N.06
Novembre/Dicembre 2022

Dolindo Ruotolo

Un ricamo di dolore e amore

Alle 4 di mattina si accende una luce in casa Ruotolo a Napoli: dorme il pater familias e dormono i figli – sempre più numerosi – di quella coppia che ne metterà al mondo 11. Si alza invece la mamma, Silvia Valle, che si prepara per la Messa. Accanto a lei c’è Dolindo, «l’unico […] che la seguiva in cucina e le stava accanto mentre preparva il caffè, pregando». Poi Dolindo seguiva la mamma fino alla porta. Lei allora lo baciava, e andava in chiesa. Lui invece l’aspettava. Sua madre infatti, rientrando, se lo prendeva in braccio e, «poiché aveva appena ricevuto l’Eucaristia», gli trasmetteva tutto il proprio respiro, «come per soffiargli l’amore di Gesù. E il piccolo rideva felice, elettrizzato». Della sua infanzia rammenta: «La mia testa non arrivava a superare l’altezza del focolare. Ricordo che, avendo soli tre o quattro anni al più, stando in piedi e, poggiato sulle ginocchia materne, le dicevo: “Io sarò sacerdote”».

Prima ancora che cominciasse a riceverla, l’Eucaristia plasma così il cuore di Dolindo: è un’esperienza di amore assoluto e di dolcezza che gli lenisce intanto le ferite del sacrificio al quale – nonostante le apparenze di quegli idilli familiari di prima mattina – egli era nato tutto impastato: rigidità del padre Raffaele; mancanza di beni di prima necessità; il divieto di andare a scuola… poi ancora quella durezza che il padre aveva proprio verso di lui, Dolindo; quello sguardo diverso su un figlio buono contro il quale Raffaele Ruotolo però si accaniva. Egli, il padre, era «per molti aspetti crudele». «Avevo tanta paura», dirà Dolindo ormai adulto, ripensando a quando veniva chiuso nella carbonaia: «Nello stesso tempo m’inginocchiavo e lodavo Dio».

Inizia così l’intreccio misterioso di dolore-amore che ne ritma la vita e, attraverso vicende complesse di un continuo calvario fisico, morale e spirituale, toccherà un giorno il suo stesso sacerdozio, anche a Roma davanti al Sant’Uffizio, per ingiusta accusa, dentro a una persecuzione senza fine, con sospensione a divinis, con anni di Messa seguita tra i banchi dei fedeli, lui prete.

Quando Dolindo era molto piccolo, dovendosi sottoporre a una operazione aveva lasciato sconcertati per non aver emesso alcuna lamento, «né versato una sola lacrima. Si era limitato, stando sul seggiolone, a reclinare semplicemente la testa […], non potendola reggere per il dolore»: alla Croce, don Dolindo anche nella vita adulta allora non si ribella. Gli dice Gesù: «Quest’amore per me ti darà pene di morte»; «Sono io Gesù, Dolore, e tu sei Dolindo Gesù». Quando, adulto, patisce l’accusa ingiusta di una sua figlia spirituale, entro dinamiche di invidia e gelosia verso altre persone del gruppo; quando sperimenta il patire dell’incomprensione e dell’inimicizia, don Dolindo ancora reclina la testa. Scrive: «Non ho mai sentito così tanto amore per loro». Ai persecutori «rendeva […] pubblicamente omaggio». Era anzi convinto che chi lo perseguitasse fosse un benefattore: chi ferisce, infatti, lavora l’anima di chi patisce, la forgia alla misericordia.

Legato a tante figure di santità – dal legame tutto mistico con santa Gemma Galgani, a Padre Pio, ad Armida Barelli decisiva nell’aiutarlo –, don Dolindo Ruotolo era in stretto contatto anche con suor Maria Giuseppina (la Carmelitana scalza del monastero “ai Ponti Rossi” di Napoli, guarita grazie a una reliquia di san Francesco Saverio per la mediazione perserverante dello stesso don Dolindo, oggi beata). Anche con suor Giuseppina della sofferenza, claustrale ricercata da miriadi di persone, c’era un rapporto speciale e il dolore scambiato era forma di amicizia: don Dolindo chiedeva di prendere su di sé i dolori della suora (quando per esempio doveva incontrare in parlatorio qualcuno): al termine dell’incontro però, «terminati i colloqui importanti», era Maria Giuseppina a rivolere indietro il suo patire. Così faceva avvisare il sacerdote: «Dite a don Dolindo di ridarmi i miei dolori»! Era una moneta troppo preziosa.

Nel novembre 1964 don Dolindo scrive: «La mia vita è stata sempre di dolore… Oh ma tutto è un ricamo di Dio! E non si ricama senza pungere la stoffa, né si fa un elegante punto a giorno sul corredo nuziale, senza sfilare i fili…». In un’altra occasione: «Ti sembra che Dio ti abbia abbandonato e non ti abbia esaudito mai? Non è così, non è stato così: in Cielo saprai come tutto sia stato un ricamo misericordioso di Dio suoi tuoi cari, sulla tua vita».

Questo ricamo era intervenuto anche per lui, don Dolindo: i nodi si erano sciolti, ed emergeva il disegno di insieme. Già la mamma – leggendone la vita così provata – aveva detto: «chi sa quale grande disegno c’è sotto questa tribolazione e questa tempesta!». Suo padre, sempre duro e che lo aveva chiamato Dolindo in onore dell’Addolorata, un giorno arriverà a dichiarargli: «Io sento che tu devi essere non un sacerdote comune, ma un apostolo e sento che non per caso ti ho maltrattato tanto male fin dall’infanzia». «Egli – aggiunge suo figlio – mi aveva reso veramente “dolore”»: eppure «tutti passano per le prove […] ed è impossibile volare al Cielo senza prima aver perdonato».

La vita terrena così provata di don Dolindo, tutta un’intreccio d’anime, sempre fedelissima alla Chiesa, si conclude nel novembre 1970: inestricabile dal suo vivissimo amore per Gesù (che viveva in lui, sino a fargli apparire azzurri gli occhi che aveva scuri, in confessionale, perché era Gesù a confessare al posto suo); di Maria di cui era innamorato e di cui definisce l’umiltà «il supersuono della sua grandezza»; dell’Angelo custode che seppe avvisarlo a più riprese, di notte, quando il lume dinanzi al Tabernacolo stava per spegnersi, perché accorresse a sostituirlo…

C’è un episodio che dice tutto, di don Dolindo. Nel luglio 1917 aveva sentito di nuovo il Signore vicino a sé; volle quindi cantare all’armonium l’inno a Gesù divin Maestro, ma non lo ricordava. Pregò allora con semplicità Gesù di aiutarlo a cantare. Si sentirono due voci… Un testimone dichiara: «Un altro cantava con voi, ma una voce umana»: era il mistero di una vita in cui, attraverso il taglio della Croce, sempre un Altro aveva parlato e cantato. Accogliere la Croce, per don Dolindo era lasciare fare a Lui: non per fatalismo (perché il fatalista esclude la volontà), ma perché il cristiano la propria volontà «la cede» al suo Signore e al suo Dio. Oggi l’Atto di abbandono di don Dolindo è il suo più alto testamento.

 

Consacrarsi a Dio significa per prima cosa
sceglierlo come oggetto unico del proprio  amore.

Da un’omelia di don Dolindo

[…] O Santa Chiesa di Dio
Potato dalla tribolazione
Nessuno potrà
Distaccarmi da te
Il mio sacerdozio fiorì
Proprio nell’umiliazione
E come edera dalle cento radici
Si avvinghiò al tuo Sacerdozio
Eterno, Gesù

Parole presso la tomba di don Dolindo

 

 

Dolindo Ruotolo nasce a Napoli il 6 ottobre 1882, quinto di undici figli: dovrebbe crescere nell’ambiente privilegiato che la discendenza nobiliare della mamma e la preparazione culturale del papà potrebbero garantirgli, ma le divergenze tra genitori, il carattere del padre, i problemi economici e di salute bussano presto alla porta ed egli sperimenta giovanissimo cosa sia “dolore”. Dapprima consacrato tra i Preti della Missione (Vincenziani), attraversa quindi un lungo calvario che – tra alterne vicende – ne segna la vita per decenni, sino alla riabilitazione definitiva nel 1937. Ormai prete diocesano, scrittore fecondissimo, all’origine dell’“Opera di Dio”, vede nel tempo aggregarsi attorno a sé un crescente numero di figlie e figli spirituali. Don Dolindo nasce al Cielo il 19 novembre 1970 e oggi la sua Causa di canonizzazione tiene alta la memoria di questo sacerdote dalla grande fama di santità e segni.

Per conoscerere don Dolindo sono numerosi i testi disponibili. Qui si segnalano il sito, che presenta numerosi e qualificati materiali; Grazia Ruotolo (con Luciano Regolo), “Gesù, pensaci tu”. Vita, opere, scritti & eredità spirituale di don Dolindo Ruotolo nel ricordo della nipote, Edizioni Ares, Milano 2020; Dolindo Ruotolo, Fui chiamato Dolindo che significa dolore, Pagine di autobiografia, Casa Mariana Editrice, Frigento (AV) 2020. Dati essenziali della sua lunga e travagliata vita sono accessibili anche su santiebeati.it.