N.04
Luglio/Agosto 2023

Il Cielo a portata di mano

Se uno osserva la mia parola, non vedrà la morte in eterno (Gv 8, 51).

Nel 1516 frate Germano, superiore del Convento dei Frari, commissiona a Tiziano una grande pala d’altare che rappresenti l’Assunzione della Vergine. Il suo maestro, Giorgione, era morto qualche anno prima, nel 1510, e per il giovane pittore questa fu la prima vera prova, una commissione importante su un soggetto religioso, ci lavorò per due anni e la tela venne inaugurata solennemente il 19 maggio del 1518. L’opera inizialmente non ricevette un ampio consenso, si distaccava troppo dalla bidimensionalità bizantineggiante tanto cara ai veneziani dell’epoca. I Frati Minori valutarono di rifiutare l’opera, ma dopo che l’ambasciatore austriaco, emissario di Carlo V, si offrì di acquistarla, decisero di tenerla.

Appena restaurata, la si vede collocata oltre le pareti medievali del coro, oltre un arco sovrastato da un crocifisso ligneo, non si può comprendere la visione gloriosa dell’Assunta che dalla prospettiva del Trono di Gloria che è la croce. Varcata la soglia della Passione, irrompe la luce. Non è solo la luce naturale abbagliante che viene dalle grandi pareti vetrate dell’abside, orientata a sud ovest, è proprio la luce che emana da questa tela montata su tavola, alta quasi sette metri, posta in controluce. Del formato composto dall’unione di un rettangolo e un cerchio Maria occupa il punto di congiunzione, circondata da angeli e putti musicanti. L’intensa luce dorata si schiarisce verso il centro suggerendo una spazialità sferica. Questo effetto spinge la figura di Maria fuori della superficie della tela, il tallone destro sollevato come se stesse per spiccare il volo. Il Padre è rappresentato di scorcio, il mantello si fa tenda dell’alleanza. Un angelo gli porge la corona destinata a Maria. Già alla fine del X sec. nell’iconografia compare questo simbolo della corona vitae, della ricompensa celeste che attende la Vergine, che nel rito nuziale dell’incoronazione prende il significato dell’unione di Dio con l’umanità. Vedere Maria nella Gloria, nell’istante prima dell’incoronazione, è essere chiamati a fare lo stesso percorso di glorificazione, di unione. La morte non è l’ultima parola, neanche sul corpo. Colei che è priva del peccato originale, non può conoscere la morte che è conseguenza del peccato, la divisione di anima e corpo. Il dogma dell’Assunzione verrà poi proclamato solo nel 1950 da papa Pio XII. Come per la Dormizione nella tradizione orientale, Maria non muore ma cade in un sonno profondo per essere condotta in cielo anima e corpo, unita, non divisa. Per il fedele è una promessa di vita eterna: “se uno osserva la mia parola, non vedrà la morte in eterno” (Gv 8,51). Maria per prima ha ascoltato, custodito e osservato quella Parola incarnata che è Cristo. E la pienezza, il compimento che ci attende alla fine dei tempi, che è la vita eterna, non è nient’altro che il poter stare in questo amore. Il limite del corpo viene trasfigurato e la solitudine della morte diventa il luogo del compimento della relazione, in un abbandono fiducioso all’Altro. Maria in questo dipinto si lascia prendere, e insegna a lasciarsi prendere. In lei si intravede la meta del cammino dell’umanità. Per gli apostoli Tiziano usa come modelli alcuni pescatori della laguna. Da sinistra, c’è chi tende le mani al cielo, chi solleva lo sguardo, chi si ripara gli occhi. E al centro, Pietro con le mani giunte in preghiera, l’unico personaggio seduto. Sulla lastra Tiziano mette la sua firma. Questa pietra è il giaciglio su cui era stato posto il corpo di Maria. È una parte per lo più in ombra, ancora in attesa, ma Pietro è tra Giovanni e Tommaso, i cui abiti rossi instaurano un dialogo con la figura di Maria. Le tre tinte analoghe determinano una composizione triangolare, che conferisce stabilità ma allo stesso tempo genera una tensione verso l’alto, creando un ponte tra cielo e terra. Pietro è ancorato alla terra, ma in questa spinta non può restare seduto, alza lo sguardo, un punto di luce sul ginocchio destro rivela che sta per alzarsi. Dalla sua umile preghiera possiamo risalire per giungere a Dio in Maria. Il nodo nel mantello blu è il sigillo di un’alleanza nella carne, un nodo d’amore. Il “sì” dal quale siamo partoriti. Sulla spalla di Giovanni si vede un lembo di mantello dello stesso colore, con cui possiamo dire Madre. Dall’altro lato c’è Tommaso. Alcuni identificano questa figura con Giacomo, ma è improbabile dato che l’ultimo degli apostoli sulla destra porta una conchiglia bianca sul petto, attributo dell’apostolo. A Tommaso è dato di poter sfiorare il cielo. È proteso verso l’alto, come Maria solleva il tallone destro, le dita della mano aperte nello slancio. Secondo la tradizione Tommaso arriva dall’India al Monte degli Ulivi per ultimo, nello stesso istante in cui una luce accecante consegna Maria al cielo. Annodata alla vita, troviamo la cintola che Maria lascia cadere per lui. Non era presente Tommaso, come nel giorno in cui Gesù entrò nel cenacolo a porte chiuse. È rappresentato di spalle perché possiamo prendere il suo posto, quello del dubbio che diventa esperienza di intimità profonda, di comunione. Non è mai troppo tardi per colmare una distanza, per aprire le braccia e accogliere la vita che ci viene donata.