N.01
Gennaio/Febbraio 2021

Matteo Farina

Con gli occhi al cielo

In Puglia, alcuni anni fa, si aggirava un «infiltrato» speciale. Tra i giovani portava una testimonianza di fede discreta e forte. Un “infiltrato” giovane egli stesso, che a Messa «cantava a piena voce, con il cuore e lo sguardo dritto» ed era retto e vero in tutto: in famiglia e a scuola, nel gruppo di amici, in parrocchia e nella preghiera: Matteo Farina.

Matteo nasce il 19 settembre 1990. Mamma Paola, papà Miky ed Erika, la sorella compagna di giochi, madrina di cresima, amica nella fede: quella di Matteo è una vita semplice in apparenza, densa nei fatti. La svolta decisiva arriva a 9 anni, pochi mesi dopo essersi accostato per la prima volta al sacramento della Riconciliazione. Nella notte tra il 2 e il 3 gennaio, Matteo sogna di trovarsi in un giardino: da un lato il giardino è tutto bello, «verde con alberi, prati e fiori»; dall’altra invece è scuro e triste, «solo terra» dove non fiorisce niente. «Io» – scrive Matteo – «ero nel giardino fatto di terra e avevo la forma di un albero marrone scuro con foglie secche». Allora si avvicina un “signore”, che con una pinza gli toglie qualche ramo e foglia: «Spogliati dai tuoi peccati»! E lui riprende forma normale, ma accanto aveva un grande vuoto. È il vuoto delle «persone che non credono in Dio, peccano e sono tristi». Matteo capisce che non basta tornare belli: bisogna che altri lo siano, perché la perfezione non è curarsi l’estetica dell’anima, ma regalare la felicità a chi ne è privo. In un sogno di bambino che in realtà è visione di cielo, Matteo a 9 anni riceve la chiamata all’apostolato. Nel sogno incontra Padre Pio che lo ammonisce: «Racconta tutto ciò alla tua famiglia. Se sei riuscito a capire che chi è senza peccato è felice[,] devi farlo capire agli altri […]». È per lui una svolta che approfondisce facendosi amico della Parola di Dio – meditata assiduamente – e dell’Eucaristia, che riceve per la prima volta dai Padri Cappuccini della sua parrocchia “Ave Maris Stella”. Quel giorno il celebrante chiede se qualcuno sia disposto a seguire il Signore in una via di speciale consacrazione. Davanti a tutti, Matteo risponde “sì!”. Comincerà infatti, a un certo punto, a interessarsi al Seminario, a prendere qualche informazione. Ma Matteo – che un giorno scrive: «Non sono un veggente e perciò non posso prevedere il futuro: i progetti che Dio ha per me sono ancora sconosciuti» – impara presto quella dura legge della crescita umana e spirituale che si chiama “obbedienza alle circostanze”, adesione a quell’unico cammino che forse non si sarebbe mai scelto, eppure la Provvidenza permette. Nella sua vacanza in montagna, questo «infiltrato dei giovani» a cui piacevano i videogiochi ma con la giusta moderazione e che amava la musica (pianoforte, tastiera, flauto traverso, batteria, chitarre, canto, e il gruppo No name da lui fondato) d’un tratto avverte «freddo agli occhi»: uno di quegli indescrivibili, strani sintomi che preludono ad accertamenti medici. Ha un tumore al cervello. E 13 anni ancora da compiere. Inizia un calvario in centri specialistici di Italia e Germania. Ad Hannover viene operato più volte: tra remissioni e recidive, questo tumore che gli segnerà la vista e poi la mobilità ad alcuni arti è una croce che non gli sarà tolta.

Cosa resta a Matteo, in quei momenti? Poche, ma essenziali cose: la gioia, l’affidamento, il senso del dovere. Gioia vuol dire cogliere il lato bello di vicende drammatiche; vuol dire cominciare a scrivere un Diario dove la malattia diventa “sfida” e – un po’ come nei videogiochi – non conosci mai il livello successivo, ma hai armi per combattere quello in corso. Ci scrive: «Questo è il diario di un bambino tredicenne in un’esplorazione spettacolare». «Spettacolare» è anche il «tubicino lungo trenta centimetri, infilato nella vena», “spettacolare” è giocare a battaglia navale, mangiare il cibo pesante degli ospedali tedeschi e sentirsi il «malato più sazio del mondo».

Affidamento significa lasciarsi amare dove tutto si deve ricevere. Matteo allora scopre l’«abbandono»: che non è “sentirsi abbandonato”, ma rimettersi all’Amore di Dio. È consegnarsi integralmente, non avere più nulla ma vivere la letizia nella povertà: «Tutto il bene che i miei parenti, i dottori e le tante persone che ci hanno aiutato, mi hanno saputo dare, mi ha sconvolto; mi ha turbato capire quanto Dio sia misericordioso e buono con noi». “Affidamento” allora non è “passività”. È consegna attiva, realizzare che da tutto passa la vita. Anche dalla Croce. Anzi, soprattutto lì. È amare l’altro come l’altro è, senza affrettarne i tempi, con grande forza e rispetto. E così ci si può permettere di non sfuggirla, questa croce: di affrontarla con eleganza. Matteo che cresce in affidamento cresce nel senso del dovere. Ai genitori chiede delle rinunce, per ricordarsi dei poveri, con spirito missionario. Bravissimo a scuola, a pochi mesi dalla morte si prepara alla maturità, mentre sogna un futuro da ingegnere chimico per l’ambiente, vuole una professione a servizio del sociale e coltiva intanto il rapporto con Serena, la giovane fidanzata che saprà stargli accanto nella malattia e testimoniarne l’eroismo. Dice la mamma: «Matteo ha vissuto la sua vita in un atteggiamento costante di accoglienza e riteneva che tutto ciò che gli capitava fosse un dono di Dio». Quando un giorno lo accompagna per la terapia, Matteo è così sereno che il medico chiama lei, crede che malata sia la mamma.

Matteo – dichiarato “Venerabile” nel 2020 – dei santi ha fatto proprie due dinamiche. Anzitutto ha compreso che le virtù teologali sono infuse, dono di Dio sin dal Battesimo: che alla libertà non è chiesto di “far presa” sul “nulla”, che c’è invece questo dono da attualizzare e che il dono precede. Poi, che in alcuni decisivi frangenti la vita buona la si deve anche scegliere, che il coraggio si accresce esercitandolo. Se Matteo sin da piccolo era «la dolcezza fatta persona», a un certo punto questa mitezza diventa scelta: forma di un amore che il Vangelo prescrive persino come amore dei nemici, come un dovere e non un sentimento. La mitezza si fa così silenzio nelle irrisioni per la sua fede, e perseveranza nelle terapie.

Matteo, allora, è stato reso forte ma ha anche scelto di esserlo. Poco prima di morire, alla sorella che temeva di aver sbagliato nello scambiare con lui un accenno di troppo vivace sorriso durante la preghiera dice: «Sorridi, Erika, possiamo pregare con gioia, i cristiani sorridono sempre, sorridi…!». La gioia – abbracciata anche come scelta – era diventata ormai «perfetta letizia», il frutto dello Spirito Santo.

Matteo muore a Brindisi il 24 aprile 2009, a dieci anni esatti dalla sua prima Confessione.

Un giorno, pensando a un compagno che si comportava male e rischiava di essere bocciato, scriveva: «Per me sarebbe una grande sofferenza non averlo in terza. Spero che la mia amicizia possa dargli forza […]». Al termine del proprio cammino terreno, prega: «Mio Dio ho due mani, fa’ che una sia sempre stretta a te… e l’altra mano, ti prego, se è tua volontà, lasciala cadere nel mondo… perché come io ho conosciuto Te per mezzo di altri, così anche chi non crede possa conoscerti attraverso me». Il sogno dei 9 anni diveniva missione da continuare in cielo.

Matteo – nella terminologia dei videogiochi – aveva «platinato» la vita: era arrivato alla fine con tutti i trofei. Aveva, come dice S. Paolo, «combattuto la buona battaglia, terminato la corsa, conservato la fede» (cf. 2Tm 4,7). Con una Maestra d’eccezione accanto: Maria, da lui tanto amata. Maria che in un Messaggio a Lucia di Fatima – caro a Matteo – diceva: «Tu soffri molto? Non scoraggiarti. Io non ti lascerò mai. Il mio Cuore Immacolato sarà il tuo rifugio e la via che ti condurrà a Dio».

 

 

 

Ho bisogno di parlarti, mio Signore, mio Dio.
Che cosa vuoi da me?

“Parole” di Matteo

 

 

Matteo Farina nasce il 19 settembre 1990 e cresce a Brindisi. La sua è una famiglia numerosa e unita, dove i genitori gli danno splendida testimonianza di vita cristiana. Giovane come tanti, che spicca per dolcezza, Matteo è bravo a scuola e con la musica: leader tra gli amici, è detto «il moralizzatore» per la sua serietà. A 13 anni, un tumore al cervello ribalta i suoi progetti. Muore a 18 anni, il 24 aprile 2009. Giovane che aveva pensato al sacerdozio ma si era poi fidanzato con Serena – dono di Dio e compagna sulla strada del Calvario – Matteo è un giovane, apostolo di altri giovani. Dichiarato Venerabile nel 2020, lo si può oggi conoscere attraverso la pubblicazione dell’editrice Velar a lui dedicata (Francesca Consolini, Matteo Farina. “Semplici come Dio ci vuole”, Gorle [Bergamo] 2017), il libro di Antonella Calò, Il sorriso della fede. Profilo biografico e spirituale di Matteo Farina, ADP, Roma 2015 e – soprattutto – un testo che raccoglie il suo Diario e testimonianze: Matteo Farina, Con gli occhi al Cielo… Per approfondire: https://www.matteofarina.com/it.