N.05
Settembre/Ottobre 2001

Vocazioni consacrate e movimenti ecclesiali

È raro che in occasione di un incontro col clero, con una congregazione religiosa o un istituto secolare, in occasione di un convegno regionale o diocesano non venga fuori alla fine una domanda, una osservazione una sottolineatura riguardante la questione dei movimenti nella Chiesa e del loro particolare rapporto con la tematica vocazionale. Indice di un tema ancora attuale e di una questione che probabilmente così come viene normalmente impostata non potrà restare che aperta. Il legame tra vocazioni al ministero ordinato o alla vita consacrata e i movimenti è singolare, forte e costante nel tempo. La massima preoccupazione viene espressa sul tema proprio dai responsabili dei cammini formativi tanto nei seminari quanto nei noviziati. Tema dunque di ancor grande attualità sul quale il CNV si è già soffermato in più occasioni[1].

 

Dati da ritenere acquisiti

Assumo dalla Novo Millennio Ineunte (NMI) e da Nuove Vocazioni per una Nuova Europa (NVNE) i dati da considerare acquisiti e sui quali è inutile soffermarci. Sono due documenti autorevoli e di sintesi che provengono dalla Santa Sede: dal Papa stesso il primo, dalla Pontificia Opera per le Vocazioni Ecclesiastiche il secondo.

Il Papa consacra il terzo capitolo della NMI, «Ripartire da Cristo», ad una riflessione concernente la programmazione pastorale della Chiesa conseguente all’esperienza giubilare. Passaggi suggestivi ed incisivi che parlano di una pedagogia della santità e prima ancora della santità come vero ed unico programma pastorale. A conclusione del n. 31 – centrale in questo capitolo – il Santo Padre ci propone le seguenti osservazioni:

È ora di riproporre a tutti con convinzione questa “misura alta” della vita cristiana ordinaria: tutta la vita della comunità ecclesiale e delle famiglie cristiane deve portare in questa direzione. È però anche evidente che i percorsi della santità sono personali, ed esigono una vera e propria pedagogia della santità, che sia capace di adattarsi ai ritmi delle singole persone. Essa dovrà integrare le ricchezze della proposta rivolta a tutti con le forme tradizionali di aiuto personale e di gruppo e con forme più recenti offerte nelle associazioni e nei movimenti riconosciuti dalla Chiesa.

 

Nello stesso capitolo, al n. 34, quando il Papa si sofferma sull’arte della preghiera da riportare al centro della vita di ogni comunità cristiana come tratto caratteristico della chiesa del terzo millennio, suggerisce:

Una giornata della comunità cristiana, in cui si coniughino insieme i molteplici impegni pastorali e di testimonianza nel mondo con la celebrazione eucaristica e magari con la recita di Lodi e Vespri, è forse più “pensabile” di quanto ordinariamente non si creda. L’esperienza di tanti gruppi cristianamente impegnati, anche a forte componente laicale, lo dimostra.

 

Sarà tuttavia al capitolo IV, “Testimoni dell’amore”, ed in particolare al n. 46 – così illuminante e prezioso di indicazioni anche operative per tutti noi animatori vocazionali – che si riconoscono i tratti fondamentali dell’attenzione che la Chiesa – nella sua massima Gerarchia – riconosce alla realtà dei movimenti. Ascoltiamo ancora brevemente il Santo Padre:

In questa stessa linea, grande importanza per la comunione riveste il dovere di promuovere le varie realtà aggregative, che sia nelle forme più tradizionali, sia in quelle più nuove dei movimenti ecclesiali, continuano a dare alla Chiesa una vivacità che è dono di Dio e costituisce un’autentica “primavera dello Spirito”. Occorre certo che associazioni e movimenti, tanto nella Chiesa universale quanto nelle Chiese particolari, operino nella piena sintonia ecclesiale e in obbedienza alle direttive autorevoli dei Pastori. Ma torna anche per tutti, esigente e perentorio, il monito dell’Apostolo: “Non spegnete lo Spirito, non disprezzate le profezie; esaminate ogni cosa, tenete ciò che è buono” (1 Ts 5,19-21).

 

Una chiara scelta di campo che mette fine ad ogni discussione. Questa è la linea della Chiesa. Da qui occorre partire per risolvere questioni ancora aperte e comunque non si torna indietro. Se la Novo Millennio Ineunte rappresenta l’orientamento che il Papa offre alla Chiesa universale in vista del terzo millennio e come coronamento delle celebrazioni giubilari, appena qualche anno prima un documento della Santa Sede sottolineava con autorevolezza la singolare importanza che riveste la realtà dei movimenti intesi come luoghi pedagogici della fede e della pastorale vocazionale. Il documento raccoglie del resto la ricchezza di un’assise europea che ha riflettuto ampiamente su ogni aspetto della pastorale vocazionale e merita la massima attenzione. Per noi animatori vocazionali è documento fondamentale. Leggiamo al n. 29c):

Oltre ai luoghi-segno sono preziosi i luoghi pedagogici della pastorale vocazionale, costituiti dai gruppi, dai movimenti, dalle associazioni e dalla stessa scuola. Al di là della diversa configurazione sociologica di tali forme di aggregazione, soprattutto a livello giovanile, è da apprezzare la loro valenza pedagogica, come luoghi in cui le persone possono essere sapientemente aiutate a raggiungere una vera maturità di fede. Ciò può essere efficacemente perseguito se non vengono disattese tre dimensioni dell’esperienza cristiana: la vocazione di ciascuno, la comunione della Chiesa e la missione con la Chiesa.

 

Mi sembra che non aggiungano niente di più – ai fini della nostra riflessione – né la Christifedeles Laici (1988), né il Congresso Mondiale dei movimenti ecclesiali celebrato a Roma nel 1998 e neanche la nota dei Vescovi Italiani Le aggregazioni laicali nella Chiesa del 1993. Si è tutti concordi nel parlare di una nuova primavera, a certe condizioni.

 

I contenuti vocazionali dell’esperienza dei movimenti

Vorrei introdurmi in questo secondo momento della mia riflessione con un breve passaggio tratto dal saluto che il Papa rivolgeva nel 1981 ai partecipanti al Primo Convegno Internazionale sui “Movimenti nella Chiesa”. Ascoltiamolo:

Come ben sapete, la Chiesa stessa è un movimento e soprattutto è un mistero, il mistero dell’eterno amore del Padre, del suo cuore paterno, dal quale prendono inizio la missione del figlio e la missione dello Spirito Santo. La Chiesa nata da questa missione (…) è un movimento e penetra nei cuori e nelle coscienze. È un movimento che si iscrive nella storia dell’uomo e delle comunità umane. I Movimenti nella Chiesa devono rispecchiare in sé il mistero di quell’amore da cui essa è nata e nasce continuamente (…). I Movimenti nel seno della Chiesa, popolo di Dio, esprimono quel molteplice movimento che è la risposta dell’uomo alla rivelazione, al Vangelo; il movimento verso lo stesso Dio vivente che tanto si è avvicinato all’uomo, il movimento verso il proprio intimo, verso la propria coscienza e il proprio cuore il quale, nell’incontro con Dio, svela la profondità che gli è propria; il movimento verso gli uomini, nostri fratelli e sorelle, che Cristo mette sulla strada della nostra vita; il movimento verso il mondo che aspetta incessantemente per sé la rivelazione dei figli di Dio. La dimensione sostanziale di un movimento in ciascuna delle direzioni sopra menzionate è l’amore.

 

Mi sembra un fascio di luce su tutta la tematica di singolare chiarezza e concretezza. Innanzitutto i movimenti sono visti come un momento del vivere della Chiesa che per sua natura è “movimento”. Nei movimenti ci siamo noi che viviamounamodalitàsingolaredellanostraappartenenzaecclesiale.Recuperando questa prospettiva si smussa ogni spigolosità che nasce da una visione manichea o concorrenziale. Nei movimenti e nei loro cammini ci siamo noi. Non altri. Ci siamo per vari motivi del tutto plausibili e condivisibili. La stessa Chiesa italiana, all’inizio degli anni ‘80, nel documento Comunione e comunità, affermava che la nascita dei gruppi ecclesiali, in qualche modo oltre la normale esperienza associativa già nota, andava vista con favore e simpatia come un fatto di Chiesa e fruttuoso per la Chiesa. Ricordiamolo brevemente ai nn. 45 e 46:

La condivisione della fede e di un serio impegno cristiano riunisce spesso alcune persone in gruppi omogenei, sia per affinità personali che per particolari carismi o specifici compiti di evangelizzazione e promozione umana. Così un po’ dappertutto fioriscono nella Chiesa tante piccole comunità, a volte singole o collegate fra loro in associazioni o movimenti. Paolo VI vi scorgeva “una speranza per la Chiesa universale”. È necessario che le comunità diocesane e quelle parrocchiali si aprano all’accoglienza di queste nuove forme di vita ecclesiale, dando loro la possibilità di integrarsi nell’insieme. Nello stesso tempo coloro che le formano devono sentire di appartenere al popolo di Dio ed essere consapevoli di doverlo servire con i propri particolari carismi.

 

Persone, come si vede, delle nostre: in qualche modo “noi” nel momento in cui siamo spinti verso un’esperienza che comunque è esperienza di Chiesa e vissuta nel grembo della Chiesa. Persone che sentono in maniera spiccata l’essere movimento della Chiesa stessa e desiderano offrirsi per mettere sempre di più “in movimento” la Chiesa tutta. Una corrente benefica che tende a smuovere, rinnovare, rinfrescare. Il problema sembrano diventare – al contrario – le resistenze di un contesto statico, pigro, infingardo. Non c’è una Chiesa contro una Chiesa: c’è il farsi della Chiesa che trova al suo stesso interno resistenze che con l’essere della Chiesa non hanno niente a che vedere. Ma il movimento non sembra dover degenerare in movimentismo: il fine non è quello di essere Chiesa alternativa ma di aiutare una Chiesa – magari stanca – a ritrovare l’entusiasmo, la freschezza, la fecondità. Non lo si fa accusando, giudicando, facendo sentire all’altro che io posso comunque fare a meno di te. Qui c’è lo zampino del Nemico. Né tanto meno lo si fa vivendo da movimento ecclesiale un’esperienza che non è più riconoscibile come ecclesiale: allora non apparterrebbe più alla chiesa e al suo movimento. Sarebbe altra cosa. E non ci interessa più.

Diceva il Papa poco sopra: “I Movimenti nel seno della Chiesa, popolo di Dio, esprimono quel molteplice movimento che è la risposta dell’uomo alla rivelazione, al Vangelo; il movimento verso lo stesso Dio vivente che tanto si è avvicinato all’uomo, il movimento verso il proprio intimo, verso la propria coscienza e il proprio cuore il quale, nell’incontro con Dio, svela la profondità che gli è propria; il movimento verso gli uomini, nostri fratelli e sorelle, che Cristo mette sulla strada della nostra vita; il movimento verso il mondo che aspetta incessantemente per sé la rivelazione dei figli di Dio. La dimensione sostanziale di un movimento in ciascuna delle direzioni sopra menzionate è l’amore”.

A me questa sembra la carta di un pellegrinaggio verso la vocazione: il movimento è per sua natura “risposta” a Dio che chiama ad una intimità con lui sempre più profonda e via ad una intimità con se stessi per non aver paura di riconoscere in sé l’immagine del figlio nel Figlio; ad una intimità con l’uomo per non aver mai paura di prenderselo in carico come “uno che mi appartiene”; ad una intimità con i gemiti del mondo per non aver paura di accoglierne le sfide. Il tutto sapendo che “alla sera della vita saremo giudicati sull’amore”, come ci ricorda san Giovanni della Croce. Davvero l’amore è la sorgente, il contenuto, l’obiettivo di ogni movimento che nasce nella Chiesa e che in essa offre un nuovo dinamismo e una nuova fecondità.

Fare movimento così non può che portare – come sua conclusione naturale – alla stessa finalità per cui esiste la Chiesa: costruire un’umanità che vive come Dio la vuole fatta di uomini che vivono come e dove Dio li vuole. Siamo destinati al Paradiso a questa unica condizione: che Dio possa riconoscerci come suoi. Dio è amore: l’amore è l’unica vocazione e l’unica verità. Anche e principalmente nei movimenti ecclesiali.

 

La vocazione personale e i movimenti ecclesiali

Porre come obiettivo la maturazione dell’amore comporta che all’interno del movimento accadano alcuni fenomeni, vengano proposte alcune esperienze, vengano offerti dei suggerimenti che vanno immaginati proprio a partire dall’obiettivo della massima autonomia personale e della massima robustezza interiore. Alla sera della vita ci presentiamo “da soli” a Colui che ci dirà – lo speriamo con tutte le forze e con tutto il cuore – “vieni servo buono e fedele…”. La vocazione al dono sincero di sé la si scopre e la si alimenta attraverso ogni esperienza di Chiesa ma tale esperienza è veramente di Chiesa se ha questo come suo unico obiettivo. Ciò vale anche per la vocazione stessa della Chiesa rispetto all’umanità e ciò vale per ogni esperienza che i cristiani vivono nella Chiesa.

A questo mi sembra che rispondano assai bene – con la consueta profondità e precisione – quelli che chiamiamo criteri di ecclesialità per le aggregazioni laicali e che sono sapientemente raccolti dal Santo Padre nella Christifideles laici al n. 30. Mi sembra opportuno riportare questo ulteriore fascio di luce sulla nostra riflessione.

È sempre nella prospettiva della comunione e della missione della Chiesa, e dunque non in contrasto con la libertà associativa, che si comprende la necessità di criteri chiari e precisi di discernimento e di riconoscimento delle aggregazioni laicali, detti anche “criteri di ecclesialità”. Come criteri fondamentali per il discernimento di ogni e qualsiasi aggregazione dei fedeli laici nella Chiesa si possono considerare, in modo unitario, i seguenti:

Il primato dato alla vocazione di ogni cristiano alla santità, manifestata “nei frutti della grazia che lo Spirito produce nei fedeli” come crescita verso la pienezza della vita cristiana e la perfezione della carità. In tal senso ogni e qualsiasi aggregazione di fedeli laici è chiamata ad essere sempre più strumento di santità nella Chiesa, favorendo e incoraggiando “una più intima unità tra la vita pratica dei membri e la loro fede”. 

La responsabilità di confessare la fede cattolica, accogliendo e proclamando la verità su Cristo, sulla Chiesa e sull’uomo in obbedienza al Magistero della Chiesa, che autenticamente la interpreta. Per questo ogni aggregazione di fedeli laici dev’essere luogo di annuncio e di proposta della fede e di educazione ad essa nel suo integrale contenuto.

La testimonianza di una comunione salda e convinta, in relazione filiale con il Papa, perpetuo e visibile centro dell’unità della Chiesa universale, e con il Vescovo “principio visibile e fondamento dell’unità” della Chiesa particolare, e nella “stima vicendevole fra tutte le forme di apostolato nella Chiesa”. La comunione con il Papa e con il Vescovo è chiamata ad esprimersi nella leale disponibilità ad accogliere i loro insegnamenti dottrinali e orientamenti pastorali. La comunione ecclesiale esige, inoltre, il riconoscimento della legittima pluralità delle forme aggregative dei fedeli laici nella Chiesa e, nello stesso tempo, la disponibilità alla loro reciproca collaborazione. 

La conformità e la partecipazione al fine apostolico della Chiesa, ossia “l’evangelizzazione e la santificazione degli uomini e la formazione cristiana della loro coscienza, in modo che riescano a permeare di spirito evangelico le  varie comunità e i vari ambienti”.

In questa prospettiva, da tutte le forme aggregative di fedeli laici, e da ciascuna di esse, è richiesto uno slancio missionario che le renda sempre più soggetti di una nuova evangelizzazione.

L’impegno di una presenza nella società umana che, alla luce della dottrina sociale della Chiesa, si ponga a servizio della dignità integrale dell’uomo. In tal senso le aggregazioni dei fedeli laici devono diventare correnti vive di partecipazione e di solidarietà per costruire condizioni più giuste e fraterne all’interno della società.

I criteri fondamentali ora esposti trovano la loro verifica nei frutti concreti che accompagnano la vita e le opere delle diverse forme associative quali: il gusto rinnovato per la preghiera, la contemplazione, la vita liturgica e sacramentale; l’animazione per il fiorire di vocazioni al matrimonio cristiano, al sacerdozio ministeriale, alla vita consacrata; la disponibilità a partecipare ai programmi e alle attività della Chiesa a livello sia locale sia nazionale o internazionale; l’impegno catechetico e la capacità pedagogica nel formare i cristiani; l’impulso a una presenza cristiana nei diversi ambienti della vita sociale e la creazione e animazione di opere caritative, culturali e spirituali; lo spirito di distacco e di povertà evangelica per una più generosa carità verso tutti; la conversione alla vita cristiana o il ritorno alla comunione di battezzati “lontani”.

 

Chi di noi vive l’esperienza ecclesiale di un movimento sa che quando questi criteri si realizzano quella fioritura di vocazioni all’amore che prendono – secondo il cuore di Dio – la via coniugale e la via verginale e che vanno a collocarsi nell’esperienza coniugale o in quella consacrata o in quella che nasce dal ministero ordinato dei presbiteri è assicurata, florida, sicura e forte. Chi di noi vive l’esperienza ecclesiale di un movimento sa che quando questi criteri non si realizzano, non solo non portiamo frutti di alcun tipo e finiamo per diventare ciechi che conducono altri ciechi, ma sappiamo bene che il fare movimento è solo una sofferta e presuntuosa staticità e ben presto la porta si chiuderà miseramente dietro di noi.

 

Torno da mia madre!

E quando un giovane dovesse – perché così deve accadere – scoprire la propria personale vocazione, il percorso realizzato per certi aspetti va considerato concluso ma in nessun modo va considerato dimenticato. L’esempio luminoso della famiglia d’origine, quando nasce una nuova coppia, ci aiuta a sgombrare il campo da qualsiasi assurdo pregiudizio.

Se il movimento è stato vissuto come fatto di Chiesa nessuno si sognerà di pensare che possa privare il movimento di qualche cosa il fatto che una persona giunga ad approdare in quelle vie vocazionali che sono proprie di ciascuno e che ci fanno vivere secondo il cuore di Dio. Un po’ di tristezza c’è, è inevitabile, ma nessun babbo o mamma si sognerà di considerare una perdita il figlio che si sposa… Il figlio stesso non avrà bisogno di far parte della famiglia d’origine per imparare a vivere la propria via coniugale ma farà parte della nuova famiglia anche la famiglia d’origine: piena e gioiosa comunione; voglia di vedersi spesso; preoccupazione cordiale e attenta: ma nessuna dipendenza, nessuna nostalgia.

Quando un giovane o una ragazza scoprono la propria vocazione verginale che li chiama al ministero presbiterale o alla vita consacrata il loro modo di fare movimento nella Chiesa necessariamente reclama altri percorsi: cerca una radicalità evangelica “non comune” un rapporto con Dio, una vita nella castità nella poverta e nell’obbedienza, una vita nel silenzio e nel raccoglimento che sono proprie di quell’esperienza movimentistica – secondo la bella intuizione del Papa – di un presbiterio diocesano o di una congregazione religiosa come pure di un istituto secolare o missionario. Non c’è alcun bisogno di “tornare dalla mamma” perché non c’è nessun bisogno di lasciarla. Ma non si ascolta la mamma o il babbo come quando si stava in casa…Ora c’è una nuova famiglia con la quale fare i conti.

Una preziosa primavera dunque! Perché preziosi sono i valori espressi e i bisogni autentici che stanno all’inizio di ogni esperienza movimentistica. Tuttavia l’obiettivo resta la persona e la sua vocazione all’amore. In questa prospettiva è molto probabile che anche per il movimento finirà per diventare una grande risorsa porre questo obiettivo vocazionale al centro del proprio interesse e della propria prospettiva dinamica. Dire vocazione – in fin dei conti – significa dire la ragione stessa per la quale esiste l’uomo, la Chiesa e… i movimenti ecclesiali.

 

 

 

Note

[1] In particolare un Convegno Nazionale di Studio con di C. Riva, E. Franchini, A. Plotti, P. Scabini, R. Cananzi, M. Camisasca, S.Veronesi, D. Follio, G. Donnini, C. Ruini (3-5.01.1987), un numero monografico di Vocazioni destinato a preparare il convegno stesso (5/1986) con interventi di I. Castellani, P. Scabini, L. Bonari ecc. Gli atti del Convegno sono confluiti in un volumetto dell’editrice Rogate dal titolo Gruppi, movimenti, associazioni: quale pastorale vocazionale, Roma 1987.