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Comunione feconda

Ogni comunità cristiana nasce da Dio e per sua iniziativa, per essere testimonianza di comunione, perché tutti siano una cosa sola, perché il mondo creda (cf. Gv 17, 21).

In particolare Giovanni Paolo II afferma con chiarezza che “tutta la fecondità della vita religiosa dipende dalla qualità della vita fraterna in comune”.

Riportiamo qui un breve stralcio di un discorso di Giovanni Paolo II.

 

Nata da Dio, ogni comunità cristiana riflette in qualche modo il mistero della comunione trinitaria, che è la sua sorgente, e della comunione ecclesiale, di cui è segno. La vita fraterna è un’espressione concreta del mistero della Carità divina che il Padre ha voluto comunicare, nell’incarnazione del Figlio (cf. Gv 3, 16), a tutti gli uomini. I membri delle Comunità di vita consacrata e delle Società di vita apostolica sono chiamati a seguire “Cristo più da vicino per l’azione dello Spirito Santo”. Questa vita accanto al Signore porta con sé un’esperienza profonda dell’amore di Gesù e il fermo proposito, che si converte in una vera passione interiore, di amare con Dio tutti quelli che Egli ama, evocando le caratteristiche del suo generoso amore. Per questo, la vita fraterna non è altro che una risposta radicale all’esortazione di San Paolo ai Filippesi: “Abbiate in voi – verso il Padre, ma anche verso i fratelli – gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù” (Fil 2, 5), sentimenti che l’Apostolo descrive magistralmente nel suo inno alla carità (1 Cor 13, 1-13). Certamente, l’amore di Cristo, accolto e vissuto autenticamente all’interno della comunità, costruisce la comunione, diventa sostegno e distintivo della fraternità, e realizza l’aspirazione missionaria di Cristo: “che tutti siano una cosa sola… perché il mondo creda…” (Gv 17, 21). La chiamata a partecipare dell’amore del Signore vivendo il medesimo carisma nella “sequela Christi” è un appello e un dono gratuito di Dio. La risposta a questo invito ad edificare la comunità insieme al Signore, con quotidiana pazienza, passa lungo il cammino della croce: suppone frequenti rinunce a se stessi, in un’ascesi personale fatta di accoglienza degli altri, di condivisione dei beni e dei pesi, di accettazione delle diversità nel quotidiano superamento dei propri limiti. Suppone, a volte, lo stesso sacrificio supremo, come s’è reso evidente, anche di recente, nella vicenda di Religiosi e Religiose che hanno dato la propria vita, soprattutto in terra di missione, per amore di Cristo e della sua Chiesa. Per questo è necessario attingere continuamente alla grazia di Dio, lasciarsi guidare dalla sua Parola, alimentarsi spiritualmente dell’Eucaristia e frequentare il sacramento della riconciliazione.

Tutta la fecondità della vita religiosa dipende dalla qualità della vita fraterna in comune. Più ancora, il rinnovamento attuale nella Chiesa e nella vita religiosa è caratterizzato da una ricerca di comunione e di comunità. Perciò la vita religiosa sarà tanto più significativa, quanto più riuscirà a costruire “comunità fraterne nelle quali si cerchi Dio e lo si ami sopra ogni cosa”, e perderà invece la sua ragion d’essere ogni qual volta vi si dimentichi questa dimensione dell’amore cristiano, che è la costruzione di una piccola “famiglia di Dio” con quelli che hanno ricevuto la stessa chiamata. Nella vita fraterna si deve riflettere “la bontà di Dio nostro Salvatore e il suo amore per gli uomini” (Tt 3, 4), quale si è manifestata in Gesù Cristo. Se però si pospone questa testimonianza pubblica della vita religiosa all’azione apostolica o all’autorealizzazione personale, le Comunità religiose perdono la loro forza evangelizzatrice e non sono più quelle realtà che San Bernardo definì con bella espressione “Scholae Amoris”, cioè luoghi dove s’impara ad amare il Signore e a diventare, giorno dopo giorno, figli di Dio e quindi fratelli e sorelle.

 

(Giovanni Paolo II, Discorso ai partecipanti alla Plenaria della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, 20 novembre 1992)

Leggi qui il discorso completo.