N.02
Marzo/Aprile 2017

L’amore è la vera onnipotenza di Dio

1. La festa del Santo Natale, che abbiamo appena celebrato, ci ha ricordato una verità meravigliosa: una verità che conosciamo soltanto noi cristiani e, per questo, abbiamo il dovere di farla conoscere a tutti predicandola, prima di tutto, con la nostra vita.
Che cosa ci ha detto il Natale? Possiamo rispondere così: se noi potessimo prendere in mano l’immenso libro dell’anagrafe dell’umanità e cominciassimo a scorrere i nomi di coloro che hanno formato la storia… ad un certo punto ci accorgeremmo che c’è un nome imprevedibile, un nome che ci fa sobbalzare di stupore: c’è infatti il nome del Figlio di Dio che è entrato a far parte della nostra famiglia umana ferita da tanta cattiveria, ferita da tanto orgoglio, ferita da tanta violenza e da tanto egoismo.
E perché il Figlio di Dio è entrato a far parte della nostra famiglia umana? La risposta è ancora più impressionante: il Figlio di Dio è entrato a far parte della nostra famiglia umana… perché ne eravamo indegni. Sì, è così: eravamo indegni e per questo il Figlio di Dio è venuto in mezzo a noi. Eravamo deformati dal peccato, eravamo diventati una caricatura del sogno che Dio aveva quando creò l’umanità, ma Dio non ha provato ripugnanza, bensì misericordia.
E Gesù, Figlio dell’eternità, è venuto a ricostruire in noi l’immagine di figli… che avevamo perduto.
2. Ma come? Facciamo attenzione! Gesù è entrato nella nostra storia. Ma la nostra storia è fatta di tempo e di spazio. Per questo Gesù ha scelto un momento preciso ed è vissuto in uno spazio ben determinato. Non poteva fare diversamente. Gesù ha fatto suo un segmento della nostra storia e l’ha riempito di amore infinito: l’amore, infatti, è la vera onnipotenza di Dio; e con l’amore spinto fino alla Croce, Gesù ha messo dentro la storia umana un potentissimo lievito che può salvarla, può trasformarla, può riportala al sogno iniziale di Dio.
Ma questa infinita carica di amore deve attraversare il tempo e lo spazio, cioè deve attraversare tutta la storia. Per questo ha bisogno di collaborazione, ha bisogno di persone che la accolgano e la trasmettano; ha bisogno di seminatori che di secolo in secolo si riempiano la mano della semente dell’Amore di Gesù e la gettino nei solchi delle generazioni che si susseguono… fino al ritorno ultimo del Signore.
3. Questa è la nostra missione: è la vocazione della Chiesa, che è il Corpo Mistico di Cristo che si allunga nei secoli e si dilata in tutti gli angoli della terra. Santa Teresa di Lisieux, anima ardentemente missionaria, nel Santo Natale dell’anno 1886 ebbe una svolta decisiva nella sua vita.
Ecco il suo racconto toccante e illuminante: In quella notte di luce cominciò il terzo periodo della mia vita, più bello degli altri, più colmo di grazie del Cielo. In un istante l’opera che non avevo potuto compiere in dieci anni, Gesù la fece contentandosi della mia buona volontà che non mi mancò mai. Come i suoi apostoli avrei potuto dirgli: “Signore, ho pescato tutta la notte senza prender nulla”. Ma più misericordioso per me che non per i suoi discepoli, Gesù prese egli stesso la rete, la gettò e la tirò su piena di pesci. Fece di me un pescatore di uomini, io sentii un desiderio grande di lavorare alla conversione dei peccatori, un desiderio che mai avevo provato così vivamente… Sentii che la carità mi entrava nel cuore, col bisogno di dimenticare me stessa per pensare agli altri, e da allora fui felice! In queste parole della giovanissima Teresa di Lisieux è chiaramente indicato il segreto della felicità: “Sentii…”. Non dimentichiamo queste parole. Ma seguiamo ancora la giovanissima Teresa che aggiunge: «Una domenica, guardando una immagine di Nostro Signore in Croce, fui colpita dal sangue che cadeva da una mano sua divina, provai un dolore grande pensando che quel sangue cadeva a terra senza che alcuno si desse premura di raccoglierlo; e risolsi di tenermi in ispirito ai piedi della Croce per ricevere la divina rugiada, comprendendo che avrei dovuto, in seguito, spargerla sulle anime… Un grido di Gesù sulla Croce mi echeggiava continuamente nel cuore: “Ho sete!”. Queste parole accendevano in me un ardore sconosciuto e vivissimo… Volli dare da bere all’Amato, e mi sentii io stessa divorata dalla sete delle anime».

Chiediamoci: come possiamo spargere sulle anime il Sangue di Cristo? Cioè: come possiamo diventare strumenti di misericordia, che rendono presente dovunque l’amore di Cristo che salva?
Sono necessari i sacerdoti per i quali San Francesco d’Assisi aveva una tale venerazione da dire: «Se io avessi tanta sapienza, quanta ne ebbe Salomone, e trovassi dei sacerdoti poverelli di questo mondo, nelle parrocchie in cui dimorano, non voglio predicare contro la loro volontà.
E questi e tutti gli altri voglio temere, amare e onorare come miei signori. E non voglio considerare in loro il peccato, poiché in essi io riconosco il Figlio di Dio e sono miei signori. E faccio questo perché, dello stesso altissimo Figlio di Dio nient’altro vedo corporalmente, in questo mondo, se non il santissimo Corpo e il santissimo Sangue suo, che essi consacrano ed essi soli possono donare agli altri».
I santi hanno la vista chiara. Fidiamoci di loro e tiriamone le conseguenze per una retta impostazione della pastorale vocazionale.
Ma, accanto ai sacerdoti sono necessarie anche le persone consacrate, affinché rendano presenti le esigenze radicali della sequela di Gesù: cioè la povertà per scoprire la vera ricchezza; la castità per scoprire la radice verginale di ogni vero amore; l’obbedienza come terapia dell’orgoglio che è il vero veleno che paralizza il cammino della santità e impedisce lo slancio missionario.
E queste vocazioni, che sono indispensabili nel Corpo Mistico di Gesù, possono sbocciare soltanto in famiglie nelle quali il fuoco dell’amore di Cristo si rende visibile nell’amore autentico di due sposi. La famiglia cristiana è il primo fondamentale ambito di pastorale vocazionale. San Giovanni XXIII amava ripetere: «La mia famiglia era tanto povera, ma era piena di Dio. Gli insegnamenti dei miei genitori sono la stella cometa che mi ha guidato per tutta la vita». Abbiamo urgentemente bisogno di famiglie così.
Ecco, allora, la conclusione: «Non temere! Alzati e va’!». C’è tanto da fare, tanto da ricostruire, ma secondo la felice espressione di Santa Teresa di Calcutta: «Finché ci limitiamo a maledire il buio, non si accende la luce. Se volete vincere il buio, cominciate ad accendere anche un solo fiammifero: ognuno può accendere una piccola luce e soltanto così si vince il buio».
«Non temere! Alzati e va’!»: ripartite con entusiasmo lasciandovi trasportare dal vento dello Spirito Santo: un vento che non spegne i lumi, ma li accende con il fuoco dell’Amore portato da Cristo e consegnato alla Sua Chiesa.