N.05
Settembre/Ottobre 2023

Emanuele Samek Lodovici

Come bimbi che giocano dinanzi al loro babbo

In una lettera del 24 gennaio 1981, il filosofo Augusto Del Noce si rivolge a un giovane pensatore che aveva fatto parlare di sé per gli studi su Plotino, Agostino e la gnosi, in quella che appare una vera investitura nel panorama accademico italiano: «Lei ha ormai la possibilità di diventare un vero maestro. Né minimamente esagero nel dirLe che non ne vedo altri fra coloro che hanno oggi meno di quarant’anni». Scriveva a Emanuele Samek Lodovici il quale – a un’età in cui molti sono ancora alla ricerca d’un posto nel mondo – già attestava qualità di magister, una capacità profonda di leggere le situazioni e illuminarle alla luce del vero.

Emanuele, che gli studi classici mettevano in contatto con gli Autori, trova negli antichi la luce per comprendere i contemporanei: parlando della gnosi, «aveva descritto le odierne reincarnazioni dell’antico sistema filosofico e di comportamento che predica una salvezza mondana raggiungibile con le sole forze della ragione», fino a realizzare un paradiso in terra, una Gerusalemme terrena senza Dio.

Dunque, il pensare non poteva consistere per Samek Lodovici in un affermare il primato della mente, al di fuori di fatti e legami: del suo pensatore preferito, Agostino, conserva l’inesausto domandare e la consapevolezza che tempi storici cattivi si mutino – senza lamentele – cominciando dall’autoriforma.

Così egli diviene lettore dei suoi tempi, con le qualità profetiche di chi scruta senza servilismi e chiama le cose per nome: si vide ostracizzato dalla Cattolica per aver contestato all’allora Rettore sia di aver impedito a Sergio Cotta di tenere un intervento contro il divorzio (all’epoca del referendum), sia di aver mantenuto un atteggiamento di ambiguo attendismo per le elezioni universitarie; fu preso a sprangate in testa al termine di un’assemblea al Liceo “Einstein” (perché intelligenza è intus-legere, cogliere il nucleo profondo delle questioni e ciò lascia gli avversari spogli e arrabbiati); espresse un’indignazione profonda – prossima forse alla vindicatio tomista, alla giusta ira – quando un infelice articolo di Giorgio Bocca concorse al patire di due innocenti.

Con la vocazione del docente universitario, Emanuele Samek Lodovici interveniva però in una molteplicità di contesti: “conversazioni” su vita e fede, morale e politica. Denuncia gli slittamenti semantici che corrompono persone e cose, parla di felicità e morte, marxismo e femminismo. Lui così sensibile alle ragioni di Plotino, Agostino e Tommaso prende posizione sul freudismo, ama Nietzsche, si inventa “proverbi” di saggezza che sono frecce: «Un bruco, vedendo una farfalla, esclamò: “Io non mi concerò mai a quel modo”»; «Il gallo: “Non è ancora giorno, non ho dato il segnale”». E dove l’uomo del suo (e nostro) tempo fa come il gallo e crede che gli altri possano cominciare solo se è d’accordo lui, Samek denuncia la grande illusione di chi ritenga di possedere tutto quando è solo al centro dell’attenzione.

In tal senso, Emanuele Samek – uomo di molti libri e amico anche dei libri degli amici – è anzitutto ed essenzialmente un uomo di persone e relazioni: quelle con la famiglia, dove erano felici del poco perché erano semplici e si volevano bene; quella coi tanti che incontra, accompagna per un tratto, custodisce nella preghiera. Sono relazioni dove sperimenta l’alterità radicale dell’altro nella pari dignità, la sua differenza abissale, il suo mistero irriducibile. Parlando in particolare della donna – cui gli Anni Settanta e Ottanta promettevano ciò che oggi s’è compiuto, la totale indipendenza ma separandola dalla fonte di vita che porta in grembo e omologandola all’uomo – rileva la de-realizzazione cui è esposta, la perdita di contatto con sé e la sua vocazione. In anni dove per “libertà” si intendeva il libertarismo e l’assenza di vincoli, Samek rispiega il dono di questi vincoli, un realismo fondamentale in cui ciascuno è diverso e la complementarietà passa da un divario benedetto: il kenegdo di biblica memoria – la donna che sta di fronte all’uomo – è al tempo stesso guardarsi negli occhi e appartenere a mondi diversi. Cleopatra, spiega Samek, colpì così tanto Antonio (nel dramma di Shakespeare) perché rappresentava il totalmente altro e tale differenza non era annullata.

Cambia perciò anche il concetto di “intelligenza” – cui dedica una conferenza, Educarsi all’intelligenza, tra i suoi ultimi incontri pubblici –: la capacità profonda di esistere dall’interiorità di sé, nella formazione del carattere, nel controllo della fantasia-arma-di-evasione, nell’apprezzamento dell’intelligenza altrui e nell’umile consapevolezza che qualche volta si causa sofferenza, che le anime vanno trattate con cura. “Responsabilità” – ricorda Samek – deriva da sponsus-rebus: significa “sposato alla realtà”, è l’habitus a stare in essa sino in fondo, ad assumerla per come è e richiede. E nella vita conta principalmente la qualità morale delle azioni: come si vive e solo secondariamente cosa si produce, o il ruolo sociale, ecc.

L’ultima regola per la guida dell’intelligenza concerne allora la morte. Scrive Emanuele Samek Lodovici: «se ci esercitiamo a contemplare la morte, [questo] può insegnarci a capire la vita». Altrove: «[…] questo fenomenologo che si chiama Gesù ci dice di stare attenti a non essere uomini per il domani, perché bisogna vivere il presente e il presente si vive se si ha la capacità di accettare le sofferenze: non andare a cercarle, ma essere disposti ad accettarle».

Quando nell’aprile 1981, fermo in macchina al semaforo con alcuni familiari, Emanuele viene centrato da un camion, riporta numerose e gravi fratture e il 5 maggio successivo muore per le conseguenze d’un intervento chirurgico, vive allora quell’ultimo “passaggio” che è in se stesso parola potente, consegna di sé in un mondo che spesso agisce su di noi al di là della volontà nostra e in contraddizione ad essa (Samek era nato il giorno dei Santi Innocenti e di questa azione degli altri su di sé patì più volte le conseguenze).

Cosa resta, d’una vita? Si sarebbe tentati di rispondere: i testi, le conferenze, i titoli. La risposta invece è altra: restano i figli, le persone che si sono generate (nella carne e oltre), gli allievi e gli amici da lui guidati. Tre giorni prima dell’incidente, parlando di suo papà Sergio, Emanuele aveva detto: «Mio padre ha insegnato e pubblicato per tutta la vita. Eppure, quello che veramente resta di lui non sono i suoi scritti, ma i suoi due figli. E l’unica cosa di cui anch’io sono veramente orgoglioso sono proprio i miei figli. Soltanto per questo sarò ricordato».

Per diventare padri, però, bisogna essere figli a propria volta. Così, nel 1978, Samek confessava di non avere imparato da molto a pregare, a fare davvero “orazione mentale”. Una cosa però l’aveva capita: pregare è sentire la paternità di Dio, avere con lui un rapporto «fatto di sorrisi, di stranezze, di mancanze, che può avere un bambino piccolo nei confronti di suo padre»; è vivere come giocando «alla presenza del proprio babbo». «La parte migliore dell’uomo è il fatto che è come un bambino, con un giocattolo, nelle mani di Dio».

E solo se ci si sa e ci si sente generati, si accetta la legge scritta nelle cose; si desidera vivere senza evadere dal presente; si diventa testimoni.

 

«Solo l’Origine è la Meta»

Emanuele Samek Lodovici

 

 

Emanuele Samek Lodovici nasce a Messina il 28 dicembre 1942, ma trascorre il resto della vita a Milano, in una famiglia dove il padre Sergio, docente universitario, gli trasmette il gusto per la cultura, il leggere, l’ascesi della parola esatta. A Milano, si forma presso il Dipartimento di Scienze Religiose della Cattolica di Milano per passare poi, dalla letteratura cristiana antica, alla filosofia. Dapprima, sotto la direzione di Vittorio Mathieu, insegna all’Università di Torino; vince quindi la cattedra (con incardinamento che sarebbe avvenuto a Trieste) specialmente grazie a Dio e mondo. Non la occuperà mai, perché muore a 38 anni il 5 maggio 1981. Da subito, la sua è una memoria viva che nutre il ricordo e anima il dibattito. Per meglio conoscerlo si rinvia, oltre a Dio e mondo (monografia su Agostino), a: Metamorfosi della gnosi. Inoltre: Una vita felice. Conversazioni con sette inediti (Ares, Milano 2023); Gabriele De Anna (a cura di), L’origine e la meta. Studi in memoria di Emanuele Samek Lodovici con un suo inedito (Ares, Milano 2015). Infine, al sito www.emanuelesameklodovici.it.

Oggi ne custodiscono l’eredità preziosa anzitutto la moglie Giusi e i figli.