N.04
Luglio/Agosto 2018

Caravaggio. La deposizione di Cristo

Dopo questi fatti Giuseppe di Arimatea, che era discepolo di Gesù, ma di nascosto, per timore dei Giudei, chiese a Pilato di prendere il corpo di Gesù. Pilato lo concesse. Allora egli andò e prese il corpo di Gesù. 39Vi andò anche Nicodèmo – quello che in precedenza era andato da lui di notte – e portò circa trenta chili di una mistura di mirra e di àloe. 40Essi presero allora il corpo di Gesù e lo avvolsero con teli, insieme ad aromi, come usano fare i Giudei per preparare la sepoltura. 41Ora, nel luogo dove era stato crocifisso, vi era un giardino e nel giardino un sepolcro nuovo, nel quale nessuno era stato ancora posto. 42Là dunque, poiché era il giorno della Parasceve dei Giudei e dato che il sepolcro era vicino, posero Gesù”. (Gv 19, 38-42)

Artista 

Il momento storico in cui vive il Caravaggio coincide con vicende fondamentali per la storia della Chiesa. Da una parte la riforma protestante mira ad un rinnovamento della prassi e della dottrina cristiana – rivendicando un ritorno alla Chiesa delle origini e alle scritture – dall’altra, la chiesa di Roma avvia un processo per contrastarla e promuove, a sua volta, un consolidamento della dottrina teologica e una accentuazione delle pratiche devozionali[2]. E così, decisioni che riguardano intere comunità entrano nelle esistenze e nelle vicende individuali. Il Caravaggio interpreta in modo personale, autonomo, i contenuti di questo rinnovamento. L’occasione è data dalla “deposizione” che testimonia la sua adesione a queste idee di cambiamento; in particolare la sua vicinanza al cardinale Federico Borromeo e all’ambiente degli oratoriani che predicano un ritorno alla povertà. Il Caravaggio si sente a proprio agio nel ritrarre poveri, peccatori lontani da Dio, ma spesso è costretto a rimettere mano alle proprie opere a seguito di critiche e accuse di poco decoro da parte degli ecclesiastici. Il suo senso di libertà, i suoi gesti provocatori e aggressivi, hanno contribuito a dare un’immagine di un Caravaggio dai comportamenti a dir poco stravaganti. Si narra che, trasandato e scarso nell’igiene, “mangiò molti anni sopra la tela di un ritratto, servendosene per tovaglia mattina e sera”.

L’Opera

 L’opera, per il suo realismo, si distanzia dalle pale d’altare fin d’allora commissionate, “soavi e leggere”. Anche tra i critici del tempo è considerata la più bella opera del Caravaggio. Tutti i personaggi esprimono l’amore, la cura e la dedizione verso Gesù nel momento in cui è deposto dalla croce. La composizione dell’opera è pensata come una rappresentazione scultorea. Sicuramente in questa tela il Caravaggio ha in mente la pietà del Michelangelo, al quale rende omaggio rappresentando Nicodemo con il suo volto. Tutti i personaggi sono disposti secondo una curva che da Maria di Cleofa arriva alla pietra sepolcrale, passando per Gesù, in una caduta dall’alto verso il basso. Questo per evidenziare ciò che avveniva sotto la pala dell’altare, quando l’attenzione era rivolta al sacerdote mentre celebrava l’Eucaristia. Iniziamo la lettura dell’opera partendo da destra, dalle tre donne in alto. Queste donne non hanno mai abbandonato Gesù, esprimono fedeltà al maestro e con il loro affetto custodiscono il suo corpo con cura e prossimità.

Maria di Cleofa

Maria di Cleofa, con le braccia innalzate le mani in segno di resa, urla tutto il suo dolore; gli occhi spalancati per esprimere tutto il suo strazio, per gridare al mondo la propria sofferenza. La morte, a volte, può renderci arrendevoli, ci ruba la speranza, ci fa dimenticare le parole di Gesù, ci fa piombare in un profondo pessimismo… Ma il volto di Maria di Cleofa è rivolto verso l’alto, a qualcuno che ascolta il suo grido, il suo dolore.

Le braccia, allora, sembrano preannunciare la risurrezione, la promessa di Gesù. E le mani che lodano, pregano, sono la sconfitta della morte. No, Maria non è ripiegata su se stessa, è consapevole che l’amore non può morire perché questo amore ha in sé il germe della risurrezione.

 Maria Maddalena

Maria Maddalena esprime il suo dolore con le lacrime. Le lacrime comunicano un’assenza, un vuoto, la mancanza di un affetto; il pianto è un compagno che allevia per un attimo un dolore più atroce  e non ci fa sentire soli. Maria lo sa, è consapevole di questo; tiene tra le mani un lembo di quel telo che avvolge il corpo di Gesù perché, quando c’è il distacco da un affetto, ciò che ci fa compagnia non sono solo il pianto, le lacrime, ma è la prossimità con gli oggetti dell’amato. Il grande telo in cui è avvolto il corpo di Gesù è il segno più eloquente, quando piegato con cura nel sepolcro, sarà testimonianza della risurrezione. E Giovanni  scrive di se stesso che vide e credette: veramente questo lembo  di telo ci svela, in un frammento, la risurrezione di Gesù.

Maria ha lo sguardo rivolto verso il corpo di Gesù, nessuno è  capace di consolarla, di farla uscire dal suo dolore.

 Maria la Madre di Gesù

 A differenza di Maria Maddalena, la Madre di Gesù vive un dolore composto, non ha più lacrime da versare… E nel suo sguardo è come se volesse far rinascere questo corpo nel suo grembo: allarga le braccia fino alle due estremità della grande tela come per contenere, racchiudere in sé, il corpo di Gesù; sembra voler sollevare tutto il dolore del mondo attraverso il dolore del figlio. Con questo gesto raccoglie le persone accanto a sé in un abbraccio: è madre di tutta l’umanità, un’umanità che piange e soffre. Il suo volto è illuminato dal biancore del corpo di Gesù che sembra già trasfigurato. La mano destra è illuminata, l’altra rimane nella penombra; bagliori di luce che illuminano il dolore, la sofferenza, la morte. Maria fissa Gesù e ricorda; il ricordo allevia per un attimo il suo profondo dolore con lo sguardo, con il cuore,  è come se pronunciasse un altro si.

 Giovanni

 Giovanni è un giovane che sta vivendo, per la prima volta, l’esperienza  del distacco dalla persona amata. Si sente improvvisamente solo e senza più punti di riferimento. Il colore delle vesti narra il suo stato d’animo più profondo: il verde della speranza, il rosso della passione e dell’amore. Giovanni è immerso nei suoi pensieri, nei ricordi. Quando si vive il distacco dalla persona amata, l’unica consolazione che rimane è quella del ricordare, del far memoria dei gesti, delle parole, dei momenti di gioia trascorsi insieme. Quello della memoria è un rapporto privilegiato perché consente di rivivere, almeno per un momento, un legame profondo d’amore. La mano destra di Giovanni sorregge con forza il corpo di Gesù ed entra nella ferita del fianco; in  questo contesto, da questo stato d’animo hanno origine  le parole:  “…ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita”. (1Gv 1, 1Giovanni ci invita a fare esperienza di tutto ciò, a toccare quella ferita da cui ognuno di noi è stato guarito, che ci permette di vedere oltre…

Con la mano sinistra, come per accertarsi del respiro di Gesù, sfiora per un’ultima carezza il corpo del MaestroGiovanni ora vive in modo diverso l’intimità con il suo Signore, accoglie tra le sue braccia il corpo, ne contempla la bellezza chinato e attratto verso il suo cuore. 

Nicodemo[4]

 Nicodemo lo ricordiamo, nel Vangelo di Giovanni, per il suo colloquio notturno con Gesù. Era rimasto colpito dai segni che Gesù compiva e questo gli aveva fatto nascere un’inquietudine interiore che non lo faceva dormire. Da qui il  desiderio di parlargli.  La sua fede si manifesta lentamente, poi la rivela alla luce del sole, fino a difenderlo quando si trova nel sinedrio e insieme all’altro suo amico,  Giuseppe d’Arimatea, a richiederne il corpo dopo la morte. Si prende cura  del corpo senza più vita e dimostra così il suo profondo legame d’amore con lui. Nicodemo l’aveva intuito da quel primo incontro in quella notte stellata e ora, ricurvo sul corpo di Gesù, lo stringe con come per non perderlo, per tenerlo per sé.

È l’unico personaggio che guarda l’osservatore dell’opera, è lo sguardo di un vecchio, pieno di  anni, esperienze e ricordi: era stato invitato quella notte a “rinascere dall’alto” e ora, con il suo sguardo profondo, entra in relazione con l’osservatore e gli sussurra: “ecco l’uomo che fa rinascere dall’alto, lo ha fatto con me, io ne sono testimone, credilo veramente…”

Il corpo di Gesù

 Gesù sembra dormire, malgrado il martirio della croce e i segni della passione. Ricordiamo Gesù che rimprovera gli amici di una bimba morta quando disse ai suoi genitori: “la bambina non è morta ma dorme”. Caravaggio non ha raffigurato Gesù morto, ma come uno che dorme: paragonare la morte a un sonno è pacificante e consolante perché dice tutta la sua transitorietà e provvisorietà. Il suo corpo non è illuminato, ma emana luce, una luce che proviene dal corpo stesso e sembra illuminare i volti delle persone presenti. Per il Caravaggio il corpo di Gesù morto indica sentieri di vita: il braccio destro, abbandonato alla morte, tocca la lastra sepolcrale, la indica con tre dita della mano, allusione ai 3 giorni in cui Gesù sarà in balia della morte e che annunciano la sua risurrezione, la sua vittoria sulla morte. La mano esanime  di Gesù sulla lastra di roccia è un riferimento a Gesù pietra d’angolo[5], questa pietra sembra bucare la tela, tanto è stata scolpita in modo affilato.

Il telo bianco che avvolge il corpo è l’unico testimone della risurrezione di Gesù, scende lievemente sulla lastra sepolcrale a illuminarne ogni angolo fino a toccare, con un lembo, una pianta di tasso barbasso, una pianta-arbusto, il cui fiore, per dare frutto, deve morire. Simboleggia la vita di Gesù e posta lì, in quell’angolo buio, sta ad annunciare, insieme ai teli, il mistero e la forza della risurrezione di Gesù che fa svanire i nostri dubbi e incertezze e credere nella nostra risurrezione.

 Approccio Vocazionale

 La memoria del cuore nello sguardo del discepolo amato

 La parola tace sulla presenza del discepolo amato nel momento della deposizione del corpo di Gesù dalla croce. Tace perché il discepolo ne è testimone oculare, non ha bisogno di scrivere il suo nome, non deve giustificare la sua presenza: il discepolo è sotto la croce, è presente e custodisce con cura il corpo di Gesù.

Il discepolo amato guarda, contempla, scorge in lui la risurrezione e intuisce nel corpo di Gesù il dono dell’Eucaristia. La mano destra tocca la ferita di Gesù, da cui scaturiscono sangue e acqua, allusione all’ Eucaristia; la mano sinistra tocca il ventre come per accertarsi che il cuore batte ancora. Giovanni l’evangelista dice: “Ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita  (poiché la vita si è fatta visibile, noi l’abbiamo veduta e di ciò rendiamo : testimonianza e vi annunziamo la vita eterna”. (1Gv 1, 1-4) L’opera è nata inizialmente come una pala d’altare e la composizione ideata dal Caravaggio ha una duplice funzione: – la pietra sepolcrale allude a un altare,  – il lino con cui è avvolto il corpo di Gesù simboleggia la tovaglia posta sull’altare. Il sacerdote che a quell’epoca celebrava, al di sotto della pala, nel momento della consacrazione innalzava l’Eucaristia che, sovrapponendosi  al corpo di Gesù permetteva, a chi assisteva alla celebrazione dell’Eucaristia, di fare riferimento al suo Corpo e al suo Sangue. Giovanni sorregge con le sue braccia il corpo di Gesù. È particolare il significato perché  ci fa comprendere un aspetto vocazionale importante; il fare memoria e il ricordare. Ricordare: portare nel cuore. Nel distacco dall’affetto di una persona cara, ciò che è consolante, è ricordare tutto ciò che la persona ha detto e fatto in vita,  fare memoria aiuta a riconciliarsi con se stessi e con la persona amata. Papa Francesco afferma:

“Ricordati. La memoria è importante, perché ci permette di rimanere nell’amore, di ri-cordare, cioè di portare nel cuore, di non dimenticare chi ci ama e chi siamo chiamati ad amare. Eppure questa facoltà unica, che il Signore ci ha dato, è oggi piuttosto indebolita. Nella frenesia in cui siamo immersi, tante persone e tanti fatti sembrano scivolarci addosso. Si gira pagina in fretta, voraci di novità ma poveri di ricordi. Così, bruciando i ricordi e vivendo all’istante, si rischia di restare in superficie, nel flusso delle cose che succedono, senza andare in profondità, senza quello spessore che ci ricorda chi siamo e dove andiamo. Allora la vita esteriore diventa frammentata, quella interiore inerte. La solennità del Corpus Domini – ci ricorda che nella frammentazione della vita il Signore ci viene incontro con una fragilità amorevole, che è l’Eucaristia. Nel Pane di vita il Signore viene a visitarci facendosi cibo umile che con amore guarisce la nostra memoria, malata di frenesia. Perché l’Eucaristia è il memoriale dell’amore di Dio. Lì «si fa memoria della sua passione», dell’amore di Dio per noi, che è la nostra forza, il sostegno del nostro camminare. Ecco perché ci fa tanto bene il memoriale eucaristico: non è una memoria astratta, fredda e nozionistica, ma la memoria vivente e consolante dell’amore di Dio (…). Nell’Eucaristia c’è tutto il gusto delle parole e dei gesti di Gesù, il sapore della sua Pasqua, la fragranza del suo Spirito. Ricevendola, si imprime nel nostro cuore la certezza di essere amati da Lui”[6].

Nell’Eucaristia Gesù ci svela il mistero della sua identità e insieme il senso profondo di ogni vocazione. Chi fa memoria e si nutre del Corpo e del Sangue di Cristo, riceve la forza di trasformarsi per essere dono per gli altri[7]. Questa certezza  emerge nel versetto dell’evangelista Giovanni che afferma “Chi mangia me vivrà per me” (Gv 6, 57). È il ricordo di aver mangiato il suo Corpo che ci dà la possibilità di rivivere nella nostra vita i gesti di amore per rassomigliare sempre più a Lui.

Preghiera

Signore

ti hanno deposto dalla croce

nel momento della tua morte mani amorevoli

ed hanno avvolto il tuo corpo con cura.

Maria e le altre donne, hanno dimostrato affetto e amore

con le lacrime e il silenzio ricolmo di attesa.

Fa che anche noi, come Giovanni, possiamo ricordare

e far memoria nell’ Eucaristia di ciò che tu hai detto e fatto.

Liberaci dalla tentazione di dimenticare le tue parole e i tuoi gesti.

Fa’ che come Giovanni  possiamo anche noi sentirci  amati da te!

Tu Signore della vita,

donaci di essere testimoni del tuo amore

che supera ogni morte.    

 

Michelangelo Merisi da Caravaggio
Deposizione di Cristo
1602-1604, olio su tela – 300×203 cm
Pinacoteca Vaticana, Città del Vaticano