N.03
Maggio/Giugno 2023

Più cuore nelle mani

«Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25, 31-46).

Oggi, in una società in cui si è tanto feriti e soli, si ha bisogno di mani che rialzano, che accarezzano, che spezzano il pane con il fratello. Come ci ricorda papa Francesco «noi saremo giudicati sull’amore. Il giudizio sarà sull’amore. Non sul sentimento: saremo giudicati sulle opere, sulla compassione che si fa vicinanza e aiuto premuroso».

Il carisma della carità misericordiosa verso gli ultimi, ma in particolare verso gli ammalati, che Camillo de Lellis ha ricevuto da Dio nel XVI secolo ed ha trasmesso alla Chiesa, si è arricchito attraverso l’apporto di molte persone significative. Tra queste figure, occupa un particolare rilievo madre Giuseppina Vannini: la prima croce rossa di san Camillo che, dopo di lui, splenderà a Roma. Come San Camillo anche madre Giuseppina sperimenta il Dio ricco di tenerezza e di compassione che assume il volto del Cristo Crocifisso, nel quale si raccolgono tutte le sofferenze degli uomini insieme a quello del Cristo samaritano, medico delle anime e dei corpi. Tale carisma è un dono dello Spirito Santo, che dà la forza di testimoniare al mondo, oggi, l’amore misericordioso di Cristo e la tenerezza di Maria verso gli ultimi tramite l’esercizio delle opere di misericordia corporali e spirituali.

Il 2 febbraio del 1892, madre Giuseppina Vannini insieme al beato padre Luigi Tezza fondano la Congregazione religiosa delle Figlie di San Camillo: «In trasmissione diretta da San Camillo la Congregazione ha ricevuto dallo Spirito Santo il dono di testimoniare l’amore sempre presente di Cristo verso gli infermi, nel ministero spirituale e corporale esercitato anche con rischio della vita. Fonte di questo amore è Dio stesso; infatti “Dio è amore. In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio ma è lui che ha amato noi. Noi amiamo perché egli ci ha amati per primo” (1Gv 4, 8.10.19)».

Una madre che vive a pieno l’amore ricevuto avendo sempre gli occhi del cuore aperti, pronta a chinarsi su ogni figlio ferito, sull’umanità ferita. Alla scuola di san Camillo assimila e comprende in modo nuovo cosa significhi «servire i malati così come una madre cura il suo unico figlio infermo» e, in questa intensità di vita, insegna alle sue figlie – in una teologia pratica e immediata – che «la sofferenza è vinta soltanto dall’amore». Soleva ripetere, infatti, che «nulla è piccolo davanti al Signore quando si opera con grande amore a Lui»: questa l’esperienza che si vive quando ci si avvicina alle Figlie di San Camillo. 

In particolare, molti giovani e famiglie che incontrano le Figlie di San Camillo di Casa Madre – riaperta da qualche anno nel cuore di Roma – fanno esperienza di una misericordia che non è una parola astratta, ma un volto da riconoscere, ammirare e servire. Un volto che spesso e prima di tutto è il proprio volto. È il riconoscerci piccoli che ci fa percepire l’infinito e l’essere inondati da questo amore; allora si abbandonano le proprie riserve e paure per aprirsi alla gioia dell’incontro. Tutto questo porta ad accostarsi in modo nuovo al mondo della sofferenza e a vivere appieno la missione di essere come il lievito nella pasta (cf. Mt 13,33) per una profonda trasformazione della realtà, come afferma papa Francesco rivolgendosi ai laici: «Nascosti all’interno delle realtà, proprio come il seme nella terra e il lievito nella pasta. E di un seme o del lievito non si può dire che sono anonimi. Il seme è premessa di vita, il lievito è ingrediente essenziale perché il pane sia fragrante».

Un dono, quindi, che non può essere trattenuto e che una volta ricevuto diventa le “cento braccia” che tanto desiderava avere San Camillo: «Vorrei avere centro braccia per servire tutti i poveri e i malati del mondo!». Cento braccia, guaritori-feriti, tanti giovani che portano gioia, tenerezza, consolazione e ascolto ai fratelli più abbandonati che si incontrano per le strade e nelle case, certi che è solo donando che si riceve gioia e vita piena. 

Ed è questo il dono che ho ricevuto anche io, un desiderio che diventa preghiera e che rende preziosa ogni espressione della mia vita e che, come laica, nel mio piccolo, cerco di trasmettere nelle realtà in cui vivo: in parrocchia, dove accompagno un gruppo di ragazzi adolescenti, nel lavoro, con gli amici, nella famiglia, nel servizio con gli ultimi. E se la nostra cultura spesso ci spinge a giudicare e a tagliare fuori, si rinnova l’importanza di uscire per accogliere. Vivendo questa esperienza, ho imparato soprattutto che «ogni uomo [può guardare] un altro uomo dall’alto in basso solamente quando deve aiutarlo a sollevarsi».  Testimoniare e mostrare il volto di Dio misericordioso al fratello, accogliere, ascoltare, curare ogni ferita, lavorare “con più cuore nelle mani”, è il primo passo per una rivoluzione pacifica, capace di cambiare il cuore dei singoli e del mondo intero. E oggi è più che mai necessario. Anzi, oserei dire, urgente.