N.04
Luglio/Agosto 2018

Abita la vita. Scegliere da credenti per Cristo.

Come imparare a scegliere in una cultura in cui spazio e tempo si sono contratti? Oggi tutto accade in contemporanea, qui ed ora; passato e futuro sembrano non esistere. Viviamo “costretti” nel momento presente, e al tempo stesso siamo interconnessi con il mondo. Tutto è con-temporaneo e com-presente. Perché scegliere in questo conteso? Non serve, tutto è sempre possibile e – anche se illusoriamente – reversibile.

Ancora, oggi il rischio di rimanere bloccati da un’eterna analisi di se stessi, che impedisce di fare il salto dell’affidamento – decidendo per chi vivere oltre che perché vivere – genera una sorta di “turismo vocazionale”: si fanno tante esperienze, ma spesso manca la capacità di mettersi davvero in gioco e in questo “giocarsi” diventare se stessi.

  1. La libertà umana sotto scacco: le sfide dell’oggi
  1. Scegliere limita la mia libertà!

Questo modo di pensare suppone un concetto di libertà “onnipotente”: sono libero quando posso fare quello che voglio, come voglio e quando voglio. La cultura consumistica o post-moderna è costruita su questo genere di libertà, sostenuta anche dallo sviluppo tecnologico per il quale abbiamo l’illusione che questo modo di pensare sia vero e giusto perché “possibile”. Il rischio è molto alto: diventare uomini e donne apparentemente forti ma incapaci di empatia e di vera umanità. Individui isolati, piccoli imperatori senza esercito che crollano sotto i colpi del primo fallimento.

Cosa non meno grave, questo modo di pensare genera la cultura dello scarto di cui Papa Francesco parla spesso. “Scarto” sono tutte le persone che soffrono limitazioni imposte dalla vita: povertà, malattie, vecchiaia e molte altre che – in una parola – sono cifra della fragilità umana. Questa logica è perversa e pervasiva: ci immaginiamo onnipotenti, e ci ribelliamo quando la vita ci limita, proviamo rabbia, angoscia… ma non ci chiediamo come quelle limitazioni interrogano proprio il nostro concetto di libertà.

La libertà “onnipotente” è anche alla base dell’escalation di violenza (degli stati e dei singoli) di cui è piena la cronaca. Ci scandalizziamo, ma non riflettiamo abbastanza sul fatto che una libertà autentica dovrebbe integrare il concetto e l’esperienza del limite, semplicemente perché è un dato strutturale della natura umana.

Non si può esercitare la libertà senza scegliere, e scegliere ha come condizione l’accoglienza del limite. Decidere significa “tagliare via” quindi escludere altre possibilità per sceglierne una.

  1. La fatica è segno che qualcosa non va

In ogni cultura umana sono presenti riti di iniziazione all’età adulta. Mostrare coraggio nell’affrontare le fatiche e le sfide che pone la vita adulta è una necessità. In modo diverso maschi e femmine sono sempre stati iniziati a questo. Fin dalle culture primitive le sfide al maschile riguardavano il mondo, i pericoli della natura, delle guerre, delle fatiche del lavoro. Per le donne l’iniziazione alla vita adulta è sempre stata legata in modo più naturale allo sviluppo sessuale (menarca) alla possibilità di generare con il proprio corpo un nuovo essere umano. Tutto questo ha sempre comportato per le donne l’affrontare la crudezza della fatica, il rischio della morte in molti casi, e spesso dentro contesti patriarcali dove la donna subiva una decisione altrui su di sé, anche prepararsi ad una vita matrimoniale non scelta. Pur nell’evoluzione delle culture, al maschile o al femminile l’iniziazione alla vita adulta ha a che fare con la fatica del corpo e la sua concretezza. La lotta e il rischio la caratterizza. Il sangue spesso è simbolo di questi riti di passaggio e segno di un soffrire coraggioso.

Ed oggi? Sembra che il senso della fatica abbia tutt’altro significato: se di sforzo si può parlare questo riguarda perlopiù un’ascesi legata all’immagine, in una logica salutista (sport, palestra, diete, ecc…); il dolore fisico non è più così importante, abbiamo gli strumenti per controllarlo; la capacità di prendersi dei rischi per costruire qualcosa è molto attenuata, tendiamo a stipulare polizze assicurative per ogni cosa. L’impressione è che le nuove generazioni siano meno allenate a dare un senso alla fatica che diventa segno di qualcosa che non va: invece di essere sprone per rinforzarsi nel desiderio da realizzare e nella scelta fatta, diventa un segnale di STOP.

Curiosamente però i giovani cercano il rischio e si espongono più o meno ingenuamente a prove di forza al limite, per sé o per altri, con attività ludiche, sportive o nello sballo: e se il loro fosse un grido muto con il quale chiedono alla vita di insegnare l’alfabeto del patire di cui sentono la necessità? Quali maestri o testimoni incontrano?

Riguardo al tema vocazionale ci chiediamo: è possibile sostenere una scelta di vita senza mettere in conto la fatica? Compresa la fatica di accettare la nostra conflittualità interiore tra diversi desideri contrastanti e imparare a decidere verso quale orientarci.

  1. La definitività è impossibile

In un tempo in cui tutto cambia velocemente e il futuro, quando è percepito, fa paura, come si fa ad ipotecare la vita con un “per sempre” di cui non ci sentiamo responsabili già oggi?

L’innamoramento, come esperienza della vita che è paragonabile ad una sorgente vigorosa per un corso d’acqua che conoscerà poi altri ritmi e percorsi, sussulti e pacatezze, fino ad arrivare al mare, sembra degradato ad una mera eccitazione reciproca di fantasie narcisistiche senza prospettiva. Su tutto rischia di dominare l’immagine di sé piuttosto che la percezione realistica di sé stessi come unità di spirito, anima e corpo. Sappiamo fin dal mito greco che fine fa colui che si innamora della propria immagine! Narciso (da narkɳ=sonno) non vive, ha la coscienza obnubilata, non lo sa ma è già morto! Perché non sa amare se non la propria immagine.

Può accadere la stessa cosa anche a chi si incammina in una vocazione di speciale consacrazione? Le dinamiche narcisistiche non temono barriere di classe o mura di conventi o seminari. Perciò occorre vigilare sulle vere motivazioni di ogni scelta, anche di quelle che apparentemente sembrano scelte buone.

  1. Scegliere da credenti in Cristo è più che decidere

a.L’accadere di un incontro: dono di grazia

Cosa sta all’origine dell’esperienza cristiana della vita? C’è l’incontro con il volto di Gesù, conosciuto, amato, e dal quale ci si è sentiti amati. Ogni scelta vocazionale autentica si fonda sull’esperienza personale e, per certi versi indicibile, dell’incontro con Lui. Accade quando tutte le domande fondamentali trovano una sintesi: perché vivo e per chi vivo. Scopro che la mia vera natura è partecipare alla vita di Dio stesso che è amore.  Come ciò può accadere, ce lo ha mostrato Gesù: amatevi come io vi ho amato! Siamo invitati ad entrare nella dinamica pasquale: questo ci fa credenti in Cristo, cristiani, cioè di Cristo. La vita può essere allora vissuta come vocazione perché si ha davanti un tu, che ci chiama per nome, e ci chiama a condividere la vita con lui e con tutti i fratelli e le sorelle, figli dello stesso Padre, nostri compagni di viaggio.

Al principio dunque sta un incontro d’amore. Solo dopo, la “scelta” di vivere in Lui dovrà essere ragionata. Credere in Cristo non può essere questione di calcolo, di ambizione, di convenienza, ma è sentirsi attratti per trovare in lui il baricentro della nostra vita. Proprio per smascherare simili tentazioni il discernimento diventa necessario. Ogni vocazione autentica si fonda sull’esperienza di una fede nuda: la fede pasquale è dono, non solo perché Dio la desidera per tutti, ma perché è un’esperienza che sorprende ed è irreversibile: è Grazia! Nel momento in cui accade è data! Poi potranno venire i dubbi, le considerazioni, la notte oscura e tutte quelle esperienze che attraversano i credenti “pensanti” e responsabili. Ma nessuna di quelle esperienze potrà cancellare l’interiore certezza di aver udito quella voce e incrociato quello sguardo.

b.La decisione per Cristo: maturazione di un’alleanza

Solo così mi spiego quel desiderio di appartenere a Cristo che si esprime nella richiesta del Battesimo, per chi lo vive in età adulta, e tutti i desideri di consacrazione “specifica” che maturano nel tempo come una risposta personale e storica a quell’incontro irrevocabile. Mi pare che questo sia un paradigma dell’esperienza cristiana che troviamo nei vangeli e che ci potrebbe meglio aiutare ad articolare anche il tema della scelta vocazionale in due tempi:

  1. la scelta di credere in Cristo è storica: accade come ogni incontro umano che cambia la vita. Per accadere necessita della presenza di Cristo, avvertita e riconosciuta nelle sue mediazioni storiche come nell’interiore consolazione dello Spirito, ma anche della presenza di noi a noi stessi.
  2. La decisione per Cristo, invece, è possibile come effetto maturativo di quella scelta fondamentale. Per decidersi però non basta aver ricevuto la fede come un dono: l’eccedenza di quell’esperienza può disperdersi se la persona non vi aderisce con tutta la sua mente, con tutte le su forze, con tutto il suo cuore. Rimane lo spazio insondabile e misterioso della libertà umana che può accogliere il dono o disperderlo, non solo colpevolmente, ma anche in base alla maturazione delle effettive condizioni psichiche della libertà.

c.Liberi di appartenere a Cristo

Ecco dunque l’importanza del discernimento in tutte le sue fasi: riconoscere, interpretare, scegliere. Scegliere è un processo aperto e segue il corso della maturazione umana. La tradizione spirituale ha sempre riconosciuto questo divenire della vocazione: che non è una cosa, ma è la disposizione della nostra libertà che riconosce Gesù come il Signore, crocifisso e risorto, e trova in Lui la verità di sé stessa. Da qui deriva quel desiderio di appartenere a Lui, che sta alla base di ogni maturazione vocazionale. È qualcosa di affettivo, prima che di ragionato. Affettivo non è sinonimo di superficiale o effimero. È invece indice di un legame talmente forte da voler essere eterno, anzi, da percepirsi come eterno, al di là del sentire, e che è più forte della morte (cf 1Cor 15,55-56). Le decisioni che seguono avranno perciò la funzione di preservare questo legame dalla dispersione o dall’oblio.

Il concetto di appartenenza esprime bene questa esperienza cristiana: al contrario della “dipendenza da” o del “possesso di”, l’appartenenza esprime un’alleanza in cui la libertà è preservata e la dignità di entrambi è esaltata. L’unicità della fede cristiana sta nel fatto che l’incarnazione di Gesù ha reso possibile questa esperienza di alleanza attraverso una modalità e un linguaggio che poteva essere compreso dall’umanità: Dio si fa uomo per parlare alla sua creatura e stringere con lei un patto d’amore incondizionato. Così intesa, la via affettiva della conoscenza del Signore – lungi dall’essere effimera – è l’unica che catalizza e unifica tutte le mie facoltà. Scegliere è allora il momento che meglio esprime la mia relazione con Colui che scelgo: divento cristiano, divento discepolo, divento figlio di Dio. Mi è dato un nome nuovo che esprime appunto questo nuovo legame, questa nuova appartenenza. Siamo liberi di appartenere. Anzi, questa appartenenza ci fa liberi (cf Gv 8,31-32). Sembra un paradosso, ma tutta l’esperienza cristiana è paradossale perché sovverte i principi di una logica troppo umana. Spalanca gli orizzonti e al tempo stesso ci chiede di vivere nella storia esercitando responsabilmente la nostra libertà. Appartenere a Cristo si giocherà dunque dentro le complesse realtà quotidiane, fatte di tante altre appartenenze (familiari, amicali, sociali, professionali ecc…). Appartenenze di cui abbiamo bisogno e che vogliamo imparare a vivere nella libertà che l’essere di Cristo inaugura.

 

d. In un cambiamento d’epoca: vivere l’essenziale dell’esperienza cristiana

Le forme vocazionali suscitate dallo Spirito nel tempo hanno risposto al bisogno di annunciare il Regno di Dio in un dato contesto storico. Sono modi consolidati di rispondere alla comune vocazione cristiana, siano esse forme di ministero ordinato, scelte di consacrazione secondo i vari carismi o forme culturali diverse di vivere il matrimonio. A tutte queste tradizioni il cambiamento d’epoca che stiamo attraversando pone sfide nuove. Come diventare collaboratori dello Spirito che rinnova? E al tempo stesso accogliere le domande vocazionali di queste generazioni? Come capire che cosa sia meglio lasciar morire e ciò che invece può continuare a vivere rinnovandosi alla luce del vangelo? Domande come queste suggeriscono a formatori ed accompagnatori di mantenere lo sguardo aperto e di preoccuparsi di consolidare le dimensioni fondamentali dell’esperienza cristiana più che di chiudere velocemente su scelte specifiche.

Propongo uno schema che ci riconduce alle coordinate essenziali della vita in Cristo. Può orientare sia gli accompagnatori che i giovani a cogliere la risonanza che il Vangelo ha in ciascuno. Può aiutare a valutare quanto i desideri vocazionali espressi siano frutto di un percorso solido e quali eventuali fragilità debbano essere considerate per orientare con realismo le scelte di vita. Penso a quattro dimensioni costitutive della vita cristiana che, rinforzandosi a vicenda, danno forma a scelte personali diverse in nome della stessa fede:

  • la dimensione secolare: il cristiano è solidale con tutto il genere umano e vive nella storia la sua sequela di Cristo, con responsabilità e coraggio assume le sfide del suo tempo.
  • la dimensione contemplativa: il cristiano è uno che cammina come vedendo l’invisibile, è in ascolto della Parola, coglie i significati della realtà nell’orizzonte più ampio della trascendenza divina.
  • la dimensione ecclesiale: il cristiano condivide il dono della fede, ama la Chiesa e se ne sente responsabile, vive la comunione come senso di appartenenza stabile al Corpo di Cristo, e come frutto dell’azione dello Spirito sempre in divenire.
  • la dimensione missionaria: il cristiano desidera essere per il mondo testimone della buona notizia del Vangelo per ogni uomo

Chi accompagna nel discernimento potrà utilmente chiedersi come queste dimensioni si configurano nella vita del giovane, quali caratteristiche e quali lacune o fatiche evidenziano, come si condizionano a vicenda in un processo evolutivo o involutivo verso la maturità umana e cristiana. Potrebbe essere uno schema utile per comprendere non solo a che punto del cammino spirituale si trova questo giovane, ma anche per imparare a riconoscere le sue preferenze, le sintonie i desideri che corrispondo alla sua personalità, quali sono le sue caratteristiche e come lo Spirito sta operando nella sua storia.

  1. Prendere “la forma” di Cristo nella concretezza dei giorni.

Abitare il campo di forza individuato da queste quattro dimensioni dell’esperienza cristiana, in un certo senso costringe a rinforzarsi nelle proprie motivazioni. L’esclusione di una o più di queste dimensioni semplificherebbe la vita, ma tenerle tutte aperte “obbliga” ad assumere uno stile evangelico. A poco a poco si sviluppano quelle virtù necessarie. Lungi dall’essere un concetto moralistico o arcaico, le virtù sono disposizioni dell’animo che caratterizzano la persona e il suo modo di relazionarsi agli altri, a se stessa, alle cose del mondo secondo il bene. Senza nessuna pretesa di completezza, pensando al momento della scelta di vita, propongo l’attualità di tre virtù particolarmente sfidate dal contesto culturale.

a.La castità

Troppi fraintendimenti intorno alla castità condizionano la scelta di vita. C’è chi la confonde col celibato, o con l’astinenza. Ma la castità è la virtù delle relazioni umane. Tutte. Per la castità è possibile riconoscere il mistero che l’altro è, la sua dignità, la sua libertà, il suo essere persona di fronte a me, non riducibile ad oggetto delle mie voglie. Si impara la castità, perché per acquisirla è necessario superare la fase dell’onnipotenza infantile o dello sperimentalismo adolescenziale. Così intesa la castità si comprende come la virtù che rende possibili legami di amore autentico, in tutte le sue forme. Nemmeno quello che comporta l’esercizio della generalità è escluso. Poiché c’è un modo di vivere la sessualità nella logica del dono, come linguaggio d’amore, mentre c’è sempre la possibilità che la pulsione sessuale segua altre logiche. Attraverso quali esperienze oggi i giovani arrivano ad immaginare una scelta di celibato per il regno dei Cieli? La decisione per il celibato o per la consacrazione verginale è una scelta specifica che va presa alla luce di precedenti scelte che orientano la quotidianità, altrimenti diventa una condizione giuridica, esteriore, richiesta dalla chiesa, ma svuotata al suo interno di un cuore casto. Acquisire uno stile casto nelle relazioni, comprende la vigilanza sulla gestione degli affetti, del corpo, degli atteggiamenti, del linguaggio, delle scelte di vita.

Non dimentichiamo che è proprio attraverso processi di identificazione con persone stimate e amate che il giovane prova ad immaginare per sé qualche scelta vocazionale impegnativa. Dunque, se il primo passaggio è che ci siano modelli credibili con cui identificarsi (dai santi canonizzati ai cristiani che vivono accanto a noi), il secondo sarà quello di accompagnare il giovane a cogliere la concretezza degli ideali e dei desideri più alti in rapporto alla sua quotidianità: gestione delle emozioni, degli affetti, dei tempi, comportamenti ecc…. Generosità, attenzione all’altro, capacità di collaborare, empatia, calore umano, affidabilità, riservatezza, ecc…. sono caratteristiche che lasciano trasparire un cuore capace di vivere l’amore nella logica del dono di sé. La vigilanza nelle piccole scelte quotidiane però fa la differenza per comprendere quanto gli ideali proclamati siano davvero capaci di orientare la persona nella sua integralità: spirito, anima e corpo. Il cosa e il come accade, tutto ciò è materiale necessario per il discernimento vocazionale

b.La fedeltà

Che cos’è la fedeltà? Sa di muffa, qualcuno direbbe oggi. Così quando si parla di relazioni umane. Se invece il concetto si sposta sul piano economico ecco spuntare tessere di fedeltà prodotte da centinaia di esercizi commerciali che, appunto, premiano la nostra fedeltà. Se ciò che dice la nostra più vera essenza fosse l’economia potrebbe bastarci: le nostre tessere magnetiche direbbero la nostra identità. Ma noi non siamo riducibili a consumatori, clienti, acquirenti, follwers ecc. Essere fedeli comporta la capacità di rimanere in contatto profondo con se stessi: abitare la propria interiorità. È la condizione necessaria per non perdersi nella molteplicità delle esperienze e delle relazioni.  Abitare la propria interiorità significa anche mantenere viva la consapevolezza del passato da cui veniamo e del futuro verso cui camminiamo. Per essere fedeli occorre deciderlo. Non è cosa che si basi sulla spontaneità. Ha a che fare con la custodia di un legame di cui non si è padroni, ma solo parte in causa. È credere alla promessa che quel legame ha instaurato e non ancora compiuto; una promessa che dà senso all’oggi, nella memoria del passato, e che ci permette di investire anche per il futuro. Essere fedeli è un rischio, e comporta una scelta, l’esercizio della propria volontà. Alcuni segni possono aiutarci a riconoscere questa virtù nello stile di vita della persona che accompagniamo: costanza nell’agire, affidabilità negli impegni presi, capacità di superare le situazioni critiche e faticose con creatività e facendo tesoro dei fallimenti. Intuiamo che la fedeltà chiede lo sviluppo di tante altre virtù: ci vuole forza, e capacità di dominio di sé, solo per dirne alcune.

Mentre si fa strada, la fedeltà integra poco alla volta tutti i legami della nostra vita nel giusto ordine: fedeltà alla terra e alla nostra storia (tra custodia e distacco dai luoghi e delle persone che ci hanno generato alla vita); fedeltà a Dio che in questa storia si è rivelato in tempi e con modalità che fanno parte della nostra identità; fedeltà a noi stessi, nella capacità di discernere tra desideri che lavorano dentro di noi per costruire l’opera d’arte della nostra vita e desideri che invece ci disperdono.

Al centro di questa tripartizione ho messo la fedeltà a Dio perché credo che sia proprio questa fedeltà che ci tiene insieme e ci ricostituisce ogni volta come figli amati, al di là delle nostre infedeltà: è sulla sua fedeltà infatti che si basa la nostra. È la sua fedeltà che ci ricrea ogni volta che perdiamo la nostra (Sl 50). È nella sua fedeltà che ritroviamo – in definitiva – la verità di noi stessi.

c.La lungimiranza

Questa virtù è tanto poco praticata oggi: siamo sempre di fretta e si lavora sempre con l’urgenza. Immaginare tempi medio lunghi per portare a termine un progetto sembra già una sconfitta. Ma senza lungimiranza saremmo condannati a imprese di piccolo cabotaggio, a progetti di cui abbiamo il pieno controllo e in cui tutto è prevedibile. Senza lungimiranza non è possibile amare, non è possibile lavorare, non è possibile costruire il bene comune. Ciò è vero anche dal punto di vista semplicemente umano: fare scelte a medio e lungo termine condiziona le nostre scelte a breve termine. Così si dispiega la nostra libertà. Basterebbe questa osservazione per chiederci quanto i giovani di oggi sono aiutati a sviluppare la capacità di investire nei tempi di attesa, sia essa un’attesa passiva o attiva. L’orizzonte evangelico mette ancora di più in luce l’importanza di questa virtù: infatti essere lungimiranti nella propria capacità di scelta in nome del vangelo significa orientare le proprie scelte concrete – grandi o piccole – alla luce del fine cui la vita stessa è orientata. Con il battesimo noi già abbiamo accolto un sì definitivo di Dio all’uomo e lo abbiamo ripetuto a nostra volta: ci sto. Questa è la mia identità profonda: essere figlio, per sempre, di un Dio che è Padre, Figlio e Spirito Santo e che mi chiama a condividere la sua comunione d’amore. Ciò che accade da oggi al giorno in cui tutto sarà compiuto è il cammino della vita che viene illuminata da questo fine ultimo: è un criterio performante per l’oggi, non è solo ciò che accadrà alla fine dei tempi, ma è sentire che tutta la storia è attratta da questo fine. La grande storia dell’umanità, e la mia storia personale fatta di scelte grandi e piccole, ma che tutte hanno un senso proprio in rapporto a questo fine ultimo della vita. La lungimiranza è dunque la capacità concreta di vivere nella speranza cristiana, da persone che camminano responsabilmente nella storia “come vedendo l’invisibile”: e proprio per questo fanno scelte che costruiscono e non disperdono la vera umanità.

Orientare le proprie scelte al fine ultimo della vita diventa un criterio efficace per giudicare il bene e il male, ma anche per ordinare i beni nella loro diversa importanza: “tutto è lecito, ma non tutto giova”, significa che la libertà dei figli di Dio è veramente tale, ma che è anche libertà dalla logica della piena soddisfazione dei propri desideri, qui ed ora.

Mi pare che queste tre virtù – attraverso una sana pedagogia – possano essere come delle leve adatte per rilanciare oggi l’annuncio cristiano alle giovani generazioni, perché possano comprendere nella propria carne quale sia l’ampiezza l’altezza, e la profondità dell’amore di Cristo. Chi ama non desidera che condividere tutto e per sempre con l’amato.

CONCLUSIONE

La sfida educativa richiede pazienza, capacità di favorire nel giovane un percorso perché poco alla volta assuma il vangelo di Gesù come parola decisiva per la propria vita. La capacità di stabilire una buona relazione con il giovane fa dell’educatore uno strumento prezioso per il cammino di maturazione della fede e del discernimento vocazionale.

L’arte di accompagnare nel cammino spirituale richiede di: 1. Saper valutare a quale livello si muove l’esperienza spirituale del giovane, proponendo scelte e orientando al passo conseguente possibile. Non illudere favorendo così processi di “astrazione” della vita spirituale. Attenzione alla quotidianità come luogo del discernimento più realistico; 2. Non sostituirsi alla persona, servire l’azione dello Spirito; 3. Favorire la conoscenza delle diverse esperienze vocazionali che sembrano corrispondere alla persona che si accompagna. (Abstract)

Anche scegliere di essere educatore, o trovarsi ad assumere un ruolo importante per la vita di altre persone è un luogo dove imparare ad esercitare la nostra libertà. Anche per noi comporta slancio, fatica, coraggio, capacità di contemplare l’azione di Dio in noi e negli altri, che purifica e porta a compimento l’opera che ha iniziato.