N.06
Novembre/Dicembre 2018

Incontrare i giovani dove sono

Accompagnare i giovani, incontrandoli lì dove sono

“Accompagnare i giovani richiede di uscire dai propri schemi preconfezionati, incontrandoli lì dove sono, adeguandosi ai loro tempi e ai loro ritmi”: questa affermazione del Documento Preparatorio (DP III.1)[1] al Sinodo ci presenta con chiarezza la vera sfida di una pastorale che desidera accompagnare i giovani a una pienezza di vita, leggendo con profezia i “segni dei tempi”, senza temere di mettersi in discussione. E’ un richiamo che ci invita a ritornare alla “sorgente” sempre nuova del nostro annuncio: le parole e i gesti di Gesù che “percorreva tutte le città e i villaggi”, “predicando il Vangelo del Regno” e che “vedendo le folle ne sentì compassione perché erano stanche e sfinite, come pecore senza pastore” [2]. Gesù, la “Via”, abita la strada per incontrare le persone “lì dove sono”, con le loro attese e le loro domande, insegnandoci a non sequestrare in “tempi” e “ritmi” già definiti, la gioia di una notizia buona che riguarda la vita di ogni persona. E’ fondamentale saper custodire uno sguardo che sa vedere davvero. Se siamo guidati dai nostri “schemi preconfezionati” passeremo oltre, non fermeremo i nostri occhi su chi incrociamo nel nostro cammino: “le folle” ci sembreranno solo un intralcio, preoccupati soprattutto di occupare dei luoghi, attendendo per lo più solo l’arrivo dei “nostri”. Gesù non teme di fermarsi nelle città e nei villaggi perché è abitato dalla compassione. Vive l’amore che è dono di Dio per ogni persona. L’evangelizzazione è così raccolta attorno alla proclamazione del Vangelo del Regno che si concretizza nel prendersi cura della vita delle persone, della loro condizione umana (“stanche e sfinite”).

In questa direzione, i discepoli di Gesù sono chiamati “quelli della via”. Negli Atti degli Apostoli viene descritto l’incontro di Saulo col Risorto, lungo la via di Damasco, mentre vi si recava per arrestare e portare legati a Gerusalemme “i seguaci della via, uomini e donne”[3]. Qui, come anche in seguito[4] , i discepoli di Gesù sono definiti, appunto, “quelli della via”. Luca ci suggerisce che la “strada” è essenziale, che non può essere smarrita. Lungo la via, Gesù, “l’uomo che cammina”, ci viene incontro. E, allo stesso tempo, sulla via i suoi discepoli sono chiamati a riconoscere i volti da guardare e amare. “Quale compito più grande che avere tanta pietà per gli uomini che si incontrano per la strada da far di tutto perché conoscano- attraverso quella povertà che noi siamo- Cristo? Altrimenti la nostra vita com’è? Impotente, non creativa, siamo soltanto concime per disegni altrui, strumento dei disegni dei potenti e non funzione del nostro cammino alla felicità e al nostro Destino”[5].

Non possono esistere visioni pregiudiziali perché si assumono con coraggio “le sfide e le opportunità che emergono nei vari contesti alla luce della fede, lasciando che ci tocchino in profondità in modo da fornire una base di concretezza a tutto il percorso successivo”[6]. (IL 4). Saper coltivare per ogni giovane quell’atteggiamento che suggeriva il Concilio Vaticano II: “Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla Vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore”[7] (GS 1).

Incontrare tutti i giovani, nessuno escluso

Il Sinodo, nella riunione preparatoria, ha cercato proprio di invitare a incontrare tutti i giovani, “nessuno escluso” (DP II) con il desiderio di “prenderli sul serio nella loro fatica a decifrare la realtà in cui vivono e a trasformare un annuncio ricevuto in gesti e parole, nello sforzo quotidiano di costruire la propria storia e nella ricerca più o meno consapevole di un senso per le loro vite” (DP III.1). Una prospettiva già indicata dall’allora cardinal Bergoglio nel suo Messaggio alle comunità educative del 2004: “La sfida più grande: richiede profondità, richiede attenzione alla vita, richiede di guarire e di liberare dagli idoli”[8]. Perché non è sempre facile saper indicare con chiarezza una direzione: il nostro tempo ci nasconde gli aspetti più essenziali; il nostro mondo vive di apparenze che spesso dissimulano ciò che è decisivo e fondamentale

Il verbo fondamentale che determina l’inizio di ogni percorso è ascoltare: “E’ sempre disporsi a lasciarsi modificare da una parola, da una domanda, un’istanza che si accoglie dentro di sé. Ascoltare non per mostrare di aver subito la risposta pronta, ma per mettersi insieme in ricerca di una verità che nessuno ha a portata di mano e che deve vedere tutti insieme, umili, in ricerca”[9].  In questa direzione, la pastorale è “senza schemi preconfezionati” perché parte dalla relazione personale, non rimane ingessata nelle programmazioni, accoglie le istanze che nascono nel confronto di gruppo e rimane flessibile nella definizione di iniziative. “L’ascolto è la prima forma di linguaggio vero e audace che i giovani chiedono a gran voce alla Chiesa” (IL 65), lamentando indifferenza, mancanza di attenzione, oltre al fatto che molte volte la Chiesa appare come troppo severa ed è spesso associata a un eccessivo moralismo”[10] (RP 1).

Occorre senza dubbio avere il desiderio e la volontà di “perdere del tempo” con i giovani. Solo così potremo riconoscere quelle istanze meno apparenti ma mai sopite espresse con chiarezza cinquant’anni fa da un gruppo di ventenni americani. “Che cosa è realmente importante? E’ possibile vivere in modo diverso e migliore?”[11]. Non siamo chiamati a proporre una contrapposizione fra visioni del mondo e dell’uomo, bensì offrire una testimonianza che prenda sostanza con parole sincere e gesti autentici. “Noi oggi abbiamo bisogno di questa cultura dell’incontro per conoscerci, per amarci, per camminare insieme”[12]. Un cammino segnato inevitabilmente da una pastorale dinamica che permetta ai cristiani di «essere audaci e creativi»[13] (EG 33). Rivedere gli spazi, i tempi e le strutture per “rendere evidente lo scarto che il progetto umano del Vangelo determina rispetto alla convenzione ‘mondana’ del vivere”, con la concretezza di “far vedere come si fa. Nelle scelte e nello stile. Nelle parole e nelle opere. Nei modi e nelle pratiche”[14]. Le nuove generazioni chiedono di non rinviare questa conversione: “I giovani di oggi desiderano una Chiesa autentica. Con questo vogliamo esprimere, in particolar modo alla gerarchia ecclesiastica, la nostra richiesta per una comunità trasparente, accogliente, onesta, attraente, comunicativa, accessibile, gioiosa e interattiva” (RP 11).

La profezia della lettura del quotidiano 

Una bellezza di prospettiva che, contando su una pastorale più flessibile, si radica davvero nella situazione sociale, culturale ed ecclesiale. Dentro alla profezia di una lettura del quotidiano si aprono opportunità inedite per indicare delle strade di “vita buona”. In questa chiave non si può rinunciare a progettare, dando a questo verbo una definizione che supera l’idea di limitarsi a dare forma “a tavolino” ad idee già prestabilite o semplicemente nel ripetere quanto già accaduto. “Progettare è verbo di speranza – scientificamente intesa, non come vaga attitudine ma come spinta all’impresa – e insieme, verbo di comunione. E, soprattutto: progettare è verbo. Ovvero: movimento, smottamento, innamoramento. Non già definizione romantica ma assolutamente… etimologica: poiché Eros – figlio di Poros e Penia, ovvero: figlio di Strada e di Mancanza – coincide col movimento verso un punto di perdita. Innamorarsi della realtà coincide allora, insieme, col rischio e con la creazione. Col desiderio di ingravidare, col proprio slancio, il reale”[15]. Creare comunione, caratteristica del verbo progettare, ci mette di fronte a una sfida alla quale non è possibile sottrarsi. “L’esperienza comunitaria rimane essenziale per i giovani: se da una parte hanno ‘allergia alle istituzioni’, è altrettanto vero che sono alla ricerca di relazioni significative ‘in comunità autentiche’ e di contatti personali con testimoni luminosi e coerenti” (IL 175). Non è questo il tempo, ma forse non lo è mai stato, per presentarsi come “battitori liberi”. Dietro l’annuncio di iniziative o di percorsi che nascerebbero da una pastorale si rinnovata si trovano a volte persone magari molto “carismatiche” che affascinano, che spesso vengono seguite da gruppi numerosi, ma che non mostrano l’essenza della Chiesa, cioè vivere la comunione delle persone. Il rischio di agire da “solitari”, senza un confronto ecclesiale, apre il campo ad un protagonismo autocentrato e autoreferenziale. Il soggetto dell’evangelizzazione è la comunione ecclesiale. Al posto del “solista” che raduna tutti intorno a sé occorre promuovere una realtà “di casa” con “stili relazionali, dove la famiglia fa da matrice all’esperienza stessa della Chiesa” (IL 178). E’ un richiamo ad armarsi di umiltà per lavorare ancora di più insieme nella linea della “pastorale integrata”. Si tratta di una vera e propria “profezia di fraternità”. Preoccuparsi dei destinatari dell’annuncio, superando la tentazione di autoconservare i propri ambiti, espressa dalla presenza di numerosi “uffici”, che porta talvolta a una “frammentazione progettuale e operativa, difficoltà di chiarificazione delle diverse competenze e fatica a gestire i diversi livelli relazionali” (IL 209). Con un criterio di unità espresso dall’orizzonte vocazionale dell’esistenza: “La dimensione vocazionale della pastorale giovanile non è qualcosa che si deve proporre solo alla fine di tutto il processo o a un gruppo particolarmente sensibile a una chiamata vocazionale specifica, ma che si deve proporre costantemente nel corso di tutto il processo di evangelizzazione e di educazione nella fede degli adolescenti e dei giovani”[16].

Per poter affrontare questa “chiamata” alla comunione è indispensabile poter contare su adulti, sacerdoti ed educatori, che non si lamentino, più o meno esplicitamente, della loro età e delle relative responsabilità. La domanda sulla qualità degli adulti rappresenta oggi una questione centrale, sia dal punto di vista sociale che ecclesiale. “Servono credenti autorevoli, con una chiara identità umana, una solida appartenenza ecclesiale, una visibile qualità spirituale, una vigorosa passione educativa e una profonda capacità di discernimento”. (DP III.2).

Che “l’età di mezzo” sia in sofferenza emerge dall’ampia e approfondita letteratura sul tema che mette in risalto quanto lavoro di rifondazione della condizione adulta vada portato avanti. “Nell’attuale società ‘liquida’ la fase adulta rischia così di ridursi a un’espressione anagrafica, senza più compiti specifici che la caratterizzino e soprattutto la differenzino dalle fasi precedenti della vita, conferendole un’identità: essere adulti era sinonimo di essere maturi, appunto non più bambini, capaci di assumersi responsabilità. Queste caratteristiche appaiono sempre più rare”[17]. In questo quadro ai giovani non viene consegnata la “promessa” che crescere e scegliere è la vera avventura da compiere nella vita. Le comunità cristiane sono “audaci” se scelgono di ripartire dalla formazione. «Perché ci siano figure credibili, occorre formarle e sostenerle, fornendo loro anche maggiori competenze pedagogiche» (DP III.2). Educatori che siano accanto ai giovani nella vita quotidiana che si intreccia al percorso di fede. “Solo educatori appassionati, presenti nei luoghi della vita, potranno sostenere una vera ricerca e far scoprire la bellezza e la logica del discepolato. Si tratta allora, per le comunità cristiane, di allargare gli orizzonti: al di là dei propri confini, al di là delle proprie abitudini e dei percorsi istituzionalizzati. Occorre una grande chiamata alla responsabilità educativa e all’accompagnamento a vivere la dimensione religiosa della vita”[18]. Uno spazio privilegiato “fuori dalle mura ecclesiastiche” è senz’altro rappresentato dall’ambito scolastico, in cui i giovani, tutti senza distinzioni di appartenenze o di credo, possono trovare spazi preziosi di dialogo per interrogarsi sul significato della vita, in rapporto alla cultura. “Una cultura che non deve necessariamente essere religiosa, purché sia veramente umana, ossia in grado di far emergere quelle domande e quelle inquietudini che rendono i giovani di oggi persone capaci di libertà e di responsabilità. Che poi potrebbe anche rivelarsi una via verso la Verità tutta intera”[19]. L’aula è uno luogo di quotidianità, i ragazzi vi passano buona parte della loro giornata ed incontrare un insegnante significativo fa la differenza. “Si torna all’idea che gli educatori cattolici debbano essere testimoni; essi devono porre domande non soltanto con le parole, ma soprattutto con la loro vita”. Un professore preparato e appassionato apre alla ricerca personale e, allo stesso tempo, favorisce il cammino di gruppo, “creare comunità in cui gli studenti sentano di essere parti integranti, di essere rispettati, assistiti e accolti”[20]. Lo spirito di servizio di un insegnante verso i giovani si gioca tanto in questa dimensione. Ricordarsi che bisogna “fare sul serio”. “E’ necessaria la fatica della preparazione, l’educazione delle doti personali, la conquista della abilità tecnica e professionale, e soprattutto la partecipazione viva al travaglio della umanità nel momento storico in cui ci si trova a vivere ad a operare”[21].

Occorrono cristiani creativi nella scuola per creare “ponti” sul territorio: un esempio bello di pastorale “integrata” può coinvolgere la realtà della parrocchia, partendo semplicemente da una conoscenza e una stima tra sacerdoti, educatori e insegnanti che si trovano sullo stesso territorio. Un passaggio che molto spesso viene trascurato, ma che è alla base di possibili progetti o iniziative da condividere. L’auspicio è che possano davvero realizzarsi “alleanze educative” che non restino solo sui documenti, coinvolgendo virtuosamente le associazioni e i movimenti dentro alla Chiesa e, con la stessa intensità, i referenti delle istituzioni pubbliche e di altri soggetti interessati.

Giovani protagonisti ed artefici      

Senza dubbio la dimensione di fondo da tenere in continua considerazione è quella indicata già da San Giovanni Paolo II, sulla scia del documento conciliare Apostolicam Actuositatem. Il Papa affermava che i giovani “non devono essere considerati semplicemente come l’oggetto della sollecitudine pastorale della Chiesa: sono, di fatto, e devono venire incoraggiati ad esserlo, soggetti attivi, protagonisti dell’evangelizzazione e artefici del rinnovamento ecclesiale”[22] (ChL 46). A questo riguardo sono significativi due passaggi del documento preparatorio al Sinodo dove si scrive che «la Chiesa stessa è chiamata ad imparare dai giovani» (DP III.2) e che intende «chiedere ai giovani stessi di aiutarla a identificare le modalità oggi più efficaci per annunciare la Buona Notizia» (DP introduzione). Una pastorale audace realizzata con i giovani, prima che per i giovani. Un’azione pastorale desiderata e condivisa con loro, vissuta e attuata insieme, che possa far crescere una gioia contagiosa. Riprendendo un’altra felice affermazione di Giovanni Paolo II, consegnata ai giovani nella Giornata mondiale della gioventù del 2000, si potrebbe dare slancio a una stagione che veda la Chiesa come “un grande laboratorio della fede”. Adulti e giovani insieme con reciproca fiducia. “Una Chiesa laboratorio è una bottega che trasmette sapere, un saper essere e un saper fare (di vita e di fede) e lo affida alla creatività di chi lo riceve, in modo che l’allievo superi possibilmente il maestro. E’ questa d’altronde, da sempre, la dinamica della fede, che nel tempo si tramanda attraverso un processo di traditio (trasmissione), receptio (accoglienza), redditio (rielaborazione). Vogliono ‘con-prendere’ quello che viene loro trasmesso, il che significa un processo condiviso (con) e attivo”[23]. Così i giovani possono essere soggetti impegnati responsabilmente nell’esercizio della vita cristiana. La Bibbia ci insegna questa particolare predilezione di Dio per i più giovani nell’affidare loro “missioni” per scuotere le comunità di appartenenza. Gli adulti non devono dimenticare questa “preferenza” e devono saper dare spazio alle intuizioni che oggi il Signore suggerisce alla Chiesa attraverso i più “piccoli”.

In questo tempo, nel quale l’esperienza del Sinodo è tornata in primo piano, è da sostenere ogni ogni tentativo di sinodo, nel sento più etimologico del termine: cioè del camminare insieme. “Quando si assume un obiettivo pastorale e uno stile missionario, che realmente arrivi a tutti senza eccezioni né esclusioni, l’annuncio si concentra sull’essenziale, su ciò che è più bello, più grande, più attraente e allo stesso tempo più necessario. La proposta si semplifica, senza perdere per questo profondità e verità, e così diventa più convincente e radiosa” (EG 35).

 

 

 

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[1] Sinodo dei Vescovi – XV Assemblea Generale Ordinaria, I giovani, la fede e il discernimento vocazionale. Documento preparatorio e questionario (DP).

[2] Cf Mt 9,35 – 38

[3] At 9,2

[4] At 16,17; 18,25-26; 19,9.23; 22,4; 24,14.22

[5] L. Giussani, Realtà e giovinezza. La sfida, Rizzoli, Milano 2018. P. 53

[6] SINODO DEI VESCOVI – XV ASSEMBLEA GENERALE ORDINARIA, I giovani, la fede e il discernimento vocazionale. Instrumentum Laboris (IL).

[7] Concilio Vaticano II, Costituzione pastorale sulla chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et Spes (GS)

[8] J.M. Bergoglio, Nei tuoi occhi è la mia parola. Omelie e discorsi di Buenos Aires 1999- 2013, Rizzoli, Milano 2016, p. 269

[9] P. Bignardi, Conclusioni: Dio a modo mio, in Dio a modo mio, a cura di R.Bichi e P. Bignardi, Vita e Pensiero, Milano 2015, p. 185.

[10] SINODO DEI VESCOVI – XV ASSEMBLEA GENERALE ORDINARIA, I giovani, la fede e il discernimento vocazionale. Riunione presinodale (RP).

[11] Manifesto di Port Huron 1962, in P. Ortoleva, Saggio sui movimenti del 1968 in Europa e in America, Editori Riuniti, Roma 1988, pp. 232-233.

[12] Papa Francesco, Discorso al mondo della scuola italiana, 10 maggio 2014.

[13] Papa Francesco, Esortazione apostolica sull’annuncio del Vangelo nel mondo attuale Evangelii Gaudium (EG)

[14] G. Zanchi, L’arte di accendere la luce, Vita e Pensiero, Milano 2015, pag. 82.

[15] A.C. Scardicchio, Breviario per (i) don Chisciotte, Mimesis, Milano 2015, p. 59.

[16] Papa Francesco, Messaggio ai partecipanti al convegno internazionale sul tema “Pastorale vocazionale e vita consacrata. Orizzonti e speranze”, 25 novembre 2017.

[17] G. Cucci, La scomparsa degli adulti, in Giovani, Collana Accenti de La Civiltà Cattolica, 2018, pag. 173.

[18] P. Bignardi, Conclusioni: Dio a modo mio, in Dio a modo mio, a cura di R.Bichi e P. Bignardi, Vita e Pensiero, Milano 2015, p. 183.

[19] E. Cattaneo, Giovani, cultura e discernimento, in Giovani, Collana Accenti de La Civiltà Cattolica, 2018, pag. 126.

[20] J. Mesa Educazione cattolica e discernimento vocazionale, in Giovani, Collana Accenti de La Civiltà Cattolica, 2018, pag. 135.

[21] V. Bachelet, Presenza dei cattolici nella vita sociale, 1968, ora in Id., Scritti civili, a cura di M. Truffelli, Ave, Roma, 2005, p. 794

[22] Papa Giovanni Paolo II, Esortazione post- sinodale su vocazione e missione dei laici nella chiesa e nel mondo Christifideles Laici (ChL).

[23] A. Castegnaro con G. Dal Piaz, E. Biemmi, Fuori dal recinto, Ancora, Milano 2013, pag. 199.