N.06
Novembre/Dicembre 2017

Ermal Meta

Vietato morire

Ermal Meta nasce il 20 aprile del 1981 a Fier, in Albania. «Crescere in Albania mi ha arricchito. Ho qualcosa in più degli altri: mi sento un ponte fra due mondi che vorrei comunicassero di più».
All’età di tredici anni si trasferisce in Italia, a Bari, con il resto della famiglia. L’imprinting musicale deriva dalla famiglia: «Il mio mito da bambino era Mozart. Colpa e merito di mia mamma, violinista. Anche mio padre è musicista. Già a tre anni, mi portavano a vedere concerti di musica classica». A sedici anni Ermal inizia a suonare dal vivo: la sua prima band è quella degli Shiva. Dopo essersi cimentato come solista, entra in un gruppo di Conversano, per poi sperimentare un duo di musica elettronica.
Successivamente conosce in modo casuale il cantante degli Ameba, Fabio Properzi. Il gruppo, che inizialmente realizza solo cover, cambia nome in Ameba 4 ed Ermal Meta fa il chitarrista. Il successo arriva dopo che la band invia una propria demo negli Stati Uniti al produttore Corrado Rustici.
Ermal Meta studia da interprete e poco prima di laurearsi arriva l’opportunità che gli fa cambiare idea per il suo futuro professionale. Nel 2006, con i suoi soci, partecipa al Festival di Sanremo con la canzone Rido o forse mi sbaglio, nella sezione Giovani. Vengono eliminati dopo la prima serata e il gruppo si scioglie.
Nel 2007 Ermal Meta decide di fondare un altro gruppo, La fame di Camilla, che pubblica nel 2009 il disco omonimo. Nello stesso anno la band prende parte al Festival di Sanremo, nella sezione Giovani, con la canzone Buio e luce. Ermal Meta si concentra su una carriera da autore: «I miei maestri musicali sono Beatles e Radiohead. Ma culturalmente mi sento più vicino a Pirandello, il più musicale tra i mostri della letteratura.
La mia grande passione: per scrivere musica, io leggo libri». Scriverà pezzi per Francesco Renga, Emma Marrone, Francesca Michelin, Patty Pravo, Marco Mengoni e altri artisti…
Nel 2014 compone Tutto si muove, canzone che fa parte della colonna sonora di Braccialetti rossi, fiction di Raiuno che racconta la storia di un gruppo di ragazzi in ospedale. Nel 2015 l’artista propone il singolo Odio le favole con il quale partecipa a Sanremo Giovani; viene scelto per prendere parte al Festival dell’anno successivo tra le Nuove Proposte.
Nel 2016 pubblica Umano, il suo primo album in studio realizzato da solista.
Sul palco del teatro Ariston 2017, il cantante di origini albanesi si esibisce e arriva terzo con il brano Vietato morire, un testo in musica leggera e ritmata.
«È una storia che aveva urgenza di venire fuori. È autobiografica, ma non è questa la cosa importante. È importante che diventi una storia di molti, che dia un segnale di speranza. Vorrei che diventasse un modo per abbracciare le persone che si trovano in situazioni simili, dicendo loro che si può uscire, ribellandosi a qualcosa che sembra immutabile. Il messaggio è disobbedire per sopravvivere. Imparare a disobbedire al male è il primo passo verso la serenità, la felicità».

 

 

Un sorriso ferito dai pugni
Il male, nella storia, ha preso tutte le forme della violenza. Ma che cosa alimenta la violenza? È la domanda che sempre, davanti al male, ritorna e ci tormenta. Caravaggio, seguendo il mito raccontato da Ovidio, ci presenta il giovane Narciso affacciato sulle acque che gli restituiscono, in una perfetta simmetria avvolta dal buio, la sua immagine adorata. La bellezza di Narciso e il suo ripiegamento sulla sua immagine contengono una trappola mortale e mortifera: la fascinazione per se stessi può essere fatale.
Il nostro Io può diventare il primo grande e insidioso idolo alla cui potenza immaginaria la nostra vita si consacra e si dedica interamente. Narciso non conosce l’alterità, non conosce l’amore per l’altro, non conosce la socialità, vorrebbe negare ogni debito verso l’altro perché nutre la credenza folle di bastare a se stesso. Lo psicanalista Recalcati afferma che, nella nostra epoca ipermoderna, l’ossequio all’Io è la malattia umana per eccellenza, la follia più grande, la forma più subdola e pericolosa di idolatria.
Tutti abbiamo sotto gli occhi gli esiti nefasti di una cultura che ha enfatizzato l’io. L’io finisce per cancellare il volto dell’altro: esiste solo la sua immagine. Da qui può nascere la più drammatica violenza verso sé e verso chi è accanto.
La violenza nasce anche dal desiderio competitivo, dalla tensione a possedere la stessa cosa che l’altro possiede. Le guerre, le divisioni, i conflitti nascono dal desiderio competitivo di avere lo stesso oggetto, conteso tra i due: può essere una terra, l’eredità, la donna, una città, i pozzi di petrolio, l’accesso al mare. Può essere una poltrona su cui altri si sono seduti prima di me, può essere un giocattolo, un cellulare o l’affetto dei genitori, dell’amico e della persona che si pensa di amare. Oppure, cosa tragica, può essere la mia idea di Dio contro la tua.
Il desiderio competitivo, che ha di mira ciò che appartiene ad altri, diviene occasione di male.

La collana con la pietra magica
Il male che rende supini e remissivi, che indebolisce la volontà, che distrugge l’autostima e la fiducia in se stessi e nelle proprie capacità, il male che spezza le ossa e nega ogni forma di rispetto, non deve mai vincere.
Alla violenza bisogna ribellarsi: è vietato morire, è vietato vivere nella morte e nella sofferenza. È vietato morire e generare morte!
E bisogna che partiamo da noi: dobbiamo difenderci e difendere l’altro dal male, dobbiamo portarci via dal male e prospettare una strada nuova, dove il sogno della vita ritorni possibile.
C’è la strada, ci sono i passi.
Levinas invita alla deposizione dell’io: deporre l’io accentratore, così come si depone il tiranno, il sovrano assoluto. La spinta alla vita nuova deve essere il volto dell’altro, un volto da capire, da rispettare, da accarezzare, in cui contemplare lo sguardo che ti contempla. Un riconoscimento reciproco da cui nascerà come una benedizione, la pace.
Bisogna che agiamo con noi stessi e con gli altri come agisce Dio.
Per vincere la notte, lui accende il mattino, per far fiorire la steppa sterile, semina milioni di semi, per sollevare la pasta immobile, immette un poco di lievito. Questa è l’attività solare, positiva, vitale che cambia le cose: non preoccupiamoci prima di tutto delle debolezze, dei difetti, della capacità di fare il male che portiamo dentro: nessuno è senza zizzania nel cuore; ma occupiamoci di coltivare un amore profondo per tutte le forze che Dio ci consegna, forze di bontà, di generosità, di bellezza, di libertà. Facciamo che queste erompano in tutta la loro forza, in tutta la loro bellezza, in tutta la loro potenza: vedremo le tenebre scomparire.
È possibile ascoltare un altro invito che stravolge le nostre categorie: porgi l’altra guancia. Che non significa: sii remissivo e permetti il male di cui tu e l’altro siete capaci. Invece è imparare a non stare in costante posizione d’attacco, significa abbassare le difese, vuol dire non fare paura, significa disobbedire all’istinto di fare il male.
Ci vuole coraggio. Ci vuole costanza, silenzio, riflessione, ci vogliono spazi di pace e di quiete, ci vogliono pensieri di bene, ci vuole “la frequentazione dei buoni”, come diceva Seneca.
Il Vangelo non ci chiede di essere schiavi che abbassano la testa e non reagiscono; la parola di Gesù non è la morale dei deboli, che nega la gioia di vivere, ma è un annuncio a uomini che vogliono essere totalmente liberi, padroni delle proprie scelte anche davanti al male, capaci di disinnescare la spirale della vendetta e di inventare reazioni nuove, attraverso la creatività dell’amore. L’amore fa saltare i piani della rabbia, non ripaga con la stessa moneta, scombina le regole e poi rende felici.
Papa Francesco, in occasione dell’Angelus, ha detto: «Per Gesù il rifiuto della violenza può comportare anche la rinuncia ad un legittimo diritto: porgere l’altra guancia, cedere il proprio vestito o il proprio denaro, accettare altri sacrifici. Ma questa rinuncia non vuol dire che le esigenze della giustizia vengono ignorate o contraddette; al contrario, l’amore cristiano, che si manifesta in modo speciale nella misericordia, rappresenta una realizzazione superiore della giustizia che davvero esalta la dignità umana. Praticando la pazienza, il dialogo, il perdono si è artigiani di comunione, artigiani di fraternità e di pace nella nostra vita quotidiana».
Il consiglio del Vangelo è semplice: amatevi, altrimenti vi distruggerete.
Altrimenti la vittoria sarà sempre del più violento, del più armato, del più crudele, del più rabbioso, del più forte. La violenza è come una catena infinita. Bisogna scegliere di spezzarla, di non replicare il male subito: «L’uomo che diventerai non sarà mai più grande dell’amore che dai».

Cambia le tue stelle
Nel Vangelo il verbo amare si traduce sempre con un altro verbo: dare. E riparte il circuito del dono. Nell’equilibrio del dare e dell’avere, Gesù istituisce una sproporzione, dai di più di ciò che ti è chiesto, ama per primo, ama in perdita, ama senza aspettare il contraccambio. Dalla sproporzione nascono la speranza e la pace.
Vincere il male con il bene fino a giungere al vertice, all’affermazione eccessiva di Gesù: amate i vostri nemici. Significa far fronte alla capacità degli altri di fare del male con la nostra capacità di amare. Questo distrugge l’inimicizia. E non ci saranno più nemici, né guance colpite. Né grida di vittoria. L’amore vince il nemico non uccidendolo, ma uccidendo l’inimicizia che c’è in lui. Maria, la Madre, nel suo canto rivoluzionario afferma che Dio ha rovesciato i potenti dai troni. Li ha rovesciati, ma non umiliati, o bastonati, o uccisi. Ha disperso i progetti dei superbi, ma non li ha schiacciati o perseguitati.
Ha rimandato i ricchi a mani vuote, li ha liberati cioè dalle cose che avevano tolto loro la libertà. C’è una vittoria del bene che non comporta la sconfitta e l’uccisione del nemico.
Il Vangelo è la strada che fa vincere sull’inimicizia e che scommette sulla nascita a vita nuova del nemico. È la scommessa più alta!
«Solo l’amore crea»: lo ha detto padre Massimiliano Kolbe nel campo di concentramento di Auschwitz, pochi attimi prima di morire.
Le sue parole e la sua scelta hanno permesso il miracolo della conversione al bene del suo carceriere, che ne ha dato testimonianza.
Tutto, intorno a lui, parlava di morte e di non-senso, ma la sua tenerezza di uomo in amicizia con Dio ha creato una scintilla di vita nuova.
È possibile scegliere di essere buoni, di avere uno sguardo che non perde l’innocenza e la luce, di possedere una mano incapace di colpire, di pronunciare parole che mai vogliono ferire, di regalare carezze senza ambiguità, di avere un cuore senza divisioni, di offrire un servizio libero e mai strumentalizzato. Possibile ricominciare, cambiare il corso delle stelle, disobbedire al male, scegliere una strada diversa da quella segnata dalla morte.
Non è mai tardi. È sempre l’ora di disegnare l’amore, è sempre il caso di fare quella fatica che trasforma un libro d’odio e di paura in un libro che insegna la vita. 

Canta il sogno del mondo
Ama,
saluta la gente,
dona, perdona,
ama ancora e saluta
(nessuno saluta nel condominio,
ma neppure per via).
Dai la mano,
aiuta, comprendi,
dimentica
e ricorda solo il bene.
E del bene degli altri
godi e fai godere.
Godi del nulla che hai,
del poco che basta
giorno dopo giorno:
e pure quel poco
– se necessario –
dividi.
E vai,
leggero dietro il vento e il sole
e canta.
Vai di paese in paese
e saluta,
saluta tutti:
il nero, l’olivastro e perfino il bianco.
Canta il sogno del mondo:
che tutti i paesi si contendano
d’averti generato.
David Maria Turoldo

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