Vera Grita
L’acqua e il vino siamo noi: Io e te
6 ottobre 1959. Alpicella è una frazione del comune ligure di Varazze: qualche casa, un paesello. Trentaseienne, vi insegna anche Vera Grita che – dopo anni di lavoro presso il Distretto Militare di Savona – è riuscita a coltivare la passione per l’insegnamento divenendo maestra.
Giovane, con un’innata eleganza ereditata dalla famiglia e tutta la vivacità dei suoi ricci neri e degli occhi pieni di pensiero, Vera soffre però da anni le conseguenze di un incidente: nel luglio 1944, travolta e schiacciata dalla folla in fuga dentro la quale, a Savona, tentava di salvarsi da un bombardamento aereo, lacera, contusa e lasciata per terra agonizzante, il trauma le aveva impresso “ferite” profonde. «Gli organi colpiti non rispondevano alle cure» e un medico arrivò a dichiarare: «Non si capisce come sia possibile che la paziente possa aver trovato un suo equilibrio».
La scuola, così, con le sue gioie e preoccupazioni, era divenuta una missione, volontà decisa di spendersi per il bene dei più piccoli convivendo quotidianamente con la sofferenza fisica, l’enorme stanchezza, le sequele delle patologie. Vera Grita accetterà la «triplice corona» di Cristo Re, fatta di sofferenze fisiche, morali e spirituali. Nel 1966 arriverà a confidare: «Tutto mi pesava».
La piccolezza, però, è lo stile di Dio che non si spaventa anzi la elegge, e riversa ondate di misericordia in chi è “nulla”. Così, il vuoto scavato in Vera dall’incidente, dalla malattia, dalla morte prematura del padre, da grandi difficoltà economiche, diventa lo spazio dove opera Dio. Quel 6 ottobre 1959, ad Alpicella, avverte infatti per la prima volta una “Voce” che le parla nell’intimo: Dio, attraverso un dono mistico speciale, si china su di lei. Il Cielo la conosce e la ama, la comprende e le regala una carezza: «C’è una chiamata dal Cielo: il cielo che si china su una sua creatura per donarle nella tristezza la più grande Grazia. C’è Dio Padre, puro Spirito, che nella Sua Perfezione volge il Suo Sguardo di misericordia sulla più sconcertante imperfezione e la guarda attraverso un Lago d’oro: il Sacrificio della Vittima innocente, la S. Messa […]».
Otto anni più tardi – nei quali il cammino di Vera Grita si approfondisce attraverso i voti privati di castità perpetua e “piccola vittima” e la promessa di Salesiana Cooperatrice, sempre in obbedienza al direttore spirituale – la “Voce” ritorna, più frequente, e le “detta” un’Opera d’Amore per la salvezza delle anime: l’Opera dei Tabernacoli Viventi, Opera eucaristica attraverso la quale Gesù rivela per ognuno la grazia della Permanenza Eucaristica nell’Anima. RiceverLo con fedeltà sotto le Specie Eucaristiche significa infatti essere costituiti Tabernacoli viventi e portarlo alle anime parlando il silenzioso, eloquente linguaggio della Carità.
A Vera, Gesù dice: «Il vino e l’acqua siamo noi: Io e te, tu ed Io. Siamo una cosa sola. Io scavo in te, scavo, scavo per costruirmi un tempio: lasciami lavorare, non pormi ostacoli […] Insieme porteremo gran frutto»; «Dammi la tua volontà, dammi il tuo cuore, dammi tutte le facoltà della tua anima, dammi le tue mani […]. Dammi i giorni, le ore, i minuti, gli attimi, tutto il tempo che ti lascio […]. Dammi la sofferenza, dammi il dolore, dammi la tua vita», «voglio che [l’]anima mi dia anche la sua voce per parlare agli altri uomini, i suoi occhi perché i miei incontrino lo sguardo dei fratelli, le sue braccia perché io possa abbracciare altri, le sue mani, per carezzare i piccoli, i bambini, i sofferenti».
Gesù chiede tutto, ma dà tutto: da Se stesso, la sua Presenza eucaristica, il suo camminare per le strade del mondo, il farsi prossimo attraverso «tabernacoli» svuotati e cesellati dall’umiltà, «viventi» per accoglierlo e irradiarlo nel mondo: è il dinamismo di una Chiesa in uscita che non attende entrino nelle chiese i lontani, quelli che non credono o più non sperano, quelli che difficilmente ne varcherebbero i portali. Ora Gesù stesso esce incontro a loro, li visita e vi si affianca: «Sono io nell’anima, anche per donarmi ad altre anime. Fuori delle mura della chiesa mi porti, e in ogni fratello con cui tratta dia Me. Sì, sorrida per me, con me, parli con carità e prudenza per Me, e tutto faccia con Me. Sia la giornata di quest’anima, in cui io voglio fare dimora quale “Tabernacolo Vivente”, penetrata di Me ogni ora di più».
Vera Grita visse per prima questo amore esigente, donò il Signore nelle scuole e tra i malati d’ospedale, lo testimoniò in famiglia dove non sempre fu compresa. Lo portò con silenzioso amore accanto a quelli che non lo cercavano, fu balsamo per molte ferite.
Dal 1967 al 1969, quando muore, Vera diventa così la segretaria di Gesù, colei che scrive quanto la Voce nell’intimo le detta abbassandosi al livello della creatura, parlando come lei riesce ad esprimersi e può comprendere. Per lei, questo cammino che le rivela sempre più l’Amore infinto di Dio, la prepara al Cielo e dona alla Chiesa, per la mediazione della Congregazione Salesiana, l’Opera dei Tabernacoli Viventi, è ascesi dell’obbedienza; atto di fede rinnovato nella tentazione e nel dubbio; tenebre e aridità di spirito; esercizio di umiltà e carità sempre.
Aiutata e profondamente stimata da sacerdoti appartenenti alla Congregazione Salesiana e al Carmelo, Vera visse una vera “cattolicità”, vincolandosi per vocazione alla Congregazione Salesiana con il suo slancio apostolico-missionario e la sua attenzione ai giovani e agli ultimi; incontrando la realtà carmelitana con la sua vita di preghiera e la sua mistica della «notte oscura», nell’ultimo periodo di docenza quando insegnava presso l’Eremo carmelitano del Deserto di Varazze; vivendo – anche attraverso la spiritualità della «schiavitù mariana» cara al Montfort, un amore tenerissimo e forte per la Vergine, che sempre le fu accanto e che amò con esemplare fedeltà di figlia. Particolarmente sensibile alle vicende del mondo e della Chiesa, si offrì per i sacerdoti che nei dolorosi anni della crisi del Sessantotto abbandonavano la vocazione. A lei il Signore dettò alcuni messaggi per il Pontefice Paolo VI che avrebbe, in seguito, istituito i Ministri straordinari dell’Eucaristia.
Vera Grita muore in una stanzetta dell’Ospedale “Santa Corona” di Pietra Ligure a 46 anni. Era passata dalla tristezza alla gioia e aveva compreso come la “povertà” fosse via regale su cui il Cielo stesso, attraverso la grazia della Permanenza Eucaristica, tornava a camminare in tanti e per tanti. Oggi Vera Grita, Serva di Dio, è testimone discreta e forte di questa nuova vocazione, della radicalità della vita eucaristica per tutti, della richiesta del Signore a essere ricevuto e a fare dimora in ciascuno per andare alle anime: soprattutto a quelle che non Lo cercano e da Lui più si sono allontanate.
O figlia mia,
ho stabilito la mia dimora in te:
voglio fare di te un tabernacolo vivente
per andare alle anime. Dammi tutto.
Gesù a Vera, 22 settembre 1967
Vera Grita nasce a Roma il 28 gennaio 1923. Padre fotografo, madre appartenente alla nobile famiglia modicana degli Zacco della Pirrera e tre sorelle amatissime: parrebbe esserci tutto per una vita felice. La crisi economica del 1929-1930, la malattia e la morte del papà e un incidente a 21 anni ne segnano però la vita, presto gravata da problemi di salute. Vera sperimenta piccolezza e fragilità, ma è in questa sofferenza che si fa strada una particolare chiamata: approfondire il mistero d’Amore nascosto nell’Eucaristia e divenire la portavoce nella Chiesa di una nuova opera, l’Opera dei Tabernacoli Viventi. Interamente dedicata ad essa, in una feconda obbedienza, negli ultimi due anni di vita, Vera Grita nasce al cielo a soli 46 anni, il 22 dicembre 1969. Oggi è Serva di Dio. Per approfondire si segnalano i due testi, entrambi a cura del Centro Studi “Opera dei Tabernacoli Viventi”: Portami con te! L’Opera dei Tabernacoli Viventi nei manoscritti originali di Vera Grita, Elledici, Torino 2017; Vera Grita una mistica dell’Eucaristia [Epistolario con i sacerdoti che la seguirono], Elledici, Torino 2018.