo stile di Dio e la sua scelta preferenziale per i piccoli e i poveri. Nel Magnificat si sintetizza questo processo di trasformazione, che la Vergine Maria decanta attraverso le suggestive immagini della tradizione biblica. Nelle parole del Magnificat la “rivelazione” si afferma come “rivoluzione”, come capovolgimento tra il modo di pensare dei potenti nei progetti iniqui del loro cuore e la logica misericordiosa di Dio. Maria di Nazaret è il capolavoro della misericordia divina. 

Conclusione
Il canto al Dio “liberatore” è una vibrante testimonianza della gioia vocazionale, che apre il credente al mistero di Cristo, con lo guardo profetico della Madre. In Lei la Parola si è fatta “carne” e le “parole” della sua preghiera preparano la venuta del Figlio nel mondo, compimento della misericordia del Padre. Nel Magnificat Maria “canta” la sua vocazione, benedetta tra tutte le donne.
Trattando dell’efficacia della Parola di Dio nella risposta vocazionale della Vergine, Benedetto XVI annota7:
«Desidero richiamare l’attenzione sulla familiarità di Maria con la Parola di Dio. Ciò risplende con particolare efficacia nel Magnificat. Qui, in un certo senso, si vede come Ella si identifichi con la Parola, entri in essa; in questo meraviglioso cantico di fede la Vergine esalta il Signore con la sua stessa Parola: “Il Magnificat – un ritratto, per così dire, della sua anima – è interamente tessuto di fili della sacra Scrittura, di fili tratti dalla Parola di Dio. Così si rivela che lei nella Parola di Dio è veramente a casa sua, ne esce e vi rientra con naturalezza. Ella parla e pensa con la Parola di Dio; la Parola di Dio diventa parola sua, e la sua parola nasce dalla Parola di Dio. Così si rivela, inoltre, che i suoi pensieri sono in sintonia con i pensieri di Dio, che il suo volere è un volere insieme con Dio. Essendo intimamente penetrata dalla Parola di Dio, ella può diventare madre della Parola incarnata8”». 

NOTE
1  Cf il numero monografico sul Magnificat: «Theotokos» 7(2/1997).
2 Lumen Gentium, n. 55. Cf S. De Fiores, Maria nel mistero di Cristo e della Chiesa, Paoline, Roma 1984, pp. 48-56.
3 Il motivo teologico del “rovesciamento delle sorti” è tematizzato nel libro di Ester, ma appartiene ad un comune schema narrativo di tipo sapienziale: cf la storia di Giuseppe (Gen 37-50), la storia di Davide (1-2Sam), il giusto perseguitato (Sal 22), il servo sofferente di Yhwh (cf Is 42; 49; 50; 52-53).
4 Cf A. Valentini, Il Magnificat. Genere letterario, struttura, esegesi (SRB 16), Dehoniane, Bologna 1987, pp. 141 152. Della copiosa letteratura sul tema, ci limitiamo a segnalare: A. Dalbesio, La Vergine del “Magnificat” (Lc 1,46-55), in «Rivista di Scienze dell’Educazione» 13 (1975), pp. 366-370; R. Schnackenburg, Il Magnificat, la sua spiritualità e la sua teologia, in La vita cristiana. Esegesi in progresso e in mutamento, Jaka Book, Milano 1977, pp. 215234; F. Ossanna, Il Magnificat progetto di vita; analisi etico-strutturale di Lc 1,46b-55, AVE, Roma 1984; E. Bianchi, Magnificat, Benedictus, Nunc dimittis. Commento esegetico-spirituale, Qiqajon, Magnano-Bose 1989.
5 «Nel Magnificat tapeínosis è l’umiltà della serva, a cui Dio ha rivolto il suo sguardo misericordioso (Lc 1,48), non la vergogna della sterilità come in 1Re 1,11 (preghiera di Anna). Essa richiama l’autodesignazione di Maria come “serva del Signore” che nella sua umiltà è stata scelta da Dio» (H. Giesen, Tapeínosis, in H. Balz – G. Schneider [edd.], Dizionario esegetico del Nuovo Testamento, II, Paideia, Brescia 1997, pp. 1568-1570).
6 Secondo alcuni si tratta di un aoristo “profetico”: Maria sta predicendo quello che avverrà per mezzo del bambino che deve nascere. Altri parlano di aoristo “gnomico”, da tradursi con un tempo presente. Ci si chiede perché non si sia usato un tempo presente, come avviene per il Cantico di Anna (1Sam 2,1-10), testo collegato al Magnificat; cf A. Valentini, Il senso degli aoristi in Lc 1,51-53, in «Theotokos» 7(2/1997), pp. 722-729.
7 Benedetto XVI, Verbum Domini. Esortazione Apostolica Postsinodale sulla Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa (30 settembre 2010), n. 28.
8   Id., Deus caritas est (25 dicembre 2005).