N.05
Settembre/Ottobre 2021

Jacques Fesch

Vocazione a restare

Quanto durano, 5 ore? Lo spazio di un viaggio, una mattina di lavoro, l’attesa di una risposta. Per Jacques Fesch – nella notte tra il 30 settembre e il 1° ottobre 1957 – 5 ore hanno un significato ben diverso: sono tutta la distanza che intercorre tra la sua cella di condannato a morte e il Paradiso. Con la lama della ghigliottina in mezzo.

Jacques, che di anni ne ha 27 ed è un giovane uomo della buona borghesia, tre anni prima ha ucciso con un unico colpo di pistola Jean-Baptiste Vergne, gendarme che gli aveva intimato le “Mani in alto!” per bloccarne la fuga. Aveva appena provato a farsi consegnare da un amico del padre una cifra da capogiro (rubare a lui era come rubare al padre che gliela aveva negata), ferirlo con il calcio della pistola, ferirsi egli stesso, scappare e perdere gli occhiali nella fuga. Jacques Fesch, che più tardi dirà di avere «agito come un invasato», colpisce Vergne a morte pur sparando con tutta la mancata precisione del miope senza occhiali, senza ben accorgersi di quel che accade, al primo e unico tentativo.

Presto tradotto nel carcere de “La Santé”, Fesch ha ormai il destino segnato: rinchiuso in una cella. I soldi – così progettava – gli sarebbero serviti per acquistarsi un battello a vela, per andare lontano. Jacques sognava le Galapagos; le aveva preferite alla moglie Pierette, sposata civilmente, frequentata tra mille tensioni e senza mai amarla davvero; ai suoi doveri di padre; ai fili di una vita non esemplare che lo ancorava però ad altre vite. Ora, insieme alla sua, queste vite sono sospese sull’orlo dell’abisso. Nella Francia degli Anni Cinquanta, uccidere un gendarme è un po’ come firmare la propria condanna, e anche se più tardi attorno al “caso Fesch” si leverà un coro di intercessioni, anche se l’evidente mancata premeditazione del delitto avrebbe potuto suggerire un diverso esito, anche se il Presidente della Corte e l’avvocato di parte civile la sera prima della sentenza andranno insieme a cena, anche se altri criminali non saranno giustiziati ma lui sì, si vuole “dare un esempio”. Jacques Fesch diventa un uomo la cui morte serva di ammonimento. Ha senso, sacrificare una vita per ammonire contro crimini futuri, come tali solo ipotetici? In carcere Jacques imparerà che non conta l’eventuale ingiustizia della giustizia umana: vale di più offrire il sacrificio di ciò che altrimenti si subirebbe quale condanna.

Ma sono passi tutti a venire.

All’inizio, Jacques è solo molto giovane. E ha combinato un grosso guaio. Contrappone inoltre un convinto ateismo. Prova a convincere di ateismo il suo stesso avvocato. Eppure c’è sempre qualcosa che si oppone alla sua opposizione, che si mette di traverso e ne ribalta i piani. Voleva fuggire, e si ritrova bloccato tra le sbarre. Voleva convincere di ateismo il suo avvocato ma sbaglia un’altra volta: sbaglia perché un avvocato ha più dialettica del suo assistito; sbaglia perché questo suo avvocato è un terziario carmelitano. Si chiama Paul Baudet; non cede di un millimetro. Alla fine, invece di rubare la fede a Baudet, Fesch ritrova la propria.

C’è infatti un istante assoluto nella sua vita – ne parlerà pochissimo ma quanto scrive basta –. «È stato una sera, nella mia cella […]. Soffrivo realmente per la prima volta nella mia vita con un’intensità rara […]. Ed è allora che un grido mi scaturì dal petto, un appello al soccorso: “Mio Dio!”, e istantaneamente, come un vento violento […], lo Spirito del Signore mi prese alla gola»: Spirito che afferra dove si respira, potenza di Dio, dolcezza infinita. È una svolta cui ne seguiranno altre, tra luci e tenebre, aridità e consolazioni e il mistero della “notte oscura”. Ma è anche un “sigillo” incancellabile: «Per chi ha ricevuto questa presa di possesso, è impossibile dimenticarla».

Se è lui a ricevere quel sigillo, esso tuttavia non è per lui solo: ci sono i suoi cari, «battaglioni di monaci», incontri significativi, il cappellano che lo assiste… Ci sono i genitori che si riavvicinano, l’amore per il padre, la sorprendente corrispondenza epistolare con la suocera che in «quel povero ragazzo [aveva visto] qualcosa di più del bighellone senza spina dorsale». C’è il pellegrinaggio che il suo avvocato fa per lui a Santiago de Compostela e c’è l’influsso positivo che Fesch eserciterà su un detenuto vicino di cella, André Hirth che «liberato parecchi anni dopo, radicalmente convertito, divenne un fervente cristiano, padre di cinque figli». C’è il pressing su Pierette, di cui Jacques legge lucidamente i difetti e che vorrebbe felice; c’è la riconciliazione tra loro sposi. E c’è l’amore per la figlia Veronique, cui Jacques dal carcere scrive qualcosa di importante per quando sarà grande e cui manda intanto i disegni di un papà che pensa alla sua bambina dalla prigione: come il gatto sopra l’orologio a “cucù”. Invia anche lo schizzo di quel che parrebbe il battesimo di un bimbetto, con il chierichetto che scherza, il sacerdote che si scandalizza e una barchetta nell’acqua, nel più irriverente e bello dei fonti battesimali: ora non servono vele per scappar lontano, la libertà è Cristo, è diventare figli nel Figlio. C’è poi il cammino di Jacques con la sua coscienza, lo strutturarsi finalmente di un carattere da uomo, l’ammettere le proprie passate mancanze: «Ero incapace di amare […], diventavo una macchina da sensazioni fino all’estremo».

È concreta, questa conversione: tocca tanti. Lui è lo strumento. Gli altri sono i destinatari. E tutto, anche l’infimo, acquista valore grande. Jacques ha dolori ossei, ma ne scherza («Il reumatismo è sempre presente, ma gira» … «scrivere con questo braccio è un po’ una competizione sportiva»). Sta per cadere nell’inganno degli “scrupoli” e vince… («Giungo a credere che se mai sgranocchiassi un pezzo di zucchero, commetterei un grosso peccato! Perciò […] stasera ho mangiato otto biscotti […] soprattutto per rimettermi sul giusto cammino»). Prega, e durante la preghiera si distrae – medita il Vangelo, è alla fuga in Egitto, pensa a Maria sull’asinello «e poi, paffete, mi ritrovo a Parigi e ripenso ad altra cosa. Riconduco il pensiero […], e di nuovo paffete […]. Non giungo a far arrivare la Santa Vergine in Egitto» –.

È invece Maria che conduce Jacques – Donna di speranza e consolazione cui egli riserva parole splendide –: gli è vicina sino a quel «brutto quarto d’ora di fronte all’eternità», come lui chiama gli istanti dell’esecuzione. Quando arrivano, Jacques in qualche modo è pronto.

Scrive all’avvocato Baudet: «mi avete dato Dio». Dice ad André Hirth, il prigioniero della cella sopra alla sua, mai visto in volto: «tu devi cambiare il tuo cammino […]. Sai André, quando ci rivedremo lassù, credo che ti riconoscerò dalla voce». Annota nel Giornale intimo, a meno di una settimana dalla morte: «Che ogni goccia del mio sangue serva a cancellare un grosso peccato mortale».

Intanto è la voce di Jacques Fesch che continua a risuonare, raggiungendo molti. Ad alcuni decenni dalla sua morte, a partire dal 1987, vennero mossi i primi passi per la sua Causa di canonizzazione.

«Fra cinque ore vedrò Gesù!».

 

 

In me non vi sono due uomini:
quello del prima e quello del dopo,
ma uno solo e unico,
il quale, senza rendersene conto,
cercava e ora ha trovato.

Parole di Jacques Fesch tratte dal suo Giornale intimo, 5 agosto 1957

 

 

 

Jacques Fesch nasce in Francia il 6 aprile 1930, da una famiglia il cui prestigio sociale non può compensare le ferite affettive. I frequenti trasferimenti gli impediscono di crescere con punti di riferimento stabili ed egli – bambino di particolare bellezza – diventa un giovane incapace di perseverare nei propri impegni, un inquieto pronto a tutto. Il 25 febbraio 1954 uccide a Parigi un agente di polizia: è per lui l’inizio della fine. Verrà ghigliottinato nella capitale francese il 1° ottobre 1957. L’uomo che sale al patibolo non è però lo stesso che era entrato in carcere. Incontri decisivi, l’esperienza della sofferenza, l’irruzione di Dio danno senso e misura a una vita che ne era stata a lungo priva. Per approfondire: Ruggiero Pietro Francavilla, Monique Fesch-Francavilla, Il mistero di un giovane Jacques Fesch, Edizioni Segno, Tavagnacco (Udine) 2020; R. P. Francavilla (a cura di), Anche in una cella Dio parla a chi lo ascolta. Lettere di Jacques Fesch ai suoi cari nell’attesa del Paradiso, Edizioni Segno, 2020. Inoltre: Curazia Ferrari, I giorni di Jacques. La breve storia di Jacques Fesch, un assassino candidato agli altari, Edizioni Ares, Milano 2019. Anche il Cardinal Angelo Comastri si è interessato a Jacques e in internet si può trovare il suo contributo.